CENTI, Bonaventura

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CENTI, Bonaventura (Bonaventura da Venezia, Bonaventura Veneto)

Gaspare De Caro

Nacque da Onorio, negli ultimi anni del secolo XV.

Non è noto il luogo di nascita, che è forse da identificare in Venezia, se il suo nome di religione non si riferisce soltanto alla sua abituale residenza. Il fatto però che egli si firmasse "Venetus" lascia supporre che fosse nato in altra località del territorio della Repubblica, forse in Brescia, città natale del padre.

Entrò, in data imprecisabile, tra i minori osservanti, ma sui primi anni della sua vita religiosa non si hanno notizie. Lo si trova nel 1528 a Venezia, dove godeva di notevole fama come teologo e predicatore: il 26 agosto di quell'anno, infatti, su richiesta dei rettori dell'ospedale degli Incurabili, che era divenuto uno dei centri più attivi della vita religiosa della città, Clemente VII, allora in Viterbo, lo autorizzava a predicare presso l'ospedale durante le ricorrenze dell'Avvento e della quaresima ed invitava le gerarchie dell'Ordine a non opporsi a questa predicazione.

Qualche cenno alla precedente attività del C. è offerto da una lettera del vescovo di Chieti Gian Pietro Carafa, il futuro Paolo IV, inviata da Venezia il 4 ott. 1532a Clemente VII per presentargli il C., "predicatore et confessore approbato, per molti anni, in questa città et in Napoli et in altre città d'Italia" (Monti, p. 78): la predicazione a Napoli dovrebbe essere precedente al 1528. Una conferma di questa attività fuori di Venezia è data dalla notizia che il 15 dic. 1529 fu autorizzato dai superiori del suo Ordine a predicare durante la quaresima successiva, nella collegiata di S. Antonio di Piacenza.

Ma abitualmente il teatro della attività del C. doveva essere soprattutto Venezia, dove risiedeva nel convento di S. Francesco della Vigna. Gli dava lustro la protezione di alcuni dei personaggi più noti della vita religiosa del tempo, il Carafa, il vescovo di Verona Gian Matteo Giberti, il fondatore dell'Ordine dei teatini Gaetano Thiene, ai quali il C. era probabilmente gradito perché sostenitore di una riforma religiosa del suo Ordine rivolta alla rigorosa osservanza della regola.

La provincia veneta dei minori osservanti era in quegli anni sconvolta da interminabili beghe, determinate in notevole misura da indisciplina e da ambizione personale di molti suoi esponenti, ma anche provocate da alcuni rilevanti problemi, come quello delle relazioni con i conventuali, che sotto il pontificato di Leone X erano stati separati dall'Ordine, e dall'esodo di molti osservanti nell'Ordine cappuccino. La necessità di risolvere questi problemi attraverso la restaurazione di una rigida disciplina dell'Ordine era vivamente sentita dalle gerarchie ecclesiastiche e da molti osservanti della provincia che finirono per costituire un vero partito capeggiato appunto dal Centi. Ma questo apprezzabile desiderio di riforma si esprimeva poi in atteggiamenti personalistici, in intrighi, in calunnie contro gli avversari che aggravavano piuttosto che risolvere il problema.

Il C. si distinse tra il 1528 e il 1532 nelle interminabili controversie che dividevano i frati, con la sua faziosità e le sue intemperanze.

Queste contese si sfrenarono particolarmente nel capitolo provinciale del 20 maggio 1530, dove l'elezione del ministro provinciale risultò quanto mai problematica giacché i frati si erano divisi in ben quattro inconciliabili fazioni. Il senese Bernardino Ochino, inviato a Venezia come commissario generalizio, dovette prodigarsi a lungo per escogitare una soluzione di compromesso, ma il C. non fu soddisfatto dell'elezione a provinciale di Nicola Malipiero e rivolse il suo malcontento contro l'Ochino al quale non risparmiò le critiche presso il Carafa, che allora risiedeva abitualmente a Venezia, e presso il Thiene. Ancor meno il C. rimase soddisfatto del capitolo svoltosi a Cittadella il 13 dic. 1531: dopo aver tentato invano di guadagnare ai propri candidati l'appoggio dell'Ochino, inviato ancora come commissario, questa volta per diretto intervento di Clemente VII, prese ad osteggiarlo apertamente, ad accusarlo di "astutia luciferiana", particolarmente presso il Giberti che infatti si comportò assai duramente verso il frate senese, pur riconoscendo implicitamente che il suo operato nel capitolo era stato incensurabile.

Il carattere intrigante e rissoso del C. non diminuiva però la stima che di lui avevano il Giberti, il Thiene ed il Carafa, soprattutto quest'ultimo, che lo sostenne sempre all'interno del suo Ordine, lo ebbe come collaboratore e nell'ottobre del 1532 lo inviò a Clemente VII, latore di un memoriale, redatto dallo stesso Carafa, che tracciava un amaro quadro dei costumi del clero veneziano, denunciava gravi pericoli di diffusione dell'eresia nella circolazione incontrollata dei libri e dei predicatori, specialmente regolari, e proponeva severe riforme. Ricevuto da Clemente VII il 2 novembre, il C. ne ebbe una risposta rinviante per la maggior parte delle proposte del Carafa, ad eccezione di quanto riguardava i cappuccini veneti, sui quali il C. ottenne per il suo Ordine un mandato di ispezione e correzione.

Anche dopo il suo ritorno a Venezia da questa missione, il C., che al principio del 1533 fu nominato guardiano del convento di S. Giobbe, continuò a collaborare con il Carafa e a tenerlo intormato della situazione dell'Ordine. Nel 1536 ottenne l'autorizzazione a ritirarsi in eremitaggio nell'oratorio di S. Maria degli Angeli e di Tutti i Santi alla Giudecca. Nel 1539, dimenticando le antiche controversie, riprese i rapporti con l'Ochino, allora passato ai cappuccini, sino ad ospitare stabilmente alla Giudecca alcuni frati da quello inviatigli. Ma quando, nel settembre 1542, venne a conoscenza delle accuse di eresia rivolte all'Ochino e della sua fuga, divenne un implacabile persecutore dei cappuccini veneziani e giunse sino a falsificare un ordine del Consiglio dei dieci perché essi fossero espulsi da Venezia. Tuttavia rimase in ottimi rapporti con i Dieci, poiché nel 1543, quando il nunzio apostolico Fabio Mignanelli incaricò il canonico lateranense Raffaele Comense di scrivere un trattato contro le prediche eretiche dell'Ochino sulla giustificazione e sulla confessione, il C. ebbe dal Consiglio il mandato di censore del libro.

Morì a Venezia tra la fine del 1550 e il principio dell'anno successivo.

Fonti e Bibl.: E. da Alençon, G. P. Carafa vescovo di Chieti (Paolo IV) e la riforma nell'Ordine dei minori dell'osservanza. Docum. ined. sul generalato di Paolo Pisotti e la provincia di S. Antonio, in Miscell. franc. di storia, di lettere, di arti, XIII(1911), pp. 34 s., 89 s., 92, 112 s.; G. M. Monti, Ricerche su papa Paolo IV Carafa con 108 docum. inediti, Benevento 1925, pp. 24 s., 78 s., 172; P. Paschini, S. Gaetano Thiene, G. P. Carafa e le origini dei chierici regolari teatini, Roma 1926, pp. 75-78; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 2, Roma 1929, pp. 498 s., 569 s.; B. Nicolini, Bernardino Ochino frate dell'Osservanza di San Francesco, in Atti della Accademia Pontaniana, II (1948-1949), pp. 93-96; Davide da Portogruaro, St. dei cappucc. veneti, I,Venezia 1951, passim; B. Nicolini, Il frate osservante B. de C. e il nunzio Fabio Mignanelli…,in Studi in on. di R. Filangieri, II,Napoli 1959, pp. 367-81.

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