BESANCON

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

BESANÇON (Ούισόντιον, Vesontio o Visontio, Bisontii, Besontio)

M. Barbanera

Città della Francia orientale, posta sulle rive del fiume Doubs, occupante il sito dell'antica Vesontio, piazzaforte principale del popolo gallico dei Sequani nella Gallia Belgica.

Le più antiche notizie su Vesontio ci vengono fornite da Cesare (Bell. Gall., I, 28-29, 4-6), che la definisce «maximum oppidum Sequanorum». Cesare arrivò nel 58 a.C. chiamato dagli stessi Sequani: in precedenza (67 o 66 a.C.) i Sequani in conflitto con gli Edui avevano sconfitto questi ultimi con l'appoggio dei Germani di Ariovisto, i quali ora esercitavano una pesante influenza sui vecchi alleati. Il condottiero romano occupò Vesontio prima che potesse farlo Ariovisto e da questa posizione di forza sconfisse il capo germanico costringendolo a riattraversare il Reno. In seguito a questa azione due legioni romane al comando di Labieno rimasero a presidiare il territorio dei Sequani.

Nella riorganizzazione amministrativa di Augusto, la città rientra nella Gallia Belgica e per tutto il periodo giulio-claudio nessun avvenimento di rilievo viene menzionato dalle fonti; si torna ad averne notizia in occasione di un'altra rivolta, allorché Giulio Vindice, governatore della provincia Lugdunensis, nel 68 spinge i popoli gallici a ribellarsi contro Nerone e offre l'impero a Galba governatore della Tarraconensis. La rivolta, a cui aveva aderito anche Vesontio, fu presto soffocata con l'impiego delle legioni stanziate nella Germania Superior al comando di Verginius Rufus, fedele all'imperatore, e lo stesso Vindice si suicidò (Dio Cass., LXIII, 24).

Così per oltre un secolo la città dei Sequani ripiombava nel silenzio della storia. Menzionata in seguito nella Historia Augusta (M. Aur.), a proposito di ribellioni (res turbatae) represse dall'imperatore probabilmente nel 172-175, sembra che sia scampata agli assalti delle popolazioni barbariche nel III secolo. Dopo la riforma amministrativa dioclezianea la Civitas Vesontiensium viene designata nella Notitia Galliarum come il centro principale di una provincia detta maxima Sequanorum, in cui sono raccolti i Raurici, gli Elvezi e i Sequani. Non si posseggono notizie certe per il periodo di Costantino; nel 361 si ha la visita dell'imperatore Giuliano di passaggio verso i quartieri d'inverno di Vienne, il quale, nella sua descrizione (lul., Ep., 26), coglie bene l'aspetto di un antico luogo munito, ridotto ormai a piccolo centro urbano.

Il sito era il risultato della combinazione di elementi difensivi naturali e di fortificazioni artificiali: quasi tutto l'oppidum era circondato dal fiume Dubis (Doubs) eccetto che a SE, zona dominata dalle pendici di un'altura (Mont de Buis) che, legata da un muro di difesa all'oppidum, ne costituiva probabilmente l'acropoli, mentre nella parte peninsulare potè quindi svilupparsi l'abitato.

Riguardo al periodo preistorico si hanno soltanto testimonianze occasionali che ancora non consentono di delineare un quadro archeologico preciso: in ambito extraurbano si conosce l'abitato neolitico di Rosemont, la «grotta degli orsi» a Casamène del Paleolitico Medio. Nella parte bassa della città, sotto il Museo di Belle Arti e l'Abbazia di Saint-Paul, sono state trovate tracce del Neolitico Medio (c.a 3000 a.C.). Testimonianze del Bronzo Tardo (asce, punte di lancia, coltelli, fibule, ecc.) sono state trovate nel letto del fiume Doubs; della I Età del Ferro è attestata la I fase sotto la caserma Hugo mentre della fase media sono stati riconosciuti tre livelli sotto Saint-Paul: qui sono stati portati alla luce una casa circolare, un forno da ceramica e un altro edificio quadrangolare. In località Les Vareilles è attestata anche la I fase della II Età del Ferro. La fase finale è stata riconosciuta negli ultimi anni in varie zone della città (aree del Museo di Belle Arti, della caserma Hugo, della nuova Tesoreria Generale, dell'Abbazia di Saint-Paul, della Residenza St.-Jean).

Anche per quanto riguarda il periodo romano le nostre conoscenze sono alquanto casuali. La città era organizzata secondo la consueta pianta a isolati risultanti dall'incrocio dei cardines con i decumani. Il cardo maximus (largh. m 6), corrispondente oggi alla Grande-Rue, attraversava la città entrando da SE come tratto cittadino della strada che proveniva dall'Italia, scavalcava il Doubs sul ponte detto di Battant uscendo ai NO. Il decumanus maximus doveva invece seguire il percorso oggi rintracciabile in Rue de la Préfecture e Bersot.

Sul percorso del cardo maximus, presso uno slargo con giardini intitolato ad A. Castan (lo scavatore del sito), sono visibili alcune vestigia di un monumento romano di forma circolare, rivestito da lastre poggianti su una base modanata. L'edificio, aperto a NO e con un diametro superiore ai 50 m, era stato oggetto di diverse interpretazioni. I dubbi sono dovuti anche al fatto che i numerosi frammenti architettonici rinvenuti, tra cui basi, tamburi, capitelli, sono stati oggetto di un'anastilosi del tutto incongruente rispetto all'edificio antico. Le colonne, con fusto liscio, hanno capitelli di ordine corinzio datati (Kahler) tra la fine del II e l'inizio del III secolo.

Si era proposto (Castan) che l'emiciclo fosse l'orchestra di un teatro; alcuni gradini e un muro rettilineo, rinvenuti a ridosso, potevano essere interpretati come resti della scena. Ma le dimensioni, per la verità, appaiono spropositate (diam. 56,30 m), doppie rispetto a quelle dei teatri di Roma stessa; inoltre, recenti indagini inducono a pensare di poter localizzare il vero teatro alle pendici dell'acropoli a SE. Allo stato attuale delle conoscenze si può soltanto considerare l'emiciclo come un'esedra monumentale, forse un impianto sostruttivo di una piazza sopraelevata che continuava lo spazio forense.

Non lontano dall'emiciclo si trovano le vestigia dell'acquedotto che convogliava l'acqua in città dalle sorgenti di Arcier, a c.a 12 km di distanza. La struttura dell'acquedotto è costituita da un canale interno a volta (largh. 0,74 m, alt. 1,40 m), protetto da un doppio strato impermeabilizzante di calcestruzzo e malta rispettivamente all'interno e all'esterno. Seguendone il percorso si arriva ai resti dell'antico castello d'acqua, di forma circolare (diam. 5 m) con quattro aperture voltate in corrispondenza dei punti cardinali, da cui uscivano le tubature che distribuivano l'acqua alla città.

L'assenza di programmi di scavo coordinati impedisce di avere una documentazione coerente sul sistema abitativo civile. L'unica testimonianza di resti di abitazione si trova sotto l'edificio dell'Istituto di Archeologia presso la Facoltà di Lettere: qui nel 1921 sono stati scoperti i resti di una lussuosa casa di epoca romana di cui si possono leggere varî livelli. Al livello più recente appartengono una serie di ambienti allineati parallelamente, di cui alcuni (non tutti ancora completamente scavati) sono pavimentati a mosaico, con motivi decorativi e geometrici diversi, soprattutto in bianco e nero: in due degli ambienti, però, sono presenti motivi più complessi, e policromi; in un altro, restano avanzi di un rivestimento marmoreo rosa. Un altro ambiente, infine, era riscaldato da un sistema a ipocausto.

Tutti questi ambienti si riferiscono a una domus assai ricca che può essere datata nella seconda metà del II sec. e impiantata su precedenti strutture - che si possono vedere in parte all'estremità Ν degli ambienti scavati - databili nella seconda metà o alla fine del I sec. a.C. e a loro volta edificate su altre strutture di epoca più antica.

Tra i monumenti romani ancora visibili a B. è da ricordare il ponte romano detto di Battant che scavalcava il Doubs laddove il cardo maximus usciva dalla città a NO. Ricostruito dopo la seconda guerra mondiale, della sua antica struttura con cinque arcate di altezza e larghezza diseguali si possono soltanto vedere i resti di un pilastro a grossi blocchi poligonali.

Oltre la cinta urbana, oltrepassando il ponte di Battant, a NO tra il Doubs e la collina di Charmont, era collocato l'anfiteatro; utilizzato a lungo come cava di materiali, fu incluso nei secoli XVI e XVII nelle fortificazioni della città. Con l'abbattimento di una parte delle fortificazioni seicentesche nel 1885 e nel 1940 sono stati messi in luce due tronconi a E e O, rispettivamente il pianterreno e il piano superiore. Su dati ancora incerti si è ipotizzato che l'edificio avesse l'asse dell'ellissi lungo c.a m 130-135 e perpendicolarmente m 105-no, misure assai vicine agli esempi di Arles e di Nîmes: come nel caso di questi ultimi, l'altezza non doveva superare i due piani.

L'identificazione dell'area monumentale e rappresentativa di Vesontio rimane ancora nel campo delle ipotesi: per il foro, si sono proposte in varî momenti ubicazioni diverse, in conseguenza delle oscillazioni di una tradizione toponomastica che risale al Medioevo. Si è pensato che l'area forense potesse trovarsi nella zona oggi delimitata dalla Rue Moncey, dalla Rue des Granges e dalla Rue de la Bibliothèque e caratterizzata da un rialzamento di formazione artificiale alto c.a m 8. Nel secolo scorso vi sono stati rinvenuti frammenti architettonici marmorei di notevoli dimensioni, e inoltre un mucchio di corna di bue e di arieti relative probabilmente a un'area sacrificale. È stato anche proposto di identificare la collinetta con un monticulus menzionato in un testo liturgico dell'XI sec. e conosciuto come Capitolium. L'indicazione era rimasta attraverso la sopravvivenza toponomastica con forme quali Chatol, Chatoul, Chatoyl, Chatour e Chateur. In questo luogo poteva quindi essere collocato il foro della città (Grenier), considerando anche che esso verrebbe ben a collocarsi all'incrocio del cardo maximus con un decumanus. È verosimile ipotizzare anche l'esistenza di un tempio al centro, ma nessuna testimonianza concreta ne permette la conferma.

Il ritrovamento di ambienti con impianto a ipocausto è stato spesso associato, senza prove effettive, alla presenza di complessi termali (Rue Ronchaux, sotto l'Abbazia di Saint-Paul). Con sicurezza invece può essere identificato come un ambiente termale l'abside di una sala (largh. m 8, lungh. non verificata) a ipocausto rinvenuta nel 1964 nella Place de la Révolution, a S della quale si trova un'altra sala a ipocausto; entrambe sono però povere di materiali.

Nella zona a SO della città, verso il promontorio di Chamars, in occasione di alcuni lavori edilizî è stata messa in luce una struttura circolare (diam. m 80) a c.a 3-3,40 m sotto il livello attuale della città: si tratta per l'esattezza di due muri concentrici posti a una distanza di m 4,30, interrotti a NE da un edificio di forma trapezoidale, con diverso spessore, il primo di m 0,60 e l'altro di m 0,80, conservati per un'altezza di 0,75 m. Lo spazio tra i due muri era separato da sette muretti trasversali; tutt'intorno sono stati trovati numerosi elementi architettonici. Certamente, le grandi dimensioni inducono a escludere che si potesse trattare di un edificio coperto, mentre sembra ragionevole supporre che si trattasse di una cinta comprendente un luogo sacro, un tempio forse, sull'esempio di Mandeure o Saint-Maur-en-Chaussée, di cui il toponimo Chamars potrebbe conservare un'allusione alla divinità venerata (Mars Vesontius?).

Tra la Rue Ronchaux e la Rue Renan sono state individuate ventidue fosse di forma e di dimensioni diverse scavate nell'argilla e rivestite con pioli di legno posti a graticcio: costruite come cisterne per l'acqua furono in seguito usate come immondezzai. Gli scavatori hanno messo in relazione queste fosse con la presenza di un'attività artigianale senza poter precisare di quale si trattasse, anche se non è senza interesse ricordare che descrizioni di ritrovamenti effettuati nel XVIII sec. si riferivano a resti di statue in bronzo.

La «Porte Noire». - E il monumento antico di gran lunga più importante della città. Conosciuto impropriamente come porta, è invece un arco onorario, collocato all'estremità orientale del cardo maximus, oggi incluso tra le costruzioni del nuovo e del vecchio arcivescovado, con la volta e il piedritto occidentale rifatti all'inizio del secolo scorso. L'arco è a un solo fornice, fiancheggiato da piedritti: era sormontato in origine da un attico oggi perduto. I piedritti sono divisi in due parti da una cornice spezzata: sopra e sotto sono poste colonne abbinate. La decorazione scultorea occupa per intero la superficie dell'arco rivestendo anche le stesse colonne. Nella facciata N, gli spazi angolari sopra l'arco sono occupati da due figure di Vittorie alate in volo e reggenti con una mano una palma, simbolo di vittoria, con l'altra una ghirlanda di fiori e frutti, simbolo di prosperità; sulla fascia semicircolare dell'arco è rappresentata una gigantomachia. Sulla parte superiore del piedritto di sinistra, la colonna di sinistra è ricoperta da gruppi di figure (tra cui forse amorini e baccanti), mentre quella di destra da un motivo a foglie di lauro. Tra le due colonne, sotto un frontoncino decorato da una testa di Medusa e sormontato da due mostri marini, si trova un altorilievo rappresentante un giovane in nudità eroica, con un mantello sulla spalla sinistra, appoggiato a una lancia e reggente con la mano destra una spada nel fodero. Se è veritiera l'identificazione con un Dioscuro, è presumibile che sull'altro lato se ne trovasse un altro. La figura e le colonne poggiano su uno zoccolo decorato con trofei di armi tra due figure sedute. Al livello inferiore del medesimo piedritto, la colonna di sinistra ha quasi completamente perso i rilievi, mentre quella di destra è decorata da pannelli in cui sono raffigurate scene a carattere mitologico tra cui dall'alto in basso: Dedalo e Icaro, la follia di Aiace, Teseo e il Minotauro, l'eroicizzazione di Ercole e Andromeda. Tra le due colonne sono poste una figura maschile e una femminile circondate da altre, la cui identificazione con Marte e Venere non si può determinare con certezza. Sul pilastro che regge la volta dell'arco sono posti sei pannelli decorati con figure di dei o eroi identificabili in parte come Ercole con l'Idra di Lerna, Apollo, Bacco, Mercurio e Vulcano.

Le pareti del passaggio sono decorate da sei bassorilievi a carattere storico raffiguranti le campagne militari di un imperatore. A sinistra, i due rilievi superiori rappresentano combattimenti di fanteria e cavalleria, mentre su quello inferiore l'imperatore riceve la sottomissione dei vinti. A destra, il rilievo superiore rappresenta un combattimento tra barbari e romani, e su quello mediano si vede un muro di cinta di una città con un barbaro armato dietro i merli e una sentinella sulla porta; sul rilievo inferiore sono raffigurati dei prigionieri. I costumi consentono di identificare i barbari di sinistra come Germani e quelli di destra come Parti, quindi si può pensare a un riferimento all'imperatore vittorioso in Occidente e Oriente.

La facciata S è rivolta verso la cattedrale: in alto si trovavano Vittorie alate come sull'altra facciata, ma sono assai danneggiate. Del piedritto sinistro rimane soltanto la colonna di destra ricoperta con girali di acanto e l'intercolumnio inferiore, di quello destro la colonna di sinistra decorata con sei pannelli in cui sono rappresentate scene mitologiche: Ercole e il centauro Nesso, scena bacchica con Dioniso e Menade, Sileno e Satiri, Aiace, ancora scena bacchica, Atena combattente contro un gigante. Nell'intercolumnio inferiore del piedritto destro si trovano due gruppi sovrapposti di figure in alto rilievo; nell'unico visibile, quello inferiore, si nota una figura femminile accompagnata da un'aquila, identificabile come Ebe.

La «Porte Noire» non è soltanto ricoperta di rilievi sulle facce principali ma anche su quelle laterali. Di quelli occidentali non si sa nulla mentre conosciamo quelli orientali da disegni eseguiti nel XVIII secolo. Il livello superiore appare diviso da un riquadro verticale formato da calici di acanto sovrapposti, e ciascun lato del campo è ornato con episodi mitologici; vi si riconoscono le Fatiche di Eracle, Prometeo incatenato, Atlante, Ganimede e una divinità fluviale.

Purtroppo non rimane traccia della dedica, incisa probabilmente in lettere bronzee. Anche la figura dell'imperatore che accoglie la sottomissione dei barbari non può venire identificata attraverso l'analisi ritrattistica. Su base stilistica è stato proposto di datare la «Porte Noire» all'età di Marco Aurelio, collegando così la costruzione dell'arco alla venuta dell'imperatore a Vesontio tra il 172 e il 175.

Musei. - In un edificio costruito nel 1835 è collocato il Museo di Belle Arti e di Archeologia, sorto per accogliere le antichità regionali. All'interno vi è una documentazione che dal periodo preistorico (campo neolitico di Roche-d'Or) arriva all'Età del Ferro o epoca di La Tène. Per il periodo romano è conservato un interessante miliario di epoca traianea con la sola iscrizione di epoca romana in cui appaia il nome Vesontio (vesont); vi si trovano materiali in terracotta, parti di decorazione murale e sculture della «Porte Noire». Il Museo comprende inoltre un'abbondante documentazione di sigillata proveniente da ateliers italici (aretina) e gallici (La Graufesenque), nonché numerosi oggetti di opus domesticum, statuette in bronzo di dei ed eroi mitici, tra cui notevole è un torello a tre corna, e infine corredi tombali e oggetti in vetro. Una menzione particolare merita il mosaico scoperto nel 1971 nel quartiere Saint-Paul che è il più grande (m 11 x 16) e il solo mosaico figurativo di B.: al centro di un medaglione a treccia Nettuno sta su un carro tirato da quattro cavalli; la composizione è trattata senza alcuna attenzione alla prospettiva e lo stesso Nettuno appare rigido e inespressivo, mentre invece notevole è la ricchezza cromatica. La datazione dovrebbe aggirarsi attorno alla seconda metà del II secolo.

Il Museo Lapidario è stato installato dal 1950 nell'antica chiesa dell'Abbazia di Saint-Paul. Vi è conservato materiale gallo-romano: grandi colonne di 1 m di diametro relative alla decorazione esterna dell'anfiteatro, altri frammenti architettonici e, di grande importanza, i calchi delle sculture della «Porte Noire» eseguiti in parte nel 1860 e in parte nel 1959, i quali consentono una lettura del rilievo migliore che nell'originale.

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Sui Musei: AA.VV., Catalogues des collections archéologiques de Besançon, I- VIII, 1954-1985; L. Lerat, Au Musée de Besançon, in RAE, XXXIV, 1983, pp. 173-178. (M. Barbanera)