BRUNASSO, Lorenzo, duca di San Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRUNASSO (Brunassi), Lorenzo, duca di San Filippo

Amedeo Quondam

Nacque a Napoli il 9 ott. 1709 da Giuseppe e da Margherita della Spina. Rivelò subito notevoli doti intellettuali nel corso dei suoi studi presso il collegio Massimo dei gesuiti, tanto che a soli 16 anni pubblicò il trattato De tropis et figuris (Napoli 1725): un testo esemplato sulla tradizione degli studi di retorica. Abbandonata la filosofia scolastica, si dedicò prevalentemente al diritto, conseguendo la laurea il 20 nov. 1726. Il B. esercitò attivamente la sua professione legale, come avvocato ordinario della città, distinguendosi per la compilazione di molte scritture in materia criminale. La sua carriera fu molto rapida: passato nella magistratura, divenne caporuota in più province del Regno.

Alcuni anni dopo compì un lungo viaggio attraverso l'Italia e la Germania; nel corso d'una sosta a Vienna sposò una giovane della nobile famiglia Orenghi. Carlo VI lo decorò, il 6 dic. 1732, col titolo di marchese di Martano e Calimera, e quindi il 13 dicembre il B. fu nominato giudice perpetuo della Gran corte della Vicaria. La sua ascesa nelle alte cariche della magistratura fu però interrotta per ragioni di salute: nel 1742 fu costretto a dimettersi e quindi a ritirarsi a vita privata. È questo l'avvenimento fondamentale della biografia del B., perché costituisce l'occasione del suo intenso dedicarsi alla poesia.

Già in precedenza il B. aveva manifestato, seppure indirettamente, il suo interesse per la letteratura, premettendo all'edizione delle Rime di Gherardo de Angelis (Napoli 1741)una Dissertazione poetica che, superando l'occasione celebrativa, mostrava bene il suo adeguamento alle linee essenziali della poetica arcadica.

Arcade col nome di Teopisto Carmideo, accademico cosentino, rossanese e messinese, il B. divenne ben presto una delle figure più rappresentative della cultura del primo Settecento napoletano, distinguendosi particolarmente nel campo della tragedia. La sua collocazione nel contesto delle varie proposte per il rinnovamento di questo genere letterario risulta storicamente abbastanza marginale, anche se la soluzione offerta, d'un dramma sacro pronto a recepire il gusto melodrammatico più diffuso, risulta d'un certo interesse. Già con la sua prima opera, La Genevieva (Napoli 1745), il B. indica i termini cui riferisce esplicitamente la propria operazione: si tratta di un dramma per musica, radicalmente lontano dalle proposte regolari di Maffei, Conti, Gravina, e sostanzialmente adeguato alla lezione metastasiana. Di diversa impostazione risulta invece La passione di Nostro Signor Gesù Cristo (Napoli 1745), sia per l'essere scritta in prosa sia per il suo collegarsi alla tradizione dell'oratorio sacro.

Più interessante è la tragedia Santa Perpetua martire (Napoli 1747), presentata da G. A. Sergio (che insiste nel concetto vulgato della poesia come sapienza "abbigliata di favole").

Divisa in tre atti, con l'utilizzazione del coro all'interno degli atti, l'opera procede per recitativi e arie (per le quali la musica fu composta da Giacomo Sellitto), che documentano con evidenza la disponibilità del B. al melodrammatico e al patetico arcadico di marca metastasiana. Importante è il collegamento con la musica, tanto che la didascalia della scena settima del I atto, relativa all'estasi di Perpetua, prevede un "dolce concerto d'istrumenti".

Il Marcelliano (Napoli 1752) non sposta i termini dei riferimenti essenziali della posizione teorica e di poetica del B., che risultano con maggior precisione dalla prefazione al volume che raccolse tutte le Tragedie di S. Pansuti e fu pubblicato a Napoli nel 1743.

Di fronte al tentativo di classicismo ortodosso e di restituzione della forma regolare della tragedia compiuto dal Pansuti, al di là delle convenzionali formule d'ossequio e di riconoscimento positivo, il B. resta sostanzialmente estraneo e impegnato su una linea di tragedia che, nel suo proporsi in moduli melodrammatici, si presenta in realtà antitetica proprio alla forma del Patisuti, di chiara ascendenza graviniana. Così pure, per restare sempre in un ambito di cultura napoletana, di fronte alle Tragedie cristiane di Annibale Marchese, il B. rivela una maggiore disponibilità d'adeguamento al gusto teatrale del primo Settecento, mentre nel Marchese il repertorio tematico "cristiano" e quasi sempre dedicato a martiri insigni per pietà e carità si sviluppa in un contesto regolarmente classicistico, pur nell'adozione del commento musicale e delle arie.

L'attività del B. non è tutta consegnata alla scrittura delle tragedie: accanto a un gruppo di rime (apparse nella miscellanea di Componimenti vari per le laudi dell'Immacolata Concezione di Maria fatti nell'Accademia solita tenersi presso il sig. don Giovannantonio Castagnola, e ancora negli Ultimi onori di letterati amici in morte del chiarissimo Orazio Pacifico,tra gli Arcadi Criteo Chilonio, Napoli 1743), curò la traduzione dell'opera del gesuita francese R. Du Tertre, Trattenimenti sopra la religione nei quali si stabiliscono i fondamenti della religione rivelata (Napoli 1749); e quindi la ristampa della traduzione dei Dialoghi di s. Gregorio (Napoli 1745) e quella della Vita di Cicerone di Conyers; Middleton (Napoli 1745).

Secondo la testimonianza del Mazzuchelli, il B. lasciò manoscritte le seguenti opere: un volumetto di poesie, volgarizzamenti da s. Giovanni Crisostomo, s. Basilio e s. Gregorio Nazianzeno.

Il B. morì di cancrena a Napoli il 23 marzo 1753.

Fonti e Bibl.: Modena, Bibl. Estense, Arch. Soli Muratori (69 lettere del B. al Muratori dal 1726 al 1749); Novelle letterarie (Firenze), IV (1743), col. 824; VI (1745), col. 663; VIII (1747), coll. 359-363; IX (1748), coll. 428-431 (vi sono pubblicate notizie sul B. e una lettera del Muratori a lui diretta, datata 11 giugno 1745); Epistolario di L. A. Muratori, a cura di M. Campori, voll. IX-XII, Modena 1905-1911, ad Indicem;G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2166-2168; E. Bertana, La tragedia, Milano s.d., p. 269; G. Natali, IlSettecento, Milano 1964, p. 284.

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