ATTENDOLO, Bosio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ATTENDOLO, Bosio (Borsio, Bosso, Buoxo Attendoli)

Riccardo Capasso

Nacque nel 1411 da Muzio e da Antonia de, Salimbeni e ricevette il nome del fratello di Muzio, morto nel 1410. Nel 1430 fu creato governatore di Orvieto da papa Martino V, il che non gli impedì di partecipare a numerose imprese belliche.

Tra il 1430 e il 1440 ebbe probabilmente il comando degli eserciti senesi; nel 1440 si distinse combattendo in favore dei Fiorentini contro Niccolò Piccinino, inviato in Toscana dal duca di Milano, Filippo Maria Visconti, per distogliere Francesco Sforza che, al comando dei Veneti, da tempo era in guerra con il ducato di Milano; nel 1449, durante l'assedio che Francesco pose a Milano per abbattere la Repubblica ambrosiana, rimase gravemente ferito. Nel 1439, intanto, l'A. aveva sposato Cecilia Aldobrandeschi, figlia coerede di Guido, conte di Santa Fiora. In occasione del matrimonio l'A. fu creato nobile senese. Egli ebbe da Cecilia, morta intorno al 1451, due figli, Guido, il futuro conte di Santa Fiora, ed Anastasia, che venne maritata a Braccio Baglioni, primogenito di Malatesta.

Quando Francesco divenne duca di Milano (1450), l'A. restò ai suoi servigi e nel 1452 fu inviato ad affrontare Giberto e Manfredo da Correggio che, ribellatisi al duca, saccheggiavano il territorio sia del ducato sia quello dei Gonzaga, alleati di Francesco.

L'A., che si trovava a Lodi insieme con Angelo da Camposelvoli, raggiunse il nemico a Castel di Pui, lo assediò, lo costrinse al combattimento e lo pose in fuga. Nel 1460, insieme con il fratello Alessandro, fu uno dei capitani impiegati da Francesco Sforza nella guerra combattuta in favore di re Ferdinando di Napoli contro Giacomo Piccinino, al servizio di Giovanni d'Angiò, e, al comando di duemila cavalieri, partecipò valorosamente alla battaglia di S. Fabiano. Per alcuni anni ancora restò a difendere il re di Napoli contro Giacomo Piccinino e Giovanni d'Angiò. Nell'inverno del 1464 si trovava in Atri, come attesta una lettera di Angelo de Probis (7 febbraio) che, per conto dell'A., informava Alessandro Sforza, del quale era segretario, del triste stato degli alloggiamenti delle truppe dell'A.; in Atri conobbe Criseide di Capua che sposò in quell'anno stesso. Da questa ebbe tre figli: Francesco, Cassandra (morta anteriormente al 1467) e Costanza, andata sposa a Filippo M. Sforza.

Nella primavera del 1464 l'A. portò le armi contro gli abitanti di Ortona, ribellatisi a re Ferdinando, ed una lettera del 1° ag. 1464 (Arch. Sforza, in Arch. di Stato, Milano), dagli alloggiamenti d'Abruzzo, testimonia che egli era ancora agli ordini del re Ferdinando. È probabile che vi sia rimasto fino al 1466, anno in cui Ferdinando si liberò dei nemici; a sostegno di questa data abbiamo infatti una lettera (Arch. Sforza) che l'A. il 6 nov. 1467 scrisse da Parma al figlio Guido, che si recava contro i Savoia in guerra con il ducato di Milano. A quest'epoca dovrebbe attribuirsi la descrizione in ottava rima che il poeta parmense Andrea Baiardo fece di una giostra bandita a Parma, in occasione della festa dell'Assunzione, dall'Attendolo.

Il fedele e lungo servizio prestato al fratello Francesco ed al nipote Galeazzo Maria, duchi di Milano, fruttò all'A. molte ricompense: il 10 dic. 1466 la duchessa Bianca Maria consigliò il figlio Galeazzo Maria di concedere all'A. la signora di Castellarquato, anche per scontare alcuni stipendi dei quali l'A. era creditore nei riguardi delle inaridite casse dei ducato. L'11 dic. 1466 ricevette le terre di Varzi, Menconico, Vicoli e Chiavenna nel Milanese, ma probabilmente si trattò di una conferma, poiché questi feudi erano già stati concessi all'A. da Francesco Sforza. Nel 1470 avendo il ducato di Milano prestato nuovo giuramento a Galeazzo Maria e a sua moglie Bona, l'A., invitato (22, febbr. 1470) a recarsi in Milano per giurare anch'egli, ottemperò prontamentealla richiesta ed il 22 marzo dello stesso anno ricevette una nuova investitura dei feudi già in suo possesso. Il 1° marzo 1471 con diploma ducale (Arch. Sforza) venne iscritto nella nobiltà milanese, mentre tre anni dopo, trasferitosi a Parma, ottenne la cittadinanza di questa città.

L'8 febbr. 1476 l'A. fece testamento, istituendo Guido pieno possessore della contea di Santa Fiora, poiché Anastasia aveva rinunziato in favore dei padre alla sua quota (20 marzo 1461); a Francesco lasciò tutti i possessi di Lombardia, sotto la tutela e cura della madre, che a nome del figlio prestò giuramento al duca di Milano. Dal fatto che Criseide, dinanzi al giudice, assunse la tutela del figlio Francesco proprio in quell'anno è possibile dedurre che l'A. morì nel corso di esso.

Si noti infine che l'A. non portò mai il titolo di conte di Santa Fiora, che spesso gli viene erroneamente attribuito e che passò, insieme con la contea, al figlio Guido come eredità della madre Cecilia.

Fonti e Bibl.: P. Porcellio, Commentaria comitis Iacobi Picinini, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., XX, Mediolani 1731, col. 109; P. Giovio, Vita di Sforza Attendolo, in Bibl. stor. ital., II, Milano 1853, p. 79; A. Minuti, Vita di Muzio Attendolo Sforza, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Miscell. di storia italiana, VII,Torino 1869, p. 161; I. Ciampi, Cronache e statuti della città di Viterbo, in Documenti di storia italiana, V, Firenze 1872, pp. 202, 205, 223, 265, 266; L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, III, Milano 1872, pp. 358, 359. 512, 518, 571; L. Botta, Una inedita cronachetta degli Sforza, in Arch. stor. per le prov. napol., XIX (1894), pp. 724, 735; N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 175-198; P. Collenuccio, Compendio de le istorie del Regno di Napoli, Bari 1929, pp. 314 s.; P. Litta, Fam. cel. ital.: Gli Attendoli Sforza di Cotignola, I, Milano 1819, tav. 1; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 40, 50, 61 n. 2; G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, Roma 1935, I, 1, pp. 49, 342;II, p. 320; C. Argegni, Condottieri, Capitani, Tribuni, III, Milano 1936, pp. 236 s.

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