BURKINA FASO

Enciclopedia del Cinema (2003)

Burkina Faso

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

La cinematografia dell'ex Alto Volta, limitata a pochi titoli fino all'inizio degli anni Ottanta, ebbe una rapida crescita, quantitativa e qualitativa, a partire dal 1983, quando salì al potere Th. Sankara. Assunta una posizione anti-occidentale, il presidente rivoluzionario stabilì come obiettivi primari l'autosufficienza agricola del Paese, l'educazione e l'assistenza medica per la popolazione contadina (che rappresentava ancora il 90% della popolazione) e la promozione della condizione femminile. Contemporaneamente, Sankara avviò una forte campagna moralizzatrice, affidando ai comitati rivoluzionari il potere di processare per corruzione politici e burocrati e cambiando in B. F., ovvero "patria degli uomini integri e degni di rispetto", il nome dello Stato. Nono-stante il disperante quadro economico in cui si trovò a operare, Sankara favorì lo sviluppo della cultura e del cinema, sostenendo il Festival panafricain du cinéma et de la télévision de Ouagadougou (FESPACO); sorto nel 1969, nel breve periodo della sua presidenza (Sankara fu assassinato il 15 ottobre 1987) esso diventò appuntamento indispensabile di conoscenza e riflessione, nonché grande festa popolare, trasformando Ouagadougou in capitale del cinema africano e di tutta la produzione audiovisiva, grazie anche alla presenza, all'interno del festival biennale, del Marché international du cinéma et de la télévision africains (MICA).Nel 1970 la Société nationale voltaïque de cinéma (SONAVOCI) aveva nazionalizzato le sale e iniziato a sostenere la produzione dei primi film, compresi i lungometraggi Le sang des parias (1971) di Mamadou Djim Kola e Sur le chemin de la réconciliation (1976) di René-Bernard Yonli. Nello stesso anno era stata fondata la Fédération panafricaine des cinéastes (FEPACI) per sostenere la produzione e diffusione del cinema africano nel suo continente. Ruolo fondamentale e ambizioso, che avrebbe trovato difficoltà a concretizzarsi. Nel febbraio del 1991 la FEPACI ha fondato "Écrans d'Afrique", rivista panafricana di cinema, televisione e video che, per quasi dieci anni, ha svolto la funzione di informazione e di critica a proposito di cinematografie, autori e film del continente. Ma negli anni Settanta erano nate anche altre istituzioni, che spesso avrebbero deluso le aspettative, come il Consortium interafricain de distribution cinématographique (CIDC, 1972), il Centre interafricain de production de films (CIPROFILMS, 1974), gli stabilimenti di CINAFRIC che resero possibile la realizzazione dei film negli anni del boom, l'Institut africain d'éducation cinématographique (INAFEC, 1976-1987) e, successivamente, la Cinémathèque africaine (1995), dal difficile funzionamento.Il primo film di grande valore degli anni Ottanta è stato Wend kuuni (1982, Il dono di Dio), lungometraggio d'esordio di Gaston Kaboré, figura fondamentale nel cinema del B. F. degli ultimi vent'anni. Con estrema semplicità narrativa, il regista narra le vicende di un bambino che ha perso la parola in seguito alla morte della madre e che viene cresciuto da una famiglia adottiva. Questo stile si ripresenta anche negli altri suoi lavori, le favole Rabi (1992) e Buud-Yam (1997), e il politico Zan Boko (1988, Terra senza voce). Altri film di quel periodo sono Pawéogo (1982, L'emigrante) di Daniel Kollo Sanou, commedia con protagonista un contadino che vuole lasciare le proprie terre per andare in Costa d'Avorio; Jours de tourmente (1983) di Paul Zoumbara, racconto ancora d'ambientazione rurale, in cui vengono osservate le divergenze generazionali sui metodi di lavoro nei campi; Desebagato (1987, L'ultimo salario) di Emmanuel Kalifa Sanon e L'histoire d'Orokia (1987) di Jacob Sou e Jacques Oppenheim, che affrontano, rispettivamente, il tema dello sfruttamento nelle fabbriche e quello delle leggi che impongono i matrimoni forzati.Negli anni Ottanta ha fatto la sua comparsa anche Idrissa Ouedraogo, il fuoriclasse della cinematografia del B. F. e dell'Africa subsahariana. Grande narratore e al tempo stesso appassionato e teorico della sperimentazione, il cineasta ha affrontato gli aspetti del vissuto quotidiano, della cultura e della memoria, facendoli riaffiorare da generi forti e classici come la commedia, il melodramma, il western. Film del calibro di Yaaba (1989, Nonna), Tilai (1990, Legge), Kini & Adams (1997) hanno confermato la continua ricerca espressiva dell'autore burkinabé. Altri registi hanno disegnato ulteriori aspetti del cinema del Burkina Faso. Il panorama degli anni Novanta si è arricchito dei lavori di S. Pierre Yameogo, Fanta Regina Nacro, Drissa Touré, Dani Kouyaté. L'istruzione, la vita in città, la corruzione sono argomenti descritti da Yameogo in Laafi (1991, Va tutto bene), Wendemu, l'enfant du bon Dieu (1993), Silmandé (1998, Bufera, noto con il titolo Tourbillon). Nacro usa la comicità a fini didattici per parlare dei rapporti di coppia e del sesso in Un certain matin (1992), Puk nini (1995, Apri gli occhi) e Le truc de Konaté (1998). Al centro del film Haramuya (1995, La proscrizione) di Touré è la capitale Ouagadougou, dove Kouyaté ambienta la serie televisiva sui giovani di un liceo, À nous la vie (1998), dopo aver raccontato con Keïta, l'héritage du griot (1995) la complicità che si instaura tra un bambino e un cantastorie. I bambini e gli adolescenti, elemento centrale di molti film, trovano spazio anche nelle opere di Moustapha Dao, À nous la rue (1986), Le neveu du peintre (1989) e L'enfant et le caïman (1991), come in Souko, le cinématographe en carton (1998) di Issiaka Konaté.

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