CALCAGNO

Enciclopedia Italiana (1930)

CALCAGNO (lat. calcaneus)

Riccardo Dalla Vedova

È l'osso più voluminoso del tarso; occupa la parte posteriore e inferiore del piede; la sua forma può essere grossolanamente paragonata a un prisma quadrangolare appiattito trasversalmente, diretto dall'avanti all'indietro. Lascia distinguere un corpo, una grande tuberosità e due apofisi; si articola in alto con l'astragalo e in avanti col cuboide. Poggia al suolo col margine infero-posteriore della grande tuberosità.

Il calcagno, nel piede torto congenito, partecipa come fattore importante alla genesi della deformità; è accorciato nei suoi diametri mediali e in permanente flessione plantare e supinazione.

Nella paralisi del tricipite surale il calcagno diventa l'unico o il principale elemento di appoggio del piede al suolo, caratterizzandone la deformità in pes calcaneus (nelle due varietà di pes calcaneus sursum flexui e di pes calcaneus sensu strictiori).

Nell'infanzia il calcagno va talvolta soggetto a osteomielite cronica tubercolare: la quale, più di sovente che altrove, determina focolai di necrosi ossea (processuale); e in questo caso la guarigione non può aversi se non dopo l'eliminazione o il riassorbimento del sequestro.

Nell'adolescenza, in rapporto con l'evoluzione del nucleo secondario di ossificazione della sua grande tuberosità, il calcagno può andare incontro a transitorie turbe di origine discussa (osteo-condritiche, o disormoniche) accompagnate da fenomeni subiettivi più o meno molesti, che non devono essere confusi con sintomi flogistici.

Non è raro il caso che il nucleo secondario della grande tuberosità sia soggetto a distacco traumatico.

Nonostante la sua notevolissima elasticità il calcagno è esposto di sovente a fratture in individui che cadano sul piede (a squadra); tanto che un quinto delle fratture delle ossa del piede interessano il calcagno, il quale, fra tutte le ossa del tarso, figura come quello più frequentemente colpito.

In rapporto con la dislocazione persistente dei frammenti, con la sede spesso intrarticolare della frattura, ma specialmente con lo squilibrio che questa genera nella vòlta plantare e con l'artrite deformante consecutiva nelle articolazioni alle quali il calcagno prende parte, le íratture di quest'osso sogliono consolidarsi con appiattimento e valgismo del piede, determinando nella grande maggioranza dei casi una permanente debilitazione funzionale, spesso anche cospicua e tale da essere stata valutata perfino a un terzo del rendimento totale.

In fratture dell'angolo posterosuperiore può determinarsi invece la deformità contraria, cioè quella in cavismo.

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