GUERRALDA, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUERRALDA, Bernardino

Paolo Tinti

Nacque a Vercelli nella seconda metà del XV secolo; su di lui restano poche e frammentarie notizie. Già sul finire del XV secolo si trasferì a Venezia, così come Giovanni Rosso, Tommaso Ballarino e altri stampatori piemontesi, che, sospinti dalle condizioni economiche e politiche di Vercelli, sfavorevoli all'arte tipografica fino al 1528, cercarono fortuna nella città lagunare. Il G. svolse probabilmente il proprio apprendistato nell'officina del conterraneo G. Rosso, attivo a Venezia già dal 1486. A causa della comune sottoscrizione "Bernardinus Vercellensis" egli è stato sovente confuso con Bernardino Viani, anch'egli attivo, così come il fratello Albertino, a Venezia in quegli anni. In assenza di un criterio certo per distinguere la produzione dei due editori, solo lo studio dei caratteri ha dimostrato che le opere impresse tra il 1501 e il 1507 da "Bernardinus Vercellensis" sono attribuibili al G., in quanto impresse con i medesimi tipi della Historia corporis humani sive anatomice di A. Benedetti, professore di medicina pratica e anatomia nell'ateneo di Padova, stampata certamente dal G. il 1° dic. 1502.

Il 6 febbr. 1501 il G., residente a Venezia da molti anni, chiese alle autorità lagunari di poter dare alle stampe tutte le opere latine di G. Pontano. Il riconoscimento, da parte dei consiglieri preposti al rilascio delle licenze di stampa, dell'impegno profuso nel raccogliere ed emendare tali opere, nonché delle spese sostenute, gli fecero ottenere per quell'edizione un privilegio decennale, concessogli nella medesima occasione anche per le opere del petrarchista modenese Panfilo Sasso. Le prime furono pubblicate in folio l'anno stesso, mentre le seconde videro la luce solo nel novembre 1504. Non soltanto tipografo, il G. fu quindi in grado di farsi autonomamente promotore di progetti editoriali di sicuro successo.

Pur proseguendo nel pubblicare in proprio volumi di notevole interesse, tra cui il Libro pastorale nominato Arcadio (sic) di I. Sannazaro (1502) e la In Paralipomenon explanatio litteralis amplissima del teologo spagnolo A. Tostado (1507), il G. si pose anche al servizio di Andrea Torresano - capostipite di una delle più illustri famiglie di stampatori ed editori del tempo - il quale, nel 1502, commissionò la stampa degli Opera omnia del maestro di retorica G.A. Campano. Nel medesimo anno, sempre su commessa di Torresano, il G. stampò le Satyrae di F. Filelfo, il De antiquitate ac De bello Iudaico di Flavio Giuseppe e il De regimine principum di Egidio Romano, nella cui sottoscrizione il nome del G. appare per la prima volta accompagnato dal titolo di magister, ruolo apicale nelle arti del tempo.

L'esperienza veneziana del G. terminò nel 1513, anno in cui egli trasportò l'officina ad Ancona, stabilendosi "in domo Felicis de Pilestris", ossia nel palazzo al colle Guasco, già sede del Senato, come annotato nel colophon alle Constitutiones, sive Statuta magnifice civitatis Ancone, prima opera stampata dal G. nella città marchigiana, in data 27 ott. 1513.

Nel capoluogo della Marca anconitana il G. inaugurò un vero e proprio regime di monopolio, quale unico stampatore a operare nella città fino al 1528, anno in cui cessò l'attività. Anche nel periodo anconitano egli mantenne saldi i legami con Venezia, come si evince dall'edizione in ottava rima della Conversione de sancta Magdalena del poeta folignate M. Rasiglia, finita di stampare il 20 apr. 1514 a spese del veneziano Nicolò Zoppino. Instaurò altresì fruttuosi rapporti con esponenti dell'arte tipografica locale, primo fra tutti il celebre G. Soncino, a istanza del quale nel 1514 stampò Il perché di G. Manfredi, nel 1515 l'Expositio pulcherrima hymnorum, nel 1516 le Regulae expectativarum e le Regulae Cancellarie apostolice.

Che il G. avesse stabilito in Ancona anche una propria getteria di caratteri - come afferma G.C. Faccio sulla base del colophon del Pentateuchus in Mediceam monarchiam di Stefano Giovanninensi (1526) - è notizia assai incerta, se non altamente improbabile. Benché il G. fosse definito in quello stesso colophon "Chalcographi publice cudentis", va tuttavia ricordato che nell'accezione cinquecentesca, almeno in Italia, il termine di calcografo non era utilizzato nelle sottoscrizioni a indicare chi approntava casse di caratteri, né chi era dedito all'incisione e alla stampa delle lastre in rame, bensì come semplice sinonimo di impressore.

Le oltre trenta edizioni uscite dai torchi del G. sono caratterizzate, oltre che da una notevole correttezza dei testi, anche da una pregevole ricercatezza formale sia per la nitidezza della composizione, sia per l'eleganza dei frontespizi e l'eclettismo delle illustrazioni. Il G. stampò soprattutto in caratteri gotici e romani. Nel 1516, in occasione della pubblicazione delle Regole grammaticali della volgar lingua di G.F. Fortunio, stabilitosi ad Ancona, il G. acquistò da Soncino il corsivo di Fano intagliato da F. Griffo. L'opera di Fortunio, prima grammatica italiana a essere pubblicata, e per la quale il G. ottenne il privilegio decennale dalle autorità veneziane, ebbe notevolissima diffusione, tanto da essere ristampata numerose volte nel corso del secolo. Particolarmente attento all'ambito linguistico, nel 1520 il G. pubblicò le Regulae grammaticales di Giacomo da Patrignone. Destinata a un pubblico di mercanti e a uso pratico è l'Opera nuova che insegna a parlare la lingua schiavonesca di Pietro Lupis, probabilmente un commerciante residente in Ancona, stampata nel 1527. Questo manualetto, prima registrazione lessicografica della lingua cakavstina, parlata nella zona di Zara e Spalato, contiene infatti un sintetico vocabolario di tale idioma e un esempio di conversazione, che ne facevano un'opera di grande utilità e facile smercio presso i numerosi commercianti italiani che frequentavano il litorale della Croazia e perciò bisognosi di avvicinarsi all'idioma. Nel medesimo anno il G. pubblicò un altro dizionario di Lupis dedicato alla lingua "turchesca", in cui si dà la traduzione di un centinaio di sostantivi, di alcune frasi elementari e di 64 numeri cardinali dal turco all'italiano.

A conferma della non certo provinciale visione del G., nel suo catalogo compaiono, accanto a opere meno consuete, riedizioni di opere letterarie di sicuro successo, e prime edizioni di notevole interesse e attualità. Nel 1516 pubblicò la Cerva bianca del poeta genovese Antonio Fileremo Fregoso; nel 1520 diede alle stampe un'elegante edizione delle Rime di Petrarca, corretta secondo la copia di A. Manuzio e illustrata da originali xilografie dei Trionfi. Del 1522 è l'Ardelia del marchigiano Caio Baldassare Olimpo Alessandri da Sassoferrato, un libretto di rime amorose di carattere popolare che ebbe notevole diffusione nel XVI secolo. Attribuibile al G., secondo P. Giangiacomi (che la data al 1522 o 1523), è l'editio princeps, mai rinvenuta, dei primi due canti della Marfisa di P. Aretino,. Nella lettera dedicatoria preposta alle due successive edizioni veneziane (senza data e tipografo, collocabili tra il 1531-32 e il 1535) Lorenzo Venier individua nell'ignoranza e nella maligna invidia per le stampe d'Ancona l'ostracismo dei tipografi nei confronti dell'opera aretiniana.

L'ultima opera stampata dal G. è l'Orazione latina in onore di Francesco Cinzio Benincasa del padre Pellegrino da Lugo del 1528. Oltre questa data non si hanno altre notizie su di lui, il che fa ritenere che si sia spento poco dopo nella stessa città di Ancona.

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