SPAVENTA, Bertrando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SPAVENTA, Bertrando

Alessandro Savorelli

– Primo di sette figli, nacque a Bomba (Chieti) il 26 giugno 1817, da Eustachio e da Maria Croce, sorella di Onorato e di Benedetto Croce, nonno, quest’ultimo, del filosofo omonimo.

Il nome originario della famiglia, di non elevata condizione, era De Laurentiis, cui fu aggiunto, in base a legami di parentela del secolo precedente, quello poi prevalso.

La biografia di Spaventa s’intrecciò sul piano sia politico sia intellettuale con quella del fratello Silvio, più giovane di cinque anni, che divenne poi un importante statista dell’Italia unita. Dopo aver frequentato il collegio diocesano di Chieti, insegnò matematica e retorica al collegio di Montecassino, dove affrontò, con ogni probabilità, le prime letture filosofiche. Morta la madre nel 1836, si trasferì nei primi anni Quaranta a Napoli, godendo insieme a Silvio dell’aiuto e dell’accoglienza degli zii Croce: Onorato, in particolare, lo indusse a intraprendere la carriera ecclesiastica (1840), onde poter sovvenire alle malcerte condizioni economiche dei propri familiari.

Poco si sa sugli anni di formazione: a Napoli, entrato in contatto con una generazione di studiosi aperti alle novità culturali francesi e tedesche, ebbe modo di ascoltare le lezioni di Ottavio Colecchi, uno tra i primi lettori di Immanuel Kant in Italia, e apprese il tedesco con l’aiuto dell’amico Antonio Tari. Al pari della cerchia di giovani orientati verso il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (fra cui Stanislao Gatti, Stefano Cusani, Giambattista Ajello), Spaventa dovette affrontare la crescente censura borbonica, sospettosa del fermento liberale sotteso a quella cultura di opposizione: si vide chiudere infatti, per intervento del presidente dell’università, la scuola privata che aveva aperto tra il 1846 e il 1847 presso il Collegio dei nobili, dove già aveva insegnato Francesco De Sanctis, riducendosi a fare il precettore presso i principi Pignatelli. Con lo scoppio della rivoluzione del 1848, Spaventa, seppure in ombra a motivo del suo status di religioso, seguì il forte impegno politico del fratello, eletto deputato in aprile, che portava avanti un programma di riforme radicali in direzione dell’unità italiana: resta tuttavia un’ipotesi non suffragata da testimonianze precise, quella di una sua collaborazione a Il Nazionale, il giornale politico fondato da Silvio, i cui articoli erano tutti rigorosamente anonimi.

In seguito al colpo di Stato di Ferdinando II, Silvio fu arrestato il 19 marzo 1849: nell’ottobre successivo, Bertrando, ricercato, fuggì su un battello inglese diretto in Toscana e soggiornò a Firenze per dieci mesi, mantenendo l’incarico di precettore presso i Pignatelli. Nell’agosto del 1850 si trasferì a Torino, svestendo l’abito ecclesiastico. Prima della partenza per Torino Spaventa chiese una cattedra al ministro dell’Istruzione del Regno di Sardegna, ma la domanda non ebbe esito, né allora né in seguito. Per anni la sua principale fonte di sostentamento, con la quale cercò anche di sopperire alle necessità del fratello condannato nel 1852 all’ergastolo, fu l’attività di giornalista e traduttore.

Tra le testate su cui scrisse è da segnalare Il Progresso, dove, tra il 1851 e il 1853, pubblicò una serie di articoli sulla situazione politica in Francia. A partire da una lettura ‘da sinistra’ della filosofia della storia di Hegel, assunse posizioni democratiche avanzate, propugnando l’esigenza di un nuovo ordine politico e sociale (Rivoluzione e utopia, a cura di I. Cubeddu, in Giornale critico della filosofia italiana, XLII (1963), pp. 66-93). Lavorò anche come traduttore e progettò una versione di Der Socialismus und Communismus des heutingen Frankreichs di Lorenz von Stein (1848).

Dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone e l’interruzione del processo democratico in Francia, aderì a posizioni liberali-cavouriane, intervenendo nel dibattito politico subalpino con la serie di articoli del 1851 su La libertà d’insegnamento (cfr. Opere, a cura di G. Gentile, I-III, Firenze 1972: III, pp. 673-763), in cui sostenne una posizione intransigentemente laica volta a contrastare l’egemonia della Chiesa in campo educativo. La polemica antichiesastica proseguì tra il 1854 e il 1855 contro La civiltà cattolica (II, pp. 721-1010).

Intorno al 1852 abbandonò il giornalismo militante per dedicarsi al suo programma filosofico. Individuando nell’idealismo e nel pensiero di Hegel la forma più compiuta del razionalismo, Spaventa riconsiderò il posto dell’Italia nel processo di formazione della filosofia moderna, principalmente attraverso il pensiero rinascimentale (Giordano Bruno, in primo luogo, sul quale progettò una monografia, rimasta in stato d’abbozzo, cfr. Lettera sulla dottrina di Bruno. Scritti inediti 1853-1854, a cura di M. Rascaglia - A. Savorelli, Napoli 2000). Questi due aspetti avrebbero dovuto collaborare alla formazione di una nuova coscienza nazionale, non disgiunta dal movimento culturale europeo in alternativa radicale alla tradizione giobertiana e spiritualistico-cattolica.

I primi scritti sulla filosofia classica tedesca (cfr. Quattro articoli sulla filosofia tedesca. Kant, Fichte, Schelling, Hegel, a cura di G. Landolfi Petrone, Saonara 2015) e sul Rinascimento (riuniti, in parte, nei Saggi di critica filosofica, politica e religiosa, I, Napoli 1867), mostrano un decisivo salto di qualità sia nell’analisi teorica, sia nel metodo storiografico, innovativo rispetto alla tradizione dossografica dominante.

Le posizioni anticonformiste, l’avversione al ‘panteismo’ tedesco e le aspre polemiche sostenute da Spaventa contro l’establishment filosofico moderato (in particolare Terenzio Mamiani, Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti) accentuarono il suo isolamento nell’ambiente torinese, creandogli per molti anni difficoltà anche sul piano della collaborazione alle riviste, che restava la sua unica e sempre più precaria fonte di reddito.

Alla metà del decennio, dopo aver sposato Isabella Sgano dalla quale avrebbe avuto tre figli (Emilia, morta a tre anni, Camillo, nato nel 1856, e una seconda figlia, Emilia anch’essa, nata nel 1861), la sua condizione esistenziale si fece così difficile che poté contare solo sul sostegno degli amici più stretti della folta colonia di esuli napoletani a Torino.

Una svolta repentina si ebbe con la scarcerazione di Silvio nel gennaio del 1859 e con gli eventi politico-militari di quell’anno: in ottobre, infatti, Luigi Carlo Farini, dittatore delle province emiliane, offrì la cattedra di filosofia del diritto presso l’Università di Modena a Spaventa, che vi lesse la prolusione il 25 novembre. L’anno seguente ottenne la cattedra di storia della filosofia all’Università di Bologna, incarico che alternò, come supplente, a quello modenese assegnato nel frattempo al fratello Silvio, che, tuttavia, avviatosi alla carriera politica, non prese mai servizio.

Il 29 ottobre 1860, poco dopo l’impresa garibaldina e l’annessione delle province meridionali, il ministro dell’Istruzione del governo Cavour, Francesco De Sanctis, nel quadro di un radicale rinnovamento delle strutture universitarie, chiamò sulla cattedra di filosofia teoretica dell’Università di Napoli Spaventa che prese servizio solo l’anno seguente, desiderando condurre a termine il corso presso l’Università di Bologna, dove, nel maggio del 1860 aveva letto una prolusione sul tema Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI sino al nostro tempo (cfr. Opere, cit., I, pp. 293-332).

Nel 1862 pubblicò la Prolusione e introduzione al primo corso napoletano, sua opera più celebre e nota con il titolo datole poi da Giovanni Gentile nel 1908: La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea.

Il testo rielaborava sistematicamente le ricerche del periodo torinese, con l’inserimento di pensatori come Giambattista Vico, largamente usato nelle lezioni di Modena, e come Pasquale Galluppi, Rosmini e Gioberti, che Spaventa aveva avversato fin verso la metà degli anni Cinquanta. Questa modifica intendeva mostrare come la ‘circolazione’ del pensiero italiano dal Rinascimento fino a Vico, avesse precorso figure chiave della filosofia moderna (Baruch Spinoza, Renato Cartesio, Kant) e che, nonostante la Controriforma e un arresto di sviluppo durato due secoli, il pensiero italiano, pur «spezzato, impedito e dommatico», a confronto di quello tedesco «naturale, libero, consapevole di sé» e «critico» (Opere, cit., II, p. 610), aveva avvertito le esigenze del pensiero idealistico da Kant a Hegel.

La smentita del primato dell’antica ‘sapienza italica’ e l’assimilazione di Gioberti a Hegel provocarono contestazioni da parte degli studenti e di esponenti del clero che culminarono in un tumulto e con l’occupazione dell’università (G. Gentile, Bertrando Spaventa, a cura di V.A. Bellezza - H.A. Cavallera, Firenze 2001, p. 112): Spaventa ritornò comunque di lì a poco su Gioberti, analizzando intuizioni e contraddizioni del suo pensiero, ne La filosofia di Gioberti (I, Napoli 1863), lavoro già iniziato a Torino nel 1858.

Con il passaggio a Napoli la biografia di Spaventa coincise di fatto con la sua attività intellettuale e con l’insegnamento. Non svolse infatti attività politica diretta, pur se a stretto contatto con il fratello e con parte del gruppo dirigente della Destra storica, continuando piuttosto a concentrarsi, come già nel decennio torinese, sul lavoro teorico e di ricerca. Nel 1861 fu eletto deputato nel collegio di Atessa (Chieti), ma l’elezione fu annullata per eccesso di docenti tra i deputati. Fu eletto successivamente deputato nel collegio di Gessopalena (Chieti), tra il 1870 e il 1876, fino alla caduta della Destra: non pronunciò mai, tuttavia, interventi, né ebbe incarichi particolari. Si ricandidò, ma non fu eletto, nel 1876.

A Napoli si dedicò all’esposizione del sistema hegeliano, pubblicando le lezioni sulla Fenomenologia e la Logica (Principii di filosofia, I, Napoli 1867) e quelle su morale e diritto (Studi sull’etica hegeliana, in Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche, 1869, vol. 4, pp. 277-440; poi in Opere, cit., I, pp. 595-801 ). Propose anche una ‘riforma’ della logica di Hegel, in senso soggettivistico, ripresa poi sistematicamente da Gentile.

Fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione dal 1861 e fece parte nel 1868 di una commissione d’indagine su vicende occorse all’Università di Bologna, in cui fu coinvolto anche Giosue Carducci, che diedero luogo a vivaci polemiche politiche e giornalistiche. Anche l’esperienza come delegato al Provveditorato agli studi di Napoli, iniziata nel 1866, si concluse nel 1869 con le sue dimissioni per insanabili contrasti con il ministero.

Nel 1872 diede vita a una rivista, il Giornale napoletano di filosofia e lettere, che diresse insieme a Francesco Fiorentino e Vittorio Imbriani. Il periodico, concepito in opposizione alla filosofia accademica d’impronta spiritualistica, tutt’altro che in declino, e al nascente positivismo, ebbe vita stentata per difficoltà editoriali e organizzative e cessò le pubblicazioni dopo un solo anno (le riprese nel 1875, ma sotto la direzione di Fiorentino).

L’esigua base del gruppo dei collaboratori, ristretto al medico-filosofo Angelo Camillo De Meis, vecchio compagno di esilio, e a un gruppo di allievi (Donato Jaja, Filippo Masci, Felice Tocco e Pietro Ragnisco), palesò il progressivo isolamento della scuola idealistica, dopo la limitata influenza esercitata nel primo decennio unitario. Questa tendenza si accentuò per la crisi dell’hegelismo internazionale, per la defezione di antichi sodali come De Sanctis, o come Pasquale Villari e Salvatore Tommasi – passati questi due ultimi al positivismo –, per l’ostilità di una frazione hegeliana ‘ortodossa’ rappresentata da Augusto Vera e Raffaele Mariano, e infine per la mancata formazione di una vera e propria ‘scuola’. Gran parte degli allievi, come Tocco e Antonio Labriola, per la cui formazione il magistero di Spaventa era stato decisivo, finirono per seguire percorsi culturalmente autonomi.

Veri e propri ‘manifesti’ spaventiani contro le correnti avverse, spiritualismo e positivismo (come Paolottismo, positivismo, razionalismo, 1868, in Opere, cit., I, pp. 477-501 e la Vita di Bruno, 1872, ibid., II, pp. 71-105), segnarono il punto di svolta della crisi, acuitasi nel decennio successivo.

Dopo la ‘rivoluzione parlamentare’ del 1876, Spaventa tese sempre più a identificare l’ascesa della Sinistra con la cultura positivistica e si distaccò ulteriormente dalla vita politica, concentrandosi su un faticoso confronto della dottrina hegeliana con altre scuole di pensiero, quella di Johann Friedrich Herbart e di Hermann Lotze in particolare (I, pp. 439-462) e con i progressi delle scienze naturali e della psicologia (pp. 531-544; II, pp. 321-404), nel tentativo di dimostrare che le esigenze più serie del positivismo erano presenti nella metafisica, la cui «origine» sta nei concetti necessari per pensare le difficoltà e le contraddizioni dell’esperienza.

Questo vasto lavoro di revisione (in gran parte pubblicato postumo da allievi diretti, come Jaja, e in particolare da Gentile: Esperienza e metafisica, Torino 1888; Introduzione alla critica della psicologia empirica, Pisa 1915), fu interrotto con la sua scomparsa.

Morì a Napoli, in seguito a un attacco di angina pectoris, il 21 febbraio 1883.

Opere. Le Opere, curate da G. Gentile, sono state ristampate in un unico volume per cura di F. Valagussa (Milano 2009). Si vedano inoltre: Scritti inediti e rari (1840-1880), a cura di D. D’Orsi, Padova 1966; Lezioni di antropologia, a cura di D. D’Orsi, Messina-Firenze 1976; Psiche e metafisica, a cura di D. D’Orsi, Messina-Firenze 1978; Lezioni inedite di filosofia del diritto. Modena 1860, a cura di G. Tognon, in Archivio storico bergamasco, II (1982), pp. 37-60, 279-290, IV (1984), pp. 53-70; Esperienza e metafisica, a cura di A. Savorelli, Napoli 1983; La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di A. Savorelli, Roma 2003; Scritti sul Rinascimento. 1852-1872, a cura di G. Landolfi Petrone, Pisa-Roma 2011. L’edizione dell’Epistolario, I, 1847-1860, a cura di M. Rascaglia (Roma 1995) è ferma, per il momento, al primo volume (per fonti e prime edizioni, ibid., pp. 49-66).

Fonti e Bibl.: I manoscritti di Spaventa sono conservati presso la Biblioteca nazionale di Napoli, la Biblioteca nazionale centrale di Roma e la Biblioteca civica A. Mai di Bergamo: cfr. A. Savorelli, Le carte S. della Biblioteca nazionale di Napoli, Napoli 1980; Id., Manoscritti spaventiani nella Biblioteca nazionale di Roma, in Giornale critico della filosofia italiana, LXXXV (2006), pp. 276-296. Contributi bibliografici: I. Cubeddu, B. S. Edizioni e studi 1840-1970, Firenze 1974; G. Oldrini, L’Ottocento filosofico napoletano nella letteratura dell’ultimo decennio, Napoli 1986; B. S. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, a cura di R. Franchini, Napoli 1986, pp. 264-278. Fra gli studi critici: G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento, Bari 1973; Filosofia e coscienza nazionale in B. S., a cura di G. Oldrini, Urbino 1988; Gli hegeliani di Napoli e la costruzione dello stato unitario, Roma 1989; G. Oldrini, L’idealismo italiano tra Napoli e l’Europa, Milano 1998; F. Rizzo, B. S. Le ‘lezioni’ sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-1862, Messina 2001; A. Savorelli, L’aurea catena. Saggi sulla storiografia filosofica dell’idealismo italiano, Firenze 2003; E. Garin, B. S., Napoli 2007; F. Gallo, Dalla patria allo Stato. B. S., una biografia intellettuale, Roma-Bari 2012; J. Salina, La rinascita dell’idealismo. Spaventa, Croce e Gentile tra ieri e oggi, Roma 2017.

TAG

Georg wilhelm friedrich hegel

Johann friedrich herbart

Angelo camillo de meis

Filosofia del diritto

Francesco de sanctis