BEVANDA

Enciclopedia Italiana (1930)

BEVANDA (fr. boisson; sp. bebida; ted. Getränk; ingl. drink)

Agostino PALMERINI
Umberto FRACASSINI Silvestro BAGLIONI Benedetto LIUZZI

L'ingestione di liquidi ha la sua prima ragione fisiologica nell'alta percentuale d'acqua (v.) che contengono; essa, benché priva per sé di valore plastico ed energetico, è indispensabile nell'alimentazione e in tutti i fenomeni del ricambio materiale. Insieme con il latte, alimento completo del primo periodo della vita, l'acqua rappresenta il tipo più naturale di bevanda e del più alto valore fisiologico. In particolari condizioni l'uomo si giova ugualmente delle proprietà naturali chimiche o chimico-fisiche delle acque minerali (v.). Artificialmente produce poi una quantità di bevande con tecniche varie, utilizzando prodotti diversi della natura, a scopo medicinale, alimentare, o voluttuario e in questo ultimo gruppo, per dosi incongrue, sostanze con notevole azione tossica. Rende solubili e particolarmente attivi in decotti, infusi, pozioni, tisane, elisir, ecc. molti principî farmacologici. Ottiene dal cioccolato, dal tè, dal caffè, liquidi con aromi particolari, di azione tonica e di un discreto valore alimentare, ma che per uso smodato producono sintomi tossici. Con i processi di fermentazione e di distillazione fabbrica numerose e varie bevande alcoliche, come il vino, l'acquavite, la birra, l'assenzio, il sidro, il kumys, ecc., nelle quali il valore energetico e l'azione eccitante devono essere considerate in confronto alle azioni tossiche dell'alcoolismo in generale. Dai succhi delle frutta, come l'arancio, il limone, il cedro, ecc., ottiene sciroppi piacevoli al palato e che hanno particolare importanza per il loro contenuto in vitamine. Saturandole con anidride carbonica, ottiene bevande gassose, che possono essere nocive per le distensioni meteoriche dello stomaco, l'eccesso di alcali sulla secrezione gastrica, anche escludendo la possibilità d'intossicazioni da residui solforici o da tracce di piombo per metodi impropri di preparazione.

L'abuso di bevande in generale è nocivo negli stati di metabolismo difettoso dell'acqua, come nei cardiaci e nefritici edematosi, o negl'idropici da cirrosi epatica; ugualmente nociva è l'ingestione di liquidi eccessivamente caldi o freddi. La restrizione dei liquidi ha importanza nella cura dell'obesità (Oertel): l'ingestione solo di acqua o di latte è un metodo assai noto di dieteticoterapia. Gl'inquinamenti batterici, le fermentazioni anomale, le decomposizioni organiche, la presenza di sostanze tossiche alterano profondamente le qualità delle bevande prescritte dall'igiene degli alimenti.

Bevande sacre.

La concezione, comune a molti popoli primitivi, del divino come forza impersonale (mana) e come fluido che si comunica da cosa a cosa, ha portato naturalmente a considerare i liquidi come uno strumento sommamente adatto a tale trasmissione, e quindi la bevanda mezzo efficacissimo dell'appropriazione del divino. Ciò non muta essenzialmente, se alla forza divina si attribuisce una conoscenza e un volere: solo che allora il liquido porta con sé una forza non puramente materiale ma cosciente, e serve di veicolo per introdurre in chi lo beve non un potere impersonale, ma una potenza demoniaca, che secondo i casi può essere buona o cattiva, produrre effetti utili o dannosi.

Come per tanti altri riguardi, così per questo le idee e gli usi primitivi hanno perdurato nelle religioni superiori, le quali generalmente considerano alcune speciali bevande come sacre, dotate cioè di un potere soprannaturale e divino. La loro efficacia può essere negativa o positiva. Sotto il primo aspetto esse hanno una virtù purificatrice, simile a quella delle abluzioni: solo che, mentre queste operano esternamente, le bevande operano internamente, e perciò con tanto maggiore efficacia. Vero è che la bevanda può introdurre un potere benefico, come anche malefico, e quindi si richiede che il liquido sia per sé stesso puro, non inquinato (sempre in senso rituale): di qui la grande cura che i popoli primitivi mettono nel preparare le loro bevande sacre, se artificiali, e nel tenerle lontane da ogni contatto impuro, se naturali.

Fra queste, l'elemento purificatore per eccellenza è l'acqua delle fonti e dei fiumi sacri; ed è da notare la cura meticolosa di alcuni popoli, come gl'Indiani, e più ancora i Persiani, per mantenere l'acqua corrente pura da ogni contatto contaminante. Nella mitologia greca la fontana di Lete aveva la virtù di purificare l'anima col donarle l'oblio. Una singolare purificazione di carattere giudiziale (v. ordalia) era attribuita dagli Ebrei alla bevanda mista, che si faceva bere alla donna sospetta di adulterio e che si riteneva innocua all'innocente, nociva alla rea (Numeri, V, 11 segg.).

In senso positivo operano le bevande sacre, in quanto comunicano la virtù divina, che accresce forze alla vita di chi ne beve. Quindi presso molti popoli l'idea d'una bevanda di vita. Anche sotto questo aspetto, in varie religioni, l'acqua che ridà la vita agli esausti per la sete e fa nascere e vegetare le piante, è ritenuta potentissima. Secondo l'Apocalisse (XXII, 1, 17) i fedeli berranno dell'"acqua della vita" - dalla sorgente che sgorgherà nella "nuova Gerusalemme" (Ezechiele, XLVII; cfr. apocalisse; escatologia) - per vivere in eterno. Presso i Greci, nell'iniziazione ai misteri eleusini, riguardata come principio di vita nuova, si somministrava una sacra bevanda, la cui composizione si credeva indicata dalla divinità stessa. Agl'iniziati nei misteri di Attis, secondo la testimonianza del filosofo Sallustio (De diis et mundo, 4), veniva offerto del latte, come a un neonato. Anche il sangue era considerato quale bevanda di vita, perché nel sangue scorre la vita degli esseri animati. Raramente però era adoperato come bevanda sacra, mentre era riservato piuttosto ai sacrifici per i trapassati, perché da esso le anime che ne bevevano attingevano forza di sopravvivere e di seguitare ad agire, come apparisce dalla descrizione che fa Omero dei funerali di Patroclo e del sacrificio di Ulisse all'entrata dell'Ade (Il., XXIII; Odiss., XI; cfr. E. Rohde, Psyche, I, pp. 14 segg., 55 segg.). Anche nei sacrifici agli dei, il sangue si credeva bevanda loro grata e proficua, sebbene, secondo la comune opinione, gli dei alimentassero la loro vita immortale con cibo e bevanda speciali, l'ambrosia e il nettare. Gli antichi Arî conoscevano anch'essi una bevanda di vita, che si spremeva dagli steli d'una pianta cresciuta nei monti: essa fu detta dagl'Irani haoma e dagl'Indiani soma, da quelli somministrata agli uomini come sacramento d'immortalità, da questi offerta agli dei come libazione nei sacrifici perché li conservasse immortali.

Ma le bevande sacre, oltre a infondere una nuova vita, in alcuni casi sembrano rapire l'uomo addirittura in un mondo nuovo, del tutto superiore al nostro. Questo è l'effetto delle bevande inebrianti, le quali, nell'estasi, tolgono la coscienza della vita comune e dànno quella di una vita straordinaria, divina. Per questo le bevande inebrianti, come nelle religioni dei primitivi così in molte delle religioni antiche, erano riguardate come sacre. Anche il soma o haoma è una bevanda inebriante che Indiani e Irani santificarono, dopo averne sperimentato gli effetti. Ma sotto questo rispetto la bevanda più apprezzata era il vino. Tutti sanno l'importanza ch'esso ha avuto - a dir vero insieme con altre bevande artefatte (cfr. Harrison, Prolegomena, p. 421 segg.) - nel culto antico di Dioniso; non perché, come poi fu creduto, frutto della vite, a lui sacra, ma perché mezzo di comunicare nell'estasi col dio.

Bibl.: J. E. Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion, Cambridge 1908; A. E. Crawley, art. Drinks, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, V, Edimburgo 1912, col. 72 segg.

Bevande fermentate.

La maggior parte dei popoli della terra ha fatto e fa largamente uso di bevande voluttuarie (che eccitano piacere o godimento) contenenti sostanze chimiche, per lo più alcool etilico, capaci di agire sull'organismo (particolarmente sulle funzioni centrali) eccitando, con un meccanismo molto complesso, ed elevando il senso subiettivo del benessere. Questo però può essere più o meno illusorio, portando nei gradi più intensi, per uso eccessivo di dette bevande, all'abnorme stato di ebbrezza o ebrietà artificiale. È sorprendente vedere come i più disparati popoli siano giunti con mezzi del tutto diversi a procurarsi queste bevande alcooliche, le quali, qualunque sia il punto di partenza, hanno in comune la fase ultima della fermentazione (v.). La fermentazione consiste nell'azione di microrganismi vegetali (saccaromiceti), le cui spore si trovano ovunque nell'aria in gran copia, che in opportune condizioni si sviluppano nei liquidi acquosi contenenti in soluzione glucosio (che può trovarsi come tale nei succhi di alcune frutta, p. es., nell'uva), oppure può derivare per azione di speciali fermenti (diastasi) da composti più complessi (polisaccaridi, come l'amido dei diversi cereali, o disaccaridi, come il saccarosio della canna da zucchero e delle barbabietole), trasformandoli in alcool etilico, acqua e anidride carbonica. Le bevande fermentate usate dai varî popoli diversificano appunto secondo il materiale da cui derivano e il modo con cui esso viene elaborato per ottenere il glucosio, su cui agisce poi la fermentazione saccaromicetica.

La conoscenza delle bevande fermentate, più o meno inebrianti, mancava tuttavia (prima dei contatti con gli Europei) a un certo numero di genti più primitive: Tasmaniani e Australiani Boscimani e Ottentotti, le tribù pigmee o pigmoidi dell'Asia, gli indigeni dell'America australe (Patagoni e Fuegini), e varie tribù del bacino delle Amazzoni. Essa non appartiene, evidentemente, alle forme più basse di cultura (W. Schmidt). Mancava inoltre, per difetto di sostanze vegetali adatte, alle popolazioni più settentrionali, ignare della coltivazione, dell'Asia e dell'America: in tutta la zona arida asiatica, il territorio dei pastori nomadi, ancor oggi l'unica bevanda fermentata è il kumys, ottenuto dal latte.

La zona tropicale e subtropicale del mondo antico ci presenta invece una grande varietà di preparati. Il succo di numerose palme dà il vino di palma in tutta l'Insulindia (specialmente dall'Arenga saccharifera), nelle isole Gilbert, in tutta l'India (arrack, dalla Palmyra) e nell'Africa settentrionale, nel Sūdān e nel bacino del Congo (Palma dattilifera, da olio, Raphia). Ancor più diffusa la utilizzazione di molteplici cereali (v. birra); nell'Indocina e nell'Insulindia, sino alle Filippine e al Giappone (sake), è utilizzato specialmente il riso.

Una bevanda fermentata particolare, la kava (tratta dal Piper methysticum), è caratteristica di gran parte della Polinesia. Gl'indigeni dell'America conoscevano pure varie bevande inebrianti. La fermentazione del glucosio proveniente dall'amido del mais costituisce ancora la caratteristica bevanda fermentata o birra di mais, detta chicha, della regione andina. Essa è preparata secondo due metodi: l'uno mediante l'azione della saliva umana, masticando piccole focacce fatte di farina di mais e raccogliendo in un vaso di terra i boli a lungo masticati per imbeverli di saliva, il cui fermento (ptialina) trasforma l'amido cotto in maltosio, il quale per opera di una successiva fermentazione spontanea, che avviene per esposizione al sole per due o tre giorni della massa, si trasforma in glucosio e questo poi per fermentazione in alcool. Il secondo metodo consiste nel polverizzare le torte, mescolarle con acqua e melasso, esporle al sole e lasciarle fermentare. Nella zona bassa tropicale dell'America Meridionale e nelle Antille si otteneva, e si ottiene ancora, in modo analogo il "vino" di mandioca. I frutti dell'algarobo (Prosopis horrida) erano utilizzati dagli antichi Diaguiti e tuttora dalle tribù del Chaco. Il "vino" di varie specie d'agave, il pulque, dagli antichi Messicani e Maya è passato alla popolazione attuale. Più al nord bevande analoghe eran fornite da un cactus (Tarahumar, Cora, Huichol), dalle bacche della manzanita (Californiani), dall'ahorn (Algonchini, Irochesi).

Molto antico è l'idromele, o vino di miele, scomparso ormai dalle regioni civili, ma che sopravvive nell'Africa orientale camitica e si ritrova anche tra i Masai e fin tra i Boscimani. Ricordiamo pure il sidro, ottenuto con la fermentazione del succo delle mele (Europa occidentale). Per il vino v. questa voce e enologia.

Mediante la distillazione (che sembra fosse sconosciuta agli antichi e introdotta solo dagli Arabi) i popoli riuscirono a separare l'alcool dalle bevande fermentate e ottenere quindi bevande ancora più ricche di questa sostanza, sviluppandosi così l'uso delle diverse specie di liquori (acquavite, cognac, rhum, ecc.), resi più gradevoli al gusto con l'aggiunta di diverse sostanze aromatiche o attendendo dall'invecchiamento che se ne formassero spontaneamente. Con l'aggiunta di zucchero si hanno le diverse specie di rosolî.

La legislazione sulle bevande spiritose. - La legislazione sulle bevande spiritose è inspirata a considerazioni d'ordine igienico (polizia sanitaria) o d'ordine economico (polizia commerciale).

Per la polizia sanitaria va in primo luogo ricordato che le misure adottate per reprimere l'alcoolismo (p. es., il monopolio) hanno a volte anche il fine di garantire la genuinità del prodotto per evitare che i danni derivanti dall'eccesso del bere siano aggravati dal fatto che le bevande contengano prodotti nocivi alla salute (v. alcoolismo). Vi sono poi misure che mirano esclusivamente ad assicurare la purezza del prodotto. In Italia le bevande alcooliche da questo punto di vista sono soggette alle disposizioni e ai principî comuni a tutti gli alimenti e le bevande (v. alimentazione, II, p. 504 segg.). Vi sono anche limitazioni alla libertà di, commercio e d'industria che rappresentano un'applicazione di quei principî generali ai vini (v. enologia), alla birra (v.) e ai liquori. Questi ultimi sono stati tra le prime bevande sottoposte a speciali misure, con il regolamento per l'applicazione delle disposizioni di carattere igienico contenute nella legge sugli spiriti del 29 agosto 1889, n. 6358, e relativo regolamento emanato con r. decr. 26 febbraio 1890, n. 6653. La materia è stata poi regolata nel successivo regolamento generale 6 luglio 1896, n. 289, sostituito da quello del 21 ottobre 1903, n. 413, prima, e poi da quello del 20 novembre 1909, n. 762 (art. 140 segg.). Con queste disposizioni viene stabilito il numero minimo (o il minimo e il massimo) dei gradi di alcool che deve avere lo spirito che esce dalle fabbriche e dagli opifici di rettificazione (diverso a seconda del prodotto da cui lo spirito deriva) ed è proibita l'importazione dall'estero di spirito con meno di 95 gradi all'alcoolometro centesimale ufficiale. I residui della distillazione o rettificazione degli spiriti, per evitare che siano adoperati come bevande, non possono essere estratti dalle fabbriche o dagli opifici se non adulterati. Il regolamento di vigilanza igienica inoltre vieta di vendere acquavite, rhum, cognac, e altri prodotti contenenti acido cianidrico in dose nociva e altre sostanze dannose alla salute, e di vendere col nome di tintura e di essenza di un qualche specifico una sostanza che non sia costituita interamente da quella designata con quel nome. Anche in questa materia vigono poi i principî comuni agli alimenti relativi alla facoltà d'ispezione, prelievo di campione, ecc., da parte delle autorità pubbliche.

Infine le bevande spiritose possono essere oggetto di norme dirette a limitare i consumi. Queste disposizioni, quantunque a volte per contenuto identiche a quelle dirette a reprimere l'alcoolismo (v. II, p. 268 seg.), vanno distinte da esse perché la loro finalità è economica e non igienica. Così recentemente in Italia è stato posto il divieto di aprire nuove osterie, pasticcerie, ritrovi notturni, ecc. (r. decreto-legge 30 giugno 1926, n. 1096, convertito in legge 19 maggio 1927, n. 777, art. 2).

Bibl.: E. Pantano, Relazione della Commissione consultiva per l'applicazione delle disposizioni di carattere igienico nella legge sugli spiriti, Roma 1893.

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