CALCIO - Inghilterra

Enciclopedia dello Sport (2002)

calcio - Inghilterra

Adalberto Bortolotti

FEDERAZIONE

Denominazione ufficiale: The Football Association

Anno di fondazione: 1863

Anno di affiliazione FIFA: 1905

NAZIONALE

Colori: bianco-blu

Prima partita: 30 novembre 1872, Scozia-Inghilterra, 0-0

Albo d'oro: 1 Campionato del Mondo (1966), 3 Olimpiadi (1900, 1908, 1912)

Albo d'oro della nazionale giovanile: 2 Campionati d'Europa under 21 (1982, 1984), 9 Campionati d'Europa under 18 (1948, 1963, 1964, 1971, 1972, 1973, 1975, 1980, 1993)

Giocatore con il maggior numero di presenze: Peter Shilton (125)

Giocatore con il maggior numero di gol: Bobby Charlton (49)

MOVIMENTO CALCISTICO

Formula del Campionato (Premier League): 20 squadre, girone unico con 4 retrocessioni

Club: 42.000 società, 64.850 squadre

Giocatori tesserati: 1.502.500 uomini, 18.200 donne

Arbitri: 33.000 uomini, 450 donne

Stadi principali: Wembley, Londra (78.000 spettatori); Old Trafford, Manchester (56.000); Anfield Road, Liverpool (45.000); Stadium of Light, Sunderland (48.000)

Primo club fondato: Notts County, 1862

Vittorie internazionali dei club: 1 Coppa Intercontinentale (Manchester United: 1999), 6 Coppe dei Campioni (4 Liverpool: 1977, 1978, 1981, 1984; 2 Manchester United: 1968, 1999), 4 Coppe delle Coppe (2 Chelsea: 1971, 1978; 1 Manchester United: 1991; 1 Arsenal: 1994), 3 Coppe UEFA (Liverpool: 1973, 1976, 2001), 4 Supercoppe Europee (2 Liverpool: 1977, 2001; 1 Manchester United: 1991; 1 Chelsea: 1998), 3 Coppe delle Fiere (2 Leeds United: 1968, 1971; 1 Arsenal: 1970)

Campionati nazionali vinti dai club: 18 Liverpool; 14 Manchester United; 12 Arsenal; 9 Everton; 7 Aston Villa; 6 Sunderland; 4 Newcastle United, Sheffield Wednesday; 3 Blackburn Rovers, Huddersfield Town, Leeds United, Wolverhampton Wanderers; 2 Burnley, Derby County, Manchester City, Portsmouth, Preston North End, Tottenham Hotspur; 1 Chelsea, Ipswich Town, Nottingham Forest, Sheffield United, West Bromwich Albion

Coppe nazionali vinte dai club (FA Cup): 10 Manchester United; 8 Tottenahm Hotspur, Arsenal; 7 Aston Villa; 6 Blackburn Rovers, Newcastle United; 5 Everton, Liverpool, The Wanderers, West Bromwich Albion; 4 Bolton Wanderers, Manchester City, Sheffield United, Wolverhampton Wanderers; 3 Sheffield Wednesday, West Ham United, Chelsea; 2 Bury, Nottingham Forest, Old Etonian, Preston Norh End, Sunderland. (League Cup): 5 Aston Villa, Liverpool; 4 Nottingham Forest; 3 Tottenham Hotspur, Leicester City; 2 Arsenal, Chelsea, Manchester City, Norwich, Wolverhampton Wanderers; 1 Blackburn Rovers

Giocatore con il maggior numero di vittorie nella classifica cannonieri: Jimmy Greaves (6 volte)

Giocatore con il maggior numero di presenze: Peter Shilton (1005)

Giocatori con il maggior numero di gol: Arthur Rowley (434), Greaves (357), Bloomer (317), Dean (310), Hodgson (287), Buchan (257)

Gli inglesi hanno inventato il calcio moderno, ne hanno fissato le prime regole essenziali e lo hanno esportato quasi in tutto il mondo. Per questo motivo si sono sentiti a lungo così superiori a tutti, in un teorico rapporto tra maestri e allievi, da snobbare i contatti e le competizioni internazionali, con l'ovvia eccezione dei confronti interbritannici con le rappresentative di Scozia, Irlanda e Galles. Questo voluto isolamento ha generato il mito dell'invincibilità, un mito sorretto peraltro da pochissimi riscontri concreti e tutti risalenti a fine Ottocento e ai primi anni del Novecento, quando il resto dell'Europa era ancora fermo ai rudimenti della tecnica calcistica. Che si trattasse, appunto, di un mito lo dovevano dimostrare, in seguito, i contatti sempre più frequenti, a livello continentale e mondiale. Basti pensare che la prima partecipazione a un Campionato del Mondo, nel 1950, si risolse con la bruciante eliminazione a opera degli sconosciuti dilettanti statunitensi. A tutt'oggi, nel blasone della nazionale inglese figurano un solo titolo mondiale, peraltro raccolto sui compiacenti campi di casa, nel 1966, e tre ori olimpici, risalenti a epoca arcaica (1900, 1908, 1912) e ufficialmente conquistati come Gran Bretagna. Assai più ricco, invece, risulta il bottino nelle competizioni riservate ai club, malgrado le squadre inglesi abbiano dovuto scontare una prolungata messa al bando dalle Coppe europee, a causa della violenza dei loro tifosi teppisti (i famigerati hooligans).

Nella storia generale del calcio si è sottolineato come questo sport, almeno nella sua versione moderna, abbia trovato in Inghilterra la culla naturale. Si chiamò football, 'pallapiede', nome che storicamente comparve per la prima volta in un editto che ne vietava la pratica agli abitanti di Halifax. I tornei dei college, giocati con regole diverse fra un istituto e l'altro, uscirono ben presto dall'ambito delle public schools per interessare strati sempre più ampi della popolazione fino ad arrivare alla nascita della FA, la Football Association, nella Freemason's Tavern di Queen Street, a Londra, il 26 ottobre 1863. I primi contatti furono con la vicina Scozia. Dopo due incontri semiclandestini (1-1 e 1-0 per gli inglesi), disputati nel 1870, si arrivò a quello che storicamente è considerato il primo match internazionale nella storia del calcio: Scozia-Inghilterra del 30 novembre 1872 a Glasgow, chiuso sul punteggio di 0-0 davanti a una folla, impressionante per i tempi, di 4000 spettatori. Da quel momento i contatti con la Scozia si fecero più frequenti e si allargarono a Irlanda e Galles, per cui la FA ritenne che fossero maturi i tempi per un torneo interbritannico, denominato Home Championship, "Campionato di casa", riservato alle quattro Federazioni consorelle. Nella prima edizione, la Scozia vinse tutte le partite e si aggiudicò logicamente il trofeo, lasciando molto delusi gli inglesi, che nei confronti dei fieri rivali vantavano forse una migliore tecnica individuale, ma erano meno ferrati nell'organizzazione tattica.

La prima vera uscita internazionale del calcio inglese avvenne in occasione delle Olimpiadi del 1900, le seconde dell'era moderna, organizzate a Parigi. I francesi vollero arricchire la manifestazione con la presenza, a titolo dimostrativo, di quel nuovo sport e invitarono l'Inghilterra che si limitò a inviare una formazione di club, l'Upton Town, neppure di primo piano. La differenza era tuttavia così marcata che la Francia uscì pesantemente sconfitta dal confronto con gli inventori del calcio. Nelle successive edizioni europee dei Giochi Olimpici, nel 1908 e nel 1912, dove il calcio entrò in lizza ufficialmente, a livello competitivo, la superiorità britannica fu confermata dal doppio trionfo degli inglesi, questa volta impegnati con una vera rappresentativa nazionale. Nel 1908, a Londra, i maestri, guidati da un campione irresistibile, Vivien Jack Woodward, che poteva ricoprire tutti i ruoli dell'attacco e che nella vita era un architetto di successo, travolsero dapprima la Svezia per 12-1, poi l'Olanda per 4-0 e solo in finale trovarono un impegnativo ostacolo nella Danimarca, superata sul campo di White City (ricavato nel recinto dell'Esposizione mondiale) con il punteggio di 2-0. Il fuoriclasse danese Nils Middleboe entusiasmò a tal punto il competente pubblico inglese da guadagnarsi un immediato ingaggio da parte del Chelsea, uno dei club più ricchi dell'area di Londra. Va infatti sottolineato che il calcio inglese era all'avanguardia rispetto al resto del mondo, non solo sul piano tecnico, ma anche e soprattutto sotto il profilo delle strutture. Aveva già risolto ‒ e senza traumi ‒ il nodo del professionismo, sin dal 1885, tanto che in prima divisione calciatori dilettanti e professionisti coesistevano tranquillamente. Dal 1898 la potente Unione dei giocatori britannici tutelava i diritti dei calciatori, alla stregua di un vero e proprio organismo sindacale. La FA Cup, la celebre Coppa d'Inghilterra, si disputava sin dal 1872, e il Wanderers ne aveva vinto le prime due edizioni. Il Campionato nazionale (League) era nato successivamente, nel 1889, e il Preston North End se lo era aggiudicato per due anni consecutivi (nel primo caso realizzando l'accoppiata Campionato-Coppa), seguito dall'Everton e soprattutto da Sunderland e Aston Villa, i due club dominanti nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Restia a gratificare la concorrenza con i segreti del suo successo, l'Inghilterra aveva inizialmente rifiutato l'adesione alla FIFA, la Federazione internazionale nata nel 1904 su iniziativa francese e istituzionalmente votata a moltiplicare i contatti calcistici fra paesi diversi. Quando vi aveva aderito, nel 1905, aveva preteso e ottenuto un ruolo egemone, innalzando il presidente della FA, Wolfhall, a numero uno dell'organizzazione calcistica internazionale. Sotto la sua spinta, i Giochi Olimpici londinesi avevano raccolto una partecipazione molto significativa. Nel 1912, a Stoccolma, 11 nazionali europee si presentarono in lizza e ancora una volta gli inglesi si imposero; le squadre sudamericane erano fuori causa, perché lo status di dilettante richiesto dal regolamento olimpico non si conciliava con le esigenze, di tempo ed economiche, imposte dalle lunghe distanze. La finale olimpica ripeté quella di quattro anni prima e la Danimarca venne ancora battuta con due reti di scarto (il punteggio finale fu 4-2). Il protagonista assoluto di quel torneo, il centravanti inglese John Walden, che giocava nel Tottenham, realizzò dieci reti nelle tre partite disputate. Fra le due Olimpiadi vittoriose, l'Inghilterra si era concessa altre trionfali sortite, con due tournées nell'Europa centrale, nel corso delle quali aveva battuto tre volte l'Austria a Vienna (6-1, 11-1, 8-1), tre volte l'Ungheria a Budapest (7-0, 4-2, 8-2) e una volta la Boemia a Praga per 4-0. Peraltro, l'oro olimpico di Stoccolma fu l'ultimo successo inglese in un torneo internazionale ufficiale, prima del titolo di campione del Mondo conquistato nel 1966 a Londra.

La Prima guerra mondiale impose un lungo stop alla pratica sportiva. Nelle Olimpiadi del 1920 ad Anversa, che celebrarono il ritorno della pace, l'Inghilterra, penalizzata dal regolamento, schierò una squadra di giovani dilettanti che fu eliminata al primo turno dalla Norvegia. Va detto che le altre nazioni, non avendo stabilito ‒ come gli inglesi ‒ un netto confine fra dilettanti e professionisti, con qualche stratagemma riuscirono a schierare la loro formazione migliore, godendo di evidenti vantaggi competitivi. Fu anche per questo che le Federazioni britanniche, proprio nel 1920, uscirono di nuovo dalla FIFA e si ritirarono nel loro splendido isolamento. Una posizione che, a parte un effimero rientro nel 1926, fu confermata al Congresso di Amsterdam del 1928 e mantenuta sino al 1946. In questo lungo periodo, i contatti internazionali del calcio inglese si limitarono a una serie di partite amichevoli. Non avendo mai conteggiato ufficialmente la già citata partita con la Norvegia nel torneo olimpico del 1920, gli storici inglesi fanno risalire la prima vera sconfitta della loro rappresentativa, da parte di un avversario non britannico, al 15 maggio 1929. In quel giorno, l'Inghilterra si esibì a Madrid contro la Spagna, che incontrava per la prima volta, e il cui portiere, già leggendario, era Ricardo Zamora. Anche grazie alle sue prodezze, la Spagna si impose sorprendentemente per 4-3. La sconfitta subita fu per gli inglesi una vera onta. Due anni dopo, nella rivincita giocata a Highbury, il campo dell'Arsenal, l'Inghilterra ottenne la sua vendetta, obbligando Zamora a raccogliere sette palloni finiti nella propria rete. Tuttavia, in quegli anni trascorsi al di fuori del consesso internazionale, il calcio inglese non rimase inoperoso. Il Campionato, e soprattutto la FA Cup, erano sufficienti a soddisfare l'entusiasmo di un pubblico sempre più partecipe. E proprio a metà degli anni Venti, il tecnico dell'Arsenal, Herbert Chapman, mise a punto una rivoluzionaria tattica di gioco che rovesciò i concetti del 'metodo' imperante in tutta Europa e che in suo onore fu chiamata Chapman system, e in seguito semplicemente 'sistema'. Questo schema, privilegiando l'aspetto atletico su quello tecnico, era molto congeniale ai calciatori inglesi, imbattibili sul piano del ritmo e della corsa. Nel 1933, a Wembley, si giocò un match di grande fascino fra l'Inghilterra sistemista e l'Austria, che era la nazionale più forte del calcio danubiano e aveva poco prima umiliato la Scozia per 5-0. L'Inghilterra si impose di misura, 4-3, ridando fiato all'orgoglio nazionale. Pur autoescludendosi dal Campionato del Mondo, giocato sin dal 1930, gli inglesi percepivano le implicazioni e il peso legati a quella competizione. Così, quando l'Italia vinse il titolo mondiale nel 1934, la FA la invitò a una sfida con gli inglesi sul campo di Highbury. L'invito sottintendeva chiaramente che l'Italia non poteva considerarsi campione del Mondo senza prima battere coloro che avevano inventato il calcio. Vittorio Pozzo, il commissario tecnico dell'Italia, non voleva accettare l'invito, ma tali furono le pressioni che l'Italia scese in campo, il 14 novembre 1934. Gli inglesi avevano una squadra assai forte, specie in attacco, con la coppia Drake-Brook, mentre all'ala destra giocava il diciannovenne Stanley Matthews, destinato a diventare uno dei fuoriclasse più ammirati e longevi di tutti i tempi. Non c'era più Chapman a guidare la nazionale (era morto quello stesso anno), ma la partita era pur sempre una sfida fra 'metodo' e 'sistema'. L'inizio fu trionfale per gli inglesi che dopo un quarto d'ora conducevano per 3-0, nonostante il portiere italiano Ceresoli avesse parato un calcio di rigore al primo minuto. Ridotta in dieci uomini per l'infortunio del centromediano Monti, l'Italia pareva destinata a una pesante sconfitta. Invece nella ripresa segnò due gol e sfiorò il pareggio. Agli inglesi restò la soddisfazione di aver battuto i campioni del Mondo, ma quel successo di misura su un avversario menomato non poté essere un gran vanto. La stampa britannica, in ogni caso, accusò gli italiani di aver praticato un gioco intimidatorio, grazie al quale avevano evitato una più grave disfatta. Dopo i Mondiali del 1938, l'Inghilterra non si limitò a sfidare la squadra vincente (che era ancora l'Italia), ma volle affrontare il resto d'Europa, cioè una rappresentativa formata dai migliori giocatori del continente. Questa volta il gioco riuscì meglio, perché il resto d'Europa era sì composto da grandi individualità, ma mancava completamente di intesa e affiatamento. Il trionfo scontato degli inglesi, che si imposero per 3-0, rafforzò la loro convinzione di essere sempre i primi. Ma la guerra che stava ormai coinvolgendo tutta l'Europa impose anche al calcio un periodo di pausa.

Spezzando il lungo isolamento (l'Inghilterra si apprestava a ospitare le Olimpiadi del 1948 a Londra e cercava buoni rapporti internazionali), le Federazioni britanniche rientrarono nella FIFA e celebrarono l'evento organizzando, il 10 maggio 1947 a Glasgow, il consueto incontro fra una rappresentativa di giocatori inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi e un'altra nella quale figuravano celebri campioni provenienti dal resto d'Europa, come il centravanti svedese Gunnar Nordahl, l'italiano Carlo Parola, l'olandese Faas Wilkes e il danese Karl-Aage Praest. Cinque inglesi figuravano nella formazione britannica che si impose per 6-1. Il centravanti Tom Lawton mise in difficoltà l'italiano Parola, considerato il miglior centromediano europeo. Era un periodo felice per il calcio inglese, che pareva non aver pagato un prezzo troppo alto al lungo conflitto, che pure aveva duramente impegnato sui campi di battaglia la gioventù britannica. Fu quindi deciso che i 'maestri' avrebbero finalmente onorato della loro presenza il Mondiale del 1950, organizzato dal Brasile. Il commissario tecnico Walter Winterbottom in effetti aveva a disposizione una nazionale formidabile, come aveva dimostrato la partita amichevole di Torino del 1948, vinta per 4-0 dagli inglesi sul campo dell'Italia, due volte campione del Mondo in carica. Terribile fu pertanto la delusione, seguita all'iniziale incredulità, per l'eliminazione dell'Inghilterra nella prima fase del torneo mondiale, a opera della sconosciuta formazione degli Stati Uniti, composta da dilettanti. La partita vinta dagli Stati Uniti 1-0, con gol dell'haitiano John Gaetyens, fu disputata il 29 giugno 1950 sul campo di Belo Horizonte e lasciò letteralmente tramortiti gli inglesi (che pure avevano cominciato i Mondiali con una vittoria sul Cile), al punto che persero, ancora per 1-0, la successiva partita con la Spagna e ripresero mestamente la via di casa. Quella disfatta lasciò segni profondi, e il superiority complex del calcio inglese ne uscì definitivamente distrutto. Tre anni dopo, il 25 novembre 1953, un altro duro colpo si abbatté sul mito dei maestri, che si videro strappare il più ambito dei loro primati, l'home record, cioè l'imbattibilità interna della loro nazionale contro avversari non britannici, un record che resisteva da novant'anni. Fu l'Ungheria a violare lo stadio di Wembley, considerato il tempio del calcio britannico, imponendosi con il punteggio indiscutibile di 6-3, e soprattutto dimostrando una superiorità di gioco persino imbarazzante. Gli inglesi chiesero la rivincita che si giocò sei mesi dopo a Budapest. L'Ungheria quella volta esagerò vincendo per 7-1, la sconfitta più pesante mai subita dalla nazionale inglese nella sua storia. Fu in pratica il capolinea per una generazione di ottimi giocatori che avevano pagato duramente sia il ritorno alle competizioni ufficiali, alle quali non erano più abituati, sia l'antiquato modulo tattico, fermo al sistema classico che ormai tutte le avversarie avevano corretto o superato. Giocando sempre fra loro, gli inglesi erano rimasti esclusi dall'evoluzione del calcio, derivata dal continuo confronto fra scuole diverse. Soltanto nella seconda metà degli anni Sessanta, modificata la rotta e scavalcati i radicati pregiudizi tattici, il calcio inglese avrebbe ritrovato una vera competitività internazionale.

I Mondiali del 1954 si conclusero con una decorosa eliminazione nei quarti di finale a opera del fortissimo Uruguay, e quelli successivi del 1958, in Svezia, videro l'Inghilterra fermarsi nel girone preliminare, preceduta da Brasile e URSS. Nel 1962, in Cile, si registrarono i primi sintomi di riscossa. L'ingresso in nazionale di due giovani talenti, il difensore Bobby Moore e il centravanti Bobby Charlton, consentì agli inglesi di arrivare sino ai quarti, pur in un ambiente ostile per le formazioni europee. Si arresero al Brasile, destinato al suo secondo titolo consecutivo, ma fecero bella figura. Eppure fu proprio quella la partita che concluse la lunga gestione tecnica di Walter Winterbottom, in carica dal dopoguerra, sopravvissuto a rovesci storici e a mortificazioni tremende e sostituito dopo una sconfitta tutto sommato gloriosa. Il motivo era evidente. L'Inghilterra aveva ottenuto dalla FIFA, presieduta dall'inglese Stanley Rous, l'organizzazione del Campionato del Mondo 1966 e intendeva sfruttare l'occasione per tornare ai vertici. Per far questo, occorrevano un gioco più moderno e un tecnico della nuova frontiera. L'uomo giusto fu individuato in Alf Ramsey che, dopo un'eccellente carriera agonistica, si era fatto onore guidando l'Ipswich Town. Ramsey, uomo ruvido e di poche parole, proclamò subito che avrebbe regalato all'Inghilterra il titolo mondiale e si mise al lavoro, rivoluzionando il modulo tattico, cancellando il ruolo delle ali, da sempre il vanto del calcio inglese, e potenziando la fase difensiva, antico tallone d'Achille dell'Inghilterra sistemista. Bobby Moore divenne il perno della retroguardia, Bobby Charlton l''uomo-ovunque', giocatore universale, non più centravanti classico ma pronto a sostenere i due attaccanti di punta, Roger Hunt e Geoffrey Hurst, abilissimi nei colpi di testa. La nuova Inghilterra non piacque né alla critica né all'opinione pubblica, ma si impose con la forza dei risultati. Al posto delle ali giocavano il mediano Martin Peters e Alan Ball, che irrobustivano il centrocampo, dove aveva un ruolo ingrato ma fondamentale Nobby Stiles (soprannominato 'Dracula' per i suoi denti sporgenti), che aveva il compito di 'incollarsi' al giocatore avversario di maggior talento e di annullarlo con un controllo asfissiante. Quella squadra vinse il titolo mondiale, come aveva predetto Ramsey (poi nominato baronetto per meriti calcistici dalla regina Elisabetta), godendo di indubbi favori, come del resto era quasi sempre capitato al paese ospitante. In particolare nella finalissima contro la Germania si avvalse nei tempi supplementari di un celebre e decisivo gol 'fantasma'. Ma era una squadra forte e completa, tatticamente perfetta, non spettacolare ma di straordinaria efficacia. Lo dimostrò arrivando terza, due anni dopo, nel Campionato d'Europa e giocando da vera protagonista i Mondiali del 1970 in Messico, eliminata in un rocambolesco quarto di finale dalla Germania, dopo aver mostrato il calcio migliore. L'avventura messicana, cominciata male con l'arresto di Bobby Moore, accusato di furto in un grande magazzino, finì peggio, con la sostituzione di Alf Ramsey. In quel periodo l'Inghilterra aveva tuttavia concentrato il suo miglior momento, e i suoi più felici risultati, dell'era moderna. Nel 1986, ancora in Messico, la nazionale inglese ebbe l'occasione di rinverdire i suoi fasti, disponendo di una squadra competitiva e di un ottimo centravanti goleador, Gary Lineker. La corsa degli inglesi si arrestò nei quarti di finale contro l'Argentina, poi destinata a vincere il titolo, anche a causa di un gol segnato da Diego Maradona con un tocco di mano sfuggito all'arbitro. La stessa Argentina eliminò, negli ottavi di finale dei Mondiali del 1998 in Francia, una buona Inghilterra, penalizzata dall'espulsione del suo giovane talento David Beckham, e poi sfortunata nell'esecuzione dei calci di rigore

Se il calcio inglese non ha un medagliere all'altezza della sua fama per quanto riguarda la rappresentativa nazionale, in compenso ha recitato un ruolo di assoluto protagonista nelle competizioni riservate ai club. Anche in questo campo, gli inglesi si mostrarono inizialmente diffidenti, disertando le Coppe europee organizzate dall'UEFA sino a quando il Manchester United, allenato da Matt Busby, decise di forzare il blocco. Purtroppo quella squadra, al ritorno da una trasferta di Coppa, nel 1958, rimase vittima di una sciagura aerea. Ma dieci anni dopo proprio il Manchester United fu la prima formazione inglese a vincere la Coppa dei Campioni, grazie a due veri fuoriclasse, Bobby Charlton (uno dei pochi sopravvissuti al disastro) e George Best. Dal 1977 al 1984 si registrò il periodo d'oro: sette edizioni della più importante Coppa europea finirono nelle mani dei club inglesi (quattro se le aggiudicò il Liverpool, nel momento più fulgido della sua storia, due il Nottingham Forest, una l'Aston Villa). Il dominio sarebbe probabilmente proseguito se i tragici fatti accaduti allo stadio Heysel di Bruxelles prima della finale del 1985 fra Liverpool e Juventus, quando morirono 39 tifosi, non avessero determinato l'esclusione delle squadre inglesi dalle Coppe, finché non fosse stato risolto il problema degli hooligans, la frangia più violenta della tifoseria. Il rientro ha richiesto una fase di rodaggio, ma il Manchester United ha fatto comunque in tempo ad aggiudicarsi la Champions League di fine secolo, l'edizione 1999, in un'appassionante finale contro i rivali storici, i tedeschi del Bayern Monaco, e ha poi completato l'opera conquistando anche la Coppa Intercontinentale, l'unica sinora vinta da un club inglese. In tal modo, il Manchester United ha corredato con un duplice alloro internazionale un lungo, felicissimo periodo di superiorità interna, sotto la guida di un manager di grandissimo valore come Alex Ferguson: basti pensare che ha vinto sette degli ultimi dieci Campionati (Premiership, nella definizione più recente). Anche nella Coppa UEFA, i club inglesi hanno realizzato un ciclo vincente, aggiudicandosi sei edizioni consecutive, dal 1968 al 1973, con Leeds, Newcastle, Arsenal, ancora Leeds, Tottenham e Liverpool. Successivamente si sono registrati altri successi inglesi: Liverpool (1976), Ipswich Town (1981), Tottenham (1984), Liverpool (2001). Nell'albo d'oro della Coppa delle Coppe, soppressa nel 1999, figurano Tottenham, West Ham, Manchester City, Chelsea due volte, Everton, Manchester United e Arsenal, mentre il Manchester United ha vinto la Coppa Intercontinentale nel 1999; la Supercoppa Europea ha premiato il Liverpool nel 1977, il Nottingham Forest nel 1979, l'Aston Villa nel 1982, il Manchester United nel 1991 e il Chelsea nel 1998. Evidentemente il carattere ultimativo delle sfide di Coppa ben si addice al forte connotato agonistico che caratterizza il calcio inglese.

Dopo aver inventato il calcio moderno, gli inglesi hanno dato la spinta decisiva anche alla sua più recente trasformazione. I club inglesi sono stati i primi in assoluto a darsi un'organizzazione imprenditoriale, con lo sviluppo di attività collaterali, come il marketing e il merchandising, sino alla quotazione in borsa. Questo ha determinato un netto taglio con il passato, anche in senso tecnico. La notevole disponibilità economica derivata dalle nuove risorse e la necessità di mantenersi ad altissimi livelli competitivi hanno fatto sì che un movimento a lungo autarchico (o al massimo interbritannico) entrasse in diretta concorrenza con i ricchi (e prodighi) club italiani e spagnoli nell'ingaggio dei più famosi campioni sudamericani ed europei. In tal modo, il calcio inglese è diventato multinazionale e l'incrocio di scuole diverse ha determinato una svolta tattica, sulla quale hanno molto influito i sempre più numerosi tecnici stranieri chiamati a guidare club di primo piano. Finché, all'alba del terzo millennio, è caduta anche l'ultima, nazionalistica, barriera: un allenatore straniero, lo svedese Sven Goran Eriksson, reduce da brillanti esperienze in Italia, è stato ingaggiato (a peso d'oro) per guidare la nazionale inglese. Molte e vibrate proteste si sono levate da tutto il paese per questa decisione della FA, ma alla prova dei fatti la scelta si è rivelata positiva. L'Inghilterra, dopo aver addirittura rischiato di non qualificarsi, ai Mondiali del 2002 è arrivata ai quarti di finale, dove, passata in vantaggio con Owen, è stata raggiunta e superata dal Brasile.

I CLUB MINORI

Wolverhampton Wanderers. È uno dei club più antichi d'Inghilterra, nato nel 1877. Racchiuse in un quinquennio il suo periodo d'oro con tre titoli nazionali (1954, 1958, 1959), conquistati dopo un'accesa lotta con il Manchester United di Matt Busby. Nel 1954, dopo aver battuto in due match amichevoli prima la fortissima Honvéd di Puskas per 3-2, poi lo Spartak Mosca per 4-1, fu definito dal Daily Mail "la migliore squadra del mondo". La polemica che ne seguì con i francesi de L'Equipe determinò l'iniziativa che sfociò poi nel lancio della Coppa dei Campioni. Quattro Coppe d'Inghilterra e due Coppe di Lega completano gli onori di questa squadra, che ebbe il suo giocatore simbolo in Billy Wright, 105 volte nazionale e 491 presenze con i Wolves ("i lupi") in Campionato. Proprio dal ritiro di Wright, nel 1960, iniziò il declino del club, che tornò fuggevolmente alla ribalta nella stagione 1971-72, quando partecipò alla Coppa UEFA ed eliminò il Coimbra, l'Ajax, il Carl Zeiss, la Juventus e il Ferencváros, prima di arrendersi in una finale tutta inglese al Tottenham, per 3-2.

Leicester City. Fondato nel 1884 come Leicester Fosse, dal 1919 ha la denominazione attuale. Nel suo albo d'oro figurano tre Coppe di Lega, conquistate nel 1964, nel 1997 e nel 2000. Dopo un lungo periodo oscuro, sta vivendo un ottimo momento sotto la guida di Peter Taylor. Fra i grandi giocatori che hanno militato nel Leicester, figurano Peter Shilton, il portiere primatista assoluto di presenze nella nazionale inglese (125 partite dal 1979 al 1990), l'altro grande portiere Gordon Banks e il centravanti Gary Lineker, secondo cannoniere della nazionale, a un gol di distanza da Bobby Charlton.

Sheffield Wednesday. Fondato nel 1867, club professionistico dal 1887, ha vinto quattro volte il Campionato (1903, 1904, 1929, 1930), tre volte la FA Cup e una volta la Coppa di Lega. Il suo giocatore più famoso resta Andy Wilson, che giocò nel club per quasi un ventennio, nel primo Novecento, totalizzando 502 presenze e 199 reti. Altri protagonisti, nelle varie epoche, D. Dooley, A. Quixall, Chris Waddle. Negli anni Novanta, dopo un lungo declino, è tornato in prima divisione sotto la direzione tecnica di Trevor Francis, avendo come miglior risultato il terzo posto nella stagione 1991-92. I suoi giocatori sono definiti Owls, "gufi".

Blackburn Rovers. Uno dei club storici del calcio inglese, nato nel 1875, fondatore della Football League, che ai due Campionati vinti in anni lontanissimi (1912 e 1914) ha fatto seguire un terzo titolo ottant'anni dopo, nel 1995, inserendosi a sorpresa nel ciclo vincente del Manchester United: un successo firmato in prima persona dal centravanti Alan Shearer, capocannoniere del torneo con 34 reti. Nell'albo d'oro del club figurano anche sei Coppe d'Inghilterra, cinque vinte nell'Ottocento e l'ultima nel 1928.

Bolton Wanderers. Rivelazione delle ultime stagioni, ha un passato glorioso: fondato nel 1874, entrò in ambito professionistico nel 1880. I suoi giocatori sono chiamati Trotters , "trottatori". Ha vinto per quattro volte la FA Cup, in epoca lontana (1923, 1926, 1929, 1958). Il giocatore più famoso che ha rivestito la casacca del Bolton è Nat Lofthouse, centravanti titolare della nazionale inglese subito dopo la guerra, che dal 1946 al 1951 ha segnato per questo club 225 reti in competizioni ufficiali. Dopo un lungo declino, consumato nelle serie inferiori, il Bolton è rientrato da due anni nella Premiership.

Notts County e Stoke City. Vanno ricordati sul piano prettamente storico: il Notts County, squadra di Nottingham, è il club più antico fra tutti quelli ancora in attività, dato che la sua fondazione risale al 1862, un anno prima della nascita dello Stoke City, noto per aver avuto nelle sue file, per ventidue anni, il grande Stanley Matthews.

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