BUIANO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUIANO (Boiano)

Giovanni Cherubini

Una carta dell'ottobre 1129 fornisce la prima notizia del vescovo B., che vi si sottoscrive come "aretinus episcopus et comes" (Pasqui, I, n. 325). Una del gennaio 1130 dà, invece, alcune precise notizie sulla sua precedente posizione di preposto della canonica aretina e sulla modalità della sua elezione: "prius quidem prepositus canonice Sancti Donati, nunc autem electus ab ordinariis aritine ecclesie et a clero ac populo civitatis et comitatus" (ibid., n. 326).

Secondo il Pasqui, B. sarebbe disceso da una famiglia feudale originaria di una località chiamata Sezzano. Ma la testimonianza addotta come prova non appare affatto sicura: si tratta di una delle deposizioni raccolte dal cardinale Laborante, legato pontificio in Toscana, nel 1177-1180, per definire ancora una volta la secolare contesa tra i vescovi di Arezzo e di Siena a proposito di un gruppo di pievi di confine (ibid., p. 529 n. 8). Il testimone, un tal Panegrosso de Bibiano, racconta di uno scontro, cui assisté da bambino, tra partigiani del vescovo di Arezzo e partigiani del vescovo di Siena nel "burgum S. Quirici" subito dopo un ennesimo giudizio pontificio a favore della Chiesa aretina. Nel corso della sua deposizione fa menzione di un giovane che in quello scontro perdette una mano, "qui fuit, ut dicebatur, oriundus de Sezano et erat de familia Buiani prepositi aretini...". Il Pasqui, attribuendo senz'altro al termine "familia" il significato attuale, fa conseguentemente lo stesso B. oriundo di Sezzano. Egli aggiunge che B. discendeva "da una famiglia feudale", cosa probabilissima, data la profonda feudalizzazione della gerarchia ecclesiastica in questo periodo, ma non certo desumibile dalla deposizione di Panegrosso. Ma è la stessa interpretazione del termine "familia" che sembra discutibile: esso infatti indica probabilmente che il giovane ferito apparteneva alla schiera, all'entourage, del preposto, non che fosse suo parente. Cade in tal modo la possibilità di identificare, da questa testimonianza, il luogo di origine di Buiano.

Di particolare interesse per lo studio delle funzioni comitali non solo di B., ma dei vescovi-conti aretini in genere e della stessa struttura feudale del loro territorio è il documento, già ricordato, del gennaio 1130, con il quale il vescovo concede a Ramberto, abate dell'abbazia casentinese di Prataglia, "custodiam turris Marciani et vicecomitatum et castaldionatum, ut sit quasi secundus post eum in predicto castro ac curte", condonandogli la metà di ciò che "sub constituta quasi pensione ac redditu" veniva offerto ai vescovi di Arezzo a Natale, a Pasqua e il giorno di s. Donato (7 agosto), e di ciò che di regola veniva dato "a castaldionibus ingredientibus castaldionatum". Tale decisione era stata presa dal vescovo-conte ("cum idem predictus domnus Buianus comitis fungeretur offitio, causasque sibi commissas suo et iurisperitorum ingenio subtiliter examinaret") "consilio vicedomini Ingonis et aliorum procerum et Ildebrandini advocati, audito iam consilio Ildebrandini archidiaconi et Ugonis primicerii et consilio vavassorum suorumque fidelium" (p. 446), di tutti coloro, cioè, che si può supporre coadiuvassero, in qualche modo l'attività amministrativo-giurisdizionale di B. sul piano religioso o su quello civile o su entrambi nello stesso tempo.

Di B. sono rimasti vari altri atti. In quello cui abbiamo accennato dell'ottobre 1129, confermava una concessione feudale dell'abbazia di S. Flora e Lucilla; in quelli del 24 e del 26 sett. 1130 approvava degli atti di vendita e di permuta intercorsi tra la canonica e il monastero di Camaldoli. Nel gennaio 1132 concedeva al monastero di S. Pier Piccolo una parte della selva di Pescaiola, nei pressi della città. Nell'aprile riconosceva e approvava gli acquisti fatti dai camaldolesi a Cesa e Marciano nella Valdichiana, concedendo anzi "totam usuariam, quam inde soliti sumus habere ego aut successores mei" e riservandosi solamente "auditorium ad claudendum castrum de Cesa". Il 28 maggio confermava e aumentava le donazioni fatte dai suoi predecessori all'eremo di Camaldoli; nel giugno donava al monastero di S. Maria di Agnano la chiesa di S. Biagio entro la città, confermandogli ogni possedimento e la protezione episcopale. Nel gennaio 1133 acquistava la torre del castello di Sasseto e il terreno inedificato nel castello di Ranconico, cedendo in cambio diversi appezzamenti di terra. Nell'aprile prometteva all'abate di Strumi di tutelare la proprietà che il suo monastero aveva o avrebbe acquistato "infra totum aretinum episcopatum". Nel settembre 1134 confermava all'eremo di Camaldoli l'ospizio di Arcena.

Quando il pontefice Innocenzo II radunò in Pisa un concilio (30 maggio-6 giugno 1130) e lanciò la scomunica contro l'antipapa Anacleto II, fra i vari vescovi che vennero allora deposti fu anche B. (Bosone, p. 382); non risulta però che egli fosse un sostenitore di Anacleto (e alcuni dei suoi atti sono datati col pontificato di Innocenzo: Pasqui, nn. 327, 328, 332). Una breve relazione sul concilio pisano edita dal Bernheim giustifica la deposizione "pro et dolenda et horrenda destruccione bonorum ecclesiasticorum seu episcopalium" (p. 150).

Il Pasqui, ottimo conoscitore di cose aretine, afferma, purtroppo senza indicare le sue fonti, che B. non lasciò tuttavia la Chiesa aretina fino alla sua morte, avvenuta, a suo dire, nel 1136; egli avanza anche l'ipotesi che la deposizione sia stata soltanto una minaccia, oppure che sia stata revocata.

In una bolla pontificia del 22 apr. 1136 compare per la prima volta il nome del successore di B., Mauro (P. F. Kehr, Italia pontificia, III, Berolini 1908, p. 155).

Fonti e Bibl.: Docc. per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, acura di U. Pasqui, I, Firenze 1899, ad Indicem; IV, Arezzo 1904, p. 281; E. Bernheim, Ein bisher unbekannter Bericht vom Concil zu Pisa im Jahr 1135, in Zeitschrift für Kirchenrecht, XVI (1881), pp. 147-154; Bosone, Vita Innocentii II, in Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1955, p. 382; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze 1956, pp. 599 s., 605.

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