BONACOLSI, Rainaldo, detto Passerino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONACOLSI, Rainaldo, detto Passerino

Ingeborg Walter

Figlio di Giovannino (Zoanino) di Pinamonte (non si conosce il nome della madre che tuttavia dovette appartenere alla famiglia dei Gonzaga), era ancora in minore età quando il 1º genn. 1289, insieme con i fratelli Berardo, Guido detto Bottesella e Bonaventura detto Butirone, acquistò alcuni beni nel territorio di Villimpenta. Sempre insieme con i fratelli, nel 1291 sostenne la rivolta di Bardellone contro il padre Pinamonte, senza peraltro emergere in alcun modo durante il breve periodo della signoria dello zio. Sappiamo solo con sicurezza che egli, all'inasprirsi del conflitto tra Guido e Bardellone, fu bandito da Mantova, probabilmente all'inizio del 1299. Rifugiatosi a Verona, poté rientrare in patria poco tempo dopo, quando il 1º luglio 1299 Guido scacciò, con l'aiuto di Alberto Della Scala, Bardellone e s'insignorì di Mantova.

Nell'ambito degli accordi che sanzionarono l'alleanza tra Guido e lo Scaligero rientrò con tutta probabilità (i patti nuziali sono tramandati senza data) anche il matrimonio del B. con la nobile veronese Giglietta Nogarola, figlia di Zufredo e sorella di Bailardino, il quale era marito di una sorella di Alberto Della Scala, Caterina.In perfetto accordo con il fratello Guido, fu designato, con un atto del 13 nov. 1308, confermato dal consiglio generale di Mantova il 18 nov. successivo, suo vicario generale e successore nella signoria. Poco prima, il 12 sett. il B. aveva sostituito del resto il fratello, a quanto pare gravemente ammalato, nel consiglio con la qualifica di luogotenente, e quando Guido morì, nel gennaio dell'anno seguente, il passaggio dei poteri avvenne senza alcuna difficoltà.

Proseguendo la politica tradizionale della sua famiglia, nella primavera e nell'estate del 1309 egli rinnovò una serie di alleanze, soprattutto con Verona, ma anche con Parma, Modena, Brescia e Piacenza.

La relativa stabilità della situazione politica generale fu gravemente scossa dalla discesa di Enrico VII di Lussemburgo, che già nella primavera-estate del 1310 aveva mandato nell'Italia settentrionale una legazione per annunciare la sua venuta e per chiedere a Comuni e signori il giuramento di fedeltà. A Mantova i legati giunsero ai primi di luglio, e lì, secondo la loro testimonianza, vennero ricevuti con tutti gli onori. Il B. infatti, sebbene appaia poco sensibile al richiamo della tradizione ideologica dell'Impero, non intendeva discostarsi dalla politica filoimperiale perseguita dagli Scaligeri, i suoi più stretti alleati, nella speranza di potere sfruttare la discesa del re a proprio vantaggio.

Il 16 nov. 1310, alla notizia della venuta di Enrico VII in Italia, Zambono della Teyga e Maffeo de Michaelibus furono nominati procuratori del B. e del Comune di Mantova per rendere omaggio al re che raggiunsero il 2 dicembre ad Asti. Con l'occasione chiesero per il B. la conferma di Castel d'Ario, feudo della Chiesa tridentina, da quasi quarant'anni in possesso della famiglia Bonacolsi. Un'ambasceria dei Mantovani fu presente anche all'incoronazione di Enrico, avvenuta il 6 genn. 1311 a Milano.

A dispetto di questi omaggi formali, il B. non aveva osservato la tregua generale proclamata dal re e aveva iniziato, nell'ottobre del 1310, insieme con Alboino Della Scala, una guerra contro il Comune di Reggio, allo scopo di reintrodurvi la nobile famiglia dei Sesso e la loro fazione, occupando varie terre, tra le quali Reggiolo e Novi. In seguito alle proteste del Comune e del vescovo di Reggio, Enrico VII il 12 gennaio 1310 gli ordinò di sgomberare le terre occupate, ma non è noto con quale effetto.

Questi avvenimenti non sembrano aver seriamente turbato i rapporti del B. con il re. Molto più pericolosa per la sua signoria si dovette rivelare invece la politica "pacificatrice" inaugurata da Enrico VII, che si illudeva di riportare l'ordine e la pace nei Comuni italiani dilaniati dalle lotte interne con il richiamo dei relativi fuorusciti e la nomina di vicari imperiali al di sopra delle fazioni.

A Mantova assunse le funzioni di vicario imperiale il fiorentino Lapo degli Uberti, che vi era stato podestà nel 1296 e nel 1299 (la sua presenza nella città è attestata per la prima volta il 29 genn. 1311); sebbene non si abbiano notizie precise, è probabile che il B. sia stato costretto a rinunciare al capitanato, come fecero Alboino e Cangrande Della Scala a Verona il 10 febbr. 1311. Il nuovo vicario non tardò a richiamare in città i fuorusciti, i vecchi nemici cioè dei Bonacolsi, come i conti di Casaloldo, i Riva e i Gaffari (Ferreto nomina espressamente Cortese da Casaloldo e Venetico de' Gaffari) e i figli di Tagino Bonacolsi, Sarraceno e Bertone cugini del B., espulsi da Mantova nel 1299, quando Guido vi aveva instaurato la sua signoria. Ma ben presto scoppiarono violenti tumulti che si dicevano provocati dagli esuli, ma ai quali il B. non dovette essere estraneo. A placare la lotta delle fazioni non era valso neanche l'intervento del vescovo di Ginevra, inviato appositamente da Enrico VII. I fuorusciti furono ritenuti responsabili ed espulsi di nuovo dalla città. Insieme con loro fu cacciato anche il vicario Lapo degli Uberti che dovette lasciare Mantova probabilmente alla fine di marzo del 1311. A conferma del predominio nella città riconquistato pienamente dal B. venne, il 13 apr. 1311, la nomina a vita di podestà della Mercanzia.

Questi avvenimenti difficilmente potevano conciliarsi con le direttive ideologiche tracciate dal re, ma il B. preferì non tenerne conto per continuare a professarsi fedele sostenitore della causa imperiale in Italia, al punto da partecipare anche al lungo assedio di Brescia del maggio-settembre 1311. La sua presenza nel campo imperiale posto davanti a questa città è attestata da una serie di documenti stesi in quel periodo, nei quali il B. figura come testimone. Da Enrico VII riuscì a ottenere persino il vicariato imperiale di Mantova per sé e per il fratello Butirone, per la cospicua somma di 20.000 fiorini. Non è tramandato l'atto dell'investitura, la cui data si deve porre tra la primavera e l'estate del 1311 e sicuramente prima del 10 settembre, quando Enrico ordinò al B. di pagare il resto della somma pattuita, della quale aveva percepito fino allora solo 1.500 fiorini.

Sull'efficacia dell'investitura imperiale il B. doveva avere forti dubbi, visto che se la fece confermare, dopo la morte di Enrico VII (24 ag. 1313), dal consiglio generale di Mantova, con il proposito evidente di supplire alla debolezza dell'autorità imperiale con il consenso dei suoi concittadini, a miglior garanzia della sua signoria sulla città. L'atto di conferma emanato dal consiglio generale e definito dal Torelli un'"assurdo giuridico" (p. 143) riproduce, con pochissime varianti e aggiunte, il testo dello statuto per il capitanato di Guido del 1299, con la sola differenza che ora al termine di capitano è sostituito quello di vicario imperiale. Questa circostanza prova che le funzioni del vicario non erano ritenute diverse da quelle attribuite al capitano.

Nel frattempo, approfittando dello scompiglio generale provocato dalla discesa di Enrico VII, il B. aveva potuto acquistare la signoria di Modena. In questa città era stato nominato vicario imperiale nell'agosto del 1311 Francesco Pico della Mirandola, il quale, tuttavia, sconfitto a Baggiovara l'8 luglio 1312, fu catturato dai Bolognesi, sostenitori dei fuorusciti guelfi modenesi. Davanti al pericolo di un'occupazione bolognese, i Modenesi, e in particolare la fazione dei Grasulfi, offrirono la signoria al B., il quale già nell'agosto mandò un podestà di sua fiducia nella persona di Rambaldo de' Ramberti e il 15 ott. andò personalmente a Modena, dove gli fu conferita la signoria.

Anche in direzione di Cremona, l'antica antagonista di Mantova, il B. riuscì ad allargare in quegli anni la propria sfera di influenza. All'inizio del 1312 gli furono concessi da Enrico VII una serie di castelli nel territorio di questa città, dove i guelfi avevano riconquistato il potere, cacciando il vicario imperiale Giovanni da Castiglione. In seguito, il 27 marzo 1312, il B. e Galeazzo Visconti inflissero loro una grave sconfitta presso Soncino. Nella battaglia il capo dei guelfi cremonesi, Guglielmo Cavalcabò, perse la vita, senza però che la città passasse dalla parte imperiale.

Nonostante questi indubbi successi, nella primavera del 1313 l'imperatore mosse gravissime accuse contro il B. sospettato di tramare con i ribelli dell'Impero, e più precisamente con il signore di Parma, Giberto da Correggio, nel 1312 passato dalla parte guelfa, e con i Comuni di Cremona e di Reggio. Non è improbabile che i sospetti fossero in qualche modo fondati, dato che il B. nel settembre del 1312 aveva effettivamente concluso un trattato d'amicizia con Reggio. La sua posizione era aggravata dalla circostanza che egli non aveva ancora pagato il resto della somma pattuita per l'acquisto del vicariato e altri tributi dovuti all'imperatore che esigeva ancora la somma di 20.000 fiorini. Oltre a ciò si mostrava anche poco disposto a mandare in Toscana le truppe ausiliarie ripetutamente sollecitate da Enrico VII. Il 27 maggio 1313 fu affidata ad una legazione appositamente istituita l'istruzione di un processo contro di lui, con l'incarico di incarcerarlo insieme con il fratello Butirone e di affidare ad altra persona il vicariato di Mantova, ove le accuse fossero risultate fondate. Se questo provvedimento ebbe seguito non è noto; è probabile, però, che tutto venisse sospeso per la morte dell'imperatore.

L'improvvisa scomparsa di Enrico VII non provocò tuttavia un indebolimento delle forze ghibelline, che anzi si strinsero sempre di più fra loro, come dimostra la lega conclusa l'11 sett. 1314 tra il B. e il fratello Butirone, Cangrande Della Scala e Uguccione della Faggiuola signore di Pisa e Lucca. Contingenti mantovani parteciparono anche alla battaglia di Montecatini (15 luglio 1315), con la quale Uguccione riportò una clamorosa vittoria sui Fiorentini.

Forte di questi legami, ma soprattutto dell'aiuto di Cangrande, che da parte sua sosteneva nelle imprese contro Brescia, Padova e Treviso, il B. nel 1315 riprese la lotta contro Parma e Cremona, i Comuni guelfi vicini, riuniti temporaneamente sotto la signoria di Giberto da Correggio. Nell'ottobre di quell'anno i due alleati conquistarono nel corso di una scorreria varie località, tra cui Viadana, feudo dei Cavalcabò, Sabbioneta e il ponte di Dosolo. Nel 1316 fu presa Casalmaggiore.

La politica espansionistica perseguita tenacemente dal B. non fu arrestata neanche dall'intervento del papa Giovarmi XXII, che il 29 genn. 1317 nominò due legati, Bernardo Gui e Bertrando de la Tour, con il compito esplicito di riportare la pace in Italia. A tal fine il papa proibì il 31 marzo, sotto pena di scomunica, a tutti gli interessati di portare il titolo di vicario imperiale, con la giustificazione che l'impero era da considerarsi vacante dopo la doppia elezione del 1314 e la mancata approvazione di uno dei candidati da parte del pontefice.

Dopo trattative con Matteo Visconti, i legati giunsero nel giugno a Verona, dove cercarono inutilmente di indurre lo Scaligero a desistere dalla guerra contro Brescia, la cui signoria gli era stata offerta già nel 1314 dai fuorusciti ghibellini. Pochi giorni dopo, il 25 giugno, si presentarono a Mantova, senza ottenere nulla neanche dal Bonacolsi. In conseguenza, probabilmente ai primi del 1318 fu pronunciata la scomunica contro i tre capi ghibellini.

A dispetto dell'ostilità pontificia, l'anno 1317 fruttò al B. vari successi, in particolare nella lotta contro Parma, dove il 25 luglio 1316 era stata elirninata la signoria di Giberto da Correggio. Di conseguenza riuscì facile al B. di insediarvi un capitano di sua fiducia nella persona di Gherardo Buzzalini da Verona. La primavera dello stesso anno registrò anche una nuova spedizione contro. Cremona, dove nel maggio la fazione ghibellina era stata ancora una volta espulsa.

Nello stesso 1317 cominciò invece a vacillare la sua signoria a Modena, quando nel giugno vi si ripresentò Francesco Pico della Mirandola, il quale, neutralizzando la resistenza del podestà Federico Della Scala, provocò ai primi del 1318 un'insurrezione contro il B. e riacquistò la signoria della città.

Secondo il Chronicon Mutinense di Giovanni da Bazano (p. 83), Cangrande nell'agosto seguente avrebbe assicurato al B. la signoria di Cremona. Tuttavia, sebbene anche il Chronicon Parmense (p. 160) attribuisca al B. questo titolo, sembra si sia trattato di una forma piuttosto larvata di signoria. Il fatto è che nell'aprile del 1318 ghibellini cremonesi riconquistarono finalmente il potere eleggendo signore Ponzino Ponzoni, il quale però pare abbia potuto governare solo grazie al sostegno, anche militare, del Bonacolsi. La signoria ghibellina comunque ebbe fine il 23 nov. 1319, quando Giacomo Cavalcabò e Giberto da Correggio si impadronirono nuovamente della città.

Nello stesso periodo, e più precisamente tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre, Francesco Pico della Mirandola, che si era avventurato in una spedizione in aiuto di Carpi, ribellatasi a Manfredi Pio sostenuto dal B., fu costretto a cedere di nuovo la signoria di Modena al B., "certis pactis in brevi male servatis". Violando le garanzie da lui prestate, il B. nel 1321 fece arrestare il Pico con i figli, per assediare poi il castello della Mirandola che nel dicembre fu espugnato e raso al suolo. Francesco e i figli nella primavera seguente furono uccisi nel carcere di Castel d'Ario.

All'iniziativa pontificia si contrappose di lì a poco una ripresa della tradizionale influenza imperiale: nella primavera del 1323 si presentarono in Italia gli ambasciatori di Ludovico il Bavaro, il quale, dopo la vittoria riportata su Federico d'Asburgo nella battaglia di Mühldorf (28 sett. 1322), intendeva sondare il terreno per la sua discesa nella penisola. Nel maggio del 1323 Bertoldo di Marstetten, vicario imperiale, e Federico di Truhendingen giunsero a Mantova per iniziare trattative con il B. e Cangrande Della Scala, sollecitati a soccorrere Galeazzo Visconti assediato a Milano dalle truppe pontificie. Il loro arrivo interruppe bruscamente i negoziati che il cardinal legato Bertrand du Poujet aveva intavolato con il B. e con lo Scaligero per indurli a tornare nel seno della Chiesa e provocò la ripresa del processo ecclesiastico contro il B., affidato ai frati Barnaba e Onesto da Pavia: il 16 luglio fu citato a Piacenza, ma non si presentò, e il 30 genn. 1324, pochi giorni dopo il convegno di Palazzolo, fu scomunicato.

L'intervento degli ambasciatori del Bavaro determinò la ricostituzione della lega ghibellina, e già il 28 giugno 1323 il B., Cangrande e Obizzo d'Este conclusero a Ferrara un'alleanza sotto la tutela del re. Il 17 genn. 1324 si riunirono nel castello di Palazzolo, alla presenza di Bertoldo di Marstetten, i più potenti'capi ghibellini italiani, tra i quali erano il B., Cangrande Della Scala, Galeazzo Visconti, Castruccio Castracani e Rainaldo d'Este, per unirsi in lega.

Nel 1325 il B., di nuovo al centro della lotta, si vide costretto a difendere Modena dai fuorusciti guelfi e dai Comuni di Reggio e di Bologna. Una spedizione in soccorso di Azzone Visconti, che il 16 marzo 1325 si era impadronito di San Donnino, non ebbe successo. Per consolidare l'alleanza con gli Estensi, il B. nel settembre 1325 sposò intanto Ilice d'Este, sorella di Obizzo e di Rainaldo. Quindi si diresse, insieme con Obizzo, verso il territorio reggiano, conquistando vari castelli, tra i quali Fiorano e Sassuolo, appartenenti alla nobile famiglia dei Sassuolo, fuorusciti modenesi. Per rappresaglia i Bolognesi devastarono nell'agosto il territorio di Modena, ma, dopo una lunga lotta intorno al castello di Monteveglio, furono sconfitti dal B. e dai suoi alleati il 25 novembre presso Zappolino.

Ma l'anno seguente la riscossa guelfa mise il B. in gravi difficoltà: dopo aver riconquistato Sassuolo e vari altri castelli, le truppe pontificie nel luglio assalirono Modena, e si ritirarono solo dopo alcune settimane. La situazione divenne estremamente critica, quando nel settem bre e nell'ottobre Parma e Reggio si sottomisero al legato pontificio. Ancora nell'aprile del 1327 il B. riuscì a soffocare una sommossa, ma nel giugno seguente perse definitivamente la signoria su Modena, che sotto la spinta dei guelfi si arrese alla Chiesa. A nulla era dunque valsa la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro, sollecitata dai ghibellini. Il B. l'aveva raggiunto il 31 genn. 1327 a Trento, ma nel giugno, in coincidenza con la sua incoronazione a Milano, egli perdeva Modena.

Dopo quasi vent'anni di signoria, durante i quali sembrò spenta qualsiasi opposizione all'interno del Comune, una congiura mise improvvisamente fine al governo e alla vita del Bonacolsi. Il 16 ag. 1328 Luigi Gonzaga e i figli Guido, Filippo e Feltrino, parenti e fino a poco tempo prima seguaci dei Bonacolsi, con il sostegno di contingenti veronesi inviati dal vecchio alleato del B. Cangrande Della Scala, irruppero in città incitando il popolo alla rivolta. Nella mischia il B. fu ucciso, mentre il figlio Francesco e i nipoti figli di Butirone furono presi e incarcerati in Castel d'Ario, dove morirono di fame. Il 26 agosto fu confermato dal consiglio generale il capitanato di Mantova a Luigi Gonzaga. Il vicariato imperiale, invece, fu conferito il 29 apr. 1329 a Cangrande Della Scala, insieme con i beni del B. e del fratello Butirone, come prezzo del tradimento. Il disegno di Cangrande d'eliminare un alleato tanto potente quanto scornodo, per aver facile ragione del più debole Gonzaga ed estendere la sua signoria su Mantova riuscì vano: la sua morte, sopravvenuta il 22 luglio 1329, lasciò il Gonzaga arbitro della situazione.

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