BUSSONE, Francesco, detto il Carmagnola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUSSONE, Francesco, detto il Carmagnola

Daniel M. Bueno de Mesquita

Nacque a Carmagnola da umile famiglia, probabilmente intorno al 1385. Dei suoi primi anni di vita mancano notizie: sappiamo soltanto che abbandonò la città natale appena fu in grado di arruolarsi nell'esercito di Facino Cane, al cui servizio rimase fino alla morte di questo (16 maggio 1412). Più tardi il B. dichiarò che come prima condotta aveva ricevuto il comando di duecento lance: il che può servire a calcolare il grado che il B. dovette raggiungere alla morte di Facino. Passò, quindi, al servizio di Filippo Maria Visconti e fu uno dei capitani che conquistarono Milano (16 giugno 1412). Ben presto si guadagnò particolare considerazione presso il nuovo duca: testimone a un atto di governo il 23 giugno 1412, il 19 settembre dello stesso anno era già consiliarius ducalis, un anno più tardi generalis marescalcus, e infine - al più tardi intorno al 1416 - generalis capitaneus al comando supremo delle armate ducali.

In una pressocché ininterrotta serie di campagne, dal 1412 al 1422, il B. eliminò i signori che dominavano le città lombarde e restaurò l'autorità del Visconti sull'intera regione. Per raggiungere tale scopo il B. condusse all'inizio le operazioni militari nella fascia più vicina a Milano, assediando le fortezze che minacciavano direttamente la città, come Monza, che capitolò nelle sue mani nel 1413, Lodi, dove entrò il 20 ag. 1416, e la potente fortezza di Trezzo, che si arrese l'11 genn. 1417. Quando Alessandria si ribellò nel 1415, il B., grazie alla rapidità della sua azione, la riconquistò in una settimana. Nella primavera del 1417 Filippo Maria Visconti, consolidato il suo potere in Milano e con maggiori mezzi a disposizione, utilizzò il B. in una serie di campagne ben più ambiziose, dirette contro i nemici ancora rimastigli nella regione i quali avevano stretto tra loro una lega contro di lui. In questa seconda fase il B. combinò operazioni di assedio su larga scala con rapidi movimenti intesi a impedire il congiungimento delle forze nemiche. Filippo Arcelli abbandonò Piacenza, dopo aver subito un lungo assedio, nel giugno del 1418;i Beccaria furono cacciati dai loro feudi nell'Oltrepò; Bergamo fu presa nel luglio del 1419 e Gabrino Fondulo si arrese a Cremona nel gennaio del 1420. Nel frattempo Niccolò III d'Este aveva abbandonato l'alleanza antiviscontea e restituito Parma al duca milanese: il B. ebbe perciò la possibilità di concentrare le proprie forze per attaccare nel Bresciano. Il 16 marzo 1421 entrò trionfalmente a Brescia, mentre Pandolfo Malatesta, privato dell'aiuto veneziano dall'abilità diplomatica di Filippo Maria Visconti, si ritirava in Romagna. Il B. passò allora con il suo esercito in Liguria e il 2 nov. 1421 raggiunse un accordo con Tommaso Campofregoso per la resa di Genova al Visconti. Nella primavera del 1422 il duca lo inviò a cacciare gli Svizzeri dalle valli alpine che essi avevano occupato: il B. conquistò Bellinzona e riprese la Val Levantina. Quando un corpo nemico, forte di 4.000 uomini, si lanciò in un prematuro contrattacco, il B., con forze di gran lunga superiori, li attese attestato su una posizione accuratamente scelta ad Arbedo. La battaglia, combattuta il 30 giugno 1422, fu lunga e aspra; ma la superiorità numerica ebbe la meglio e gli Svizzeri furono ricacciati con gravi perdite.

Arbedo coronò dieci anni di ininterrotti successi in battaglia, e consolidò la fama del B. come il più brillante condottiero dell'Italia settentrionale. Ben poco si conosce dei suoi metodi. Nota è la ferrea disciplina che egli imponeva alle sue truppe e che probabilmente favoriva la rapidità di movimento dell'esercito di cui il B. si avvalse specialmente nelle campagne del 1417 e del 1418. Rapidità di movimento che può essere stata facilitata dalla preferenza che il B. aveva allora per colonne poco numerose di uomini particolarmente addestrati: preferenza che non gli impedì ad Arbedo, quando le circostanze lo richiesero, di operare abilmente con grandi forze dispiegate.

Nei racconti relativi agli assedi posti alle città nemiche - soprattutto quelli di Trezzo e di Piacenza - viene messa in risalto la cura con la quale il B. preparava il blocco delle città. Nel complesso egli dava prova di grande capacità professionale, di dedizione e di inflessibile crudeltà. Favorite dalle crescenti risorse di Milano e dal complicato e sottile gioco diplomatico condotto dal Visconti, tali sue qualità riuscirono a dargli la superiorità sugli uomini che doveva battere. Non sappiamo se egli collaborasse all'elaborazione della strategia politico-militare per la riconquista della Lombardia. È certo che i contemporanei ritenevano che il duca prestasse ascolto ai suoi consigli e in quegli anni il B. appare in veste di testimone o procuratore in numerosi atti di governo. Nel 1414 gli fu conferito il titolo di conte di Castelnuovo (Scrivia), con il diritto di usare lo stemma ducale e il cognome Visconti; il 14 febbr. 1417 sposò Antonia Visconti, lontana parente del duca.

Nel 1421, anno in cui il duca gli confermò tutti i feudi che gli aveva concesso, il B. possedeva numerose proprietà sparse nel ducato, per una rendita complessiva che il Biglia stimava superiore a 40.000 ducati annui. Aveva ottenuto la cittadinanza milanese e acquistato il Broletto nuovo, dove dette inizio a grandiosi lavori di miglioria.

Vittorioso in guerra, sposato con una nobile, immensamente ricco, onorato perfino dal papa, il B. aveva raggiunto nell'Italia settentrionale una posizione troppo forte per la tranquillità di un sovrano dotato di temperamento sospettoso. Il 9 nov. 1422 Filippo Maria lo creò governatore di Genova, probabilmente dietro suggerimento degli stessi Genovesi. Non c'era nel ducato carica più onorifica e il B. non dovette aver dubbi sull'accettarla. Il nuovo incarico, d'altra canto, non lo allontanava dalla guerra, poiché il Visconti, pronto ora per un più pesante intervento negli affari italiani, si avvalse proprio del prestigio goduto dal B. presso i Genovesi per ottenere da questi ultimi una potente flotta destinata all'azione contro il Regno. Grande dovette essere, quindi, la delusione del B. - come grande fu, a detta dello Stella, lo "stupore" dei Genovesi quando il Visconti affidò il comando della flotta non al B., ma a Guido Torello. Per quanto se ne sappia il B., tuttavia, non protestò, e lasciata la carica di governatore partì da Genova il 5 ott. 1424, sicuro di assumere il comando di una nuova armata destinata alla Puglia. Ma la spedizione venne annullata un mese dopo. È senza dubbio leggenda il racconto del Biglia secondo il quale ad Abbiate il B. fu protagonista di una scena tempestosa quando il duca rifiutò di riceverlo; ma è certo, tuttavia, che egli si trovò allora senza una carica, senza un comando, tenuto lontano dal duca da persone della cui gelosa ostilità doveva essere ben conscio, e senza alcuna sicura prospettiva per il futuro. Egli abbandonò allora, in tutta segretezza, il ducato visconteo e, dopo una breve sosta a Carmagnola e ad Ivrea - ove ebbe uno scambio di messaggi con il duca di Savoia - mosse verso oriente prendendo la strada delle montagne e con poche guardie del corpo giunse a Venezia il 23 febbr. 1425, lasciando la famiglia e tutte le proprietà nelle mani del Visconti. La sua reputazione lo sostenne in questo periodo di crisi. Dopo settimane di contrattazioni accettò da Venezia una condotta di 300 lance. Quando fu chiamato dal Senato ad esprimersi circa un'alleanza con Firenze contro Milano, il B. si dichiarò favorevole alla guerra contro il Visconti, il quale aveva preso parte ad un complotto per avvelenarlo. L'alleanza fu conclusa e il B. venne nominato capitano generale degli eserciti veneziani (9 febbr. 1426). Per qualche tempo egli aveva avuto contatti con alcuni elementi dissidenti di Brescia; questi riuscirono a prendere il controllo della città in nome di Venezia il 16-17 marzo, e il B. giunse tre giorni dopo per assumere il comando militare.

La campagna del 1426 fu limitata al Bresciano e alla stessa Brescia, dove le guamigioni viscontee resistettero nelle fortezze e nelle cittadelle fino al 20 novembre e dove il B. con la sua solita scrupolosità costruì un grosso fossato e un doppio bastione di cinque miglia di lunghezza intorno alla città. Le operazioni belliche furono riprese all'inizio del 1427. Il B. sembrava deciso a non correre rischi combattendo contro condottieri della tempra di Francesco Sforza e di Giacomo Piccinino; non scese in campo fino alla metà del mese di maggio, quando, con un esercito forte di 20.000 cavalli e 8.000 fanti, gli era assicurata la superiorità numerica. Il che non gli evitò, tuttavia, di essere colto di sorpresa nei pressi di Gottolengo dal Piccinino che gli inflisse alcune perdite (29 maggio). Comunque, i suoi progressi nel Bresciano e nel Cremonese tra giugno e luglio allarmarono seriamente il Visconti e alimentarono in Venezia la speranza di poter assalire Cremona o di impadronirsi di un caposaldo sull'Adda da cui poter compiere incursioni fino a Milano. Invece, dopo una lunga, ma non risolutiva, battaglia svoltasi nei pressi di Cremona (12 luglio) e un poco chiaro combattimento che il Visconti salutò come una vittoria (30 luglio), il B. si ritirò nel Bresciano per difenderlo contro le incursioni del nemico. I due eserciti al completo si scontrarono a Maclodio il 12 ottobre. Il B. attirò il nemico in un temerario attacco lungo un angusto terrapieno che attraversava un terreno paludoso ove la sua fanteria attendeva in agguato, mentre la cavalleria, numericamente superiore, avvolgeva l'esercito nemico frontalmente e lo inseguiva dalla retroguardia, per completare la disfatta milanese. La vittoria fece sorgere nuove speranze in Venezia, ma da quel momento il B. limitò la sua attività al Bresciano.

Nei negoziati di pace tra le due parti la difesa dei diritti e degli interessi del B. fece sorgere serie difficoltà; la pace di Ferrara (19 apr. 1428) gli assicurò alla fine le proprietà e i crediti che aveva in Lombardia, e con un atto del 6 ag. 1428 Filippo Maria lo liberò da tutte le sentenze comminate contro di lui, e lo restaurò nel suo precedente stato e grado. Anche Venezia lo aveva ricompensato. Nel maggio 1426 il B. ottenne un titolo nobiliare per sé e per i suoi eredi, e divenne membro del Gran Consiglio; la Repubblica si impegnò a provvederlo "de tali nido de citro vel ultra Abduam in quo honorifice et bene possit stare". Dopo Maclodio ricevette in dono un palazzo sul Canal Grande e la signoria di Castenedolo nel Bresciano.

Il B. aveva, è vero, conquistato Bergamo e Brescia, ma con un esercito eccezionalmente numeroso non era riuscito ad ottenere risultati decisivi sul campo di battaglia. Ed egli stesso dovette essere consapevole di non aver risposto in pieno alle aspettative, dato che cercò di conferire alla sua vittoria un eccessivo risalto, proponendo l'erezione di un grandioso monumento sul campo di battaglia di Maclodio. A vero che la sua salute non era buona; tra l'altro non si era mai rimesso completamente da una frattura di un braccio procuratagli da una caduta da cavallo nel 1425. È vero anche che la cautela da lui dimostrata nella conduzione delle operazioni militari poteva essere giustificata dal fatto che egli si trovava ad affrontare per la prima volta nella sua carriera alcuni dei maggiori condottieri italiani; ed è vero, infine, che mancano fondati elementi per sospettarlo di aver deliberatamente indugiato nell'incalzare il nemico. Ma la sua posizione politica andava anche al di là del campo strettamente militare: Filippo Maria Visconti aveva cominciato a tempestarlo di messaggi, almeno a partire dal maggio del 1426, per convincerlo ad assumere il ruolo di arbitro tra le parti contendenti, ruolo che male si conciliava con la lealtà che egli doveva a Venezia.

All'inizio del 1429, durante un periodo di pace per Venezia, il B. manifestò il desiderio di non rinnovare la propria condotta. Ma il governo, temendo che egli volesse cercare servizio altrove, lo riassoldò come capitano generale per altri due anni (15 febbr. 1429) e gli concesse inoltre il feudo di Chiari, con il titolo di conte e una rendita annua valutata a 6.000 ducati. Il B. tuttavia aspirava ad ottenere di più: e quando Venezia iniziò i preparativi per riprendere la guerra contro Milano, pretese una parte del bottino. Il Senato si impegnò (1º sett. 1430) a concedergli, in caso si fosse giunti allo smembramento del ducato milanese, una qualsiasi città al di là dell'Adda, con relativo comitato, a sua scelta con la sola esclusione di Milano.

La guerra ebbe inizio ai primi del 1431. Venezia ancora una volta sollecitava l'attraversamento dell'Adda, ma il B., lasciatosi attirare a Soncino, fu colto di sorpresa e sconfitto. Allora non si mosse più dal Bresciano, e soltanto alla fine di maggio avanzò verso Cremona. Il 22 giugno la flotta veneziana sotto il comando di Niccolò Trevisan fu attaccata dal nemico fuori Cremona e pressoché distrutta, mentre il B., accampato sulla riva opposta in ingannevole attesa di un attacco da parte dello Sforza e del Piccinino, non si mosse in suo aiuto. Il Trevisan fu ritenuto responsabile del disastro, mentre il B. fu assolto da ogni biasimo. Il suo esercito rimase intatto ma inattivo. Solo quando egli dichiarò che avrebbe dovuto portarsi nei quartieri d'inverno fin dalla fine di agosto, per la prima volta il Senato contestò apertamente il suo piano e rifiutò di accettare la sua decisione. Il B. rimase fermo e non prese alcuna iniziativa, e in ottobre il Senato discusse il problema "qualiter vivere habeamus et non stare in his perpetuis laboribus et expensis", senza però trovare una soluzione. Alcune proposte per incoraggiarlo, anche in merito alla speranza - che si riteneva egli nutrisse - di rendersi signore di Milano, furono discusse durante l'inverno, ma vennero poi differite o rifiutate. Alla fine, il 27 marzo 1432, mentre l'esercito visconteo attaccava il Bergamasco e il Bresciano riportando alcuni successi, il Consiglio dei dieci avocò a sé la questione del B., già affidata ai Pregadi. Convocato a Venezia per un consiglio di guerra, il B. lasciò Brescia il 6 aprile, e giunse a Venezia il pomeriggio successivo. Fu scortato fino al palazzo ducale per un incontro con il doge, separato dalla sua guardia del corpo e imprigionato. A Brescia era stata presa ogni precauzione per evitare disordini, sua moglie era stata arrestata, venne intercettata la sua corrispondenza, e ogni sua proprietà fu sequestrata. Venne costituito un "Collegio di esamina", come richiesto dalla legge, e il procedimento contro di lui fu aperto in forma segreta il 9 aprile. Si dice che il B., sottoposto a tortura, confessasse subito la sua colpa. Il Consiglio dei dieci ricevette il 5 maggio il rapporto del Collegio, condannò il B. come pubblico traditore dello Stato e con un voto di maggioranza emise contro di lui la sentenza di morte. Nello stesso pomeriggio, imbavagliato e con le braccia legate, fu decapitato tra le due colonne in piazza S. Marco. Il suo corpo fu sepolto in S. Maria dei Frari.

Venezia fornì spiegazioni sulla natura dell'accusa formulata contro il B. in una lettera dell'8 apr. 1432 inviata ai suoi alleati. Egli aveva deliberatamente mancato di proseguire la guerra, differendola in collusione con il Visconti, a danno dello Stato. La sorte del B. dette luogo a numerosi commenti e a divergenti opinioni e continua ad alimentare varie speculazioni. Secondo l'uso le prove che potevano essere esistite contro di lui non furono rese note, e gli atti del Collegio non sono stati conservati. La questione della sua colpevolezza rimane ancora aperta. Se la sicurezza di Venezia richiedeva la sua morte, è improbabile che il Consiglio dei dieci avrebbe esitato. Ma le relazioni politiche che il B. manteneva poste in relazione con le sue aspirazioni territoriali (egli aveva espresso la speranza di ottenere uno Stato per sé) offrono elementi per credere a una sua colpevolezza. Egli non poteva attendersi che la Repubblica di Venezia rinunciasse a territori propri nella misura necessaria per soddisfarlo, e d'altra parte non poteva sperare seriamente di riuscire a smembrare i territori viscontei a proprio vantaggio. Nonostante ciò, manteneva aperti i canali di comunicazione con Milano. Cristoforo Ghilini, un maestro delle Entrate del duca, aveva avuto l'incarico di aniministrare le proprietà del B. in Lombardia nel 1425. Egli visitò varie volte il B. nel 1429-30 e fu uno dei tutori delle figlie nominati dal B. nel testamento redatto nel 1429. Filippo Maria Visconti continuò a corteggiarlo anche dopo la ripresa della guerra e i messaggi del Ghilini lo raggiunsero fino al febbraio 1432. È vero che il B. metteva regolarmente Venezia a conoscenza di questi messaggi, ma la possibilità di più segreti contatti (la cui esistenza è stata sostenuta dal Porro) non può essere esclusa. Per il B., il mezzo meno improbabile per realizzare le sue ambizioni consisteva nel premio che Filippo Maria sarebbe stato disposto ad offrirgli per la riconquista di Bergamo e Brescia.

Il B., oltre a una figlia illegittima (andata sposa a Riccardolo Anguissola nel 1424), ebbe da Antonia Visconti quattro figlie. Una andò sposa a Luigi Dal Verme, e le altre tre trovarono in seguito marito a Milano, nelle nobili famiglie Castiglioni, San Severino e Visconti. I feudi del B., compresi Chiari, Castenedolo (venduto all'asta nel 1435 per lire 35.520) e Sanguinetto, e la sua ricchezza personale "in capsis sive cofanis", stimata 308.000 ducati, furono confiscati dopo il suo arresto. Vennero presi provvedimenti a favore della vedova, che si diceva avesse fornito prove contro di lui, ma con l'obbligo di risiedere a Treviso. Ella fuggì a Milano nel 1434 e stabilì la sua residenza in "casa Carmagnola" (il Broletto nuovo). La difesa dei suoi interessi economici nello Stato milanese costò la vita al B., ma assicurò un futuro agiato alla sua famiglia. Le sue spoglie furono più tardi trasferite a Milano e sotterrate in una tomba marmorea, costruita lui vivente nella chiesa di S. Francesco, dove rimasero, insieme con quelle di Antonia Visconti, finché la chiesa non fu distrutta nel 1798.

Un ritratto, ritenuto del B., opera del Ferramola, ora nella fondazione Ugo da Como a Lonato, mostra un uomo grosso e pesante di media altezza. Le grosse, corte dita, il viso accuratamente sbarbato, la faccia collerica con il labbro inferiore sporgente, gli occhi fieri, il naso piatto costituiscono una fisionomia attendibile di questo forte e spietato comandante, assurto dal popolo al supremo comando militare. Di temperamento irascibile, brusco nel parlare e di indubbio coraggio, egli aveva spiccate doti naturali di condottiero, di capo severo e di organizzatore efficiente, ma non contribuì in nessun modo, per quanto ne sappiamo, alla formazione di una scuola. o allo sviluppo di nuove tecniche militari. Il B. aveva appreso l'arte militare sotto Facino Cane prima che Braccio e lo Sforza avessero elaborato nel Sud i loro sistemi. Il B. raggiungeva il successo con l'adattarsi alle circostanze e col porre grande attenzione ai dettagli. Le sue vittorie ad Arbedo e a Maclodio furono ottenute dalla concentrazione di forze preponderanti dispiegata su un terreno attentamente scelto. La sua riluttanza a impegnare troppo in profondità il proprio esercito nelle campagne del 1427 e del 1431 sottolineava la crescente cautela subentrata nella sua tattica militare. I piani di queste campagne mostrano scarsa originalità, ed egli (come, d'altra parte, molti condottieri del suo tempo) non sapeva sfruttare le sue vittorie. Il Decembrio sostiene (cfr. Battistella) che i primi successi del B. furono dovuti specialmente al genio politico di Filippo Maria Visconti; il giudizio è forse attribuibile al desiderio del Decembrio di adulare il Visconti, ma è indubbio che dopo che il B. abbandonò il servizio dei Visconti declinarono anche le sue doti di condottiero. Al presente, sono da accettarsi le riserve espresse su di lui da storici moderni quali il Fossati. Il B. fu un buon soldato, ma la reputazione che acquistò nei primi tempi della sua carriera esagera alquanto le sue reali capacità di condottiero.

Fonti e Bibl.: Il lavoro fondamentale è quello del Battistella citato più avanti. Per le fonti documentarie a Milano, vedi L. Osio, Doc. dipl. tratti dagli archivi milanesi, II, Milano 1869, ad Indicem; G.Romano, Contr. alla storia della ricostituzione del Ducato milanese, in Arch. stor. lomb., XXIII (1896), 2, pp. 231-290; XXIV (1897), I, pp. 67-146; F. Fossati, Per il Carmagnola,ibid., LI (1924), pp. 500-504; Inv. e Reg. del R. Archivio di Stato in Milano, I-II, Milano 1915-29, ad Indicem. Per Venezia, vedi Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta, regg. X-XII; Misti,Cons. Dieci, reg. XI; Libri commemoriali della Repubbl. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, ad Indicem. Per Genova vedi Arch., di Stato di Genova, Diversorum, 1422-23, e Diversorum Comunis Ianue, 1420-24, i quali contengono atti formali del governo del Bussone. Le fonti diplomatiche contemporanee contengono ovviamente riferimenti alle campagne e alle vicende del B.: p. es., per Firenze: Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, a cura di C. Guasti, Firenze 1867-1873, ad Indices. Le cronache più importanti sono quelle di A. Biglia, Historia, in L. Muratori, Rer. Ital. Scriptores, XIX, Mediolani 1731, pp. 39-156; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum, ibid., XXII, ibid. 1733, pp. 978-1019; G. Stella, Annales Genuenses, ibid., XVII, ibid. 1730, pp. 1278-1307; G. Cavalcanti, Istorie Florentine a cura di F. Polidori, I, Firenze 1838, pp. 158-252, 478-480; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Butti e L. Ferrario, II, Milano 1856, pp. 512-613; P. Bracciolini, Historia Florentina, a cura di G. B. Recanato, Venezia 1715 (ristampato in Opera Omnia, a cura di R. Fabini, II, Torino 1966, pp. 227-254, 281-293).

La letteratura sul B. è quella di venti anni di storia politica e militare italiana; storie generali sono qui indicate solo quando hanno un particolare interesse per la sua vita: G. Giulini, Continuazione delle Memorie di Milano, III, Milano s.d. (ma 1771), pp. 233-457; C. Tenivelli, Biografia piemontese, III, Torino 1787, pp. 149-208; M. Daverio, Memorie sulla storia dell'ex Ducato di Milano, Milano 1804, pp. 21-75; L. Cibrario, La morte del conte di Carmagnola, Torino 1834; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, III, Torino 1845, pp. 11-45; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1855, pp. 106-163; F. Berlan, Il conte Francesco di Carmagnola, Torino 1855; F. Odorici, Storie bresciane, VII, Brescia 1857, pp. 302-310; VIII, ibid. 1858, pp. 172-177, 189-209; R. Fulin, Di una antica istituzione mal nota, in Atti del R. Ist. veneto di sc., lettere ed arti, s.5, I (1874-75), pp. 1059-1064; M. Caffi, La tomba del Carmagnola, in Arch. stor. lomb., II (1875), app. Boll. d. Cons. archeol., pp. 27-31; G. Porro-Lambertenghi, L'arresto del conte di Carmagnola, ibid., V (1878), pp. 503-06; P. Canetta, Il conte di Carmagnola,ibid., VIII (1881), pp. 601-625; T. di Liebenau, La battaglia di Arbedo, in Boll. stor. della Svizzera ital., VIII (1886), pp. 49-55; G. Bustelli, Sulla decollazione di F. B. conte di Carmagnola, Cesena 1887; I. Raulich, La prima guerra fra i Veneziani e Filippo Maria Visconti, in Riv. stor. ital., V (1888), m. 441-468, 661-696; A. Battistella, Il conte di Carmagnola, Genova 1889; L. A. Ferrai, Gli ultimi studi sul Carmagnola, in Arch. stor. lomb., XVI (1889), pp. 970-991; F. Stefani, Nuovi appunti sul conte di Carmagnola, in Atti del R. Ist. veneto di sc., lettere ed arti, s.7, I (1889-90), pp. 1143-1171; I. Carini, Relazione inedita sull'arresto e sulla morte del conte di Carmagnola, in Il Muratori, II (1893), pp. 77-102; A. Battistella, Lettera inedita di P. C. Decembrio sul Carmagnola, in Nuovo arch. veneto, X (1895), pp. 97-135; R. Sabbadini, Guarino Veronese e la polemica sul Carmagnola, ibid., XI (1896), pp. 327-361; A. Zanelli, Per un supposto tesoro del conte di Camagnola, in Arch. stor. ital., s. 5, XXII (1898), pp. 331-36; A. Battistella, Alcuni documenti inediti sul conte di Carmagnola, in Arch. stor. lomb., XXX (1903), 2, pp. 177-194; F. Knorrck, Das Gefecht bei Arbedo, Berlin 1910; W. Block, Die Condottieri, Berfin 1913, pp. 168-172; P. Guerrini, La casa del Carmagnola, Brescia 1931; F. Fossati, Carmagnola..., in Encicl. Ital., IX, Milano 1931, pp. 82 s.; A. Cambiè, Le colpe del Carmagnola, in Arch. stor. lomb., LIX (1932), pp. 408-412; P. Guerrini, Il monumento della vittoria di Maclodio, ibid., LX (1933), pp. 338-350; R. Cessi, St. della Rep. di Venezia, I, Milano 1944, pp. 369-377; F. Cognasso, Ilduc. visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 155-287; C.Pasero, Il dominio veneto fino all'incendio della Loggia, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 3-24, 33-35.

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