Caco

Enciclopedia Dantesca (1970)

Caco

Giorgio Padoan

. Personaggio della mitologia romana. Nell'Eneide (VIII 184-275) Evandro narra a Enea con ampiezza di particolari l'uccisione di C. a opera di Ercole. C. - vi si dice -, figlio di Vulcano, era uomo gigantesco e mostruoso e vomitante fiamme dalla bocca. Ladro di bestiame e dedito a ogni scelleratezza, era temutissimo nella campagna romana; la sua grotta nell'Aventino era sozza di sangue e di teschi umani.

Quando Ercole, reduce dalla Spagna con il famoso armento del re Gerione, fece sosta presso Pallanzio, C. gli rubò quattro buoi e quattro vacche di rara bellezza, avendo l'accortezza di trascinare gli animali per la coda e di cancellare poi ogni altra traccia: sì che l'indomani mattina Ercole, non trovando orme se non nella direzione nella quale l'armento aveva proceduto, non riuscì a capire dove mai quelle bestie si fossero cacciate; e C. negava con giuramenti di essere responsabile di furto. Ma quando l'eroe, datosi alfine per vinto, avviò l'armento, ai muggiti dei compagni rispose una delle vacche rinchiuse nella caverna. Ercole potè così individuare il nascondiglio e, avendone C. sbarrato l'ingresso, spostò un'immensa roccia scoperchiando la caverna. Vanamente C. eruttò fiamme; Ercole con una stretta terribile lo soffocò. In quel punto l'eroe eresse poi l'Ara massima.

Nell'Inferno dantesco C. è il demone preposto alla settima bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti i ladri (If XXV 17-33). D. lo descrive come un centauro con un gran drago sopra le spalle, vomitante fiamme, e con moltissime bisce sulla groppa, e fa spiegare a Virgilio che appunto per quel furto fraudolento egli è separato dai suoi fratei, cioè dai Centauri, che sono invece nel girone dei violenti contro il prossimo. Il racconto virgiliano è certamente alla base della descrizione dantesca: e tuttavia nell'Eneide è pur detto esplicitamente che C. è figlio di Vulcano, e quindi non può essere fratello dei Centauri, figli di Issione e di una nube (cfr., ad esempio, Aen. VIII 293; Met. XII 504; ecc.); né Virgilio lo descrive come mezzo uomo e mezzo cavallo. Già Benvenuto (in cui però è operante la nuova mentalità umanistica; cfr., per contro, Guido da Pisa Fiore d'Italia CVI) registra la meraviglia di molti per la trasformazione del C. dantesco in centauro osservando che la ragione doveva ritrovarsi nel fatto che Virgilio lo chiama " semihomo " e " semifer " (Aen. VIII 194 e 267); e in effetti nelle Metamorfosi i Centauri sono indicati proprio con quei medesimi termini (cfr. II 633, XII 536; e anche Stazio Ach. I 111-114). Ciò però spiega solo parzialmente la diffrazione, che è molto più complessa: infatti, se in Virgilio C. stesso erutta fuoco, in D. a vomitare fiamme è un drago posto sulle spalle del centauro. Un altro importante punto separa le affermazioni dantesche dal testo virgiliano: secondo l'Eneide, Ercole uccide C. mediante strangolamento; D. dice invece che cessar le sue opere biece sotto la mazza d'Ercule, che forse / gliene diè cento, e non sentì le diece (If XXV 31-33). Il mutamento non è di fantasia (cfr. Livio I VII 7 " ictus clava "; Ovid. Fasti I 575-576 " adductaque clava trinodis / ter quater adversi sedit in ore viri "), e fa pensare che D. riprendesse dall'episodio virgiliano per il tramite di un'opera compilativa, o di una chiosa di commentatore o di mitografo (come anche per Cerbero: v.).

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