Rucellai, Bernardo

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Rucellai, Bernardo

Nicoletta Marcelli

Figlio di Giovanni di Paolo e Jacopa Strozzi, nacque l’11 agosto 1448 (Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, 1° vol., Il Zibaldone quaresimale di G. Rucellai, a cura di A. Perosa 1960, p. 145); fin dall’infanzia frequentò assiduamente i Medici, che lo consideravano un loro intimo, come si evince da alcune lettere di suo padre Giovanni a Piero de’ Medici (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 17, 358 e 27, 422). Nel luglio del 1461 fu promesso sposo a Nannina de’ Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico, con cui si unì nel 1466. Il legame con la famiglia Medici nel tempo si fortificò, tanto che R. divenne uno degli uomini di fiducia di Lorenzo: il 23 settembre 1471 i due si recarono a Roma, insieme con Donato Acciaiuoli e altri fiorentini illustri, a congratularsi per l’elezione di papa Sisto IV; del viaggio R. fa menzione nel suo De urbe Roma (ed. 1770, coll. 839-40), in cui descrive anche la visita ad alcuni resti della città antica in compagnia di Lorenzo e dell’Acciaiuoli guidati da Leon Battista Alberti. Si trattò della prima di una lunga serie di missioni diplomatiche che, nell’arco della sua vita, R. svolse per Lorenzo e, dopo la morte di questi, per la Repubblica fiorentina in qualitàdi ambasciatore ufficiale. È di questi anni la notizia della partecipazione di R. alle dispute filosofiche che si tenevano in casa di Roberto e Donato Acciaiuoli, come si desume dal trattato di Giovanni Nesi, De moribus (v. ms. nella Biblioteca medicea laurenziana di Firenze, Plut. 77, 24, f. 58v), in cui l’autore riferisce di una discussione in quattro giornate avvenuta nel 1477. Si potrebbe pensare di collocare proprio in questo periodo, influenzato dalla frequentazione di Donato Acciaiuoli, la composizione del Bellum Mediolanense (ms. autografo nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Magliabechiano, XXV 636, ff. 106r-16r), un’esercitazione giovanile, concepita come parafrasi del X libro delle Historiae Florentini populi di Leonardo Bruni, opera volgarizzata dallo stesso Acciaiuoli.

Nell’ottobre del 1480, certamente per volere di Lorenzo, R. fu eletto tra gli ufficiali incaricati di riformare lo Studio di Pisa, e dal 1488 ricoprì anche cariche pubbliche in molte istituzioni fiorentine, fra cui la Mercanzia e l’Arte del Cambio. Tuttavia, gli incarichi più prestigiosi di questi anni sono riconducibili alla sua attività di ambasciatore, prima a Milano (nel 1482 e nel 1484), poi a Venezia (genn. 1486) e, dopo la congiura dei baroni, a Napoli (ott. 1486), dove conobbe Giovanni Pontano, che all’epoca ricopriva la carica di segretario di Stato. L’anno successivo, rientrato a Firenze, R. avviò la latinizzazione dei Commentari della guerra di Pisa di Neri Capponi. Il De bello pisano è conservato nel ms. Magliabechiano della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, XXV 490, ff. 5r-27v, che testimonia anche l’Oratio de auxilio Tifernatibus adferendo ai ff. 28r-32v (l’opera tratta dell’assedio di Città di Castello nel 1474, difesa da Niccolò Vitelli contro le truppe papali comandate da Giuliano Della Rovere).

Alla morte di Lorenzo il Magnifico, R. e Paolo Antonio Soderini furono tra i principali consiglieri di Piero de’ Medici, forse nella speranza di poterne orientare le scelte; ma i loro progetti furono ostacolati da Piero da Bibbiena, Agnolo Niccolini e Francesco Valori, che convinsero Piero ad allontanare R. e Soderini prendendo il loro posto (cfr. Piero di Marco Parenti, Storia fiorentina, ed. a cura di A. Matucci, 1994, 1° vol., pp. 46-47). La situazione si fece difficile per R., al punto che egli preferì allontanare da Firenze i propri figli, Palla e Cosimo, inviandoli rispettivamente in Francia e a Roma. Seguono anni segnati da sciagure domestiche, quali la morte della moglie nel 1493 e, l’anno successivo, la condanna del figlio Cosimo al bando per trame contro Piero de’ Medici. Si ritiene, infatti, che R. abbia approfittato dell’indebolimento di Piero, causato soprattutto dall’incapacità di operare una politica estera efficace, per avversarlo apertamente e cospirare in favore di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, appartenente a un ramo rivale della famiglia; ma non risulta che contro R. siano mai stati presi provvedimenti ufficiali. La cacciata di Piero da Firenze, in seguito agli eventi connessi con l’invasione del re di Francia Carlo VIII, rispondeva al progetto politico della parte oligarchica (condiviso da R.) volto alla restaurazione degli antichi ordini repubblicani; ma, come notava già Filippo de’ Nerli (Commentari dei fatti civili occorsi dentro la citta di Firenze dall’anno 1215 al 1537, 1534-1552, ed. 1859, libro IV, pp. 102-03), la situazione produsse effetti non calcolati e per nulla congeniali agli oligarchi. Dopo la cacciata di Piero, R. prese parte attivamente alla vita politica, cercando di salvaguardare l’indipendenza di Firenze dalla Francia e opponendosi alla politica savonaroliana: fece parte del Consiglio maggiore (1495) in qualità di gonfaloniere di compagnia, ma di maggior prestigio furono senza dubbio il fatto di essere scelto, dopo la caduta del regime mediceo (2 dic. 1494), tra i venti accoppiatori incaricati di eleggere il gonfaloniere di giustizia e di riorganizzare il governo, e la nomina ad ambasciatore a Napoli, dove risiedette dal marzo al giugno del 1495. Durante il soggiorno napoletano, R. partecipò alla celebre discussione tenuta presso l’Accademia creata da Pontano, alla quale intervennero anche altri intellettuali, e che ebbe come argomenti la scrittura storiografica e la ricerca dei migliori modelli all’interno della letteratura classica, ai quali affidarsi per la composizione delle storie moderne. È da questa discussione che scaturì la composizione dell’Actius da parte di Pontano, e tali riflessioni influirono profondamente anche sull’opera maggiore di R., il De bello italico. Una lettera scritta da R. all’amico Roberto Acciaiuoli (v. De Nichilo 2006, pp. 311-17) costituisce una sorta di resoconto di quell’evento.

Al suo rientro a Firenze, R., pur continuando a ricoprire alcuni incarichi pubblici, avversò fortemente il governo popolare e mantenne un ruolo primario all’interno della fazione oligarchica, tanto che, quando nel 1498 fu nominato gonfaloniere di giustizia, declinò l’incarico adducendo motivi di salute. Una volta caduto il regime savonaroliano, R., insieme con gli altri rappresentanti della parte ottimatizia, fu tra i fautori della trasformazione del gonfalonierato in una carica a vita (Nerli, Commentari, cit., libro V, pp. 148-51); ma quando a tale carica fu eletto Piero Soderini, R. non andò a congratularsi con lui, manifestando la sua aperta disapprovazione, in parte perché forse nutriva aspirazioni personali per quell’incarico, ma soprattutto perché, contestualmente a quella riforma, non fu abolito il Consiglio maggiore, residuo del precedente assetto filopopolare. Come molti altri ‘grandi’, R. rifiutò ogni forma di cooperazione con il governo e adottò anzi una chiara strategia di boicottaggio. Ritiratosi a vita privata, nel 1502 iniziò le riunioni nei suoi celebri giardini di via della Scala (gli Orti Oricellari), alle quali parteciparono alcuni dei più importanti intellettuali dell’epoca, nonché amici di R., che con lui condividevano ideali politici e interessi letterari e artistici. Fu amico di Marsilio Ficino, Bartolomeo Della Fonte, Pietro Crinito e Francesco Cattani da Diacceto. Cultore di antiquaria e collezionista di opere d’arte, R. fece dei suoi Orti un cenacolo culturale dai larghi interessi, ed è ascrivibile a questa fase della sua vita la composizione del De urbe Roma, uno studio topografico della Roma antica, concepito come commento agli opuscoli Curiosum urbis Romae regionum e Notitia urbis Romae regionum (4° sec.), rielaborati in epoca umanistica e attribuiti rispettivamente a Publio Vittore e Rufo Festo. La dedica al figlio Palla è un chiaro manifesto di politica oligarchica e, difatti, in questi anni gli Orti Oricellari diventarono un punto di incontro e di aggregazione della fazione più scopertamente antisoderiniana (F. Guicciardini, Oratio accusatoria, in Id., Opere, 9° vol., Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, 1936, p. 230).

Nel 1503, dopo la morte di Piero e di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, R. e gli ottimati fiorentini pensarono alla possibilità di richiamare in patria i Medici a guidare un governo che fosse saldamente controllato dagli oligarchi. Tale strategia politica fu attuata inizialmente favorendo le trattative matrimoniali tra Filippo Strozzi e Clarice, figlia di Piero de’ Medici, quando la vedova di Piero rientrò a Firenze per regolare alcune questioni finanziarie. Il matrimonio, che avrebbe sancito la riconciliazione tra le due potenti famiglie, fu celebrato nel 1508 (Nerli, Commentari, cit., Libro V, pp. 160-61). In conseguenza di queste trattative i rapporti tra R. e il governo soderiniano si fecero sempre più tesi, per cui egli, tra la fine del 1505 e l’inizio dell’anno successivo, partì per un esilio volontario – sulle cui motivazioni ci restano un resoconto dettagliato e un giudizio di Guicciardini (Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998, pp. 425-27) – che lo condusse in Francia, ad Avignone e Marsiglia. Successivamente dimorò a Milano – ospite di Gian Giacomo Trivulzio, che aveva conosciuto durante la sua prima ambasceria in quella città –, a Bologna e infine a Venezia (1508). Durante il soggiorno veneziano, R. conobbe Erasmo da Rotterdam; dell’incontro tra i due ci resta la testimonianza dello stesso Erasmo:

Novi Venetiae Bernardum Ocricularium civem Florentinum, cuius historias si legisses, dixisses alterum Sallustium, aut certe Sallustii temporibus scriptas. Nunquam tamen ab homine impetrare licuit, ut mecum Latine loqueretur

A Venezia ho conosciuto Bernardo Rucellai, cittadino fiorentino, del quale se tu avessi letto le opere storiche, lo avresti definito un secondo Sallustio, o di certo avresti detto che fossero state scritte al tempo di Sallustio. Tuttavia non sono mai riuscito ad ottenere che quell’uomo parlasse con me in latino (Apophtegmata, in Id., Opera omnia, 4° vol., 1703, col. 363).

Evidentemente Erasmo, nel definire R. come un novello Sallustio, aveva in mente il De bello italico. Prima di rientrare a Firenze, sappiamo che R. nel 1508 si recò ad Anversa, da dove tenne una corrispondenza con Leonardo Spinelli, canonico fiorentino suo amico con il quale fu in contatto epistolare fin dal 1498 (si tratta in totale di dodici lettere di R. a Spinelli, sconosciute e finora inedite: Yale University, Beinecke rare book and manuscript library, Spinelli Archive, Spinelli family papers, 124).

Nel 1509 R. tornò a Firenze e gli Orti Oricellari ripresero a essere luogo di incontro e discussione, in un’atmosfera che andava facendosi sempre più scopertamente antigovernativa, come riferisce Nerli nei suoi Commentari. Nel 1511-12 la politica filofrancese portò Soderini alla sconfitta; la coalizione fra l’imperatore (Massimiliano I d’Asburgo), gli spagnoli e il papa (Giulio II) favorì, con l’appoggio interno degli oligarchici, la restaurazione dei Medici a Firenze nell’agosto del 1512. R. fu tra i venti incaricati di riformare il governo e ricoprì alcune delle più importanti magistrature: gonfaloniere di giustizia, membro dei venti accoppiatori e del Consiglio dei settanta. Nel 1513, in occasione dell’elezione al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici, con il nome di Leone X, R. fu nominato ambasciatore per andare a Roma a congratularsi con il nuovo papa ma, per motivi di salute, rifiutò l’incarico, e Nerli lascia intendere che si trattò di un pretesto, mentre le reali motivazioni sarebbero state, ancora una volta, di dissenso politico. Morì a Firenze il 7 ottobre 1514 e fu sepolto in S. Maria Novella.

L’opera principale di R. è il De bello italico, relativo agli eventi del 1494-95: iniziato a comporre certamente nel 1509, fu terminato nell’autunno del 1511, come si evince da una lettera di Fonzio a R. e da una che questi inviò a Piero Dolfin, generale dell’ordine camaldolese (Massa 1992). Non abbiamo notizia di rapporti diretti tra R. e M. e, d’altra parte, trovandosi essi su fronti politici contrapposti, ciò non sarebbe stato facile, almeno durante il governo soderiniano. Inoltre, la frequentazione degli Orti Oricellari da parte di M. pare risalire a un periodo successivo alla morte di Bernardo. Resta la famosa descrizione del giardino, presente all’inizio del primo libro dell’Arte della guerra, in cui viene ricordato R.: essa costituisce una delle rarissime descrizioni coeve degli Orti:

Dove pervenuti e posti a sedere, chi sopra all’erba che in quel luogo è freschissima, chi sopra a’ sedili in quelle parti ordinati sotto l’ombra d’altissimi arbori, lodò Fabrizio il luogo dilettevole; e considerando particolarmente gli arbori e alcuno di essi non ricognoscendo, stava con l’animo sospeso. Della qual cosa accortosi Cosimo, disse: “Voi per avventura non avete notizia di parte di questi arbori; ma non ve ne maravigliate, perché ce ne sono alcuni più dagli antichi, che oggi dal comune uso, celebrati”. E déttogli il nome di essi, e come Bernardo suo avolo in tale cultura si era affaticato, replicò Fabrizio (Arte della guerra I 13-15).

R. è menzionato due volte nell’epistolario di M. (Luca degli Albizzi a M., 24 sett. 1500, Lettere, pp. 27-28; Francesco Vettori a M., 9 febbr. 1514, Lettere, pp. 311-13) e nelle Legazioni (LCSG, 1° t., pp. 222, 251-52). Queste parche notizie, tuttavia, non hanno impedito agli studiosi di formulare ipotesi su una possibile influenza esercitata dalle opere storiche di R. su M., in particolare sulla composizione dei Discorsi (Dionisotti 1980, pp. 138-40), influenza, bisogna ribadire, avvenuta attraverso l’ambiente degli Orti solo dopo la morte di Bernardo. Il dato oggettivo su cui si fonda l’ipotesi è la conoscenza che M. mostra di avere del VI libro dell’opera di Polibio, testo raro, ma già utilizzato a suo tempo da R., che lo cita esplicitamente nel De urbe Roma (coll. 164-65). Un altro significativo punto di contatto tra i due è costituito da un’opera perduta di R., ovvero le Castigationes al testo di Tito Livio, di cui abbiamo notizia nella dedica di Antonio Francini da Montevarchi a Palla Rucellai, premessa alla ristampa del volume collettaneo di storie romane (Herodiani Historiae libri VIII [...], 1517, f. aav). Verosimilmente doveva trattarsi non di un commento a Livio, ma di osservazioni testuali e filologiche, significative in quanto rivelano il vivo interesse suscitato dal testo liviano nell’ambito degli Orti, il che spiegherebbe perfettamente l’origine dei Discorsi (v. Gilbert 1949 e von Albertini 1955).

Dopo lo studio di William McCuaig (On a treatise ascribed to Bernardo Rucellai, in Florence and Italy: Renaissance studies in honour of Nicolai Rubinstein, ed. P. Denley, C. Elam, 1988, pp. 335-46) non esistono più ragioni di attribuire a R. la composizione dell’opuscolo intitolato De magistratibus. Ugualmente deve essere espunta dal corpus di opere di R. la canzone carnascialesca “Trionfo della calunnia”, composta dal figlio Piero (v. il ms. nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberiniano latino, 3945, p. 239, edito – con attribuzione a R. – in Trionfi e canti carnascialeschi toscani del Rinascimento, a cura di R. Buscagli, 1986, 1° vol., pp. XXV-XXXVI, 40-41).

Bibliografia: Epistola a Francesco Cattani da Diacceto, in Sylloges epistulorum a viris illustribus scriptarum, collecti et digesti per Petrum Burmannum, Leidae 1727, 2° vol., pp. 197-99; De bello pisano, in De bello italico commentarius, Londini (ma Firenze) 1733; De urbe Roma, in Rerum italicarum scriptores [...], a cura di L.A. Muratori, 2° vol., Florentiae 1770, coll. 783-1190; Bellum mediolanense, in G. Pellegrini, L’umanista Bernardo Rucellai e le sue opere storiche, Livorno 1920, pp. 59-72; Epistola a Roberto Acciaiuoli, in M. De Nichilo, L’Actius del Pontano e una lettera di Bernardo Rucellai, «Studi medievali e umanistici», 2006, 4, pp. 311-17; De bello italico/La guerra d’Italia, a cura di D. Coppini, Firenze 2011.

Fonti: Filippo de’ Nerli, Commentari dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall’anno 1215 al 1537 (1534-1552), Trieste 1859; Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, 1° vol., Il Zibaldone quaresimale di G. Rucellai, pagine scelte a cura di A. Perosa, London 1960; Piero di Marco Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, 1° vol., 1476-78, 1492-96, Firenze 1994; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998.

Per gli studi critici si vedano: G. Pellegrini, L’umanista Bernardo Rucellai e le sue opere storiche, Livorno 1920; F. Gilbert, Bernardo Rucellai and the Orti Oricellari: a study on the origin of modern political thought, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 1949, 12, pp. 101-31 (trad. it. in Id., Machiavelli e il suo tempo, Bologna 1964, 1977, pp. 15-66); R. von Albertini, Das florentinische Staatsbewusstsein im Übergang von der Republik zum Prinzipat, Bern 1955 (trad. it. Firenze dalla Repubblica al Principato. Storia e coscienza politica, Torino 1970); P.O. Kristeller, Francesco da Diacceto and florentine platonism in the sixteenth century, in Id., Studies in Renaissance thought and letters, 1° vol., Roma 1956, pp. 287-336; C. Dionisotti, Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Torino 1980; W. McCuaig, Bernardo Rucellai and Sallust, «Rinascimento», s. II, 1982, 22, pp. 75-98; E. Massa, L’eremo, la Bibbia e il Medioevo in umanisti veneti del primo Cinquecento, Napoli 1992, pp. 37, 78-85, 378; R.M. Comanducci, Gli Orti Oricellari, «Interpres», 1995-1996, 15, pp. 302-58; R.M. Comanducci, Politica e storiografia nella visione di un oligarca fiorentino, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1995-1996, pp. 361-400; R.M. Comanducci, Il carteggio di Bernardo Rucellai. Inventario, Firenze 1996; A.M. Cummings, The maecenas and the madrigalist. Patrons, patronage, and the origins of the Italian madrigal, Philadelphia 2004, in partic. pp. 15-55, 183-89; M. De Nichilo, L’Actius del Pontano e una lettera di Bernardo Rucellai, «Studi medievali e umanistici», 2006, 4, pp. 253-317.

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