CACCINI, Giulio, detto anche Giulio Romano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CACCINI, Giulio, detto anche Giulio Romano

Cesare Casellato

Per mancanza di documenti probanti, i pareri degli studiosi sul luogo e la data di nascita del C. si dividono quasi equamente a proporre due località diverse e due date piuttosto approssimative: Roma-Tivoli, 1545-1550.

Il C. in molte lettere si firma "Giulio Caccini di Roma", dichiarazione sufficiente a fugare ogni dubbio, se non fossero egualmente validi gli argomenti di quanti propongono Tivoli quale suo luogo natale, ricordandoci come molti musicisti, nati in località prossime a Roma, si siano professati romani o siano stati considerati tali per il fatto di aver condotto i loro studi, maturata la loro preparazione artistica e conseguito le prinie affermazioni a Roma. Una lunga serie di studiosi ha accettato gli anni 1545-1546 quali probabili anni di nascita: gli argomenti addotti dal Fétis a sostegno di questa ipotesi sono ancora validamente difendibili. Nella prefazione alle Nuove musiche, che furono edite a Firenze nel 1601 [ma 1602], il C. afferma di essere vissuto per trentasette anni al servizio della corte granducale di Toscana: quindi era a Firenze nel 1565. Presumibilmente vi era arrivato l'anno precedente già cantante e, benché molto giovane, in età da potere vivere della sua arte. Tale elemento acquisito della giovane età del musico, attestata da molte fonti coeve, non ci esime dal ritenere che dovesse avere per lo meno diciotto anni, dato che a quell'età, come minimo, si può pervenire ad una completa preparazione vocale. Tutto ciò fa presumere, dunque, che il C. dovette nascere per lo meno nel 1546. Un dato certo è, invece, il nome del padre, Michelangelo, che risulta da una notizia rinvenuta da A. Calvi (cfr. Gandolfi, 1896).

Tutti i repertori biografici concordano nell'asserire che il C. ebbe come maestro di canto - e probabilmente anche di liuto e arpa - Scipione del Palla (o della Palla), "fiorentino" e "cantore celebre quanto oscuro compositore" (Encicl. Ital., VIII, p. 229). Un unicum, segnalato in Fontes Artis Musicae (XVIII[1971], p. 136) e ritrovato presso la Biblioteca del conservatorio di musica di Pesaro, ci permette di assegnare al C., prima di S. del Palla, un altro maestro: Giovanni Animuccia. Tale notizia inedita reperiamo in un volumetto di A. Brunelli, Canoni varii musicali sopra un soggetto solo (Venezia 1612). Nella dedica al "Signor Giulio Caccini di Roma", al quale l'autore si dichiara legato da "antica familiarità", si afferma che il C. "ancor giovanetto fu scolare di Gio. Animuccia" e che successivamente, per interessamento del "Primo Gran Cosimo Serenissimo", lasciò "Roma sua patria nativa" per trasferirsi a Firenze, ove gli venne assegnata una "provisione" disposta dal granduca e poté giovarsi degli insegnamenti del "primo cantante di quel secolo Scipion dalle Palle" (p. n.n. [3]).

Dei primi anni del suo soggiorno fiorentino non conosciamo quasi nulla. Da testimonianze posteriori si arguisce che, favorito dalla sua abilità di cantante, venne ben presto accolto nei circoli artistici più qualificati di Firenze, ove lo spingevano il suo spirito di intraprendenza, la naturale sete di progredire nell'arte musicale e una non trascurabile ambizione, che suscitò intorno a lui gelosie e rivalità, da cui non andarono immuni, del resto, gli altri artisti della corte medicea.

Era un momento particolare della storia civile di Firenze, quando, sulla scia del fervore umanistico per l'arte classica, si interrogavano le opere teorico-musicali di Aristotele, di Aristosseno e di Claudio Tolomeo. La musica greca infatti fu uno degli argomenti più dibattuti nelle riunioni della camerata fiorentina (nota anche come camerata de' Bardi perché dal 1576 al 1582 ebbero luogo nel palazzo di Giovanni Maria de' Bardi, conte di Vernio, mecenate dalla vasta cultura umanistica, poeta e compositore di musica). Il C., ammesso fra gli intimi del Bardi, prese parte attiva alle sedute della camerata, cui convenivano intellettuali, musicisti, poeti, filosofi e scienziati, fra i quali il musicista P. Strozzi, il poeta O. Rinuccini, il cantante e compositore I. Peri, il teorico e compositore V. Galilei (padre di Galileo, il cui Dialogo della musica antica et della moderna, Firenze 1581, verrà considerato il documento programmatico della camerata). Alla gloriosa e secolare polifonia, accusata di compromettere l'intelligibilità delle parole, si contrapponeva l'immediatezza espressiva della monodia accompagnata. Che il C. abbia attuato gli ideali della camerata, almeno per quanto attiene ai propositi del Bardi, è testimoniato dallo scritto di questo ultimo, a lui indirizzato: Discorsomandato a G. C.… sopra la musica antica e 'l cantar bene (in G. B. Doni, De' trattati di musica, a cura di A. F. Gori, Firenze 1763, II, pp. 233-248), che si ritiene scritto intorno al 1585. Del "nuovo stile", a un certo momento detto anche "stile rappresentativo", uno dei primi saggi fu dato dal C. durante le feste per le nozze di Francesco de' Medici con Bianca Capello nel 1579. Fra la meraviglia degli spettatori il musico, assiso su un fantastico carro raffigurante la Notte, intonò due monodie, Fuor de l'umido nido e Questi saggi guerrier, musicate da P. Strozzi, al suono della sua viola e di molte altre disposte all'interno del carro. La prima composizione (Firenze, Bibl. nazionale, Cod. Magliabech., XIX, 66, n. 46) è ritenuta uno dei primi esemplari di realizzazione dell'ideale di espressione auspicato dalla camerata.Risultano per lo meno infondate, perché non esaurientemente documentate, le accuse rivolte al C. di involontaria complicità nella tragica fine di Eleonora di Toledo, moglie di Piero de' Medici: si fondano in massima parte sulle Memorie di Bianca Capello, un manoscritto "scoperto e rifatto" da S. Ticozzi e pubbl. a Firenze nel 1827, secondo il quale il C., incaricato di consegnare una missiva d'amore del cavaliere Bernardo Antinori a Eleonora di Toledo, dopo averla letta l'avrebbe fatta pervenire al granduca Cosimo I. L'Antinori fu ucciso ed Eleonora trovò la morte per mano del marito, la notte dell'11 luglio 1576 nella villa di Cafaggiolo, mentre il musicista fu esiliato.

Gli argomenti storici e filologici del Ticozzi, a convalida dell'autenticità del manoscritto, risultano però piuttosto deboli e autorizzano non pochi sospetti. Se il C. fu allontanato da corte, come di fatto avverrà, non in quell'anno, per quanto ne sappiamo, ma nel 1593, vi fu riammesso dopo breve tempo. Alcuni storici mettono in dubbio addirittura la notizia del tradimento di Eleonora di Toledo (v. G. F. Young, IMedici, Firenze 1941). Nella monografia di L. Zacchia Rondinini Zorzi (Bianca Cappello, Roma 1936), troviamo riportato, a p. 88, un dispaccio dell'ambasciatore di Firenze a Modena, cav. Cortile: "Il duca ha licenziato il coppiere di donna Eleonora, per aver egli trasmesso una lettera d'amore". Un coppiere, dunque, avrebbe trasmesso la lettera dell'Antinori, ammettendo si tratti dell'episodio (come sembra credere l'autrice) che stiamo esaminando: non ci consta che il C. abbia mai avuto tale incarico presso la principessa. A tutt'oggi, in definitiva, la sua partecipazione all'intrigo è ben lungi dall'essere dimostrata, anche se questa vicenda ha contribuito a tingere di fosca luce la sua figura morale.

La fama del C. fino al 1589 è legata alla sua abilità di cantante e di maestro di canto, riconosciuta da scrittori di cose musicali del tempo, fra i quali M. Praetorius e da musicisti come A. Striggio - compositore della corte fiorentina e di quella di Mantova dal 1574 -, che in una lettera scritta nel 1584 da Ferrara (Gandolfi, 1913) diceva di avere inviato a Firenze della musica che sperava sarebbe stata da lui cantata. La prima notizia che conferma il ruolo di musico del C. presso "la casa del Ser.mo Ferdinando Medici, Cardinale, Granduca di Toscana" è del 1588 (Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Mediceo, 389, p. 17); godeva allora di uno stipendio, fra i più elevati, di 16 ducati mensili, superato soltanto da quelli di B. Franciosino della Cometta e di C. Malvezzi. La prima grande occasione offertagli di dimostrare le sue possibilità di compositore si presentò nel 1589, durante le feste per le nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena. Si allestirono per l'occasione due commedie, L'esaltazione della Croce e La pellegrina, e fra un atto e l'altro dei due lavori s'inserirono, come era nell'uso da qualche decennio, alcuni intermedi. Quelli per la commedia La pellegrina di G. Bargagli sono rimasti fra i più famosi: ne composero le musiche C. Malvezzi, L. Marenzio, G. de' Bardi, I. Peri, E. de' Cavalieri, A. Archilei e il Caccini.

La musica di quest'ultimo per il quarto intermedio, La comparsa di demoni celesti e infernali, che si riteneva perduta, è stata ritrovata da F. Ghisi. Il fatto musicalmente notevole di questi intermedi è la partecipazione di giovani compositori di tendenze novatrici: I. Peri, E. de' Cavalieri e il Caccini. Nel loro insieme le musiche comprendono venti brani polifonici e soltanto quattro monodie (Archilei, de' Cavalieri, Peri e il C.) e da ciò si arguisce la resistenza che i musicisti legati alla tradizione ed i loro sostenitori opponevano al "nuovo stile".

Intorno al 1590, presumibilmente, cade la composizione de Il combattimento d'Apollo col serpente, musicato dal C. su testo di G. de' Bardi e rappresentato in quell'anno a Firenze, a palazzo Bardi (il componimento, mai pubblicato, è andato smarrito). è del 1590 l'esecuzione del balletto Maschere di Bergiere, testo di O. Rinuccini, di cui è dubbio l'autore della musica, che fu cantata da Lucia, prima moglie del C., cui la composizione viene attribuita da qualche studioso per evidenti analogie con altre sue musiche. Nella dedica dell'Euridice, nel 1600, il C. ricorderà di aver composto, più di quindici anni prima, alcuni madrigali secondo il "nuovo stile" indicato dal Bardi, ma non abbiamo alcuna notizia di madrigali solistici composti dal C. intorno al 1585, ed è ragionevole pensare che ciò sia avvenuto poco prima del 1590.

Come primi saggi della nuova maniera di comporre il C. indicherà più volte nella prefazione alla Euridice e alle varie edizioni delle Nuove musiche (Firenze 1601 [1602]; Venezia 1607 e 1615) i madrigali Perfidissimo volto, Vedrò 'l mio Sol, Dovrò dunque morire e l'aria sopra un'egloga di I. Sannazzaro, Itene a l'ombra degli ameni faggi.Le composizioni, fatte ascoltare nelle riunioni della camerata de' Bardi, furono assai applaudite. Il C. venne esortato a proseguire nella strada intrapresa attenendosi "a quella maniera cotanto lodata da Platone et altri filosofi, che affermarono la musica altro non essere che la favella e il ritmo e, per ultimo, il suono" (Avviso ai lettori, nelle Nuove musiche);su queste convinzioni egli costruì la sua poetica del "nuovo stile".

Il Prunières rinveniva a Modena una lettera di E. de' Cavalieri inviata a L. Luzzaschi da Firenze il 31 ott. 1592e recante particolari su un viaggio fatto dal C. a Ferrara nel 1592:questi dovette, infatti, conoscere in quell'occasione il Luzzaschi, maestro di cappella alla corte del duca Alfonso II. Qui il C. mostrò alle famose "dame di Ferrara" alcune sue arie ed altre egli stesso fece ascoltare.

La sua presenza a Ferrara è testimoniata, oltre che da documenti dell'Archivio estense (citati dal Valdrighi), secondo i quali nel 1592 cantò "parecchie volte nella camera del Duca, malato", anche da A. Piccinini, liutaio e liutista bolognese, vissuto alla corte di Ferrara dal 1582 al 1597, nella sua Intavolatura di liuto e di chitarrone. Libro primo (Bologna 1623). Il Brunelli, nell'operetta citata (Canoni vari, p.n.n. [3]), ci ricorda come il musico fu accompagnato da G. de' Bardi nella sua visita al duca di Ferrara, città in cui ritornò "molte volte"; aggiunge inoltre che "l'istesso Clemente VIII" lo ebbe caro "alcuni mesi in Ferrara, volentieri ricreandosi del suo canto ogni giorno nelle hore del suo riposo". Non ci indica tuttavia l'epoca. Sappiamo che Ippolito Aldobrandini (il futuro papa Clemente VIII), di ritorno dalla legazione in Polonia, ebbe splendidi festeggiamenti a Ferrara nel maggio del 1589 (A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, IV, Ferrara 1848, p. 440); divenuto papa il 30 gennaio 1592, fu a Ferrara alcuni mesi soltanto nel 1598, in occasione dell'annessione del ducato allo Stato pontificio: tutto ciò non ci aiuta a stabilire quando il C. avrebbe avuto con lui rapporti.

Nella prefazione alle Nuove musiche, ilC. ci informa di essersi recato anche a Roma allo scopo di darvi un saggio delle sue composizioni. L'epoca si può collocare intorno agli anni 1592-93.

Proprio nel 1592 Giovanni de' Bardi, di cui il C. era divenuto segretario, si era trasferito a Roma, dove diventerà maestro di camera del papa Clemente VIII, e a Roma, "in casa del signor Nero Neri", il C. fece ascoltare madrigali e arie "a molti gentiluomini che quivi s'adunavano e particolarmente al signor Lione Strozzi" (ibid.), ottenendone incondizionate approvazioni. Il Pirrotta avanza l'ipotesi che, andato a Roma nel 1592, ilC. sia tornato a Firenze subito dopo, oppure che non vi sia andato affatto: di questo viaggio infatti, oltre a quanto ce ne dice il musico, non abbiamo altra testimonianza. Ma è verosimile che vi sia andato, e più di una volta, perché Roma era per tradizione sede di una fiorente scuola di canto alla quale aspirava di far ascoltare, esibendovisi egli stesso, le sue nuove composizioni. Inoltre G. de' Bardi a Roma godeva di una posizione di prestigio che non poteva non accendere l'ambizione del C. e il suo desiderio di far constatare de visu l'alta protezione di cui godeva.

L'Einstein ritiene che T. Tasso abbia avuto molte occasioni, a Firenze e a Roma, di udire il C., "certamente il più famoso dei cantori a solo del tempo", ma nelle numerose biografie del poeta non abbiamo trovato traccia di questi incontri. G. Chiabrera gli fornì testi poetici ma non ci ha informato della sua collaborazione con il musicista: è lecito supporre che lo abbia conosciuto (dimorò a Firenze, salvo brevi intervalli, dal 1595 al 1633)anche se la sua autobiografia ignora il Caccini.

Il musicista progettò di trasferirsi a Roma in qualche momento difficile nei suoi rapporti con la corte granducale. In una lettera dell'ambasciatore B. Prosperi (25 luglio 1593) è detto: "Il sig.r Cacchini [sic] Romano musico m'ha detto questa mattina essere stato licentiato dal Gran Duca con suo dispiacere, se bene la sua provisione di 200 scudi l'anno era pocha, di tal licenza ne sono state causa le persecutioni de' suoi emuli et invidiosi. Egli mi ha parimente detto di voler girsene alla volta di Roma", ma una lettera posteriore di soli cinque giorni dà notizia, invece, delle mutate disposizioni del sovrano: "Il Sig. Giulio Caccini Romano musico è stato di nuovo a trovarmi et hammi mostrato una lettera del granduca del suo ben servire e parla molto in sua lode con magnificare le sue virtù" (Gandolfi, 1896).

La prima opera di cui si occupa la storia della musica è la Dafne, eseguita nel carnevale 1594, e il nome del C. è legato alla controversa questione della composizione o della collaborazione prestata alla sua elaborazione.

I primi esperimenti di opera in musica erano stati tentati dal Corsi e dal Rinuccini. Ripreso l'argomento del III intermedio delle feste del 1589, quest'ultimo apprestò una bmve favola pastorale, la Dafne, primo libretto della storia dell'opera. Alcune arie del Corsi sull'argomento e la musica del Peri per il rimanente servirono alla rappresentazione del dramma che ebbe un grande successo, come si arguisce dalle repliche che ne seguirono per tre anni e con sempre nuovi elementi che le precedenti esperienze man mano suggerivano. La rappresentazione che si ritiene definitiva della Dafne, nel libretto e nella musica, ebbe luogo il 21 genn. 1599. Anche il C. volle provarsi a musicare il libretto del Rinuccini e la sua Dafne fu rappresentata, in epoca che ignoriamo, "in casa del Sig. Iacopo Corsi… a quest'Altezze Serenissime et altri principi" (pref. Nuove musiche, 1614).Si propende a ritenere che la tardiva decisione di rivendicare a sé la composizione di una Dafne sia dovuta alla determinazione di ottenere un riconoscimento di paternità e forse di priorità che i suoi avversari non gli avevano mai riconosciuto, ma ignoriamo se si tratta di una collaborazione prestata all'opera del Corsi e del Peri, oppure della composizione di un'altra partitura dovuta al solo Caccini. Le musiche della Dafne sono andate tutte perdute, tranne alcuni brani del Corsi, e ciò rende difficile conoscere la verità.

Il C. aveva creato anche un'ottima scuola di canto. Valendosi della sua personale esperienza ed applicando inediti concetti didattici che costituiranno per qualche secolo un metodo autorevole di una nuova pedagogia, istruì in quell'arte S. Bonini, cantante e compositore, F. Rasi, interprete della parte di Aminta nell'Euridice del Peri, G. G. Magli, interprete dell'Orfeo di Monteverdi, Maria Rasi, sorella di Francesco, oltre ai familiari che costituivano il celebre "concerto Caccini". Ne facevano parte la seconda moglie Margherita (anche la prima moglie Lucia era stata sua allieva), le due figlie Francesca, detta la Cecchina e Settimia e il figlio Pompeo, che fu anche pittore e scenografo. Il "concerto Caccini", esempio di affiatamento artistico-familiare, fu per molti anni protagonista delle feste musicali di corte e delle cerimonie liturgico-musicali che avevano luogo a Pisa, nella chiesa di S. Nicola, annessa al palazzo ove i granduchi, dal 1601 al 1607, presero l'abitudine di dimorare dall'inizio di carnevale fino alla Pasqua.

Nell'anno 1600 il C. ebbe un ruolo di primo piano, con il suo "concerto", nei festeggiamenti che si andavano organizzando per le nozze di Maria de' Medici e Enrico IV re di Francia. Lo spettacolo ufficiale ed il più importante fu il suo Rapimento di Cefalo, sulibretto di G. Chiabrera.

Il C. in realtà ne compose le parti solistiche e il coro finale, mentre gli altri cori furono musicati da P. Strozzi, da S. Venturi del Nibbio e da L. Bati. La rappresentazione ebbe luogo il 9 ottobre nel grande salone degli Uffizi, "alla presenza della novella Regina, del Cardinale Legato e di ben tremila gentiluomini e di ottocento gentildonne. Vi cantarono più di cento musici; vi oprarono più di mille altre persone, attese le macchine… tutte meravigliose, ordinate e condotte da Bernardo Buontalenti" (diario fiorentino di F. Settimani, citato dal Solerti, 1905).Purtroppo non possediamo, la musica del C., andata perduta, tranne l'ultimo coro, pubblicato nelle Nuove musiche.

Negli stessi giorni si era andato allestendo un altro spettacolo, minore rispetto al Rapimento emolto più breve, rappresentato la sera del 6 ott. 1600 in una saletta di palazzo Pitti, con inviti ristretti: l'Euridice del Rinuccini, musicata dal Peri. Prima opera pervenutaci, con essa nasce ufficialmente il dramma in musica. Al lavoro del Peri collaborò il C., componendo alcune arie (d'Euridice, del pastore e delle ninfe del coro) e alcuni cori ("Al canto, al ballo", "Sospirate" e "Poi che gli eterni imperi"), inseriti nell'Euridice per il motivo che "dovevano essere cantati da persone dependenti da lui" (I. Peri, pref. all'Euridice).La sera dopo, sempre in piccola cerchia, si svolse la prova generale del Rapimento di Cefalo (7 ott. 1600). Il libretto dell'Euridice era stampato per la sera della recita (6 ottobre), mentre la partitura del Peri venne pubblicata qualche mese dopo, nel febbraio 1601. Il C. invece non volle, o non riuscì mai, a pubblicare la partitura del Rapimento.Utilizzando le arie e i cori composti per l'opera del Peri, musicò anch'egli per intero una sua Euridice, la cui partitura venne pubblicata nel dicembre del 1601. La rappresentazione dell'opera, avvenuta sotto la direzione dello stesso autore, ebbe luogo il 5 dicembre del 1602 con la partecipazione della sua famiglia.

Michelangelo Buonarroti il Giovane, a proposito della rappresentazione del Rapimento diretta dal C., afferma che vi intervennero "un suo figliolo e quattro donne di sua famiglia di voci angeliche". Poiché generalmente le cantatrici di casa Caccini erano le tre dianzi ricordate, si pensa che la quarta sia stata, per qualche tempo, una "cognata di Giulio", così menzionata, con una postilla manoscritta, in un libretto dell'Euridice eseguita con cantanti in parte diversi da quelli che interpretarono l'opera del Peri la prima volta e che probabilmente furono i primi esecutori dell'Euridice del Caccini.Il C. fu in corrispondenza epistolare con gli artisti più ragguardevoli del suo tempo, con principi e personalità del mondo artistico. Quasi sempre l'oggetto delle lettere è la musica, la sua scuola di canto e il "concerto Caccini". Così nel 1603 la duchessa Eleonora di Mantova gli scriveva affinché accogliesse alla sua scuola Maria Rasi (la fanciulla poco profittò degli insegnamenti e finì poco dopo in convento). La corte di Mantova in quello stesso anno aveva divisato di assumere Caterina Martinelli, cantante romana, la quale, benché tredicenne, disponeva già di un'ottima voce. In un primo tempo il duca Vincenzo Gonzaga aveva deciso di farla stare a Firenze "per alcuni mesi sotto la disciplina del S. Giulio Romano", ma poi mutò parere disponendo che raggiungesse direttamente Mantova. è di questo periodo una relazione del maggiordomo Enea Vaini ai granduchi di Toscana, sul servizio della musica di corte.

L'occasione era una supplica di una famiglia di musici, tendente ad ottenere un aumento di paga, trasmessa al Vaini con un rescritto dell'auditore granducale Lorenzo Usimbardi in data 2 ag. 1603. Il Vaini, favorevole al richiesto aumento, considerava fra l'altro la situazione dei Caccini: "Giulio Romano è utilissimo al servizio della musica… con l'aiuto della moglie, di due figlie e d'un figlio: et insegna volentieri e bene a chi lor Altezze comandano. Ma servendo con tutta la famiglia le par meritare che si abbia considerazione al suo interesse" (cfr.: C. Lozzi, La musica e specialmente il melodramma alla corte medicea, in Riv. musicale italiana, IX[1902], pp. 312 s.).

Anche per l'opportunità di realizzare un utile insperato guadagno, oltre che per il lustro che ne sarebbe derivato al "concerto", il C. accettò con entusiasmo di recarsi in Francia, alla corte di Enrico IV e Maria de' Medici. Il viaggio che occupa il periodo ottobre 1604-maggio 1605 - fu un avvenimento artistico e mondano che ebbe grande risonanza in Italia e in Francia. Intermediario delle trattative fra la corte toscana e quella francese fu il Rinuccini, il quale dal 1600 al 1604 si era recato a Parigi tre volte.

Nell'agosto 1604 furono affidate al poeta in partenza per l'Italia due lettere, per Ferdinando I e per la consorte, datate Fontainebleau 23 e 24 ag. 1604, nelle quali si faceva formale richiesta del celebre "concerto". Il C. pur reduce da una malattia si premurava di far sapere che era prontissimo a mettersi in viaggio. Superata ogni difficoltà e terminati i preparativi, il 30 settembre o i primi di ottobre 1604 la famiglia partiva. Giovanni del Maestro, maggiordomo di corte, annotava nel quaderno dei suoi appunti: "Addì 30 settembre 1604: Mess. Giulio Caccini va a Parigi, chiamato dalla Regina e con seco la moglie e due sue figliuole e un suo figliuolo pittore e un putto che canta che è suo allievo. Ha con seco due lettighe a nolo con 5 muli, un mulo da soma e un cavallo da sella. Ebbe per donativo ducati 450"(Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, filza XXX, c. 6). Il viaggio si svolse con numerose tappe: a Modena, ove i C. sostarono per tre giorni, ricevuti e ascoltati alla corte estense, a Milano, ove furono costretti a trattenersi cinque giorni, perché la figlia Francesca si ammalò di febbre terzana, e a Torino, ove il "concerto" fu ricevuto alla corte del duca Carlo Emanuele I di Savoia. Il 9novembre i musici giunsero a Lione, rimanendovi per una settimana; da Lione l'11 novembre il C. inviava all'amico Michelangelo Buonarroti il Giovane, a Firenze, una simpatica relazione del suo viaggio (Firenze, Archivio Buonarroti, inserto 44).

L'arrivo a Parigi avvenne ai primi di dicembre e il soggiorno nella capitale francese fu un grande successo per il "concerto" e in particolare un trionfo per la "Cecchina". Al 16 genn. 1605 il "concerto" era già stato udito quattro volte dai sovrani francesi; Enrico IV, assai amante di musica come la consorte, fece ascoltare la "musique du Roy", che si unì ai fiorentini per un'esecuzione di cori alterni. Il 1º marzo 1605 il C. scriveva al duca di Bracciano, nipote di Ferdinando de' Medici, con il quale fu in corrispondenza per molti anni, informandolo dei successi; il 1º maggio dello stesso anno professava a Ferdinando I la sua immutata obbedienza e gli annunciava il ritorno suo e della sua famiglia in Italia. Incaricato dalla regina e da Enrico IV, recava ai granduchi di Toscana lettere piene di lodi per gli artisti italiani. Non si conoscono le tappe del viaggio di ritorno, né la data d'arrivo a Firenze; comunque, dal diario del Tinghi (cit. dal Solerti, 1905) sappiamo che nel mese di marzo 1606 il C. era a Pisa per le musiche della settimana santa. Il 7 gennaio del 1607 egli annunciava al duca di Bracciano che stavano per andare "tutti insieme" a Roma, ma non abbiamo notizie che confermino se il viaggio fu realmente effettuato. Nel giugno 1607 si istituiva a Firenze, per interessamento di Marco da Gagliano, l'Accademia degli Elevati, la quale proseguiva l'attività delle camerate de' Bardi e di Corsi e il C. veniva eletto accademico con I. Peri, L. Bati, P. Strozzi, S. Bonini e altri musicisti, cantanti e poeti. Il Vogel narra numerosi, poco edfficanti episodi di rivalità fra gli Elevati che turbarono la vita artistica di Firenze, soprattutto in occasione delle feste che si organizzarono per le nozze del principe Cosimo con Maria Maddalena d'Austria (ottobre 1608).

In quest'epoca il C. conobbe il musicista palermitano Sigismondo d'India, che passò per Firenze mentre "si concertavano le commedie et feste delle nozze di quell'altezze" e fece ascoltare alcune arie di sua composizione, e altre il C. "cantò lui stesso", come scrive il d'India nella prefazione alle sue Musiche da cantar nel clavicordo, chitarrone…., Milano 1609. Durante le feste fu rappresentato anche Il giudizio di Paride del Buonarroti. Si ignora il nome dell'autore o degli autori della musica, ma si sa che Francesca prese parte alla rappresentazione ed è opinione condivisa da molti che il C. con la figlia maggiore siano stati i compositori della musica, benché nessun documento ce lo confermi. In questi anni il C. sembra estraniarsi dalle beghe degli artisti di corte, tutto intento alla composizione, alla scuola, ai figli per i quali cercava un'adeguata sistemazione. Così in quegli anni, se scrive al Buonarroti, lo fa per appoggiare il figlio Pompeo, impegnato a studiare le favole musicali del Buonarroti (cfr.: M. G. Masera, Michelangelo Buonarroti il Giovane, Torino 1941, pp. 22 ss.), e il Buonarroti stesso, che pure era stato suo amico, in una lettera del 30 dic. 1608 al card. Ferdinando Gonzaga che l'aveva incaricato di trattare per avere a Mantova la Cecchina, confessava di non essere con il C. nella dimestichezza di un tempo.

Anche il Rinuccini si era messo in gara con gli altri compositori per le medesime nozze del 1608 e aveva predisposto una nuova opera, il Narciso, il cuiprologo doveva essere impersonato e cantato dal C. che in esso rifà la storia della propria vita musicale, ricorda il Rapimento, l'Euridice e la Dafne (ilRinuccini, quindi, gli riconosceva implicitamente la paternità di una Dafne o la sua partecipazione alla composizione). Il Narciso, però, non fu rappresentato a Firenze e il Rinuccini ebbe a dolersene.

Fra gli altri personaggi che avvicinarono il C. in quegli anni ricordiamo la cantante Adriana Basile, che si recava nel 1610 a Mantova, assunta dalla corte ducale, e fu da lui ospitata, e Monteverdi, che si recò a fargli visita sul finire dello stesso anno nel corso del viaggio che compiva verso Roma alla ricerca di cantanti per la corte di Mantova.Dopo la morte di Ferdinando I (1609), il suo successore Cosimo II manifestò il proposito di diminuire le spese del bilancio granducale cominciando dagli artisti di corte: il C., allora, si rivolse all'amico Virginio Orsini con una lettera (citata dal Boyer) in cui, cercando di scongiurare il provvedimento, ricordava i quarantacinque anni di lodevole servizio. Alle esecuzioni musicali degli anni successivi egli presenziò sempre più di rado: l'ultima sua partecipazione, documentata, a una esecuzione musicale avvenne il 26 marzo 1614, mercoledì santo, nella chiesa di S. Nicola a Pisa, in una musica "stupendissima", eseguita a quattro cori da musicisti venuti da Firenze. L'anno precedente (1613) aveva dato alle stampe a Venezia la seconda edizione del suo Fuggilotio musicale, una raccolta di madrigali e di arie analoga a quella delle Nuove musiche;della prima edizione, andata perduta, s'ignora l'anno di pubblicazione.

Nel titolo, davanti al cognome dell'autore, per la prima volta è aggiunta una "D.", che starebbe per "de" e indicherebbe una qualificazione nobiliare, ad un certo momento riconosciuta e concessa al C., così come nella Tavola del florilegio vocale di A. Brunelli, Scherzi, arie, canzonette e madrigali a una, due e tre voci per sonare e cantare, Libro secundo, opera prima (Venezia 1614), si legge: "Se ridete gioiose (Del Sig. Giulio de Caccini di Roma detto Romano)".

Anche se in età avanzata (nel 1614 dirà di sentirsi "molto vecchio"), il C. continuava ad essere invitato alle esecuzioni delle nuove produzioni musicali, sulle quali si sollecitava il suo giudizio (una sua lettera del 10 marzo 1617 [Arch. di Stato di Firenze cod. Mediceo, filza verde 1370, n. LVII], inviata al segretario granducale cav. Andrea Cioli, dà relazione di un'opera "con musica bonissima" di D. Belli). Presentava a corte nuovi musici, come quel tale Giuseppe del Biabo, abilissimo suonatore di scacciapensieri e tiorba (2 apr. 1618). Riceveva molti amici, nella sua casa (ora via G. Capponi, 42), decorosa e accogliente: il Tinghi nel Diario ricorda come il 10 ott. 1618 "Sua Altezza… andò con i signori fratelli al giardino del marchese Salviati dove vedde molti belli vasi d'aranci e limoni, et poi andò alla casa di Giullio [sic] Romano che vedde di belli vasi simili…".

Il 10 dic. 1618 il C. moriva a Firenze e veniva sepolto nella SS. Annunziata.

L'effettivo apporto recato dal C. all'evoluzione del linguaggio musicale e all'affermazione di nuove forme non va ricercato nella produzione teatrale. Indipendentemente dai tentativi innovatori esperiti nella Dafne, dei quali non possiamo valutare la portata perché dell'opera non rimane nulla, anche la musica dell'Euridice, nella forma nella quale c'è pervenuta (la parte del basso numerato e quelle vocali), non permette di farci un'idea esatta dei risultati artistici conseguiti. L'esame dell'Euridice nelledue redazioni, del Peri e del C., ha permesso di stabilire i caratteri stilistici dei due musicisti: il Peri, attraverso una pacata espansione melodica, si rivela più intensamente drammatico, mentre il C. è musicista dalla più facile vena melodica, più cantante che compositore e come tale incline al virtuosismo vocale, seppure controllato, e alla melodia elegantemente atteggiata che s'arricchisce di cadenze vagamente ornate di abbellimenti. La raccolta delle Nuove musiche segna il passaggio dal madrigale polifonico cinquecentesco a quello monodico; tali "canti a solo" del C. furono per qualche decennio il modello di un'infinità di "canzonieri" monodici. Le monodie, che si potevano acquistare ovunque ed agevolmente eseguire, ebbero un'enorme diffusione: un'aria, Amarilli, mia bella, agli inizi del Seicento fu largamente conosciuta in Europa ed è tuttora molto nota.

La citata prefazione alle Nuove musiche reca un'epistola "ai lettori" del C. che costituisce la sua poetica e la sua apologia: dichiarando di avere imparato più dalle riunioni della camerata de' Bardi che in trent'anni di contrappunto, egli si convinse ad abbracciare il canto monodico, perché atto ad "imitare i concetti delle parole" grazie ad "una certa nobile sprezzatura". Il termine "sprezzatura" significherebbe una naturale libertà ritmica, una specie di tempo "rubato", che si rivelerà di fondamentale importanza per il futuro canto teatrale. Di questa vantata nobile maniera di canto il C. espose con ricchezza di particolari i caratteri tecnici: l'esposizione è una testimonianza insostituibile della didattica dell'epoca.

Non di rado il C. è stato oggetto di giudizi e critiche negativi quale musicista poco colto e uomo insinuante, orgoglioso, abile a sfruttare come proprie le invenzioni altrui e ad attribuirsi meriti non suoi. Se è vero che impose al Peri l'inclusione di alcune sue musiche nell'Euridice, egli accettò a sua volta, senza pubblicamente recriminare, la collaborazione di ben tre musicisti nel suo Rapimento.L'Arteaga nei suoi confronti così si esprime: "G. Caccini, gentiluomo romano… di vivo e pronto ingegno …, prese a perfezionare la maniera inventata dal Galilei… né tralasciò di concorrer anch'egli poetando al medesimo fine, di che può far testimonianza la canzonetta "Nolite, nolite, amanti" opera di codesto valent'uomo ignorato in oggi dai poeti e dai musicisti, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri". Tutt'altro che illetterato sarebbe stato dunque il C., come qualche storico ha affermato, ma colto e poeta oltre che musicista. Il Rolland ne diede un ritratto nuovo e inaspettato, con una ricostruzione che è una commossa difesa dell'uomo e del musicista; analogamente il Marchal, riesaminando la prefazione alle Nuove musiche, non vi ritrovava il musicista orgoglioso ed invidioso presentato dalla maggior parte degli storici, ma un artista semplice, coscienzioso e sincero. La raccolta di musiche monodiche Il Fuggilotiomusicale, apparsa nel 1613, alterna variamente momenti felici ad altri più deboli, dandoci una dimostrazione dell'attitudine spirituale dell'autore, sempre proteso alla ricerca di un rinnovamento e costantemente insoddisfatto dei risultati raggiunti. L'ultimo lavoro da lui dato alle stampe s'intitola ancora Nuove musiche e nuova maniera di scriverle, Firenze 1614, ma non si tratta di un'ulteriore edizione delle Nuove musiche, bensì di una nuova silloge di trentasei composizioni monodiche. L'elemento tecnico inedito è l'intelligente uso del basso continuo, concepito in modo da permettere al cantante di accompagnarsi da sé con uno strumento che nel caso del C. era il chitarrone (un tipo di arciliuto) o la tiorba romana, inventata da A. Naldi detto il Bardella, anch'egli musico alla corte medicea. A prescindere da ogni polemica sulla vantata priorità nel campo della musica teatrale, restano indiscussi i meriti originali del C. in quello della monodia. Negletto nei secoli passati, in epoca moderna è stato fatto oggetto di attenti studi, anche se tuttora non definitivi, che ne hanno precisato l'insostituibile presenza nel complesso panorama delle origini del melodramma.

Forse fu suo fratello il compositore Orazio, nato a Roma verso la metà del sec. XVI, maestro di cappella presso la basilica romana di S. Maria Maggiore dal febbraio 1577 al maggio 1578, con la paga mensile di venti scudi (cfr. Roma, Arch. capitolare di S. Maria Maggiore, Fondo Cappella musicale, II vol.non impaginato, ad annos et menses).Nel registro dei salariati nei mesi di giugno e luglio 1578 è scritto che "riceve per lui Michelangelo", probabilmente suo padre, mentre nell'agosto dello stesso anno il nuovo maestro di cappella è N. Pervé. Tutto ciò, oltre a rettificare, documentandole, le date relative alla sua attività, fa ritenere abbastanza fondata l'ipotesi della parentela fra i due musicisti. Orazio lasciò pubblicato un libro di Madrigali e canzonette a cinque voci…, Venezia 1585.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, CVIII, cc. 25 ss.; VI, cc. 221 ss.; Ibid., cod. Mediceo n.4728, f. CLIII; Firenze, Bibl. nazionale centrale, ms. n. 42 bis, b. 1902943 D-1902944 D: V. Ricci, G. C.;Roma, Bibl. Apost. Vaticana, Cappella Giulia, ms. I, n. 1: G. O. Pitoni, Notizie de' contrappuntisti e compositori di musica dal 1000 al 1700, p. 209; M. Praetorius, Syntagma musicum, III, Wolfenbüttel 1618-1619, p. 230; S. Arteaga, Le rivoluzioni del teatro ital., I, Venezia 1785, pp. 224, 239 ss., 243 s., 246 s., 262; L. F. Valdrighi, Cappelle, concerti e musiche di casa d'Este dal sec. XV al XVIII, Modena 1834, pp. 13, 53, 66, 427; A. Ademollo, La bell'Adriana ed altre virtuose del suo tempo alla corte di Mantova, Città di Castello 1888, pp. 33 s., 36 ss., 53, 60, 62 ss., 142, 217; E. Vogel, Marco da Gagliano. Zur Gesch. des fiorentiner Musiklebens von 1570 bis 1650, Leipzig 1889, pp. 22 ss.; H. Goldschmidt, Die italien. Gesangsmethode, Breslau 1890, pp. 13 ss. e passim;R. Rolland, Histoire de l'opéra en Europe avant Lully et Scarlatti, Paris 1895, pp. 65-72; R. Gandolfi, Commemor. della riforma melodrammatica, in Atti dell'Acc. del R. Istituto musicale di Firenze, XXXIII (1895), pp. 17 s., 34, 39 ss., 106, 140, 146; Id., Alcune considerazioni intorno alla riforma melodrammatica di G. C., in Riv. musicale ital., III (1896), pp. 714-720; A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1903, pp. 48, 50, 53 ss., 72, 94, 96, 110, 116, 122, 130 ss., 135, 145 ss., 154, 166, 211 ss.; Id., Un viaggio in Francia di G. C. 1604-1605, in Rivista musicale italiana, X (1903), pp. 707-711; Id., Gli albori del melodramma, I, Milano 1905, pp. 36, 40 ss., 50, 58 ss.; Id., Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, Firenze 1905, pp. 10, 18 s., 25 ss., 28 ss., 51, 58, 64, 85, 92, 127, 130, 141; E. Ehrichs, G. C., Leipzig 1908; O. G. Sonneck, Dafne, the first opera. A chronological study, in Sammelbande der Internat. Musikgesellichaft, XV(1913) pp. 103 ss., 108; R. Gandolfi, Lettere inedite scritte da musicisti, in Riv. musicale ital., XX(1913), p. 530; H. Prunières, L'Opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, pp. XXVI-XXXIV, XLV, 3 ss.; Id., Le ballet de Cour en France avant Lully, Paris 1914, pp. 77, 106 s., 229, 237, 244; Id., Une lettre inédite d'E. de' Cavalieri, in La Revue musicale, IV(1923), 8, pp. 128-132; R. Marchal, G. C., ibid., VI(1925), 4, pp. 140-151; F. Boyer, G. C. à la cour d'Henri IV, d'après des lettres inédites, ibid., VII(1926), 11, pp. 241-250; S. Silli, Una corte alla fine del '500…, Firenze 1927, pp. 61 s., 69, 71-74, 81; F. Ghisi, Feste mus. della Firenze medicea, Firenze 1939, pp. XVI, 88 s.; Id., Alle fonti della monodia Due brani della Dafne e il "Fuggilotio musicale" di G. C, Milano 1940; M. G. Masera, La famiglia Caccini alla corte di Maria de' Medici, in La Rass. music., XIII (1940), pp. 481-484; D. J. Grout, Ashort history of Opera, New York 1947, pp. 43, 46, 51-57, 66; A. Einstein, The Italian Madrigal, II, Princeton, N. J., 1949, ad Indicem;L.Schrade, Monteverdi, New York 1950, p. 248; N. Pirrotta, Musique et poésie au XVIe siècle, Paris 1954, pp. 287, 293; Id., Temperaments and tendencies in the Florentine Camerata, in The musical quarterly, XI, (1954), 2, pp. 179 s.; F. Mompellio, Sigismondo d'India musicista palermitano, Milano 1956, pp. 10, 18, 20-22, 24, 176; Les fêtes du mariage de Ferdinand de Médicis et de Christine de Lorraine. Florence 1589…, a cura di D. P. Walker, Paris 1963, pp. XIVss., XX, XXX; C. Morricone, Considerazioni sul "Fuggilozio" di G. C., in Riv. italiana di musicologia, III(1968), 2, pp. 303-313; F. Testi, La musica italiana del Seicento. Il melodramma, Milano 1970, ad Indicem;F. J. Fétis, Biogr. univ. des Musiciens, II, Paris 1861, pp. 139 ss.; R. Eitner, Quellen Lexikon der Musiker, II, pp. 263 s.; Encicl. dello Spettacolo, II, coll.1447-1453; The Oxford Companion toMusic, p. 320; La musica. Dizion., I, Torino 1968, p. 320. Per Orazio cfr. anche: E. Vogel, Bibliothek der gedruckten weltlichen Vocalmusik Italiens…, I, Berlin 1892, p. 129.

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