BOLLANDISTI

Enciclopedia Italiana (1930)

BOLLANDISTI

Baudouin de Gaiffier

La società dei bollandisti deve il suo nome al gesuita Jean Bolland che intraprese la pubblicazione degli Acta Sanctorum (v.).

Le origini. - L'opera di Jean Bolland è strettamente collegata ai lavori del gesuita belga Heribert Rosweyde (1569-1629). Costui, impressionato dal gran numero di scritti apocrifi che si trovano nella letteratura agiografica, concepì il progetto d'una vasta pubblicazione interamente consacrata alla storia dei santi. Comunicò i suoi piani al padre Olivier Manare, che nel 1603 percorreva il Belgio come visitatore. Il padre Manare, ritornato a Roma, consultò il generale Claudio Acquaviva (v.), che approvò il progetto. Il Rosweyde, trattenuto da altre occupazioni, non poté mettersi immediatamente all'opera. Appena fu libero, tracciò il piano della futura pubblicazione nel volumetto: Fasti Sanctorum quorum vitae in belgicis bibliothecis manuscriptae asservantur (Anversa 1607). Questo volumetto era ad un tempo un programma e un appello alla collaborazione del mondo erudito. Il piano prevedeva 18 volumi in-folio: i primi 3 volumi dovevano essere intitolati De vita Christi et festis eius; De vita beatae Mariae et festis eius; De Sanctorum festis diebus publice solemnibus; i 12 volumi seguenti dovevano contenere gli atti dei santi secondo l'ordine del calendario liturgico, e il 16° volume era destinato ai martirologi. Erano poi previsti 2 volumi di note e d'indici. Il volume delle note avrebbe poi dovuto costituire la sintesi, diviso in otto libri: De auctoribus vitarum Ss.; De tormentis Ss.; De imaginibus a.; De ritibus Ecclesiae, quorum hic mentio; De ritibus profanis, quorum hic mentio; De tempore seu chronologia; De locis seu chorographia; De verbis obscuris ordine alphabetico. Il libretto del Rosweyde non restò senza risposta; purtroppo ne conosciamo solo alcune, fra le quali quella del cardinal Bellarmino che non era molto incoraggiante. Spirito molto intraprendente, il Rosweyde, nonostante parecchie cariche di cui non si liberò che nel 1612, preparava altri lavori. Nel 1613 apparve il Martyrologium Adonis, preceduto dal compendio chiamato Vetus romanum e dal Martyrologium romanum del Baronio; nel 1615 uscì la sua opera capitale Vitae Patrum. Il Rosweyde non aveva che 60 anni quando lo colse la morte; egli non lasciava successori e l'opera era ancora allo stato di progetto. I superiori giudicarono che gli sforzi del Rosweyde non dovevano restar vani e che l'immenso materiale che egli aveva raccolto meritava d'essere utilizzato. Il padre Jean Bolland fu chiamato ad assumere questa gravosa successione, ma era persona capace di condurla a buon fine.

J. Bolland (nato nel 1596 a Julémont, vicino al villaggio di Bolland nel Limburgo belga, da cui prendeva nome la sua famiglia; morto nel 1665), quando a 36 anni fu chiamato a succedere al Rosweyde s'era guadagnato una reputazione di brillante professore, e le sue conoscenze dell'antichità giustificavano la scelta dei superiori. Egli modificò il piano del Rosweyde nei punti seguenti. Il Rosweyde aveva escluso dal suo piano i santi di cui non possediamo gli atti (passioni, biografie, ecc.): ciò significava l'esclusione di tutti quelli che sono conosciuti soltanto attraverso i martirologi, le cronache ed altri documenti analoghi; il Bolland invece decise di estendere le sue ricerche a tutti i santi. Il Rosweyde aveva rimandato al penultimo dei suoi volumi tutti i commenti; il Bolland invece preferì aggiungere alle notizie di ogni santo il suo commento. Queste modificazioni davano maggiore ampiezza all'opera, e le forze d'un sol uomo non potevano bastare a compierla. I superiori, ad istanza del Bolland, decisero di dargli un assistente nella persona di Godefroid Henschen (1601-1681), suo antico allievo. La scelta era eccellente. Il giovane religioso si mise subito all'opera, e mentre il suo maestro s'occupava dei santi del mese di gennaio, egli preparava i commenti e i testi relativi ai santi di febbraio. Il Bolland aveva già cominciato la pubblicazione del primo volume, quando il suo allievo gli consegnò come saggio del suo lavoro un commento sulla vita di san Vaast e di sant'Amand. Questo lavoro ha un'importanza considerevole nella storia degli Acta Sanctorum. Le notizie di ogni santo vennero da allora in poi raccolte secondo il medesimo piano. Il Henschen, infatti, non s'era contentato di pubblicare i testi e di aggiungervi un breve commento; egli aveva anche studiato tutte le questioni che potevano illustrare i documenti: questioni di cronologia, biografie d'autori, ecc. Il Bolland fu tanto soddisfatto di questo lavoro che sospese la pubblicazione già incominciata e si diede col suo allievo a rifondere le notizie del mese di gennaio secondo lo stesso metodo. Dopo quest'ultima modificazione l'opera fu lanciata definitivamente. Nel 1643 uscirono i due primi volumi, nel 1658 i tre volumi di febbraio. Un anno dopo, nel 1659, un nuovo aiuto veniva associato all'opera: questi doveva essere il bollandista per eccellenza, Daniel Papebroch (1628-1714). Lavoratore infaticabile, spirito fermo ed equilibrato, scrittore elegante, riuniva tutte le qualità degli eruditi di razza. Bolland, Henschen, Papebroch furono i fondatori dell'opera; e non si sa se bisogna più ammirare l'ingegno di questi tre eruditi o il loro accordo perfetto.

Il Papebroch collaborò a 19 volumi (dal I vol. di marzo fino al VI di giugno). In più d'una circostanza ebbe a dimostrare che l'uomo e il religioso non erano inferiori all'erudito. È nota la controversia che mise di fronte il Mabillon e il Papebroch. Essa sta alle origini degli studî diplomatici, e nella storia dell'erudizione ci presenta un esempio ammirevole di due spiriti che cercano lealmente la verità, senza cavilli né meschinerie. Ma il Papebroch doveva incontrare anche altre difficoltà e subire ripetuti attacchi. Il più rumoroso fu quello del padre Sébastien de Saint-Paul, dell'ordine dei carmelitani. Il Papebroch, essendosi occupato di S. Alberto patriarca di Gerusalemme e autore della regola dei carmelitani, pubblicò senza reticenze i risultati delle sue ricerche. I carmelitani s'agitarono e Sébastien de SaintPaul compilò una lunga memoria Exhibitio errorum quos P. Daniel Papebrochius societatis Iesu suis in notis ad Acta Sanctorum commisit, Colonia 1693. L'autore implicava contemporaneamente nella questione la corte di Roma e l'Inquisizione di Spagna; il risultaio ne fu che i volumi di marzo, aprile, maggio, compreso il propileo di maggio, furono dopo un rapido esame messi fra i libri proibiti (14 novembre 1695). Il Papebroch, che fino allora aveva sopportato senza commuoversi questi attacchi, non volle che si sospettasse della sua fede e rispose con la Responsio Danielis Papebrochii.... ad exhibitionem errorum per adm. R. P. Sebastianum a S. Paulo, Anversa 1696. Questa dolorosa polemica, così aliena dal lavoro scientifico, ebbe termine nel 1715, un anno dopo la morte del grande critico, quando fu tolta la condanna del 1695; tuttavia la polemica non solo ritardò il corso regolare dell'opera, ma creò in certi ambienti un'attitudine di diffidenza: i successori del Papebroch ne subirono spesso le conseguenze, e alcuni dei loro commenti ne conservano qualche traccia.

Secolo XVIII. - Il triumvirato dei fondatori ci porta fino al principio del sec. XVIII. Sarebbe troppo lungo passare in rassegna i collaboratori che ad uno ad uno portarono la loro pietra all'edificio. Si suole dividere la storia degli Acta Sanctorum, dalle origini fino alla soppressione della Compagnia di Gesù, in quattro periodi. Il primo è quello dei fondatori, il secondo si collega al nome del Du Sollier (1669-1740). Dopo i gloriosi inizî, questo periodo appare un po' sbiadito: nell'esecuzione dei commenti gli autori si lasciano facilmente trascinare a lunghe dissertazioni e sacrificano qualche volta il lavoro d'edizione dei testi. Il nome dello Stilting (1703-1762) domina il terzo periodo: i commenti tradiscono preoccupazioni in cui campeggia troppo la polemica. Infine, durante il quarto periodo, gli avvenimenti esterni hanno una dolorosa ripercussione sull'opera: l'attività scientifica è ostacolata da moltissime difficoltà, e nonostante gli sforzi dei collaboratori l'opera è travolta dalla bufera rivoluzionaria.

La rovina. - Nel 1773 la Compagnia di Gesù era soppressa. Questa misura doveva avere il suo contraccolpo sull'opera dei bollandisti. Fino ad allora i bollandisti erano stati reclutati fra i gesuiti. Il governo austriaco, che allora reggeva i destini del Belgio, si decise dopo molte esitazioni a lasciare sul luogo gli antichi collaboratori. Ma ben presto costoro furono obbligati ad abbandonare la casa di Anversa e a rifugiarsi nell'abbazia di Caudenberg a Bruxelles (1775). Vi restarono tuttavia solo fino al 1786, perché Giuseppe II metteva in esecuzione i suoi piani di riforma e le abbazie venivano soppresse. I gesuiti dovettero cercare e trovarono un altro rifugio; ma vi si erano appena ricoverati, che un decreto consumava l'opera di distruzione (1788), e i bollandisti dovettero cessare i loro lavori e liquidare i loro beni a profitto dello stato. Per fortuna la biblioteca, il fondo del magazzino, ed il materiale della tipografia furono riscattati dall'abbazia Norbertina di Tongerloo. Due degli antichi collaboratori vi si trasferirono e continuarono la collezione con l'aiuto di un antico canonico di Caudenberg e di tre canonici dell'abbazia di Tongerloo. Al sopravvenire poi della bufera rivoluzionaria, la biblioteca andò tutta dispersa e in parte distrutta.

Restaurazione. - Passarono parecchi anni prima che l'opera fosse richiamata in vita. Nel 1836 una società agiografica volle continuare in Francia la collezione degli Acta Sanctorum. L'opinione pubblica belga si commosse, e per lo zelo di alcune personalità, fra cui monsignor de Ram rettore dell'università di Lovanio, fu deciso di riorganizzare la società dei bollandisti. Si fece appello ai gesuiti belgi e la nuova società si costituì il 6 gennaio 1837. È facile immaginare a quali difficoltà andassero incontro gli scrittori che si riassumevano l'antico compito, ora tanto più arduo, in quanto la tradizione era spezzata; d'altra parte bisognava affrettarsi per allontanare la concorrenza straniera; per questo la bontà del lavoro ne risentì. Ma appena fu possibile procedere ad un reclutamento metodico, l'opera ritrovò la prosperità del passato. Il suo dominio s'estese per l'aggiunta delle lingue orientali: due eruditi molto stimati, i padri Carpentier e Matagne, s'incaricarono di questa nuova parte, ma la morte prematura non permise loro di fare quanto avrebbero potuto. Fra i collaboratori di questa prima rinascita è particolarmente notevole il padre Victor de Buck (1817-1876; v.). La morte prematura del padre de Buck mise di nuovo in pericolo l'esistenza dell'opera. Sopravvenne ancora un periodo di sospensione; poi l'opera riprese il suo corso sotto la direzione del padre Ch. de Smedt. Quando il de Smedt fu chiamato a prendere la direzione degli Acta Sanctorum era professore di storia ecclesiastica al collegio della Compagnia di Gesù a Lovanio. Aveva seguito il rapido sviluppo delle scienze storiche; già aveva pubblicato nelle Études religieuses importanti articoli sul metodo storico, riuniti più tardi sotto il titolo: Principes de la critique historique (Lipsia 1883). Le sue Dissertationes in primam aetatem (Gand 1876) avevano avuto larga diffusione. Il de Smedt era quindi adattissimo ad introdurre negli Acta Sanctorum le modificazioni rese necessarie dal progresso delle scienze storiche. Il primo volume di novembre (1887) è condotto secondo il nuovo metodo concepito dal padre de Smedt. Due innovazioni lo distinguono dai volumi precedenti: la prima consiste nel dare gli atti dei santi sotto tutte le forme in cui si presentano nei manoscritti: gli atti interpolati, apocrifi o leggendarî non vengono esclusi; si vuol far conoscere tutta l'agiografia dei santi, indicando con la massima esattezza la portata di ogni documento. In secondo luogo, gli agiografi si propongono di esaminare tutti i manoscritti, cercano di classificarli e di rilevarne minuziosamente le varianti. Questi due punti essenziali sono stati osservati nei volumi seguenti.

Attualmente l'opera continua il suo lungo e paziente lavoro sotto la direzione del P. H. Delehaye, che per il numero e l'importanza delle sue opere s'è acquistato fama universale.

L'ultimo volume (Novembris tomus IV, dies 9 et 1o), del 1925, è dovuto quasi interamente ai padri H. Delehaye e P. Peeters.

Per gli altri lavori agiografici intrapresi dai bollandisti in questo ultimo periodo, v. acta sanctorum.

Bibl.: Indichiamo qui le principali opere che trattano della storia dei bollandisti. Per le opere pubblicate dai bollandisti, vedi acta sanctorum. Si troverà nel Somemrvogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, la bibliografia completa delle opere di H. Rosweyde e degli altri bollandisti; v. anche J. van Hecke, De ratione universa operis (Bollandiani), pubblicato negli Acta Sanctorum, ottobre, VII; cardinal Pitra, Études sur la collection des Actes des Saints, Parigi 1850; Ch. de Smedt, voce Bollandists, in Catholic Encyclopaedia; H. Delehaye, À travers trois siècles. L'øuvre des Bollandistes, 1615-1915, Bruxelles 1920; Ch. De Smedt, Les fondateurs du Bollandisme, in Mélanges Godefroid Kurth, I, pp. 295-303; A. Palmieri, The Catholic Historical Review, n. s., III (1923), pp. 341-358; 517-530; H. Lamy, L'øuvre des Bollandistes à l'abbaye de Tongerloo, in Analecta Praemonstratensia, 1926, II, pp. 294-307, 379-390; III, pp. 61-80, 156-179, 284-313.

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