SCOTTI, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCOTTI, Bernardino

Andrea Vanni

– Nacque intorno al 1493 a Magliano Sabina.

Apparteneva a un ramo di una famiglia piacentina di nobili origini che si era stabilita nei territori a cavallo tra le diocesi di Narni e di Rieti.

Ignoti sono i nomi dei genitori, i loro titoli e le loro attività.

Nei primi anni del XVI secolo si trasferì a Roma, dove si laureò in utroque iure. La conoscenza dei sacri canoni e delle lingue – oltre al latino conosceva il greco e l’ebraico – gli permise di intraprendere la carriera curiale come avvocato concistoriale. Membro della confraternita romana del Divino Amore, nel 1525 entrò nell’Ordine dei chierici regolari teatini fondato dal vescovo napoletano Gian Pietro Carafa e dai chierici Gaetano Thiene, Bonifacio Colli e Paolo Consiglieri.

Nel 1527, in fuga dal sacco di Roma, si trasferì con i confratelli a Venezia, nella chiesa di S. Nicola di Tolentino. Qui le sue attività si svilupparono secondo le direttive impresse da Carafa nella riforma dei meccanismi di selezione del clero, delle attività assistenziali, che intendeva porre sotto il rigoroso controllo delle gerarchie ecclesiastiche, e dell’apparato inquisitoriale. Scotti fu uno dei suoi fedelissimi: nel 1539, durante un capitolo generale, presentò una lettera nella quale sottolineò la necessità di prendere le distanze dagli istituti religiosi, come le confraternite della carità, che permettevano un’eccessiva vicinanza tra chierici e laici. Il documento riflette anche le sue opinioni sui comportamenti da evitare per realizzare la propria vocazione alla vita consacrata, vale a dire «relaxatio morum et disciplinae, professorum multitudo, mulierum familiaritas vel cura, terrenarum rerum copia vel certa possessio» (Mas, 1947, p. 200).

Quando, nel 1536, Carafa lasciò Venezia per trasferirsi a Roma, nominato cardinale da Paolo III, Scotti divenne il suo alter ego all’interno dell’Ordine, occupandosi di alcune questioni che riguardavano la lotta contro l’eresia. Insieme con il commissario straordinario del S. Uffizio Annibale Grisonio, nel 1545 egli condusse un’indagine sull’accademia di Rezzato, dove Giacomo Chizzola voleva coinvolgere Marcantonio Flaminio e Alvise Priuli nell’insegnamento di un catechismo ispirato al pensiero di Juan de Valdés, mentre nel 1546 seguì i movimenti del vescovo di Capodistria Pier Paolo Vergerio, raccogliendo testimonianze sulle sue predicazioni luterane a Brescia e sui suoi seguaci.

In questo periodo Scotti fu in costante contatto con i membri della confraternita di Salò, organizzando le attività spirituali del sodalizio. È del 1542 un suo tentativo, peraltro infruttuoso, di aprire una nuova casa teatina sulle sponde del lago di Garda. Nel maggio del 1546 si fece promotore della fusione dei teatini con i somaschi, forse con l’obiettivo di assimilare i preti di Girolamo Miani al modello di riforma proposto da Carafa. L’unione durò solo una decina d’anni, fino al 1555, quando Paolo IV ordinò ai suoi antichi confratelli di «ritenersi liberi da tal fastidioso impiego».

Due anni più tardi, nel 1548, Scotti fu invitato a partecipare alla legazione pontificia in Germania chiamata a emanare i capitoli dell’Interim di Augusta, mediante i quali Carlo V intendeva facilitare il ritorno dei protestanti all’interno dei confini dell’ortodossia cattolica. Per lui fu una missione di breve durata: contrario a ogni soluzione pacificatrice nei confronti della Riforma, Carafa forzò il suo ritorno a Venezia, facendogli ottenere l’incarico triennale di preposito della casa di S.Nicola di Tolentino. Non era il suo primo ruolo di responsabilità all’interno dell’Ordine: fu eletto con lo stesso mandato nel 1536, nel 1543, nel 1549 e nel 1554.

La piena maturazione della carriera di Scotti avvenne nel 1555, quando Paolo IV lo volle con sé a Roma, nella nuova casa teatina di S. Silvestro al Quirinale, creandolo arcivescovo di Trani, cardinale, governatore della Segnatura di grazia e giustizia, segretario di Stato e ai Brevi. In seguito lo impegnò nella stesura dell’Indice dei libri proibiti, nella scrittura del nuovo breviario e nel 1559 lo volle nel Sacro Consiglio, l’organismo che doveva occuparsi del governo dello Stato della Chiesa. Il favore del papa gli valse anche alcuni incarichi inquisitoriali. Tra il 1557 e il 1558 Scotti partecipò al processo postumo contro Girolamo Savonarola, mentre nel 1558 servì come giudice al primo processo contro il cardinale Giovanni Morone, ottenendo i suoi proventi dell’abbazia di Eboli che fu costretto a restituire nel 1560, in occasione della solenne assoluzione dell’imputato voluta da Pio IV. Paolo IV gli affidò anche il delicato incarico di mediare i rapporti con i teatini, specie con coloro i quali erano maldisposti ad accettarne le politiche rigoristiche, come Giovanni Marinoni.

Il 3 agosto 1559, pochi giorni prima della morte del papa, Scotti fu trasferito alla cattedra vescovile di Piacenza, forse per la sua impossibilità di prendere possesso dei benefici della diocesi di Trani, che gli Asburgo non avevano mai ratificato a causa della sua vicinanza a Carafa: nel tentativo di ottenere i favori di Filippo II, nel 1556 Scotti aveva anche invano ricercato la mediazione del cardinale Reginald Pole. Per non incorrere nelle purghe e nelle ritorsioni di Pio IV nei confronti degli accoliti del suo predecessore, culminate con il processo e la condanna di Carlo e Giovanni Carafa, egli si trasferì a Piacenza, dove si dedicò alla repressione del dissenso eterodosso. Sotto la sua supervisione l’inquisitore Umberto Locati fece processare un gruppo di eretici raccoltisi intorno alla moglie del governatore Isabella Bresegna, vicina alla protettrice di Calvino Renata di Francia e ad alcuni esponenti del cenacolo valdesiano.

Nel 1565 partecipò al concilio provinciale di Milano con cui Carlo Borromeo intendeva affermare la giurisdizione della sua arcidiocesi su quelle circonvicine. Per scongiurarne l’imperialismo pastorale, Scotti si trovò più di una volta costretto a ribadire la propria autonomia. La sua relativa emarginazione è testimoniata anche dal difficile rapporto che ebbe in questi anni con i teatini, i quali, dopo la morte di Paolo IV, avevano decretato nei confronti suoi e dei suoi fedelissimi una vera e propria damnatio memoriae.

Scotti tornò definitivamente a Roma soltanto nel 1566, quando Pio V lo nominò tra i cardinali inquisitori e lo fece alloggiare nel palazzo vaticano. Con il nuovo incarico egli partecipò alla riapertura del processo contro Pietro Carnesecchi, la cui esecuzione, avvenuta il 1° ottobre 1567, contestualmente alla riabilitazione dei nipoti di Paolo IV, doveva chiudere la partita degli inquisitori contro gli spirituali: non ebbe infatti seguito il tentativo di Pio V di riaprire il processo Morone.

La parabola terrena di Scotti andava nel frattempo declinando. Rinunciato al vescovato piacentino in favore del confratello teatino Paolo Burali, morì a Roma il 2 dicembre 1568 e fu sepolto nella basilica di S. Paolo fuori le mura.

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