Buddha e il buddismo

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Buddha e il buddismo

Maurizio Paolillo

Un giovane principe che influenzò tutto il mondo orientale

Fra il 6° e il 5° secolo a.C. visse in India settentrionale un giovane di nobile casata, Siddharta Gautama. Fu dal suo 'risveglio' (da cui l'epiteto di Buddha, ossia "il Risvegliato") che ebbe inizio la tradizione spirituale nota come buddismo. Il punto di partenza della dottrina buddista consisteva nella presa di coscienza della sofferenza diffusa nel mondo e soprattutto delle cause che la producono; Buddha intese fornire la cura spirituale per sfuggire alla catena senza fine del dolore. Dopo la sua morte, il buddismo diede luogo a numerose e differenti scuole di pensiero e si diffuse in tutta l'Asia orientale. Ancora oggi, esso è seguito da centinaia di milioni di persone

Una religione o una filosofia?

Il buddismo può essere considerato una tradizione spirituale che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dell'umanità. Nel corso dei secoli, esso ha assunto varie forme, producendo una raffinata letteratura filosofica, ma anche un profondo culto popolare, di tipo religioso. Il buddismo è al tempo stesso una religione e una filosofia. Del resto, a pensarci bene, il cristianesimo stesso è certo una religione, ma ha anche dato luogo a opere filosofiche di altissimo livello: basti ricordare i testi di s. Agostino o di s. Tommaso d'Aquino. Inoltre, nel paese dove il buddismo è sorto (l'India), la religione e la filosofia non si sono mai affermate separatamente. Nel caso del buddismo, come per altre forme tradizionali dell'Asia orientale, è dunque meglio parlare di un insegnamento, che di volta in volta, a seconda delle epoche o di chi lo diffuse, assunse aspetti filosofici o religiosi.

Il Buddha è un personaggio storico?

Buddha in sanscrito significa "il Risvegliato": oggi, gli studiosi hanno ormai riconosciuto che questo nome si riferisce a un personaggio realmente esistito, Siddharta Gautama, vissuto tra il 560 e il 480 a.C. circa. Siddharta era il giovane figlio della famiglia nobiliare dei Sakya; è per questo che egli è chiamato nei testi buddisti anche Sakyamuni, "l'asceta dei Sakya". Nacque a Kapilavastu, nei pressi dell'attuale confine fra India e Nepal.

Dunque è indubbio che questo giovane principe sia esistito; possediamo però scarsi dati sulla sua vita. Le fonti che la descrivono sono infatti piene di particolari leggendari. Sappiamo che il padre si chiamava Suddhodana e la madre Maya e che in giovane età egli si sposò ed ebbe un figlio. Secondo una profezia nota a suo padre, la vita dorata e priva di affanni di Siddharta avrebbe avuto fine quando egli si fosse trovato di fronte alla sofferenza e alla morte. Nonostante gli ostacoli posti da Suddhodana, un giorno il principe riuscì a uscire dal palazzo e incontrò un vecchio, un malato, un cadavere e un monaco. Da quel momento, egli fu consapevole dell'esistenza della vecchiaia, della malattia e della morte, ma anche della serenità di chi si è staccato dal mondo, come il monaco da lui veduto.

Come Siddharta divenne il Buddha

Dopo il suo incontro con la sofferenza, Siddharta lasciò di notte il suo palazzo e la sua famiglia, e si liberò (come s. Francesco) dei suoi abiti nobiliari per vestirsi poveramente. Egli intraprese una serie di esperienze per giungere a comprendere il significato dell'esistenza: seguì l'insegnamento dei bramini, i sacerdoti indù, ma ne fu insoddisfatto; si ritirò poi nella foresta come un asceta (ascetismo), un uomo che vive solitario e lontano dal mondo. Infine, ai piedi di un grande albero di ficus, dopo aver superato le tentazioni di Mara, il sovrano infernale della Morte, Siddharta ebbe il 'Risveglio': la consapevolezza della causa del male, della sofferenza e della morte che sono presenti nel mondo.

Secondo la tradizione, dopo un primo momento di esitazione il Buddha decise di trasmettere questa conoscenza al mondo. Si recò a Benares, dove nel Parco delle Gazzelle pronunciò il suo famoso primo discorso: era l'inizio di una vita di insegnamento, che vide numerosi discepoli riunirsi attorno a lui per formare le prime comunità di monaci e di monache. Alla fine, superati gli ottanta anni di età, il Buddha si spense a Kushinagara. Ma la dottrina buddista continuò a vivere e a diffondersi.

La dottrina del Buddha: la presenza della sofferenza

I discorsi del Buddha sono stati trasmessi oralmente per alcuni secoli dopo la sua morte; solo verso il 1° secolo a.C. sono stati trascritti in lingua pali. Ma qual è lo scopo della dottrina buddista? Liberare l'essere vivente dalla sofferenza. La vita umana non può evitare la presenza del dolore e della morte, per un motivo molto semplice: tutto ciò che ha un principio deve avere una fine. Ogni esistenza è passeggera; l'uomo e la sua vita sono composti da una serie di fenomeni in continuo mutamento: nulla è permanente. Questa situazione riguarda non solo l'individuo, ma tutto ciò che è nell'Universo. Perfino gli dei un giorno cesseranno di esistere. La sofferenza è dunque connaturata all'essere umano, cioè fa parte della sua vita sin dal primo giorno. La non consapevolezza di questa verità da parte dell'uomo è definita 'ignoranza' (in sanscrito avidya): dunque, l'ignoranza non consiste semplicemente nel non essere colti, ma nel non rendersi conto del significato del mondo e della nostra stessa esistenza. È qui la radice del dolore e della sofferenza che spesso proviamo.

La cura per vincere la sofferenza

Nella dottrina del Buddha, l'Universo è visto come il frutto di una catena ininterrotta di fenomeni, ognuno legato all'altro: è il concetto di karma. Giungendo al Risveglio, il Buddha ha per primo spezzato questa catena, che rende prigionieri tutti gli esseri. Per il Buddha l'ignoranza, cioè la non conoscenza della vera natura transitoria (passeggera) di tutte le cose, fa vivere l'uomo in una 'illusione'. Le passioni umane, i vizi e i desideri (anche quelli che sembrano buoni) sono altrettante catene che rendono l'uomo prigioniero di questa illusione. Anche il dolore, la sofferenza sono il prodotto di tale illusione. Ma come vincerla? Il Buddha ricorre alle 'Quattro nobili verità' per definire le cause della sofferenza e la cura per superarla. La prima è la constatazione che ogni esistenza, poiché non è eterna, è dolorosa; la seconda è che la causa del dolore è la 'sete', cioè il desiderio, l'attaccamento per qualcosa: una persona, un oggetto, un'idea. Anche odiare una persona, un oggetto, un'idea è una forma di attaccamento, perché chi odia non è distaccato dall'oggetto del suo odio. La terza verità propone la soluzione: sopprimendo questa 'sete', si sopprimerà il dolore. La quarta verità, infine, fornisce il metodo, la strada per annullare l'ignoranza, e quindi il dolore. Si tratta degli 'Otto sentieri', otto virtù da praticare: la retta opinione, il retto proposito, la retta parola, la retta azione, il retto comportamento di vita, la retta aspirazione, la retta meditazione e la retta concentrazione mentale. Dunque, una vita virtuosa, oltre alla meditazione, è un valido aiuto per superare l'ignoranza.

Ma esiste qualcosa che non abbia fine?

Dunque per il Buddha ogni essere al mondo è destinato a estinguersi. Persino la nostra coscienza ‒ quella che ci fa dire "Io penso", "Io sono" ‒ esiste solo momentaneamente. In un certo senso, quindi, tutto ciò che è al mondo è illusorio, cioè è privo di verità profonda: l'Universo è considerato il 'regno di maya', parola che significa "illusione". La consapevolezza di ciò porta a squarciare il 'velo di maya', mettendo fine all'ignoranza: l'essere così 'liberato' può raggiungere quello che il buddismo chiama nirvana: uno stato paragonato a una fiamma che si spegne. Potremmo allora domandarci: a che serve raggiungere l'obiettivo della 'Liberazione' dal ciclo dell'esistenza, quello che il Buddha chiama nirvana, se dopo la vita non c'è nulla? Se di noi non resta nulla, allora a che serve la meditazione, la pratica delle virtù? Solo a vivere più serenamente questa vita? In realtà, non siamo sicuri se il Buddha ammettesse o meno l'esistenza di un principio eterno come fondamento di tutte le cose; sembra che egli non considerasse il parlare di ciò necessario ai fini del suo insegnamento. Il disaccordo su questo punto fu uno degli elementi che portarono alla nascita di diverse scuole buddiste.

Il Piccolo veicolo e il Grande veicolo

Dopo la morte del Buddha, ci furono diversi 'concili' (riunioni dei discepoli) che raccolsero gli insegnamenti del Maestro. Nacque così il 'Canone buddista' (in sanscrito Tripitaka, le "Tre ceste"): l'insieme delle opere buddiste, che riportano le parole del Buddha, le regole monastiche e i trattati e i commentari sulla dottrina. Il buddismo ebbe grande diffusione sotto il regno dell'imperatore Ashoka (3° secolo a.C.), quando esistevano già varie scuole che interpretavano diversamente il messaggio del Buddha. Una delle più importanti fu quella dei Theravadin. Il buddismo da essi predicato, noto come Hinayana ("Piccolo veicolo"), si diffuse ed è ancora oggi popolare a Ceylon e nel Sud-Est asiatico. Secondo la maggioranza degli studiosi, questa forma di buddismo, essenzialmente di tipo monastico, rappresenta ciò che c'è di più vicino alla dottrina dei primi tempi. Secondo gli esponenti dell'altra corrente buddista, il Mahayana ("Grande veicolo"), formatasi forse nel 1° secolo, l'Hinayana è invece una forma minore, riservata a chi ha un intelletto limitato e vuole ottenere la Liberazione soltanto per sé stesso, senza interessarsi alla sorte degli altri esseri.

La dottrina del Grande veicolo

Punto fondamentale della dottrina del Grande veicolo è la 'vacuità' (in sanscrito sunyata) di tutte le cose. Questo concetto indica che in nessuna cosa di questo mondo possiamo trovare la Realtà suprema: l'Universo è infatti il regno di maya, l'illusione. Ma, secondo il Grande veicolo, la 'buddità', cioè il perfetto stato del Buddha, è in ognuno di noi come un embrione, un germe: bisogna squarciare il 'velo di maya' per ritrovare dentro di noi l'eternità. Siddharta, il Buddha storico, fu visto come una manifestazione di questa 'buddità' eterna. Nella dottrina del Grande veicolo, così, apparve tutta una serie di Buddha del passato e del futuro, e si diffusero i jataka, i racconti che descrivevano le passate incarnazioni del Buddha, di solito nella forma di un animale. Proprio sulla base dell'uguaglianza profonda tra gli esseri, l'insegnamento del Mahayana diede grande importanza alla compassione; su di essa si fondava il concetto del bodhisattva ("essere del risveglio"): un essere che rinuncia al nirvana per ridiscendere nel mondo e aiutare gli altri a percorrere la sua stessa via. Il culto dei bodhisattva ebbe una enorme diffusione in Estremo Oriente, perfino superiore a quello per i Buddha. I più famosi furono: Avalokitesvara, il salvatore per eccellenza (in Cina e Giappone rappresentato a partire da una certa epoca in forma femminile); Manjusri, protettore della conoscenza sacra; Maitreya, considerato anche come il prossimo Buddha che apparirà sulla Terra. In epoca più tarda (8° secolo), il Grande veicolo giunse in Tibet: la fusione con gli elementi della religione locale portò alla nascita di una forma particolare, detta Vajrayana ("Veicolo di diamante"), che è ancora oggi tipica del buddismo in Tibet e in Mongolia.

La diffusione del Grande veicolo in Cina

Il Grande veicolo dall'India passò in Cina attraverso due strade. Una terrestre, dal Pakistan settentrionale alla Cina attraverso il deserto del Taklamakan; e una marittima, dal Golfo del Bengala fino alle coste della Cina meridionale. Il buddismo sarebbe giunto in Cina nel 1° secolo; inizialmente, ci fu qualche difficoltà da parte dei Cinesi nell'accettare il buddismo, una tradizione straniera che imponeva a chi voleva seguire la via del Risveglio il monachesimo, cioè la rinuncia a sposarsi e formare una famiglia. In Cina nacquero nuove scuole buddiste: così, quando il buddismo cessò di esistere in India nel 13° secolo, esso continuò a fiorire fuori dai confini. Fra le scuole buddiste di origine cinese, vanno ricordate il buddismo della Terra pura e il Chan. Il primo fu molto popolare presso il popolo cinese, poiché bastava la semplice invocazione del Buddha Amithaba per garantirsi il trasferimento dopo la morte nel suo paradiso; il secondo predicava la possibilità di un Risveglio immediato, senza passare attraverso lo studio dei testi sacri. Il Chan fu molto importante per lo sviluppo del pensiero buddista fuori dall'India, poiché si diffuse e fiorì anche in Giappone, dove fu chiamato Zen, e influenzò la società, l'arte e la cultura. Il buddismo visse in Cina un'epoca d'oro fra il 7° e il 9° secolo; poi, nell'842, fu colpito da una persecuzione, ordinata da un imperatore e dovuta anche all'eccessivo potere economico raggiunto dai centri buddisti, che danneggiava lo Stato. Tuttavia, il buddismo rimase nei secoli successivi molto diffuso e ancora oggi in Asia orientale esso è oggetto di un ampio culto popolare, con numerosi monasteri in attività.

Una delle vite passate di Buddha: l'elefante a sei zanne

"Una volta il Buddha predestinato nacque come figlio di un elefante che era a capo di una mandria di ottomila elefanti reali […]. Un giorno […] si recò in un boschetto […], e mentre si trovava là, colpì con la testa uno degli alberi; così facendo, una pioggia di foglie secche, rametti e formiche rosse cadde dal lato sopravvento, dove si trovava per caso sua moglie Chullasubhadda […]. Chullasubhadda si sentì offesa e provò rancore nei confronti del Grande Essere. Così […], pregò di rinascere come figlia di un sovrano, per diventare la consorte del re di Benares, e avere il potere di indurre il re a mandare un cacciatore a ferire e uccidere questo elefante con una freccia avvelenata. Quindi essa si consumò dal dolore e morì. A tempo debito i suoi perfidi desideri vennero esauditi, ed essa divenne la sposa prediletta del re di Benares […]. Si mise a letto fingendo di essere molto malata. Quando il re lo venne a sapere, si recò nella sua stanza, si sedette sul letto e le domandò: "Perché languisci, come una ghirlanda di fiori appassiti e calpestati ?". La regina rispose: "È per via di un desiderio che non può essere esaudito"; al che, il re le promise qualunque cosa desiderasse. Così essa fece chiamare a raccolta tutti i cacciatori del regno […], e disse loro che aveva sognato un magnifico elefante bianco a sei zanne, e che se il suo desiderio di possedere queste ultime non poteva venire soddisfatto, sarebbe morta. Scelse per l'impresa uno dei cacciatori […]. Egli […] dopo un viaggio estenuante durato sette anni, sette mesi, e sette giorni […], si trovò […] dove il Buddha predestinato e gli altri elefanti vivevano in pace e senza alcun sospetto […]. Quando il Grande Essere passò di lì, l'uomo lo colpì con una freccia avvelenata […]. L'elefante […] chiese al cacciatore che motivo avesse di ucciderlo. Il cacciatore gli raccontò la storia del sogno della regina di Benares. Il Grande Essere comprese appieno l'intera vicenda […]. Prese la sega nella proboscide, tagliò le zanne e le diede al cacciatore […]. Poi morì e venne bruciato su un rogo dagli altri elefanti. Il cacciatore riportò le zanne alla regina […]. Tenendo in grembo le splendide zanne […], fu pervasa da inconsolabile dolore, il suo cuore si spezzò ed essa morì quello stesso giorno. Molte epoche più tardi, essa nacque a Savatthi e si fece monaca. Un giorno si recò con altre sorelle a sentire la dottrina di Buddha. Contemplandolo […] si rammentò che un tempo era stata sua sposa, quand'egli era a capo di un branco di elefanti, e si rallegrò. Ma poi si ricordò anche della propria malvagità, e di come ne avesse provocato la morte […]; il suo cuore si gonfiò ed essa scoppiò in lacrime […]. La monaca stessa arrivò in seguito alla santità".

(A.K. Coomaraswamy, Vita di Buddha, 1993)

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