BORRONE, Broccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BORRONE, Broccardo

Giovanni Busino

Nato a Busseto (Parma) verso la prima metà del sec. XVI, studiò a Padova. Come chierico incaricato dell'insegnamento delle umanità fece parte del seguito di Girolamo Ragazzini prima a Treviso e poi dal 1586 a Caorle, dove costui fu chiamato a occupare la cattedra vescovile. Nel 1587 a Venezia venne imprigionato su ordine del patriarca Giovanni Trevisan, non si sa bene se per sodomia o per omicidio.

Stando in carcere scrisse una lettera affinché "mi mandi li mii robbi et tenghi solamente quei libri quali sono nella valliggia, li quali stratti o metta al necessario". La valigia, che si trovava negli appartamenti del vescovo di Caorle nel palazzo patriarcale, venne inviata al S. Uffizio, il quale naturalmente la fece aprire e, ritrovandovi alcuni libri proibiti, intentò senza esitazione un processo inquisitoriale. Era accusato di possedere la Aetici Cosmografia... cum scholiis Iosiae Simileri, la Cortigiana dell'Aretino e tre opere di Erasmo da Rotterdam, cioè i Colloquiorum familiarium opus, la Ratio perveniendi ad veram theologiam e l'Opus de conscribendis Epistolis:libri "tuto scelerati". Nel corso del secondo costituto, il 30 apr. 1587, il B. dichiarò senza ambagi: "...Io sono pronto a far ogni diffesa et mostrare ch'io sono catholico et credo quel che crede la S. Madre Chiesa". Il 2 maggio fu condannato alla pena seguente: "tu dichi 5 messe per li morti nei S. venerdì, e in quelli giorni tu dichi li sette salmi penitenziali con le sue preci, et per 5 venerdì digiuni, e di più che dimandi perdono a Monsignor Rev.mo di Caurli da te scandalizzato per quelli tue bugie". Avendo abiurato solennemente il 12 maggio 1587, venne rimesso in libertà. Forse a motivo del delitto comune per il quale era stato primitivamente imprigionato, venne espulso per due anni dal territorio veneto. Cosa sia stata la vita del B. dalla metà 1587 non si sa bene.

La prima data certa è questa: nel mese di aprile 1594 si trovava a Basilea. Nella matricola di quell'università fu registrato il suo nome dopo il pagamento di una rilevante tassa d'immatricolazione: una lira imperiale. Probabilmente si iscrisse all'università per usufruire di certi privilegi e procurarsi buone relazioni sociali. Alla fine dell'anno, prima della caduta delle nevi, partì. Nel 1595 è a Chiavenna. Allorché Giovanni Planta, già governatore della Valtellina, fu nominato commissario della città, il B. fu assunto come cancelliere per il periodo 1595-97.

Presto fu evidente che aveva tutti contro di lui. La popolazione di Chiavenna non riusciva a perdonargli di servire la causa dell'occupante, i Grigioni; alcuni cittadini grigioni, invece, non gli perdonavano di occupare un posto solitamente riservato a un cittadino delle Tre leghe. Gli uni e gli altri, comunque, erano d'accordo sulla necessità di sbarazzarsi di questo straniero ambizioso, colto, pieno di coraggio e d'iniziativa, incapace di prendere parte, in una maniera o in un'altra, alle lotte e alle passioni locali; di questo straniero avido di potere e costantemente in preda agli appetiti carnali. Gli fu intentato un processo per abuso di potere e per aver perturbato l'ordine pubblico. Una istruzione, invero assai sommaria, fu eseguita a Piuro dal delegato delle Tre leghe, Jakob Arpagaus. A conclusione di essa, il 5 marzo 1596, le Tre leghe ordinavano la cattura del Borrone. Il 31 marzo fu accusato: a) d'aver abbandonato l'Italia non per ragioni di religione, sebbene perché ricercato per sodomia; b) d'aver predicato il Vangelo a Traona sotto falso nome; c) d'aver dichiarato varie volte di voler ridiventare cattolico; d) d'aver domandato al vicario dell'Inquisizione un salvacondotto e d'essersi impegnato a provocare torbidi nel paese; e) d'abuso di potere nell'esercizio del suo ufficio di cancelliere, e precisamente di falsificazione di atti pubblici e d'uso illecito di fondi pubblici; f) d'aver ricevuto ingenti somme dal vicario dell'Inquisizione e d'averle sperperate al gioco. Il B. replicò alle accuse con argomenti assai convincenti. Ammise di essere stato processato una volta per sodomia, ma d'essere stato prosciolto, aggiunse, dal tribunale per non aver commesso il fatto. Infine chiese l'invio di un investigatore in Italia. I risultati dell'inchiesta in loco furono favorevoli al prevenuto: il 28 apr. 1596 fu rimesso in libertà. Le spese del processo, 150 corone, furono addebitate al grigionese dottor Andrea Ruinella.

Ma ecco che all'improvviso, il 15 giugno, le Tre leghe decidono d'espellere il B. dalla regione di Chiavenna perché la sua presenza è causa di torbidi nell'ordine pubblico. Si trasferì a Milano, dove visitò prima il cardinale-arcivescovo Federico Borromeo e poi il connestabile di Castiglia Juan Fernández de Velasco, governatore dello Stato, ma senza successo. Il cardinale sapeva come trattare gli avventurieri che pretendevano di cointeressarlo a piani di lotta contro i protestanti; e del resto non aveva dimenticato in quale situazione si era trovato suo zio, s. Carlo, poco prima di morire, quando aveva accettato il fantasioso piano di Rinaldo Tittone. Quanto al connestabile, era per temperamento assai scettico.

Il B. riprese il suo cammino. Ormai tutto il suo essere era dominato, da un desiderio sfrenato, che non gli dava più pace: vendicarsi; soltanto la vendetta poteva cancellare l'ingiuria e la vergogna di cui era stato coperto dai Grigioni. A Roma, in una città favorevole agli intrighi e ai piani ambiziosi, cominciò a preparare la sua vendetta. Le Tre leghe se ne inquietarono e pertanto il 4 febbr. 1598 decisero di riaprire l'istruttoria su di lui. Dopo due anni di inchieste, di indagini minuziose e pazienti, le autorità grigionesi si convinsero che il B. era un nemico pericoloso. Perciò, il 6 febbr. 1600, lo condannarono al bando perpetuo.

Nel frattempo il B. aveva intrecciato a Roma numerose relazioni. Jean Reydet, savoiardo e datario pontificio, agente di Thomas Pobel, vescovo di Saint-Paul-Trois-Châteaux, gli procurò una pensione pontificia e lo presentò a dritta e a manca: all'ambasciatore spagnolo, al cardinale Pietro Aldobrandini e a tantissime altre personalità del partito oltranzista. Questo partito, nonostante la ferma attitudine di Clemente VIII, diveniva sempre più forte: aveva interessato alla sua causa alti esponenti politici francesi, come Biron, Lux, il conte d'Auvergne, e naturalmente poteva contare sul duca di Savoia e sul nuovo governatore di Milano, don Pedro Enríquez de Acevedo, conte di Fuentes.

Il B. rivelò allora ai suoi nuovi amici un piano assai astuto: un piano di riconquista della Valtellina. Nel mese di maggio del 1601 uno degli agenti delle Tre leghe a Roma, il dottor Giorgio Pini di Traona, essendo venuto a conoscenza per caso della faccenda, ne informò immediatamente il giudice Hartmann von Hartmannis. Le Tre leghe decisero, il 17 giugno 1601, d'assegnare una taglia di 600 corone a chi riuscisse a catturare e consegnare il B. ai Grigioni. Nel mese di agosto uno speziale di nome Giovanni Antonio, che aveva abitato nello stesso albergo romano del B., consegnò al vicario delle Leghe, Antonio von Somving, una copia del piano. La reazione delle autorità dei Grigioni fu energica e pronta: il 19 settembre condannarono a morte il Borrone.

Il piano, di cui anche l'incaricato d'affari veneto G. P. Padavino riuscì a procurarsi una copia, fu pubblicato all'inizio di questo secolo da A. Giussani ed ha per titolo Informatione dello Stato et del Governo delli Signori Grisoni. Questa relazione, scritta in buon latino, è un testo pieno d'ardore, ora fremente d'un odio che i secoli non hanno potuto sfumare, ora vivace e d'una lepidezza senza pretese. Letta attentamente, rivela una sorprendente diversità, ampiezza e profondità di conoscenze. Il B. sa tutto dei Grigioni e ne parla senza troppa pedanteria, spesso con estro e, quando lo reputa necessario, con impudenza. Appena affrontata una questione, la riduce ai suoi principî, e poi la riprospetta in termini chiari. L'Informatione comincia con una descrizione penetrante del paese, della sua economia, del suo governo. Mostra quindi tutte le debolezze di questa regione, povera ed eternamente in preda alle lotte di fazione, e prospetta le iniziative più adatte per sfruttarne le debolezze. Consiglia di sottrarre la Valtellina ai Grigioni senza colpo ferire, vale a dire eliminando in anticipo i soli probabili nuclei di resistenza: i diciassette ministri evangelici di lingua italiana. I mezzi consigliati sono l'adulazione e la corruzione. Per il B. il problema è assai semplice: la natura umana è quella che è; si può dominarla o con l'adulazione o con la furberia e la forza. La morale, le passioni, la fede non hanno che rilevanze secondarie.

Nel frattempo la situazione politica generale era notevolmente peggiorata. La pace di Lione del 1601, aveva fissato la frontiera del ducato di Savoia sul Rodano. Solo il ponte di Grésin e la vallata di Chézery ormai univano il ducato alla Franca Contea. La Francia poteva interrompere facilmente questo stretto passaggio, e per conseguenza sopprimere la possibilità d'allacciamento tra gli Stati spagnoli della penisola e i Paesi Bassi. L'imperatore Rodolfo II era impegnato nelle guerre contro i Turchi; Clemente VIII a rafforzare il potere temporale del Papato; Venezia a fare la guerra agli Uscocchi: Francia e Spagna si trovavano pertanto l'una di fronte all'altra. Il piccolo passaggio a Oriente, la via della Valtellina, diveniva, per così dire, l'asse dell'equilibrio dell'Europa.

Quando il B. proponeva di riconquistare la Valtellina e di sbarrarne l'entrata dal solo lato indifeso, quello del lago, tentava, in fondo, di distruggere il faticoso equilibrio raggiunto. Perciò non ci meraviglia la violenza delle proteste dei Grigioni. Clemente VIII ammise d'essere al corrente del progetto, assicurando però d'aver respinto la proposta tendente a realizzarlo. Le sue affermazioni rispondevano a verità: in effetti il piano del B. non poteva trovare posto nel quadro della politica europea del papa.

Le pressioni dei Grigioni ottennero così un certo successo: al B. venne intimato di desistere dai suoi progetti sotto pena di essere privato della rendita papale se mai avesse provocato altre proteste diplomatiche. Il B. comprese allora che occorreva abbandonare Roma. Cedette la pensione e si fece nominare da padre Cherubino di Maurienne e da altri savoiardi procuratore della Congregazione di Nostra Signora della Compassione di Thonon. Lasciò Roma alla fine del mese di agosto del 1601 con la scusa di recarsi in Spagna, onde persuadere il re cattolico a stanziare un congruo contributo in favore dell'opera assistenziale creata da s. Francesco di Sales.

Verso la metà dell'autunno il B. è a Thonon. Il nunzio in Savoia, il vescovo di Forlì Corrado Tartarino, in una lettera del 23 novembre al cardinale Pietro Aldobrandini, assicurava che il B. era arrivato e che erano state prese le opportune disposizioni per agevolarne l'opera. La politica che ispirava l'azione della Congregazione era stata ben definita da padre Cherubino: "Que là où tant de belles offres ne voudroient pour les ranger au debvoir, que Sa Sainctété fit un peu semblant de vouloir ayder S. A. et menassa d'inciter tous les Princes catholiques contre eux". Una volta a Thonon, il B. riprese questa idea. Ormai la sua violenta avversione per i Grigioni lo portava a odiare tutti i protestanti, a tentare qualcosa per riscattare il suo onore macchiato. Bisognava mobilitare gli spiriti, incoraggiare i timorosi, convincere gli esitanti. A tal fine predispose una campagna propagandistica redigendo perfino un piano. Se ne conosce un riassunto, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, dal titolo Summa capitum confaederationis nuper initae adversus haereticos. Le idee di padre Cherubino vi sono riprese quasi integralmente, ma va precisato che il piano risultava vantaggioso solo per il duca di Savoia.

Con una propaganda sottile, il B. si proponeva di eccitare i protestanti e nello stesso tempo di impressionare i cattolici. Messo a punto questo progetto, partì da Thonon: alla fine di ottobre era nel Delfinato, dove si presentò al maresciallo Lesdiguières, al quale confessò di essere fuggito da Roma a causa della sua fede evangelica. Appunto a Roma, dalla bocca di suo zio, il cardinale Cesare Baronio, aveva appreso che la Spagna, la Francia e gli altri Stati cattolici avevano ordito una lega contro gli Stati protestanti e Ginevra in particolare: "pour extirper la religion réformée" - si legge nel registro del Consiglio della Signoria di Ginevra alla data del 14 novembre 1601, giorno in cui la notizia trasmessa da Lesdiguières in persona ai sindaci Roset, Chambrey e De Vérace fu registrata.

Ben presto le rivelazioni del B. si sparsero per tutta l'Europa protestante. Nicolas de Neufville, signore di Villeroy, notò con amarezza che il B. "trouva les espris de ceux ausquels il s'adressa sy susceptibles de ceste opinion", "que l'on ne luy ait seu trop mauvais grè d'avoir enfanté ce beau discours". Enrico IV comprese fulmineamente che bisognava smascherare l'impostore, mettere in chiaro le complicità, convincere i protestanti della lealtà della sua politica e i cattolici della sua fermezza. Contemporaneamente l'opinione pubblica si surriscaldava. Persino Pierre de l'Estoile annotava nel suo Journal le notizie che un amico di La Rochelle gli comunicava a proposito della "tournée" borroniana.

Alla fine del 1601 il B. si era trasferito in Germania. Negli Archivi di Stato di Ginevra è la copia d'una Harangue che pronunciò davanti al duca di Sassonia.

Vi si parla della solita lega, delle mene cattoliche contro i protestanti. In questa Harangue, che fu tradotta a Ginevra in francese, c'è dell'emozione, del calore, dell'immaginazione naturale e forte. Le digressioni sono abbondanti, ma né la chiarezza né una certa discrezione vi mancano. Se l'autore non cede di più al gusto delle rivelazioni è perché avverte il rischio d'essere attratto, incantato, e quindi di rivelare inavvertitamente i suoi pensieri intimi e segreti. Il B. vuole commuovere, eccitare; perciò evita di ricorrere a sottigliezze inutili.

Verso la fine di febbraio del 1602 era nei Paesi Bassi, ove "plusieurs sont entrez en des alarmes très grandes". Il duca di Sessa dirà più tardi che il B. si spacciava per plenipotenziario di Enrico IV e di Clemente VIII. Quest'ultimo non mostrava d'inquietarsene troppo, mentre Enrico IV traversava invece ore d'angoscia. La Spagna, con la scusa di prevenire un attacco turco e di scoraggiare la politica aggressiva dell'Inghilterra, stava procedendo ad una mobilitazione parziale.

Intanto a Thonon tutto era pronto. I Ginevrini erano particolarmente impressionati da tutte queste manifestazioni, che ritenevano puri espedienti per permettere al duca di Savoia di dissimulare l'attacco. Si mormorava che Clemente VIII avrebbe impedito al re di Francia d'intromettersi nella faccenda. Obiettivamente, l'attività del B. riusciva utile a Carlo Emanuele; anzi favoriva in quel momento il suo disegno politico e quello di s. Francesco di Sales: "Il importe surtout d'abattre Genève".

Nel mese d'aprile il B. arrivò in Inghilterra per cercare di persuadere Elisabetta della cattiva fede di Enrico IV, ma senza successo. La corte di Londra non si lasciò impressionare, essendo gli Inglesi, dirà l'ambasciatore francese, "déterminés et résolus au pis de ce qui leur peult arriver". Il B. fu espulso immediatamente dalle isole britanniche.

L'energia di Enrico IV, il suo intervento diplomatico in tutti i paesi dove agiva il B., a Roma in primo luogo, riducevano così gli intrighi di costui alle loro giuste proporzioni. La delusione del duca di Savoia fu grande. Ma, persuaso che "sempre più corde all'arco s'attaccano meglio è", Carlo Emanuele s'indirizzò subito verso altri porti. La congiura di Biron e del duca di Bouillon, l'affare del principe di Joinville seguirono immediatamente il fallimento dell'impresa del Borrone.

Le successive avventure del B. sono assai meno note. Nel 1603 era in Sassonia, e vi otteneva una pensione dal conte palatino Filippo Ludovico. In quest'epoca scrisse al principe Cristiano II di Sassonia per renderlo attento alla congiuntura politica assai difficile dei paesi protestanti. Ma le sue previsioni e analisi non furono apprezzate, cosicché abbandonò la Sassonia e andò in Boemia come mercenario in una compagnia comandata da Lorenzo Ramé, colonnello della cavalleria di Passau. Quasi con certezza nel 1609 era a Praga al servizio dell'arciduca Leopoldo, per il quale bisognava reclutare un esercito. Nel 1610 partecipò alle operazioni militari di Jülich. L'anno seguente l'esercito comandato da Ramé, Carlo Luigi di Sulz, Adolfo d'Altham, e Hans Ruprecht Hegenmuller fu inviato a Praga, ove gli Stati erano in rivolta contro il cattolicesimo di Rodolfo. Forse il B. s'incaricò di ottenere a Ramé l'appoggio della colonia italiana di Malá Strana e la collaborazione di numerosi mercenari italiani. Non si sa bene per quale motivo, e in quale mese dell'anno 1611, il B. "captus, ac capite plexus est", come dirà con aria soddisfatta un cronista grigione. La notizia non pare certa, dato che alcuni scritti firmati dal B. apparvero dopo il 1611.

Durante questo periodo il B. trovò modo di scrivere un Ritratto della Rezia, il cui autografo è conservato alla Biblioteca Trivulziana di Milano ed una fedelissima copia, eseguita nel 1683, nella Biblioteca Nazionale Braidense.

Si tratta di un trattatello politico: inizia ex abrupto con una specie di "Ecco i Grigioni" e tosto ci troviamo nel vivo del discorso. Non vi sono che fatti: ad essi si lascia il compito di parlare. Il tema della prosperità futura e quello dell'abbassamento presente s'equilibrano, si succedono, si sostituiscono senz'altra arte che quella d'un cuore troppo pieno. La polemica disperata contro la presente corruzione, contro il caos della vita politica, contro le insufficienze dell'organizzazione militare, l'impotenza del sistema economico beneficia di questo sfondo di sventure, d'inimicizie e di pericolo, che dà un aspetto unico alla polemica. Il B. propone una serie di riforme in tutti i settori, soprattutto in quello dell'organizzazione politica e del sistema di difesa. E non dimentica di consigliare che intorno al forte di Fuentes, che anni prima aveva progettato e che gli Spagnoli avevano costruito, si edificasse una serie di fortificazioni.

Il B. non può essere collocato né tra i suoi contemporanei sostenitori del diritto né tra quelli credenti nella ragion di stato. Per lui - e contrariamente a quasi tutti i suoi contemporanei - l'arte di governo si riduce all'arte della guerra. E qui è necessario richiamare alla memoria i capitoli XIV e XVII del Principe. Tuttavia il B. non dà nessuna teorizzazione del diritto assoluto, non fa concessioni alla teoria monocratica. Dichiara con energia che il potere deve essere forte, giammai totalitario. Ha fiducia nella bontà del sistema aristocratico, ma crede altresì nella potenza creatrice del popolo. Sente che è impossibile governare nell'isolamento. Tutto ciò lo spinge a indicare le condizioni d'una politica che non sia ingiusta: quella, cioè, che non scontenti il popolo. Una buona organizzazione politica deve essere capace di realizzare un rapporto di consultazione e scambio tra l'alto ed il basso della società, tra quelli che governano e quelli che sono governati.

Il sistema può creare talvolta situazioni sanguinarie, spietate, sordide. Purtroppo, gli uomini sono impotenti contro ciò. La vita è lotta. In un'epoca che aveva bandito il Machiavelli, il B. se ne dimostra discepolo; un discepolo un po' mitomane, un po' impostore, sempre in bilico tra la ciarla e l'avventura.

Nel 1619 apparve firmato dal B. un opuscolo in cui descrive la situazione religiosa e politica del regno di Boemia e propone provvedimenti concreti per convalidare la posizione degli evangelici della regione.

Non si conosce quando e come il B. concluse la sua vita avventurosa.

Opere: B. Baronii Nachricht an Churfürsten Christianum II. zu Sachsen,von denen blutigen Consiliis,so umb das Jahr 1603 wider die Evangelischen geschmiedet worden, in Unschuldige Nachrichten von Alten und neuen theologischen Sachsen, s.l. 1704, pp. 197-225; Discours vom dem Interposition werck und itzigem Zustandt im königreich Böhaimb. Sambt Baronij Brocardis Warnung von derer Sub una allerhandt Rathschläge wieder die Evangelischen 1619, s.l.né d.; Relazione di B. B. intorno alla Rezia,alla Valtellina ed ai contadi di Borunio e di Chiavenna (1601), in A. Giussani, Il forte di Fuentes. Episodi e documenti d'una lotta secolare per il dominio della Valtellina, Como 1905, pp. 350-364; Harangue de Cesar Baronius [sic] faite devant l'Electeur et duc de Saxe, in Bull. de la Société d'hist. et d'arch. de Genève, XII (1961), pp. 107-117; Ritratto della Rezia scritto da B. B. alli oratori delle tre leghe grisone detti Rheti ove si mostrano quanto vagliano e fassano quelle loro comunanze,come si governano et insieme quali mancanti et imperfettioni vi siano et de qual riforma havrebbero di bisogno, in Boll. d. Soc. stor. valtell., 16 (1962), pp. 39-60.

Fonti eBibl.: Tutte le fonti, edite ed inedite, sono discusse e citate in G. Busino, Italiani all'Università di Basilea dal 1460 al 1601, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XX (1958), pp. 506-507, 526; Id., Aventures et intrigues de B. B. à l'époque de l'Escalade, in Bull. de la Société d'histoire et d'arch. de Genève, XII (1961), pp. 89-117;Id., Prime ricerche su B. B., in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXIV (1962), pp. 130-167; Id., Di B. B. e del suo "Ritratto della Rezia", in Boll. della Soc. storica valtellinese, 16 (1962), pp. 25-60; Id., Nuove ricerche su B. B., in Boll. stor. piacentino, LVII (1962), pp. 155-67.Vedi inoltre: I. Bedrich Novak, Gli italiani di Praga e la presa di Malá Strana nel 1611, in Boll. d. Ist. di cultura ital. di Praga, III (1925), pp. 93-96;Id., Rudolf II a jeho pad, Praha 1935, pp. 141 ss.

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