BILHARZIOSI

Enciclopedia Italiana (1930)

BILHARZIOSI

Filippo RHO
Aldo CASTELLANI

. È una malattia parassitaria esotica di cui si distinguono due forme, la bilharziosi vescicale e la b. intestinale. La prima è detta anche: schistomiasi urinaria, ematuria endemica, morbo di Bilharz. Essa è prodotta da un verme piatto del tipo dei Platelminti, ordine dei Trematodi, lo Schistosoma haematobium Bilharz, le cui uova invadono ed irritano le vie urinarie, provocando cistite ed ematuria. È endemica in Egitto sin dai tempi più remoti: si trovarono uova calcificate di S. haematobium in mummie della ventesima dinastia (1250-1000 a. C.). Durante la campagna napoleonica in Egitto (1799-1801) i medici francesi richiamarono l'attenzione sull'ematuria che s'era diffusa largamente fra le truppe; ma solo nel 1851, al Cairo, il Bilharz ne scoprì la causa trovando il verme nella vena porta di un cadavere. La bilharziosi vescicale è diffusa in Africa, specialmente in Egitto e al Capo, mentre è rara nelle nostre colonie, ma s'incontra anche in Asia (India, Siria, Mesopotamia).

Lo S. haematobium, altrimenti detto Bilharzia haematobia (Cobbold 1859), Distomum haematobium Bilharz, ecc., è un trematode il cui maschio è accartocciato in modo da formare un canale ginecoforo, in cui accoglie la femmina (v. bilharzia).

Le Bilharzie pervenute nel circolo sanguigno, si stabiliscono nella vena porta, dove si sviluppano allo stato adulto e dove avviene la fecondazione. Le femmine vanno poi a deporre le uova all'imboccatura delle vene e dei capillari della vescica urinaria, ostruendoli e determinando lesioni della mucosa (ispessimenti, ulceri, papillomi) e disturbi varî a carico della vescica e delle vie urinarie; disturbi rappresentati principalmente da ematuria, senso di bruciore al perineo e lungo l'uretra, cistite, dolori che si provano nella minzione. Come complicazioni si può avere ritenzione d'urina per compressione dello sbocco degli ureteri, formazione di calcoli, di ascessi renali e uretrali e anche di fistole urinarie. Gli ammalati diventano anemici e deperiscono gradatamente.

La diagnosi di bilharziosi si fa in base alla presenza delle caratteristiche uova nelle urine, ma si può già sospettare dall'ematuria. La prognosi varia secondo la gravità dell'infezione; vi sono casi tanto lievi da non dare quasi alcun disturbo. I risultati curativi erano nel passato quasi nulli, ma una crescente fiducia va guadagnando come parassiticida il tartaro emetico per iniezioni endovenose, che il Mac Donagh (1916) e poi il Christopherson preconizzarono ed applicarono con successo; anche l'emetina dà buoni risultati.

Per la profilassi occorre: 1. evitare i bagni nelle acque inquinate e inquinabili; 2. non solo filtrare ma bollire l'acqua da bere; 3. impedire la disseminazione delle uova dei parassiti con le urine degli ammalati, aggiungendo a queste qualche antisettico.

La bilharziosi o schistomiasi intestinale, detta pure americana o di Manson, rettale o epatica, è prodotta da un'altra specie del genere Schistosoma un po' più sottile e lunga, lo Schistosoma Mansoni (Sambon 1907), diffuso in Africa e nelle regioni più calde dell'America settentrionale e meridionale.

L'ospite intermedio è rappresentato da chioccioline del genere Planorbis (P. Boissyi in Egitto, P. guadelupensis in Venezuela); nei suoi ospiti definitivi, il verme dalla vena porta, anziché ai vasellini della vescica, si dirige a quelli degl'intestini per deporvi le uova, che sono ovali e munite di una spina laterale. Quei vasi si rompono e le uova infarciscono la mucosa, che si ispessisce e presenta papillomi ed ulceri, specialmente al retto, che talora protrude dall'ano con masse polipoidi. Altre infiltrazioni si possono produrre nel peritoneo, ed anche nel tessuto sottocutaneo delle regioni sacrale e coccigea con produzione di fistole, ecc. Le manifestazioni cliniche nelle infezioni lievi son nulle o quasi; nelle forme più intense può prodursi, secondo i casi, una dissenteria schistosomica, dei tumori addominali al cieco o al colon. Anche il fegato può essere invaso (con ingrossamento cirrotico e talora qualche ascesso); più o meno tardive sono: anemia, febbre schistosomica, deperimento fino a morte per esaurimento. La diagnosi si basa sul reperto delle uova caratteristiche nelle feci. In Africa si osservano casi di infezione doppia vescicale e intestinale.

Nell'Estremo Oriente (Cina, Filippine, Giappone) è endemica un'altra forma intestinale, causata dallo Schistosoma japonicum (Katzurada 1904), il cui ospite intermedio è la Blanfordia japonica Adams, 1861; ospiti definitivi, oltre all'uomo, sono il cane, il gatto ed il maiale. Poiché il verme, oltre che nella vena porta, può allogarsi nelle arterie, le manifestazioni cliniche sono anche più varie. Oltre alla più frequente sindrome dissenterica, all'eventuale ingrossamento del fegato e della milza, con o senza febbre, idrope ed anemia progressiva, si osservano spesso sintomi cutanei (orticaria) e si possono talora produrre anche localizzazioni polmonari (bronchite e broncopolmonite) e persino cerebrali (epilessia jacksoniana). La mortalità è del 10%. La diagnosi, oltre che sui sintomi clinici, si basa sul reperto delle uova (tondeggianti e senza spina o solo con una minuta protuberanza laterale). La cura delle bilharziosi intestinali è quella stessa della bilharziosi vescicale.

Bibl.: Ch. Bilharz, Distomum haematobium ecc., in Wien. med. Woch., 1856; P. Sonsino, Bilharzia, in Imparziale, 1876; in Giorn. Accad. med. Torino, 1884; in The Lancet, 1893; E. Perroncito, I parassiti animali ecc., Milano 1901; A. Loos, in C. Mense, Trattato delle malattie dei paesi tropicali, Torino 1906-09; L. Sambon, Bilharzia, in Journ. trop. med., 1909; W. Mac Donagh, Biology and treatment of vener. diseaes, Londra 1915, p. 349; C. Veneroni, Bilarziosi vescicale in Somalia, in Riforma med., 1926.

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