CUSANO, Biagio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CUSANO, Biagio

Rosario Contarino

Nacque a Vitulano nel Principato Ultra (odierna provincia di' Benevento) e visse nel sec. XVII; non si conoscono né la data esatta della sua nascita né la famiglia di provenienza.

Basilio Giannelli, giurista e poeta suo conterraneo, nella Descrizione di Vitulano in sestine (pubbl. da A. Mellusi, in Archivio stor. del Sannio, I [1915], 5, pp. 358-73) ricostruisce i momenti significativi della carriera letteraria e forense del C. e delinea un suo apologetico ritratto, definendolo il "gran Cusano"; ma non fornisce invece ragguagli sul suo ambiente di formazione, limitandosi a riconoscere i debiti personali verso un uomo da cui aveva appreso "della legge i veri modi". Il Giannelli inoltre colloca in un'età assai giovanile la composizione dei primi versi del C. ("Infante ancor con teneri furori / A suprema armonia formò suo canto", ibid., vv. 169 s.), alludendo chiaramente alla prima raccolta di liriche amorose, L'Armonia, che uscì a Napoli nel 1636 e che perciò può far ritenere posteriore al 1610 la nascita del poeta. Confermata da altre testimonianze dell'opera del Giannelli, la provenienza del C. dal territorio di Vitulano (che allora costituiva "uno stato" comprendente diversi comuni) è avvalorata da passi dell'opera dell'autore stesso che ricorda siti di quella regione e soprattutto il "sublime Taburno", la montagna che domina la contrada.

Si ignorano i momenti della sua formazione letteraria, che fu verisimilmente compiuta a Napoli secondo le coordinate generali di un classicismo un po' pedantesco, anche se profondamente assimilato; non chiari nemmeno i caratteri della sua cultura giuridica, che dovette essere certamente assai estesa se egli potrà essere più tardi segnalato come "Lettore in Napoli famoso, per molti anni ne' publici, e privati Studij, delli Testi, Glosse, Bartolo, e dell'Instituta" (N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, I, p. 49).

La prima raccolta poetica, L'Armonia (1636), pubblicata a poco più di un decennio dal ritorno del Marino a Napoli (1624) e dalla sua successiva morte, colloca il C. tra i marinisti della prima ora, che furono nel loro virtuosismo i più pronti ad utilizzare gli attrezzi dello sterminato laboratorio del maestro. La devozione del C. verso la massima autorità letteraria del tempo viene testimoniata ancor più che dai due sonetti "lugubri" in cui il Marino defunto viene iperbolicamente paragonato a Virgilio, dall'organizzazione complessiva dell'opera che risulta conformata ai criteri di dovizia tematica della Lira.

La raccolta, composta quasi esclusivamente di sonetti, comprende infatti Rime amorose, heroiche e varie, ed offre un campionario di luoghi poetici assai più largo di quello di semplice ascendenza petrarchesca. Nelle Rime amorose infatti, per variare la rappresentazione delle situazioni d'amore, il poeta attinge dalla mitologia classica e dal mondo della natura similitudini forzate ed insistite, consuete alla rimeria barocca contemporanea. I processi di identificazione con personaggi della favola o con oggetti quotidiani lo portano a paragonare l'amante alla statua di Nabucodònosor ("Quando il rapito sguardo e 'l pensier giro ") o a ritrovare la sua condizione nel destino di una quercia ("Hai le radici tu profonde et ime"), o addirittura a variare situazioni del mito di Ercole ("Stretta fra le mie braccia Hercole amante"). Ma all'invenzione peregrina e alla ricerca scolastica del nuovo manca il gusto per il giocoso che caratterizza altre raccolte dell'epoca; il C. appare infatti chiuso in un presagio di morte che egli avverte non solo attraverso veicoli e simboli abituali come il sonno ("Se ne l'antro Cimmerio, in cui t'ascondi"), ma anche attraverso oggetti del desiderio come la mano della donna ("Roma sembri animata a più d'un core"). Il poeta non costruisce però un'autobiografia della passione; egli, infatti, oltre a introdurre più figure femminili nello stesso sonetto ("0 belle parche al mio stame vitale"), appare costantemente curioso degli amori e delle vicende altrui fino a popolare la sua raccolta di figure eccentriche e deformi (gobbi, zoppi) con cui riesce a moltiplicare le possibilità di descrizione e di invenzione. Le Rime heroiche, indirizzate a destinatari altolocati, accanto ai toni celebrativi propri della letteratura encomiastica, offrono riflessioni di repertorio sulle rovine romane e sul senso di precarietà della condizione umana; le Varie presentano accenti personali e, oltre al rammarico per l'indifferenza degli autorevoli amici verso la sua opera, contengono anche riferimenti a private sciagure che condussero il poeta lontano dalla patria.

In tutta la raccolta il C. esaspera la tendenza antitradizionalista che spingeva a scegliere i topoi letterari in un repertorio tematico assai largo e ad arricchire di similitudini e analogie la tastiera dei motivi poetici. Di scontato effetto e di laboriosa resa formale appare il tessuto stilistico, fondato su artifici abbondantissimi che vanno dall'anafora alle rime identiche, anche se l'antitesi appare la figura dominante, adoperata come strumento di ingegnose combinazioni e spesso di monotona e uniforme ripetitività. La lirica del C. risulta perciò schierata accanto alla lezione moderna della poesia barocca e a quella non lontana del Tasso; ma in essa pare anche continuarsi il gusto per il petrarchismo concettoso della tradizione napoletana dei secoli precedenti, che approda spesso a, un tono aggraziato e madrigalesco che il Croce definì di "sottigliezza galante" (Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1911, p. 418).Difficile ricostruire le vicende successive della vita del poeta, che appare già nell'Armonia costretto ad allontanarsi da Napoli. Nel 1658 occupa la cattedra di Ius civile straordinario o Pandette all'università napoletana; ma la ponderosa raccolta successiva De' caratterid'heroi (in due volumi) esce a Napoli nel 1661 dopo che per "le tempestose fortune" dell'autore era rimasta "sotto il torchio otioso della stampa" per oltre dieci anni.

La nuova raccolta risponde ai mutati gusti della letteratura barocca della seconda metà del secolo, improntata ora ad un classicismo fastoso e magniloquente, quasi antidoto allo sfacelo politico-sociale contemporaneo. Il ricorso all'eroico si configura infatti anche in quest'opera del C. come ricerca di certezze e di verità garantite da prototipi umani della massima esemplarità. Questo carattere di sfida della poesia alla fugacità del tempo era già colto da G. F. Bonomi, che nel sonetto "Imprimesti di Febo in sù gli annali" (Il parto dell'orsa, Bologna 1667, II, pp. 204. s.) opponeva secentescamente la durata del canto al perenne fluire della storia: "Di sublimi Guerrier geste immortali 1 Benché strugga l'Età co' i voli suoi, / De' gli inchiostri co' i balsami vitali / Le puoi chiare serbar su' fogli tuoi" (vv- 5-8). L'opera del C. si riconnette letterariamente alla moda dell'epistola erudita e mitologica alla maniera delle Heroides, che il Bruni aveva già diffuso con Le Epistole eroiche del '26, seguendo suggerimenti mariniani; anche il C. appare peraltro vincolato alle indicazioni della prefazione della parte III della Lira, in cui si autorizzava ad aggiornare e allargare il modello ovidiano fino alla trattazione delle imprese di eroi dell'epos volgare e perfino "delle attioni notorie e vulgari di persone introdotte in altri poemi e romanzi Greci. Latini e Spagnuoli".

Le epistole in versi scritte da personaggi celebri della Bibbia e della mitologia, della storia antica e recente, dei poemi epici moderni e dell'agiografia cristiana a destinatari tradizionalmente associati alla loro vita (Adamo a Caino, Admeto ad Alceste, Colombo a Ferdinando, Bradamante a Ruggiero, Alessio ad Agale, ecc.) sono precedute da una dedica ad illustri personaggi e corredate da una prefazione che indica le fonti e l'argomento. Gli eroi vengono rappresentati generalmente nel momento di pericolo e di sofferenza; ma le loro imprese sono interpretate con grande libertà rispetto alla tradizione storica e leggendaria. Artificioso è per lo più il nesso che collega la vicenda eroica con la figura dei destinatari, tra i quali emergono personaggi eminenti della vita politica contemporanea, come don Marcello Grimaldi che restaurò l'ordine "nel diluvio delle napoletane rivoluzioni". Analogo ossequio verso le istituzioni si avverte fin dalla premessa ("L'Autore a chi legge"), dove il poeta., preoccupato soprattutto di giustificare il suo esercizio di cultura profana avverte "d'aver più cattolica la mente che poetica la penna" e di "esser adoratore di Christo, non idolatra d'Apollo".

Valore occasionale ed encomiastico hanno i ventiquattro sonetti dedicati al cardinale Ottavio Acquaviva d'Aragona, I dolori consolati della Sirena (Napoli 1665), accompagnati da anonime Paraphrases latinae, che celebrano l'incoronazione di Carlo II, succeduto al padre Filippo IV, la cui morte era stata occasione a Napoli di sontuose e spettacolari onoranze funebri. Nonostante il favore di cui doveva godere presso le autorità, come attesta un'opera siffatta, nel 1666 il C. viene imprigionato perché trovato a leggere instituta nella chiesa di S. Antoniello.

Ad un'esigenza devozionale obbediscono le Poesie sagre (Napoli 1672), irnprontate ad un rigido conformismo, avvertibile fin dalla cautissima prefazione: "Se nel concento di queste Sagre Rime ha forse voci false che non s'accordino col sovrano della gerarchia catholica, l'autore ne canta mille volte la palinodia".

La raccolta contiene una prima parte comprendente sonetti che esaltano episodi della vita di Cristo e dei santi, e una seconda comprendente rime di metro vario che svolgono temi di argomento morale. Il libro vuole essere testimonianza di pentimento per le debolezze amorose e per la ricerca dei "vani lauri" della giovinezza e si propone di evitare ogni tentazione mondana con la contrizione e il cordoglio ("quell'errante furor piango cantando"). Accanto al tono accorato e devoto di deplorazione della vita peccaminosa, riconducibile al motivo diffuso del vanitas vanitatum e della fragilità della condizione umana, prevale l'oratoria celebrativa diretta soprattutto verso i nuovi santi della Controriforma, da s. Francesco Saverio a s. Filippo Neri. Ma il componimento più significativo è indubbiamente la canzone di impianto petrarchesco "L'Appennin che d'Italia il sen divide", che si ricollega, oltre alla maniera pindarica del Chiabrera e del Testi, anche all'ispirazione luttuosa di un Ciro di Pers e soprattutto alla poesia lugubre dei tardocinquecentisti napoletani e di Tasso. La canzone è infatti un compianto dell'Italia impoverita e imbarbarita, sottoposta a ogni sorta di flagelli e calamità naturali e politiche, interpretati come ammonimenti e prove della volontà di Dio, che per riportare la pace sulla terra esige un ravvedimento radicale: "tu muterai consiglio ed ei seritenza".

Nel 1676 il C. è chiamato a ricoprire la cattedra di diritto canonico ("ottenne la primaria matutina de' Canoni": P. Napoli Signorelli), succedendo a Giuseppe Pulcarelli dopo tre anni di vacanza. A questa carica universitaria allude lo stesso autore che, nell'inviare un sonetto di elogio a N. Toppi per la sua Biblioteca napoletana, si definisce "Lettore primario in Napoli". Di questo impegno di studi il Toppi segnala come frutto la composizione di un trattato De evictionibus, mentre non fornisce né i titoli né l'argomento di altre opere letterarie e giuridiche che a suo dire il C. stava componendo in quel periodo. "Nell'andare a leggere nel 1683 morì d'apoplesia" (Napoli Signorelli); le sue lezioni furono completate da Geronimo Cappelli.

Fonti e Bibl.: G.F. Bonomi, Il parto dell'orsa, Bologna 1667, II, pp. 204 s.; N. Toppi, Biblioteca napol., Napoli 1678, I, p. 49; V. Ariani, Commentarius de claris iureconsultis Neapolitanis, Neapoli 1769, p. XIX; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, Napoli 1786, V, p. 69; Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 155-58; B. Croce, Saggi sulla letter. ital. del Seicento, Bari 1911, pp. 402, 418, 431; A. Mellusi, Le sestine inedite di B. Giannelli su la Valle di Vitulano, in Arch. stor. del Sannio, I (1915), 5, pp. 358-73; Id., Un poeta della scuola del Marini, ibid., VIII (1922), 1, pp. 25-29; N. Cortese, in Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924, p. 337 e passim; R. Pedicini, Un lirico marinista: B. C., in Saggi e profili letterari, Roma 1939, pp. 59-112; Opere scelte di G. B. Marino e dei marinisti, a cura di G. Getto, Torino 1954, II, pp. 334 ss.; Marino e i marinisti, a cura di G. G. Ferrero, Milano-Napoli 1954, pp. 801 s.; Poesia del Seicento, a cura di C. Muscetta - P. P. Ferrante, Torino 1964, I, pp. 606 s.

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