BIOETICA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Bioetica

Vittorio Frosini

(App. V, i, p. 368; v. aborto, App. V, i, p. 1; eutanasia, App. V, ii, p. 172)

La condizione umana ha subito, con l'avanzare del progresso tecnologico, modificazioni decisive, al punto che si considera la natura dell'uomo come soggetta a una vera mutazione antropologica, in quanto essa corrisponde all'inserimento dell'uomo in un mondo artificiale. Non soltanto l'ambiente in cui l'uomo vive ha cambiato il suo carattere da quello detto 'naturale' a quello designato come 'artificiale' o più propriamente 'tecnologico', ma lo stesso corpo umano ha subito una metamorfosi che lo ha reso diverso da quello di tutte le generazioni precedenti.

Esplorato nel suo interno per mezzo della radiografia e delle nuove tecniche di rilevazione elettronica; fornito all'occorrenza di protesi che sostituiscono i tessuti e gli organi, il corpo umano è stato rivoluzionato da quando è stato realizzato il trapianto del cuore di una persona morta in una vivente. La stessa origine vitale del corpo umano, la formazione dell'embrione, viene oggi ottenuta in vitro, oltre che in vivo, per opera dei metodi che prevedono una manipolazione dei gameti (per es., FIVET, fecondazione in vitro con trasferimento embrionale; oppure ICSI, iniezione di singoli spermatozoi nell'ovocita; v. fecondazione, in questa Appendice). Lo stesso embrione può essere sottoposto a manipolazioni che ne mutano la destinazione biologica, per es. predeterminandone il sesso.

Problemi bioetici e legislazione

La collocazione della b. in un complesso di nuove forme di vita della società umana evidenzia il carattere fisionomico fondamentale della disciplina, che consiste in una nuova concezione del suo oggetto di esame, il corpo umano, considerato non più come un'unità organica inscindibile nella composizione delle sue parti, ma come un insieme di funzioni biologiche, i cui organi possono essere sottoposti a trasformazioni e adattamenti. Da questa situazione scaturiscono i problemi relativi agli interventi che l'uomo può operare sul corpo dell'uomo, e che vanno rilevati e valutati sotto un profilo di interesse sociale, il quale trova la sua forma di espressione e di ordinamento nella regola giuridica. La metodologia applicativa di carattere scientifico e tecnico può infatti essere giudicata, come ogni comportamento umano, dal punto di vista dell'etica.

L'esercizio della medicina ha visto il proprio ruolo sociale trasformarsi con l'avvento dello Stato assistenziale, che ha dato vita a servizi sanitari statalizzati e diretti da ministeri della Sanità, istituzioni prima sconosciute nella pubblica amministrazione. In Italia, questa trasformazione della funzione sociale in cui si colloca la nuova figura del medico è stata sancita dall'art. 32 della Costituzione, in cui la salute viene definita come "fondamentale dirittodell'individuo e interesse della collettività". Nello stesso articolo è anche tracciato il confine tra obbligo e libertà in relazione al trattamento del corpo negli interventi di carattere biologico o medico: "la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Viene in tal modo affermato un nuovo diritto di libertà (del proprio corpo) assimilabile ai "diritti inviolabili dell'uomo" riconosciuti e garantiti dall'art. 2 della Costituzione: il diritto alla privacy corporea, il diritto alla tutela del corpo inteso come valore sociale, morale e giuridico. Questo è il principio basilare della b. in quanto connessione interdisciplinare fra i diversi apporti che a essa provengono dalla scienza biologica e medica, dalla filosofia etica, dalla regolamentazione giuridica. Conseguenze rilevanti di quanto esposto si riscontrano nelle differenze di trattamento nei confronti di pazienti di centri sanitari pubblici (in Italia, le Aziende sanitarie locali) e di cliniche private, meno soggette ai limiti imposti dai controlli amministrativi.

Con l'avvento della società tecnologica hanno assunto consistenza morale e giuridica i diritti umani di terza generazione (v. diritti, in questa Appendice), che sono sorti dalle nuove esperienze di trasformazione della società civile, e si è imposto il riconoscimento di tali diritti al di sopra delle frontiere politiche nazionali e delle divisioni di classi ed etnie: dichiarazioni e convenzioni internazionali hanno conferito a essi una validità universale. In relazione all'argomento qui trattato, va rilevato in particolare il complesso dei diritti della donna: diritto alla parità sociale con l'uomo, alla maternità, allo scioglimento del matrimonio, alla difesa del pudore come bene personale.

La metodologia di valutazione etica, che caratterizza e sostiene la disciplina bioetica, è di ascendenza filosofica e comporta elementi di natura religiosa, antropologica e politica. La diffusione delle ricerche e delle pubblicazioni in materia ha generato molteplici opinioni e correnti di pensiero che non possono essere prese qui singolarmente in esame. Non si può però trascurare di menzionare la 'grande divisione', comunemente considerata e dibattuta nella letteratura di b., fra una concezione ispirata a principi di carattere religioso e metafisico e una concezione critica riferita a una visione laica della vita umana. Questo contrasto fra due opposte concezioni si è subito presentato con l'annuncio della fecondazione in vitro con gameti umani: un evento di importanza rivoluzionaria nella storia del genere umano, giacché esso contravveniva nettamente al dettato di una legge considerata divina, che prescriveva la fecondità o la sterilità (v. oltre).

Vi fu un'opposizione decisa da parte della cultura sorretta da principi religiosi: dalla condanna pronunciata dal rabbino capo d'Inghilterra, nel marzo 1970, alla riprovazione espressa dalla Congregazione per la dottrina della fede (cattolica) nel 1987, secondo la quale tale forma di fecondazione "era in sé illecita e in contrasto con la dignità della procreazione e dell'unione coniugale". A questa visione rigorosa di un'etica fondata sul possesso di una verità rivelata si sono contrapposte le valutazioni di un'etica collegata a una visione laica, che presenta un prisma variegato di argomentazioni, che vanno da una difesa delle ragioni della scienza nel suo itinerario di scoperta guidata dalla ragione umana, all'affermazione filosofica di un'etica della situazione, sottratta al presupposto di una precettistica rigida e statica. In Italia, una proposizione della seconda concezione accennata è stata quella di un Manifesto di bioetica laica, apparso sulla stampa il 9 giugno 1996 (Il Sole 24 Ore).

L'atteggiamento da assumere riguardo al problema nell'ambito di una società progredita e nutrita di ideali di libertà, quindi aperta ad accogliere i diritti umani di prima, seconda e terza generazione, appare quello suggerito da un principio di valutazione critica riferito ai diritti umani come indici di giustificazione morale e di legittimazione giuridica, in quanto simboli di verità storica. Al pari dell'affermazione di un diritto naturale comune a tutte le genti, di cui si fanno sostenitori gli interpreti di una concezione religiosa cristiana, anche i diritti umani devono presentarsi come valori di carattere laico attribuiti per il fatto stesso di appartenere al genere umano.

I problemi della b. sono connessi alla nascita, alla vita e alla morte del corpo umano, e qui saranno trattati seguendo il percorso del ciclo vitale, sempre con riferimento alle innovazioni scaturite dal progresso della civiltà tecnologica. Vengono perciò esclusi dall'ambito di analisi quei problemi per i quali si deve fare rinvio alla storia umana precedente, perché essi hanno già ricevuto in passato considerazione etica e, talora, anche regolamentazione giuridica. Tali sono i problemi del controllo delle nascite o della contraccezione, alla cui attuazione il progresso scientifico ha apportato un contributo decisivo, tanto che oggi essa è assai più diffusa che nel passato. Si è persino verificata l'applicazione di una disciplina giuridica antidemografica in paesi come l'India e la Cina, in contrasto con la politica demografica praticata in altri luoghi e in altri tempi, per es. in Italia durante il periodo fascista. Anche sul problema dell'interruzione, terapeutica o volontaria, della gravidanza, o aborto, si manifesta una diversità di orientamenti morali e giuridici, secondo modelli già conosciuti in altre epoche storiche (come la piena liceità dell'aborto introdotto a suo tempo in Unione Sovietica) e secondo principi già consolidati nella discussione teorica e nella pratica.

Alla fine del 20° sec. esiste una vasta legislazione sulla materia specifica della b.: a partire dalle leggi emanate nello Stato della California nel 1973 sui limiti imposti alla ricerca scientifica condotta sui resti fetali e nel 1975 sull'attribuzione di paternità nei procedimenti di inseminazione artificiale, per giungere alla Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano rispetto alla utilizzazione della biologia e della medicina, adottata dal Consiglio d'Europa il 19 novembre 1996. L'Italia manca ancora, a differenza delle altre nazioni europee, di una legge organica che disciplini i comportamenti in relazione ai nuovi ritrovati e applicazioni in materia di ricerca scientifica e di intervento medico nella formazione del corpo umano.

Molte sono le iniziative ufficiali: una commissione nominata dal ministro della Sanità aveva presentato, nel 1985, un rapporto con Proposte di disciplina della nuova genetica umana; il Comitato nazionale di bioetica aveva espresso un parere sulle tecniche di procreazione assistita il 17 giugno 1994; fu istituita dal ministro di Grazia e Giustizia (23 maggio 1995) una commissione presieduta da F. Busnelli per redigere uno schema di disegno di legge sulle Norme in tema di bioetica, con particolare riguardo alla fecondazione assistita. Il 26 maggio 1999 la Camera dei deputati ha approvato un progetto di legge in materia di procreazione medicalmente assistita. Nel testo approvato dalla Camera è vietata la fecondazione eterologa assistita con gameti di donatori esterni alla coppia, coniugata o di fatto, mentre è riconosciuta l'adottabilità degli embrioni congelati esistenti (il congelamento sarà vietato dalla data di entrata in vigore della legge). Il progetto è stato trasmesso al Senato per la definitiva approvazione, ma notevoli sono i contrasti che investono sia i principi generali che lo informano, sia i contenuti specifici delle disposizioni approvate.

Fecondazione assistita

Le discussioni in campo scientifico, religioso e politico che seguirono la prima fecondazione in vitro, avvenuta in Inghilterra nel 1978 a opera del biologo R. Edwards e del ginecologo P. Steptoe, indussero il governo britannico a nominare una commissione di inchiesta (Committee of Inquiry into Human Fertilisation and Embryology), presieduta da M. Warnock, che presentò il suo rapporto conclusivo nel luglio 1984: esso servì da base alla successiva disciplina legislativa in materia, come la legge del 16 luglio 1985 per regolamentare determinate attività in relazione ad accordi effettuati con donne per la gestazione dei figli in qualità di madri surrogate, che fa parte del Surrogacy arrangements act 1985. In tal modo venne aperta la strada a una nuova e imprevedibile esperienza: la possibilità di trasferimento dell'embrione concepito da una coppia nell'utero di un'altra donna disposta a condurre la gestazione del feto, e dunque la nascita del figlio di due madri, l'una fornitrice dell'ovulo, l'altra portatrice della gravidanza (come si era già verificato anche negli Stati Uniti). Ancora in Gran Bretagna venne consentita la fecondazione artificiale col seme conservato del marito defunto: una pratica presa in considerazione a seguito delle richieste avanzate dai militari chiamati a combattere nella guerra delle Falkland (1983), per assicurarsi una discendenza anche nel caso di morte in battaglia. Nel 1990 venne istituito un Ente per la fecondazione umana ed embriologia (Human Fertilisation and Embryology Authority), con compiti di vigilanza sull'attuazione delle leggi in materia e con competenza per il rilascio delle autorizzazioni richieste, come quelle per la fecondazione di una donna nubile. Nello stesso periodo iniziative analoghe si verificarono in altri paesi europei.

Per limitarci a qualche esempio, in Francia venne istituito nel febbraio 1983 il Comité consultatif national d'éthique pour les sciences de la vie et de la santé (CCNE), sostituito nell'aprile del 1988 dalla Commissione nazionale per la medicina e biologia della riproduzione, che esprime i propri pareri al ministro della Sanità. In Spagna, nel 1984, fu creata una commissione speciale, nota come Comité Palacios, per lo studio dei problemi relativi alle nuove tecniche per la riproduzione assistita; venne quindi emanata, il 22 nov. 1988, la legge sulle tecniche di riproduzione assistita, in cui si dichiarava che "partendo dal rispetto del diritto della donna a fondare la propria famiglia, la Legge deve eliminare qualunque limite che ponga impedimenti alla sua volontà di procreare e costituire la forma di famiglia che meglio crede, liberamente e responsabilmente"; pertanto, l'art. 2 della legge consente la fecondazione artificiale per le donne nubili maggiorenni. In Spagna venne anche approvata nel dicembre 1988 la legge "sulla donazione e utilizzazione di embrioni e feti umani e delle loro cellule, tessuti o organi". Il governo di Malta istituì, nel 1989, lo Health Ethics Consultative Committee e, nel 1990, in Portogallo venne creato il Conselho Nacional de Etica para as Ciencias da Vida. Per quanto riguarda l'Italia, un d.p.c.m. istituì il 28 marzo 1990 un Comitato nazionale di bioetica, ma con funzioni puramente consultive.

Sono molteplici, e hanno incontrato soluzioni diverse, i problemi sollevati dalle innovazioni prodotte dall'ingegneria genetica, vale a dire l'insieme dei metodi e delle tecniche in relazione agli interventi sulla vita umana prenatale o, più estensivamente, il complesso di tecnologie che permettono di manipolare in vitro molecole di DNA provenienti da organismi diversi, di riarrangiarle e di reintrodurle nell'organismo dove entrano a far parte del patrimonio ereditario (v. ingegneria genetica, App. V e in questa Appendice). Il diritto alla maternità, che corrisponde alla vocazione fisica e morale della donna, può oggi essere attuato con il ricorso alla fecondazione artificiale, che avviene al di fuori del corpo della donna; l'embrione viene poi immesso nel suo corpo, ristabilendo il processo naturale di riproduzione. Tale operazione viene chiamata omologa se la coppia dei gameti (maschile e femminile) appartiene a una coppia sposata, e viene chiamata eterologa se il seme maschile (o l'ovulo femminile) è fornito da un donatore estraneo (o donatrice). È ormai accolta nella dottrina giuridica e nella pratica medica la nozione che la fecondazione artificiale abbia uno scopo terapeutico, al fine di rimediare alla sterilità, e che dunque sia pienamente lecita anche da un punto di vista etico; viene invece contestato il principio che la fecondazione artificiale possa avere altri fini, per es. evitare i disagi della gravidanza con il ricorso alla surrogazione dell'utero o produrre tessuti fetali. Nel caso della fecondazione omologa occorre il consenso informato di entrambi i coniugi, e così pure nel caso della fecondazione eterologa, poiché il padre putativo deve impegnarsi a riconoscere il figlio come proprio; più raro, ma si è verificato, il caso di una madre putativa che accetti di accogliere come proprio il figlio del marito. Un problema particolare è quello del diritto alla legittimazione del figlio ottenuto con fecondazione artificiale da parte della coppia non sposata ma stabilmente convivente come famiglia di fatto; esso viene riconosciuto in certe legislazioni, come in quella francese, ma negato nella maggior parte delle altre (esso in pratica corrisponde al consenso alla fecondazione di donna nubile). Derivato dalla fecondazione eterologa con seme di donatore è il problema del riconoscimento da accordare al figlio/a di conoscere, giunto/a alla maggiore età, il proprio padre biologico, in base al principio etico del diritto alla verità. Le conseguenze di un tale atto, che può comportare il disconoscimento del padre nell'ordine familiare in cui il figlio è stato accolto e cresciuto, possono essere di vario genere, e pertanto di regola tale diritto viene escluso, con le eccezioni motivate da ragioni di carattere sanitario (per risalire alle origini di una malattia o di una malformazione congenita) e autorizzate dalla magistratura.

Nelle legislazioni vigenti non viene concesso invece al donatore di conoscere come sia stato utilizzato il suo seme, anche a tutela della sua riservatezza personale. Assai delicata e incerta è la soluzione del problema relativo all'attribuzione alla madre biologica, che ha dato il suo embrione, del diritto di rivendicare la propria maternità nei confronti della donna consenziente al trapianto dell'embrione e partoriente un figlio non suo a seguito di precisi accordi.

Si parla, impropriamente, di 'utero in affitto', giacché frequenti sono i casi in cui la surrogazione viene fornita da una sorella o dalla madre della donna inabilitata, per cause congenite o per sopravvenute operazioni chirurgiche, a condurre una gestazione regolare. Un precedente di tale pratica può essere considerato l'istituto del baliatico che, oltre a essere largamente ammesso dal costume sociale, è stato anche disciplinato da disposizioni legislative: con esso veniva affidato a donna estranea il figlio appena partorito, affinché essa provvedesse ad allattarlo e allevarlo per un periodo di tempo. Tra balia e neonato si stabiliva così un legame organico e affettivo attraverso il latte materno: a tale sostituzione di maternità non si fa più ricorso, specie da quando si è avviata su larga scala la produzione di latte artificiale. Altra difficoltà che si presenta al legislatore è stabilire per legge l'età massima di una donna per ottenere di valersi della fecondazione artificiale, pur se la preoccupazione di assicurare la cura e l'educazione del figlio dovrebbe porsi anche in relazione all'età del padre, in caso di coppia sposata. Va infine considerato che sono sempre più numerosi i nuclei familiari consistenti in una sola persona (in Italia, nel 1996, un quarto dei nuclei familiari è risultato mononucleare) e che il diritto alla maternità non viene meno a una donna, anche sola, dopo il sopraggiungere della menopausa, così come esso non viene escluso dalla sterilità. Altro problema, che presenta un contrasto di soluzioni aperte su prospettive di carattere sociale ed economico, è quello di concedere l'autorizzazione a procedere alla raccolta di materiale per l'inseminazione artificiale e alle procedure di fecondazione assistita (v. fecondazione, in questa Appendice) solo alle strutture di sanità pubblica (entro i limiti imposti da regolamenti amministrativi, come il divieto di accogliere le richieste di coppie non sposate), ovvero di consentire tali operazioni anche alle cliniche private.

Embrione umano

Numerosi sono i problemi di carattere etico e giuridico che scaturiscono da una considerazione rivolta all'embrione stesso, invece che alla madre. Ovvero, sorge la domanda se si possa riconoscere al nascituro il diritto a essere portatore egli stesso di un diritto innato alla propria personalità fisica, etica e giuridica. I progressi compiuti dalla biologia e dalla medicina prenatale aprono infatti prospettive totalmente ignote e inaspettate all'umanità di ieri.

Ogni embrione, costituito da una cellula di uovo fecondato e capace di sviluppo, ha una sua individualità e unicità di carattere biologico: esso contiene un patrimonio genetico in forma di corredo cromosomico, che rappresenta il genoma. Un progetto internazionale di ricerca ancora in corso, detto progetto genoma (v. in questa Appendice) mira all'identificazione e alla localizzazione dei geni, per sviluppare tecniche diagnostiche di predisposizioni genetiche: viene in tal modo resa possibile un'informazione sul destino biologico dell'individuo, basata sui dati conoscitivi del suo codice genetico. Si è dunque in presenza di una nuova esigenza di tutela della riservatezza, riferita a eventi futuri, giacché l'informazione sul codice genetico può essere utilizzata anche per fini non scientifici, come le discriminazioni razziali. L'odierna ingegneria genetica ha inoltre sviluppato anche tecniche di intervento sul genoma, con l'inserimento in uno di essi di geni estranei, capaci di conferire una nuova e diversa identità biologica, a fini non soltanto terapeutici, come l'eliminazione di malattie e difetti fisici congeniti, ma anche modificativi delle caratteristiche personali. È ormai diffusa in qualche paese asiatico (Giappone) la pratica di cambiare il sesso del nascituro, per assecondare il desiderio dei genitori, con interventi nel codice genetico; ma altre forme di manipolazione sono possibili, come la clonazione (v. in questa Appendice), già sperimentata sugli animali, che consentirebbe la duplicazione di un embrione anche umano.

La problematica relativa agli embrioni comporta ulteriori difficoltà d'ordine etico e giuridico, per le quali si presentano incertezze e contraddizioni di giudizi al riguardo. In primo luogo, è aperto il dibattito sul problema se si possa o si debba riconoscere all'embrione, appena superato il momento del concepimento, una personalità giuridica. Fra i biologi, e anche fra i teologi con riferimento alla teoria dell'immissione dell'anima nel corpo, c'è una diversità di posizioni circa l'inizio del ciclo vitale del feto, che taluni collocano al quattordicesimo giorno dopo il concepimento, altri ancora più tardi. Allo stato attuale della legislazione italiana (art. 1 c.c.) l'individuo acquista capacità giuridica solo al momento della nascita, sebbene vi sia una normativa, le cui origini risalgono all'antico diritto romano, che tiene in considerazione gli interessi di una vita ancora non nata, come nel caso di successioni testamentarie. È stato perciò proposto di concedere uno status giuridico all'embrione a sua difesa, sebbene esso faccia fisicamente parte del corpo della madre fino al momento del distacco. Se venisse però concesso all'embrione di assumere la qualità di soggetto giuridico autonomo, ne conseguirebbero responsabilità a carico della madre stessa se questa fosse causa di danno alla salute dell'embrione, drogandosi, bevendo alcolici o fumando, con una forte limitazione del diritto alla libertà della madre.

Seguono altri problemi di difficile soluzione, tra cui la posizione da assumere rispetto agli embrioni superflui congelati. Poiché per ottenere una gravidanza a seguito di una fecondazione in vitro è necessario inserire nell'utero materno più embrioni (dei quali può svilupparsene uno solo, o più di uno), è altresì necessario approntare degli embrioni in soprannumero per procedere a operazioni successive di inserimento nel grembo materno in caso di insuccesso iniziale. Gli embrioni in eccedenza possono essere congelati per la loro conservazione per un tempo indefinito e, all'occorrenza, essere adoperati. Si verifica così un accumulo di embrioni nei laboratori, che vengono conservati a scopo terapeutico e perciò non possono essere adoperati per fini di ricerca o sperimentazione scientifica (anche negli Stati Uniti, in cui tale impiego era consentito, il finanziamento governativo è stato sospeso nel 1994). Si presenta dunque, trascorso un certo periodo di tempo, il problema del trattamento da riservare agli embrioni che sono risultati in sovrannumero, a ognuno dei quali è attribuita un'individualità biologica (e, secondo la proposta rammentata più sopra, anche una personalità giuridica). In Gran Bretagna, dove il primo esperimento riuscito risale al 1975 e vi è una numerosa riserva di embrioni, il limite di tempo dell'ibernazione è stato fissato in cinque anni, per cui il 1° agosto 1996 sono stati eliminati i primi 4000 embrioni.

L'embrione sviluppandosi diventa un feto, in cui è gradualmente riconoscibile la figura umana, e si fa più stringente l'esigenza di una protezione per il suo diritto alla vita. Tuttavia, per motivi diversi, può verificarsi un'interruzione della gravidanza, o spontanea per cause d'ordine fisico, o procurata per esigenze di carattere medico, o volontaria per una scelta della madre, che può essere ispirata dai più vari motivi. Senza entrare nella questione particolare della liceità etica e giuridica dell'aborto, un problema di rilevante interesse bioetico è quello che si riferisce all'impiego dei tessuti fetali che risultano di avanzo dopo un aborto. Esistono al riguardo in taluni paesi precise disposizioni legislative (come negli Stati Uniti e in Spagna, già sopra ricordate), che vietano l'uso di tali tessuti a fini commerciali, come, per es., nella preparazione dei cosmetici, e lo restringono ai soli fini scientifici e talora esclusivamente ai fini terapeutici. Infatti, il trapianto di cellule dei tessuti fetali in tessuti adulti viene praticato con successo (negli Stati Uniti e in Svezia) per la guarigione di diverse forme patologiche del sistema nervoso, come il morbo di Parkinson; ma la vitalità che le cellule prelevate dai tessuti fetali possono trasmettere ad altre cellule adulte e invecchiate ha un'efficacia compresa tra il terzo e il sesto mese di gravidanza. Si sono verificati casi di aborto procurato con intervento medico nel periodo richiesto, per mettere a disposizione i tessuti fetali per operazioni di trapianto. Per tale ragione la l. nr. 1479 del 1988 dello Stato del Missouri fa divieto di adoperare i tessuti fetali di un aborto procurato al fine di produrre tali tessuti, mentre consente l'uso di tessuti provenienti da aborto volontario per la regolamentazione delle nascite (consentito, se non minaccia la salute della madre, entro i primi sei mesi di gravidanza). In Russia è invece consentito l'aborto per il commercio di tessuti fetali. In Italia manca qualunque regolamentazione della materia, che pure ha dato luogo a rilevanti discussioni nella letteratura internazionale sulla bioetica.

Trapianti d'organo

La questione dell'innesto di cellule tratte dai tessuti fetali introduce il problema bioetico più generale della liceità dei trapianti di tessuti e di organi dai cadaveri ai viventi, e la possibilità di trapianti da specie animali in corpo umano. Il corpo di una persona morta era considerato, nei secoli passati, come un oggetto sacrale e intoccabile (anche al fine di evitare le infezioni da cadavere), e venivano punite le operazioni di carattere magico o scientifico (come la dissezione anatomica, che era autorizzata solo su animali). Per il rispetto dovuto al corpo di persona defunta, il codice penale italiano ne proibisce la mutilazione, la sottrazione di parte e l'uso di tutto o di una parte (artt. 410, 411 e 412 c.p.), ma viene autorizzata, anzi imposta per motivi di indagine giudiziaria, la dissezione anatomica. È stata però l'Italia la prima nazione in Europa a legiferare sulla disciplina dei prelievi da cadavere, con l. 7 apr. 1956 nr. 235, poi sostituita con l. 2 dic. 1975 nr. 644, rendendo così legale la volontà espressa da don C. Gnocchi, detto 'l'apostolo dei mutilatini', che le cornee dei suoi occhi venissero donate a un non vedente .

Una spinta decisiva al mutamento della coscienza pubblica sul piano etico e della legislazione su quello giuridico venne data dall'esperimento compiuto il 3 dic. 1967 a Città del Capo da Ch. Barnard, il quale sostituì il cuore di L. Washinsky con il cuore di una persona defunta. Veniva così varcata la linea di confine, considerata fino ad allora invalicabile, tra la morte e la vita, e creata una continuità fra la vita del donatore deceduto e quella del paziente sopravvissuto. Sempre più numerose si sono succedute, nell'ultimo trentennio del 20° sec., le operazioni di trapianto di organi e tessuti, come la trasposizione di un rene (la prima fu effettuata nel 1962) anche tra persone viventi, o come la donazione di midollo osseo.

Il commercio di organi e tessuti per trapianti, vietato dalla legislazione di molti paesi, si è sviluppato nella realtà con cessioni a pagamento ottenute specie nei paesi del Terzo Mondo. Il principio che la cessione deve costituire un atto di donazione libera e fondata su consenso informato, da parte del donatore, se vivente, o dei parenti, in caso di morte, è contrastato dalla crescente richiesta di organi per trapianto negli stretti termini di tempo indispensabili per la sua efficacia. Analogamente a quanto previsto in altri paesi europei, in Italia una legge approvata il 31 marzo 1999 in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti riconosce il principio del silenzio-assenso informato, stabilendo che i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti successivamente alla morte e devono essere informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione. Tale legge, con la quale è stata abrogata la l. nr. 644 del 1975 e modificata la l. 12 ag. 1993 nr. 301 in tema di prelievi e innesti di cornea, detta inoltre una specifica disciplina della esportazione ed importazione a titolo gratuito di organi e tessuti. Il prelievo e la successiva infusione di midollo osseo per innesto in individui della stessa specie sono invece regolati unitamente alle emotrasfusioni dalla l. 4 maggio 1990 nr. 107.

L'offerta risulta comunque, allo stato, largamente inferiore alla richiesta, per cui appare giustificabile, almeno a parere di alcuni scienziati e moralisti, fare ricorso allo xenotrapianto, cioè a prelievi di origine animale (come il cuore di maiale, il più adatto a sostituire quello umano, o come gli ormoni di scimmia), anche modificando con metodi di ingegneria genetica gli animali destinati a fornire gli organi, nei cui embrioni verrebbero inseriti elementi di origine umana. A tal fine sono stati perciò già approntati degli allevamenti, per es. presso il Department of Surgery dell'università di Cambridge (Gran Bretagna), gruppo While e Cozzi.

La questione dei trapianti di organi o tessuti dai cadaveri ai corpi viventi ne comporta un'altra di natura bioetica, a essa strettamente connessa: quella dell''accertamento della morte' e, in certi casi, quella della decisione di troncare una vita, prolungata artificialmente o rifiutata per morire con dignità e con serena coscienza senza gli spasmi dell'agonia. Nel quadro dell'odierna civiltà tecnologica, il rapporto tra vita e morte è profondamente mutato, come si è già osservato a proposito del trapianto cardiaco. Dal punto di vista scientifico, esso non è più concepito come un trapasso immediato e decisivo, giacché la cessazione della vita non avviene in un punto, come prima si credeva, ma è un processo graduale di necrosi: non c'è la morte, ma c'è il morire. Oggi i ritrovati tecnologici consentono anzi di prolungare artificialmente la vita oltre il suo limite naturale con alimentazione, respirazione e battito cardiaco artificiali; è quello che si chiama 'accanimento terapeutico', praticato talvolta per esigenze di carattere politico (come nei casi di capi di Stato, quali Tito e Franco) o per richieste di parenti o eredi. Il sintomo ormai accettato della morte definitiva è quello stabilito dalla Harvard Medical School nel 1968, e così definito nella legge italiana 29 dic. 1993 nr. 578: "la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo" (mentre prima veniva indicata la cessazione del battito cardiaco). Tale principio è regolato dal d.p.r. 22 ag. 1994 nr. 582. Sono dunque gli strumenti di rilevamento elettronico a segnare il limite della vita, come sono le apparecchiature di sostegno tecnologico a prolungarla artificialmente: sicché si pone talora il problema etico di se e quando 'staccare la spina', cioè rendere inoperanti gli apparecchi che mantengono una vita inerte.

Eutanasia

Alla facoltà del medico di far varcare il confine ultimo dell'esistenza umana si ricollega la questione dell'eutanasia o della 'buona morte', procurata per porre fine alle sofferenze del malato col suo esplicito consenso, contravvenendo però al giuramento di Ippocrate, che prescrive al medico di non abbreviare la vita umana. Si fa distinzione fra l''eutanasia attiva' (quando il medico, su richiesta del paziente, ne affretta la fine) ed 'eutanasia passiva' (quando il medico, in presenza delle sofferenze patite dal malato, si limita a non contrastare ulteriormente il sopravvenire della morte). Sebbene una 'Raccomandazione sui diritti dei malati e dei morenti', approvata dall'assemblea del Consiglio d'Europa nel maggio 1976, dischiuda una prospettiva sull'eutanasia attiva, solo l'Olanda ha mostrato di consentire l'applicazione di questa in forma esplicita. Vi è tuttavia una zona intermedia fra le due forme di eutanasia, in quanto un'anticipazione dell'esito mortale, dovuta alle terapie analgesiche (per es., il trattamento del dolore con oppiacei per 'via spinale'), non comporta responsabilità per il medico curante .

Sperimentazione sull'uomo

Dal continuo progresso che si verifica nel campo ormai reso comune di biologia e medicina, progresso che avviene grazie all'apporto dei risultati della sperimentazione sugli animali e sull'uomo, sorgono nuove questioni bioetiche. Relativamente alla sperimentazione sull'uomo, emerge il problema del 'consenso informato' e cioè della cosciente e libera volontà di assoggettarsi a un esperimento. Gli orrori degli esperimenti compiuti su prigioniere e prigionieri nei campi di concentramento nazisti, rivelati nel dopoguerra, hanno suscitato una profonda reazione di ripulsa nella coscienza di scienziati e di giuristi, che ha generato apposite prescrizioni e divieti nei codici di deontologia medica e nelle legislazioni di carattere sanitario. Nella Costituzione italiana, per l'art. 13, co. 4, "è punita ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà" (dunque anche negli ospedali); e per l'art. 32, co. 2, "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Il consenso informato della persona sottoposta a sperimentazione scientifica o terapeutica può essere verbale o scritto, e può essere sostituito da quello della famiglia o dell'autorità giudiziaria nei casi in cui l'interessato sia minore o incapace. Esso è il principio fondamentale della Convenzione europea del novembre 1996, sopra ricordata.

Anche sull'applicazione di tale principio non mancano le questioni aperte di carattere bioetico. Il Parlamento europeo approvò il 16 sett. 1992 una risoluzione che ammette "la sterilizzazione del minorato mentale, con l'accordo della famiglia, dei medici curanti e dell'autorità giudiziaria, onde consentirgli una vita sessuale normale e felice, priva di conseguenze insostenibili". Essa venne contestata da una minoranza di votanti (52 su 220), in base a un giudizio di condanna della sterilizzazione; ma la maggioranza ritenne di avere espresso un'affermazione di quel diritto alla felicità che costituisce, con il diritto alla vita, inteso come diritto all'integrità fisica e alla salute, e con il diritto di libertà, che è la stessa vita morale dell'individuo, uno dei diritti umani fondamentali, che sono i cardini del giudizio bioetico.

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