Cagliari

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Comune della Sardegna meridionale (133,5 km2 con 149.883 ab. al censimento del 2011, divenuti 151.005 secondo rilevamenti ISTAT del 2020, detti cagliaritani), città metropolitana e capoluogo di regione; sede del governo regionale sardo.

Principale centro culturale, economico e portuale dell’isola, è situata a 6 m s.l.m. tra la laguna di Santa Gilla (a O) e lo stagno di Molentargius (a E), al centro del golfo omonimo. Il nucleo originario occupa un poggio calcareo nella zona più interna e riparata del golfo, mentre la città moderna, che si affaccia al porto, si è estesa verso E e verso NE. La popolazione del comune è cresciuta con ritmo sostenuto nel corso del Novecento, soprattutto negli anni 1960 e 1970, fino a toccare quasi 200.000 ab. nel 1981; l’aumento demografico ha prodotto l’ampliamento dell’area urbana in più direzioni e la nascita di un’agglomerazione comprendente più centri. Negli anni 1980 e 1990 alcuni comuni precedentemente accorpati alla città sono ritornati autonomi, cambiamento che spiega in gran parte il brusco calo registrato al censimento del 2001 (164.249 ab.). L’andamento demografico ha mostrato comunque nel primo decennio degli anni 2000 una diminuzione, dovuta principalmente alla tendenza a stabilirsi nei comuni limitrofi, soprattutto da parte dei giovani, con un modesto aumento tra il 2011 e il 2015. Il processo di industrializzazione, avviato alla fine degli anni 1960 ha dato risultati minori del previsto. Significativo a partire dagli anni 1990 l'avvio e il consolidamento di attività a forte contenuto tecnologico (informatica e ICT, Information and Communication Technology), trainato anche dallo sviluppo di Tiscali, uno dei principali operatori europei nel campo dei servizi di accesso a Internet.

Una parte notevole della popolazione attiva è addetta al commercio e ai trasporti, prima di tutto marittimi, dato l’attivo movimento di merci e passeggeri che si svolge nello scalo di C. (41.082.556 t per il traffico merci, 524.000 passeggeri nel 2015), e in quello vicino, petrolifero, di Porto Foxi. Il porto svolge nell’ambito del Mediterraneo una considerevole funzione: sia in relazione al controllo dei traffici sulla rotta fra l’Africa settentrionale, l’Europa e gli Stati Uniti, sia come scalo per i movimenti di container fra i paesi mediterranei e la Cina (a partire dagli anni 1990); è infatti uno dei tre principali porti italiani che effettuano transhipment, ovvero il trasferimento di contenitori dalle grandi navi portacontainers su imbarcazioni di dimensioni minori. La città ha nell’isola un largo primato anche per quanto riguarda i traffici ferroviari, automobilistici e aerei, questi ultimi facenti capo all’aeroporto di Elmas.

Storia

Le origini

I colli su cui poi sorse Cagliari furono abitati sin dal Neolitico antico: sono stati infatti rinvenuti reperti risalenti a questo periodo nelle grotte del promontorio di S. Elia, presso la Sedia del Diavolo e Santa Gilla. Nell'età nuragica su quei colli furono certamente erette alcune delle caratteristiche costruzioni, ma scarsissime sono le testimonianze di questa fase culturale, probabilmente a causa delle successive stratificazioni del suolo. Il primo nucleo urbano di C. risale al 7° sec. a.C. circa: i Fenici di Tiro durante la loro espansione nel Mediterraneo occidentale presero possesso del promontorio cagliaritano che, circondato com'era dalle acque, si prestava alla costituzione di uno dei loro empori fortificati, da cui poi si svilupparono le città loro colonie; il primissimo nucleo abitativo pare fosse nella zona della laguna di Santa Gilla. Ma fu dopo la conquista cartaginese che C. diventò una florida città commerciale, e accentrò nel suo porto i prodotti del suo vasto retroterra: lo attestano le ampie necropoli che si estendevano dal colle di Bonaria a oriente a quelli di S. Avendrace a occidente.

Dai romani ai vandali

La città ebbe nuovo incremento con l’occupazione romana del 238 a.C., poiché divenne sede del pretore che governava le due isole di Sardegna e di Corsica, e base sia delle operazioni navali, sia delle spedizioni che muovevano contro le popolazioni non sottomesse dell'interno, sia anche dei trasporti di grano e altre vettovaglie che s'inviavano a Roma. Presto vi si costituì un nucleo di cittadini romani, accanto al nucleo di cittadini di origine e di lingua punica, e a quello di indigeni sardi: come in altre città antiche essi vivevano probabilmente accanto ma distinti; nel 46 a.C. venne concesso da parte di Cesare lo stato giuridico di Municipio di cittadini romani, nel quale gli altri elementi si andarono fondendo. Furono edificati templi, in cui accanto alle divinità romano-greche, si adoravano le divinità puniche latinizzate, un Campidoglio, un anfiteatro, mura difensive; venne assicurato il rifornimento idrico con l’acquedotto, vennero lastricate le strade e la città godette di notevole prosperità. I suoi edifici e le sue ville si estendevano lungo il mare e lo stagno. Ma l'acropoli della città, il nucleo fortificato, che si venne anche qui restringendo col decadere dell'impero e il rarefarsi della popolazione, fu forse sin d'allora sul colle in cui poi sorse il castello. Come porto, usufruiva, oltre che dell’insenatura allora più penetrante del porto attuale, anche delle tranquille acque dello stagno che era accessibile alle navi dell'epoca. Il cristianesimo, diffusosi intorno al 2° secolo, subì la persecuzione di Diocleziano (durante la quale venne martirizzato S. Saturno). I suoi vescovi, di cui abbiamo notizia sicura sin dal principio del 4° sec., furono metropoliti della Sardegna: Lucifero, durante le lotte ariane, fu uno dei più ardenti e inflessibili sostenitori della fede nicena, per cui sopportò l'esilio e scrisse, in un latino piuttosto rozzo, libri pieni di passione religiosa che rappresentano le prime opere di autore sardo a noi giunte. Asilo più tardi di molti vescovi esiliati dai Vandali fra cui Fulgenzio di Ruspe e il vescovo d'Ippona, che vi portò le ossa di S. Agostino, C. vide fiorire una certa cultura ecclesiastica e svilupparsi il monachesimo. Ma già verso il 454 la città, con il resto della Sardegna, aveva cominciato a essere occupata dai Vandali, che dopo la caduta dell’Impero ebbero mano libera.

Dai bizantini a Pisa

Chiamati in aiuto dal governatore vandalo della Sardegna, Goda, che aveva tentato nel 533 di ribellarsi al potere centrale, i bizantini, dopo la sconfitta dei vandali, posero sotto il loro dominio C. e i principali insediamenti sardi; dopo una breve incursione dei Goti, i bizantini si insediarono stabilmente, lasciando tuttavia alla Sardegna una certa progressiva autonomia; separarono l'amministrazione civile da quella militare, e suddivisero il territorio in distretti che, tra il 9° ed il 10° secolo, divennero i Giudicati o regni di Calaris (Cagliari), Logudoro (o Torres), Gallura e Arborea. Sin dall’8° sec., però, C. aveva cominciato a essere oggetto di ripetute e devastanti incursioni da parte dei saraceni, tanto che gran parte della popolazione, scampata alle stragi e alla schiavitù, pur non abbandonando del tutto il sito dell'antica città, preferì trasferirsi nell’area dietro la cintura degli stagni – dove sorse il centro di S. Igia – per potersi più facilmente difendere e più rapidamente ritirare verso l'interno. Dalla fine del 1100 il giudicato passò alla casata dei Lacon Massa, con i quali esso andò incontro alla sua definitiva distruzione nel 1258, sconfitto da un’alleanza tra gli altri tre giudicati e Pisa.

Dal 13° al 14° secolo

Già nel 1216 i pisani avevano ottenuto di poter erigere sul colle una fortificazione, Castel di Castro (l’attuale quartiere Castello), dalla quale i mercanti pisani potevano controllare e difendere i loro traffici, e che divenne, per cura di Pisa e in pochi decenni, una delle più grandiose fortezze d'occidente. Durante la seconda guerra tra Genova e Pisa, si combatté nelle acque di C., nell'aprile del 1284, una battaglia navale fra una squadra di 30 galee pisane capitanate dal conte Fazio e una squadra genovese di forza alquanto maggiore. La vittoria arrise ai genovesi che fecero prigioniero lo stesso Fazio. La battaglia preludeva a quella maggiore combattuta alla Meloria lo stesso anno. Nel 1297 Bonifacio VIII con l’Atto di infeudazione concedeva a Giacomo II d'Aragona il regno di Sardegna e Corsica perché gli aragonesi rinunciassero alla Sicilia. Nel 1323 l'infante Alfonso d'Aragona sbarcò in Sardegna per far valere i propri diritti. Pisa che aveva cercato invano di mantenerne il dominio attraverso una subinfeudazione, fu costretta alla resa nel 1326. Ripopolata di catalani e fornita degli stessi privilegi di Barcellona, C. divenne il caposaldo della dominazione aragonese nell'isola. Il vecchio castello fu sgomberato da pisani e sardi; a poco a poco prevalsero nella città lingua, arte e usi spagnoli, tanto più che i dominanti cercarono in genere di ostacolare le relazioni con l'Italia non spagnola. Durante la dominazione catalano-aragonese, C. riuscì a mantenere una certa autonomia; la città fu retta da un governatore centrale, e poi da un viceré. Con l'unificazione delle due corone, di Castiglia e Aragona, il governo spagnolo assunse un atteggiamento più autoritario, con conseguente minore autonomia a livello locale. Sede della convocazione del parlamento sardo fin dal 1355, la città mantenne il suo ruolo di centro principale e più popoloso dell’isola, e il porto continuò a esercitare una funzione strategica nelle rotte del Mediterraneo. Carlo V la dotò di fortificazioni per difenderla dalle incursioni turche. Centro notevole di commerci, lo divenne anche dal punto di vista culturale, soprattutto quando nel 1607 venne istituita l’università.

Il Settecento e il passaggio ai Savoia

Con la morte senza eredi di Carlo II di Spagna nel 1700, la Sardegna venne coinvolta nella guerra di successione spagnola tra Filippo di Borbone e Carlo d’Asburgo; nel 1708 C. subì un bombardamento da parte dell'ammiraglio inglese Lake, in appoggio alle pretese della casa d'Austria sull'isola e fu costretta ad arrendersi: seguì una breve dominazione austriaca, e una altrettanto breve dominazione spagnola. Con il trattato di Londra del 1718 venne deciso di restituire la Sardegna a Carlo VI d’Asburgo, il quale riuscì però a scambiarla con la Sicilia dei Savoia per poter avere continuità territoriale con i domini napoletani. Vittorio Amedeo II di Savoia divenne quindi re di Sardegna nel 1720 e il 16 luglio di quell’anno arrivò a C. il primo viceré piemontese, Filippo Guglielmo Pallavicino delle Frabose, duca di St. Remy, per gestire la transizione dal governo spagnolo a quello sabaudo, in una situazione non facile: i ceti dirigenti erano in gran parte filospagnoli, ma permaneva un forte fazione filoasburgica, mentre il territorio era caratterizzato da forte arretratezza economica e culturale. I nuovi governanti si erano impegnati a rispettare gli antichi privilegi concessi dalla Spagna; per lungo tempo si continuò a usare lo spagnolo e, almeno inizialmente fu applicata una politica di non-intervento; solo a partire dagli anni Settanta del secolo cominciò a farsi sentire con maggiore peso l’ingerenza del sovrano. Si devono ai piemontesi la promozione di iniziative economiche (con l’intento di favorire lo sviluppo di C. come centro industriale in grado di sfruttare le risorse locali), l’allargamento dell’università con una nuova sede e una biblioteca, la risistemazione dell’ospedale, la fondazione della Stamperia reale e diversi interventi urbanistici, fortificazioni militari e architetture civili. La Francia rivoluzionaria, dopo aver conquistato Nizza e la Savoia aveva cominciato a guardare a Cagliari come a una postazione strategica nell’ambito del Mediterraneo e nel 1793 una flotta francese si introdusse nel Golfo di C., sottoponendo la città a pesanti bombardamenti; un tentativo di sbarco fu però respinto dai sardi che rimasero fedeli ai Savoia, aspettandosi tuttavia in cambio che venissero accolte alcune istanze, come la possibilità per i sardi di accedere alle cariche pubbliche e una maggiore autonomia degli stamenti (i bracci del parlamento). La mancata accettazione delle richieste produsse una sollevazione popolare e la cacciata dei piemontesi da C. (aprile 1794). Ad un breve periodo di autogoverno seguì il ritorno dei piemontesi che ripristinarono il loro dominio con misure repressive. Nel 1799 Carlo Emanuele IV fu costretto dagli eserciti francesi rivoluzionari a lasciare Torino e si rifugiò a C., che divenne quindi sede della corte e capitale provvisoria dello Stato fino al 1814.

L’Ottocento

Il peso della corte aveva inasprito il debito pubblico e generato malcontento (acuito dallo stallo dei traffici marittimi, da epidemie e carestie), soprattutto nella borghesia, che organizzò nel 1812 una congiura, detta di Palabanda dal luogo dove si incontravano i congiurati. Il tentativo fu tuttavia scoperto e soffocato prima che potesse essere messo in atto, e i principali congiurati condannati a morte. I Savoia presero alcune iniziative importanti per lo sviluppo di C. (illuminazione pubblica, istituzione di un servizio postale con Genova, costruzione della strada per Sassari), e nel 1847, sotto Carlo Alberto, venne sancita la ‘perfetta fusione’ con gli stati di terraferma, aboliti la carica di viceré e il parlamento sardo. Nel 1890 venne conferita la carica di sindaco della città a Ottone Bacaredda, che mantenne il suo ruolo, salvo alcune pause, fino al 1921, contribuendo allo sviluppo e all’ammodernamento della città. Capoluogo dell’isola, C. era tuttavia popolata da un’ampia fascia di impiegati e lavoratori a reddito fisso che soffrivano in particolare per l’aumento dei prezzi dei generi di consumo; il malcontento della piccola e media borghesia si andava poi a saldare con quello del proletariato, i cui salari erano ben al di sotto di quelli del continente. Dopo l’Unità, e ancor di più dopo la conquista di Roma nel 1870, le risorse e gli interessi del governo centrale si concentrarono soprattutto sul consolidamento dello Stato unitario e sugli interventi necessari per adeguare Roma al suo ruolo di nuova capitale, lasciando irrisolti i problemi di C., che ancora necessitava di diversi servizi di base.

La prima metà del Novecento

Al principio del nuovo secolo ancora molto forti erano in Sardegna sia le spinte separatiste, cioè quelle che auspicavano l'indipendenza dall'Italia, sia quelle autonomiste, che miravano a una maggiore autonomia amministrativa: lo Stato italiano era percepito come estraneo, autoritario e vessatorio, più intento a depredare le risorse che a impegnarsi nello sviluppo economico dell'isola e a colmare il divario rispetto al resto del Paese. D'altronde i primi decenni dopo l'Unità si erano caratterizzati per un razzismo 'lombrosiano' nei confronti della popolazione sarda e i cagliaritani nel 1899 avevano assistito alla tetra sfilata di decine di persone incatenate – inclusi vecchi, donne e ragazzini – prelevate dall'entroterra e condotte in carcere con l'accusa di brigantaggio, un fenomeno diffuso che fu perseguito con violenza efferata e arbitraria (con espressione sprezzante si parlò di 'caccia grossa'). Nel 1906 partì dalle sigaraie della Manifattura tabacchi, che chiedevano al sindaco Bacaredda il ribasso dei prezzi del pane e del pesce, una rivolta che si diffuse anche nell'entroterra, acuita inoltre dal manifesto odio per i 'continentali', ossia quella categoria ampia di imprenditori e commercianti che erano giunti nell'isola attratti dalle sue potenzialità di sviluppo, considerati responsabili dell'estrema povertà in cui la popolazione versava. Il Primo conflitto mondiale, durante il quale i sardi subirono perdite relative molto superiori alla media nazionale (138,6 morti ogni 1.000 abitanti contro i 104,9 del resto del paese) e anche i civili erano stati sottoposti a enormi privazioni per via dell'economia di guerra, rafforzò il diffuso sentimento di un debito che l'Italia aveva verso l'isola. Nelle prime elezioni politiche del dopoguerra, nel 1919, il Partito degli ex-combattenti, che proponeva maggiore autonomia attraverso tra l'altro un regime doganale particolare per favorire le esportazioni isolane, ottenne a C. il 24,9%, contro il 3,4% del resto del Paese. Tale partito nel 1921 si ricostituì in Partito sardo d'azione (PSdA), orientato a sinistra, che a C. ebbe tra i principali teorici Davide Cova ed Emilio Lussu (veterano della celebre Brigata Sassari, che si era distinta per eroismo durante la Grande guerra), il quale sarebbe stato eletto deputato nazionale alle elezioni politiche dello stesso anno. Prima della marcia su Roma, il fascismo aveva avuto una diffusione modesta a C. (e ancor minore nel resto della Sardegna), dove aveva raccolto moderato consenso tra i borghesi e gli ex-combattenti. Nel novembre del 1922 a C. durante una sfilata fascista venne ucciso l'autonomista Efisio Melis e si verificarono diversi scontri. Dopo il delitto Matteotti il PSdA si schierò con l'Aventino. Successivamente però un'ampia parte del PsdA, guidata dai dirigenti Paolo Pili e Antonio Putzolu, grazie all'intermediazione del prefetto Asclepio Gandolfo, fu assorbita dal Partito nazionale fascista (PNF) – si parlò di 'fusione sardofascista' – e nel ventennio fascista la dirigenza politica cagliaritana proverrà in prevalenza dalle file sardiste (tra cui i tre successivi podestà Vittorio Tredici, 1927-28; Enrico Endrich, 1928-34; Giovannino Cao, 1934-35). Nel 1924 con decreto regio venne stanziato un miliardo di lire per la modernizzazione dell'isola – ciò che fu letto come un successo della scelta 'sardofascista' –, una buona parte del quale sarà investita nella riqualificazione e l'ampliamento urbanistico del capoluogo, che visse infatti in questi anni una stagione di espansione. Nel 1925 Lussu, che per legittima difesa aveva ucciso uno squadrista che lo aveva aggredito nella sua casa di C., fu arrestato insieme al comunista ed ex sardista Giovanni Lay: entrambi sarebbero più tardi passati alla Resistenza con pochi altri, tra cui Cesare Pintus. Durante la Seconda guerra mondiale C. subì bombardamenti gravissimi. Il capoluogo che nel 1935 contava 88.122 ab. si ridusse tra il 1942 e il '43 a 7.000 anime: il 75% degli edifici fu danneggiato e morirono circa 1.000 persone. Nel 1943 sbarcarono a C. i primi soldati americani, senza che la città fosse stata occupata dai tedeschi e senza che si fosse trasformata in teatro di combattimenti.

Dalla seconda metà del Novecento ai primi del nuovo secolo

Il primo sindaco di epoca postfascista, a capo di una giunta che comprendeva tutti i partiti della Concentrazione antifascista, fu Pintus del PSdA, dal 1944 al 1946. Dalle elezioni comunali del 1946, tuttavia, nonché nei diversi successivi appuntamenti politici e regionali, a C., come nel resto della Sardegna, sarebbe prevalsa come primo partito costantemente la DC (Democrazia Cristiana). Nel 1946 la DC ottenne il 33,3% dei voti, seguita dalla coalizione delle sinistre (PCI, Partito Comunista Italiano; PSIUP, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria; PdA, Partito d'Azione) con il 20,9%, il PSdA con il 21,5%, il Partito dell'Uomo Qualunque (UQ) con il 11,8% e il PLI (Partito Liberale Italiano) con il 10%; a capo della giunta venne nominato il democristiano Luigi Crespellani, che rimase in carica fino al 1949. Nel giugno del 1946 C. si espresse a favore della monarchia con il 60,9% delle preferenze, ma l'evento più importante del dopoguerra fu nel 1948 l'approvazione in sede costituente dello Statuto speciale con cui veniva costituita la Regione autonoma Sardegna con capitale a Cagliari, benché l'autonomia non fosse così ampia come auspicato dal PSdA. Nelle elezioni comunali del 1952 la DC si attestò al 31,3%, il PCI al 19,3%, il Movimento sociale italiano (MSI) al 17%, il Partito nazionale monarchico (PNM) al 13,4%, seguito dai socialisti con il 7,4% e i liberali con il 6,1%, mentre la coalizione di PsdA, repubblicani e socialdemocratici raggiungeva solo il 3,4%; dal 1949 al 1956 fu sindaco Pietro Leo, sostituito poi in questa data da Mario Palomba fino al 1960, anno in cui gli successero anche Antonio Follese e Giuseppe Peretti. Nell'immediato dopoguerra la città aveva subito una frenetica per quanto disordinata opera di ricostruzione, ma fu soprattutto a partire dagli anni 1960 che essa cambiò definitivamente la sua connotazione sociale ed economica. Nel 1962, infatti, era stato approvato dal Parlamento nazionale il Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna, con l'obiettivo di procedere a una definitiva modernizzazione della sua economia, e il Sud dell'isola, insieme all'area di Porto Torres in provincia di Sassari, veniva designato come uno dei principali poli industriali della regione. Nacquero così intorno al capoluogo il grande impianto petrolchimico di Assemini della famiglia piemontese dei Gualino, la raffineria della Saras petroli di Angelo Moratti a Sarroch, nonché numerose altre industrie che andarono a costituire l'enorme agglomerato industriale di Macchiareddu-Grogastu. In questi anni C., che già a partire dal dopoguerra era divenuta meta di una costante ondata migratoria dal resto dell'isola (era passata tra il 1951 e il 1961 da 117.361 ab. a 156.055), crebbe ulteriormente passando a 190.080 ab. nel 1971 e a 197.517 nel 1981, cambiando profondamente anche il suo tessuto sociale. Contestualmente, si aprì una fase di intensi scontri sindacali (il numero degli iscritti ai tre principali sindacati nazionali all'epoca raddoppiò), in cui al centro vi erano la parità di riconoscimenti economici per gli operai sardi e anche la questione dell'autonomia. Tali mobilitazioni a partire del 1968 investirono anche l'università. Le modalità con cui era stato attuato il piano di modernizzazione, che poco aveva tenuto conto della storia e della economia preesistente dell'isola, basata principalmente su agricoltura e pastorizia, e aveva perciò creato profondi scompensi tra i principali agglomerati urbani toccati dall'industrializzazione e le aree interne dell'isola, spopolate e ancora abbandonate alla povertà, furono tra i temi discussi dal movimento sessantottino locale. La trasformazione della vita, delle tradizioni e della cultura dell'isola attraverso l'intensa industrializzazione fu descritta da alcuni come una 'catastrofe antropologica', di nuovo – come al tempo dell'Unità – imposta da uno Stato centrale estraneo e autoritario, e un sostanziale fallimento dell'autonomismo. Inoltre, toccati dalla crisi petrolifera degli anni 1970, molti stabilimenti nel nuovo decennio subirono un forte ridimensionamento – a riprova del fallimento di una scelta di 'monocultura' industriale – e negli anni 1980 iniziò anche a C. il fenomeno della decrescita demografica, mentre nel contempo iniziava il processo di terziarizzazione dell'economia, che avrebbe nuovamente trasformato la conformazione sociale della città.

Dal punto di vista amministrativo la preminenza della DC durò per tutti gli anni 1960 e 1970. Nelle amministrative del 1960 la DC conquistò 25 seggi contro gli 8 del PCI, i 5 del PSI, i 4 del MSI, i 3 del  PLI (Partito Liberale Italiano), i due del PDIUM (Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica) e dei socialdemocratici, e l'unico seggio dei sardisti. Sindaco della città fu eletto Giuseppe Brotzu che, a capo di giunte diverse, sarebbe stato riconfermato anche dopo le elezioni del 1964, in cui la DC ottenne 23 seggi, il PCI sempre 8, il PLI 6, l'MSI 4, il PSI 3, PSdA e socialdemocratici due, il PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) e i monarchici uno; nel 1967 Brotzu fu sostituito da Paolo De Magistris.

Nel 1970 la DC ebbe 22 seggi, il PCI 8, il PSI 5, il PLI 4, il MSI e il PSU (Partito Socialista Unitario) 3, il PSdA due, PSIUP, PRI e monarchici uno. Sindaci furono Angelo Lai fino al 1971, Eudoro Fanti fino al 1972 e Franco Murtas fino al 1975.

Nel 1975 tuttavia vi fu una crescita consistente delle sinistre e la DC scese a 20 seggi mentre il PCI salì a 13 e il PSI a 7; il Movimento sociale italiano-Destra nazionale (MSI-DN) ottenne 5 seggi, i socialdemocratici ne mantennero due, PLI, PRI e PDUP (Partito di Unità Proletaria per il Comunismo) uno e il PSdA nessuno. Per la prima volta la poltrona di sindaco fu occupata da un non democristiano, il socialista Salvatore Ferrara, a capo di diverse giunte di centrosinistra, che rimase in carica fino al 1979, quando venne sostituito da Mario De Sotgiu.

Nel 1980 la DC riconquistò rispetto alla tornata precedente un seggio, mentre il PCI ne perse due e il PSI e MSI-DN uno; socialdemocratici, repubblicani e sardisti ne conquistarono due e il PLI e Democrazia proletaria (DP) uno. Sindaci di questo quinquennio fino al 1985 furono dopo il sardista Michele Columbu che però si dimise dopo pochi giorni, i democristiani Bachisio Scarpa, Michele Martino e di nuovo De Magistris, che rimase in carica fino al 1990.

Nel 1985 la DC prese 19 seggi e il PCI 10, il MSI-DN 3, i socialdemocratici due, PRI e PLI uno, ma si assistette soprattutto a una fortissima ripresa del PSdA che ottenne ben 9 seggi. Tale ripresa delle istanze federaliste e autonomiste era dovuta allo scontento e alla delusione provocati dal sostanziale fallimento della politica economica della cosiddetta 'rinascita', che sempre più stava mostrando le sue contraddizioni e i suoi limiti. Nel 1990 divenne sindaco il socialista Roberto Dal Cortivo a capo di una giunta pentapartito, fino al 1992, sostituito poi da Gaetano Giua Marassi.

Nel 1994, dopo l'introduzione dell’elezione diretta del sindaco, e di nuovo nel 1998, venne eletto Mariano Delogu di Alleanza Nazionale (AN), sostenuto rispettivamente da due coalizioni composte da Forza Italia (FI) e AN e da FI, AN, CCD (Centro Cristiano Democratico) e Cristiani Democratici per la Libertà (CDL). Nelle elezioni del 2001 è stato eletto Emilio Floris, sostenuto da FI, AN, CCD, CDU (Cristiani Democratici Uniti), RS (Riformatori Sardi), UDR (Unione Democratica per la Repubblica), riconfermato poi alle successive del 2006, sostenuto da una coalizione composta da FI, RS, UDC (Unione di Centro), AN, UDS (Unione Democratica Sarda) e liste civiche. Nel 2011 e poi nuovamente nel 2016 ha vinto invece il candidato di centrosinistra Massimo Zedda, con una giunta composta da PD (Partito Democratico), IdV (Italia dei Valori), SEL (Sinistra Ecologica Libertà), FdS (Federazione della Sinistra) nella prima elezione e una giunta composta da PD, SEL, PSdA, CD (Centro Democratico), SC (Scelta Civica), PRC (Partito di Rifondazione Comunista) e liste civiche nella successiva. Nel 2019 ha vinto il candidato di centrodestra Paolo Truzzu, sostenuto da FdI (Fratelli d'Italia), FI, Lega e liste civiche.

Sviluppo urbanistico-architettonico

Dell’antica civiltà punica restano necropoli (Bonaria, S. Avendrace, Tuvixeddu) e cisterne, mentre di età romana sono anfiteatro, resti delle terme e tombe. L’aspetto medievale, compromesso dalle distruzioni operate da Vandali e Saraceni (resta l’importante basilica di S. Saturno, 5°-6° sec. e 11°-12°), è caratterizzato dall’influenza pisana (cattedrale, sec. 13°, fortificazioni e Castello). Nel 1305 e nel 1307 vennero edificate le torri di S. Pancrazio e dell’Elefante (la torre del Leone, coeva, danneggiata nel 18° sec., venne poi incorporata nell’ottocentesco Palazzo Boyl). Il sistema insediativo del quartiere Castello, ha un tessuto viario che sfrutta al massimo la ridotta superficie su cui si estende, e si sviluppa grosso modo parallelamente all’asse principale che unisce le due torri di S. Pancrazio e dell’Elefante, riproducendo impianti stradali coevi delle città toscane. A partire dalla dominazione pisana, quest’area ha rappresentato il centro del potere politico e militare della città; dal Medioevo in poi le fortificazioni si sono stratificate e successivamente alcune strutture difensive sono state inglobate in edifici di altro tipo. A difesa del porto furono poi circondati da mura anche i quartieri Marina, Stampace e Villanova (ma dell’imponente cinta muraria resta ora solo la parte che circonda Castello). Scarsi furono i contatti con il Rinascimento italiano (S. Agostino). Nel duomo, del 17° sec. (facciata del 1933 in stile romanico-pisano), si trova il pulpito di Guglielmo, 12° sec., già nel duomo di Pisa. Sotto i Savoia furono avviati diversi interventi, fu ampliato il Collegio di Santa Croce, ristrutturato Palazzo Viceregio, fu elaborato un nuovo progetto per il colle di Bonaria e furono ristrutturate e riattivate le Saline. Dopo l’Unità d’Italia C. venne cancellata dal novero delle città fortificate e, nonostante la battaglia ‘conservativa’ dell’architetto G. Cima, autore anche di due piani regolatori, le mura vennero abbattute, con l’intento di consentire alla città di espandersi e di cercare di risolvere l’emergenza abitativa. Una delle direzioni di sviluppo proposte andava verso il mare, e fu in questa prospettiva che venne edificato il nuovo Palazzo comunale, su progetto di C. Caselli, iniziato nel 1899, con sindaco O. Bacaredda, anche in seguito alla disponibilità finanziaria ottenuta dal comune per aver vinto una diatriba con lo Stato. Durante il fascismo C. fu risparmiata dagli ingenti sventramenti che devastarono i centri storici di altre città, anche grazie alla saggia amministrazione e all’indipendenza di giudizio dimostrata dal podestà E. Endrich; dell’epoca si ricordano il Palazzo di giustizia, il Palazzo del comando della legione carabinieri Sardegna, la scuola all’aperto Attilio Mereu (su progetto di U. Badas). La città si è in seguito espansa seguendo diverse direttrici, già prima della Seconda guerra mondiale e ancor di più nella fase della ricostruzione dopo i gravissimi danni causati dai bombardamenti: tra Villanova e Monte Urpinu, verso Nord andando a congiungersi con le frazioni di Pirri, Selargius, Quartucciu, in direzione Est verso il Poetto. Tra i progetti più significativi realizzati nel Novecento e nei primi anni Duemila si ricordano: le palazzine IEEP (1950-53, A. Libera), il complesso INA-Casa Is Mirrionisi (1953-57, M. Sacripanti), la Cittadella dei musei (1956-79), la riqualificazione dell’ex macello con la creazione del Centro culturale Exmà (1982-90), l’aereoporto di Cagliari-Elmas (1998-2002), il Parco Telematico Tiscali (2000-2003). Il Museo mediterraneo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea, progettato da Z. Hadid nel 2006 non è stato ancora realizzato.

Istituzioni culturali: Museo archeologico, Pinacoteca, Museo del tesoro di S. Eulalia, Raccolta cere anatomiche Clemente Susini e Museo d’arte siamese Stefano Cardu. Negli spazi dell'ex mercato civico è attiva dal 2011 la Mediateca del Mediterraneo (MEM), un polo culturale che racchiude l'Archivio storico, la Biblioteca generale, la Biblioteca di studi sardi, aree dedicate a convegni, mostre, proiezioni, laboratori e attività didattiche.

Golfo di C. Situato fra i Capi Pula (a O) e Carbonara (a E), ha un’apertura di 50 km, e una profondità di 30 m. È detto anche Golfo degli Angeli e corrisponde all’antico Calaritanus sinus.

Città metropolitana di C. (1248 km2 con 422.840 ab. secondo rilevamenti ISTAT del 2020, suddivisi in 17 comuni).

La città metropolitana di C. è stata istituita con la l. reg. 4 febbr. 2016 n. 2, con le finalità generali previste dalla l. 7 aprile 2014. Contrariamente a quanto stabilito per le altre città metropolitane, il territorio di quella di C. non corrisponde al territorio della ex provincia ma comprende, oltre al capoluogo, i comuni conurbati e una parte di quelli dell’hinterland (Assemini, Capoterra, Elmas, Monserrato, Quartu Sant'Elena, Quartucciu, Selargius, Sestu, Decimomannu, Maracalagonis, Pula, Sarroch, Settimo San Pietro, Sinnai, Villa San Pietro, Uta). Nell’area metropolitana sono presenti alcune importanti agglomerazioni industriali (Macchiareddu, Elmas e Sarroch), specializzate nei settori della petrolchimica, della chimica di base, della meccanica, della carpenteria metallica, dei servizi all’industria, dell’industria manifatturiera (lavorazione del legno, marmo, plastiche) e dell’industria di alta specializzazione tecnologica. Rilevante è l'apporto del turismo, prevalentemente balneare, lungo tutta la costa. L’area delle saline di C., non più attive dal 1984, fa ora parte del parco regionale di Molentargius.

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