CAMIRO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1959)

Vedi CAMIRO dell'anno: 1959 - 1994

CAMIRO (Κάμιρος, Κάμειρος, Camīrus)

L. Laurenzi

Una delle tre città più antiche dell'isola di Rodi, situata sulla costa N-O alle falde del Monte Acramite, appartenente al massiccio dell'Atabiro, in una regione ancora oggi molto boscosa. Era costruita su terrazze in due zone di cui la più alta, cioè l'acropoli, è stata in buona parte scavata. La zona bassa comprendeva un piccolo porto, presso il Capo Milantio, il quale doveva essere protetto da un molo. Il lido sabbioso permetteva anche di tirare in secco le navi minori. L'acropoli terminava con una terrazza dov'era il tempio di Atena. Intorno, sulle alture e nelle valli, erano situate le necropoli, di cui le più importanti sono quelle di Fichellura, Checraci, Patelle, Calatomilo, Papatislures, Macri Langoni.

Esse furono scavate negli anni fra il 1859 e il 1864 da A. Biliotti e, dal 1929 in poi, dalla Soprintendenza ai Monumenti e agli Scavi del Governo di Rodi. I monumenti e le case dell'acropoli furono messe in luce dal servizio archeologico italiano dal 1928 all'inizio della seconda guerra mondiale. L'abitato dell'età cretese-micenea non doveva essere nel sito della città arcaica e classica, perché in tutta quella zona non si ebbero finora rinvenimenti riferibili a quella civiltà. È probabile invece che l'abitato di quel periodo fosse nei pressi dell'attuale villaggio di Kalavarda dove è stata trovata la necropoli micenea.

Nell'età arcaica, probabilmente già nell'VIII sec. a. C., deve essere stato innalzato il tempio di Atena, a giudicare dagli oggetti trovati nelle stipi sacre, fra i quali ceramiche geometriche, fibule di bronzo a globuletti di tipo submiceneo e statuette fittili con l'acconciatura a strati orizzontali paralleli, che precede quella a trecce dei koùroi di gusto dedalico; nel tempio rimangono pochi tratti delle fondazioni e nella roccia si notano gli incassi per la posa del resto delle fondamenta. Nella sua ultima ricostruzione esso fu probabilmente un periptero esastilo, certo dorico, come gli altri templi di Atena a Lindo e a Ialiso. Non è escluso che, come a Lindo, tale ricostruzione sia avvenuta nel IV sec. nel momento del rifiorire dell'isola, a meno che non si debba metterlo in relazione con un terremoto del II sec. a. C. di cui è notizia in una lunga iscrizione camirese. Importante è osservare come il culto di Atena fosse sostanzialmente uguale a quello praticato negli altri due centri più antichi, sebbene la divinità si differenziasse per l'epiteto, essendo ivi chiamata Kamèiras. Come a Lindo e a Ialiso, e poi nella stessa città di Rodi, il tempio era sito sulla sommità della collina, alla quota più alta, rigorosamente calcolata, e i doni votivi erano costituiti per tre quarti da oggetti di abbigliamento femminile e da nessuna arma. Atena non era dunque una dea enòplos, ma la protettrice delle donne, del benessere e certo anche dei morti, perché la sua immagine si trova nelle tombe. Si può riconoscere in lei una ipostasi della dea Ghe, aggiungendo peraltro che a formare la sua fisionomia deve aver concorso anche il ricordo di una dea dei monti e forse dei temporali. Era, ad ogni modo, una dea temibile, poiché le venivano dedicati molti amuleti e figure apotropaiche. Nella stipe di C. quest'ultime sono generalmente egiziane, ma di fabbricazione greca, cioè di Naucrati.

Davanti al tempio esistette fino all'ellenismo una cisterna di 600 mc d'acqua, accuratamente rivestita con intonaco di polvere di coccio e di marmo. Essa doveva raccogliere l'acqua scendente dal tetto del tempio e certo di qualche altro edificio oggi scomparso. Due scale portavano al pavimento dov'erano anche due pozzetti per l'eliminazione dei residui calcarei. La cisterna fu colmata nell'ellenismo e fu attraversata dal muro di fondazione di un grandioso portico dorico lungo quasi duecento metri, costruito come fronte monumentale del santuario di Atena. Essa aveva alle estremità due corpi avanzati ed era divisa in vani forniti di pozzi comunicanti con una cisterna, estesa per tutto il sotterraneo scavato sotto l'edificio e che riforniva d'acqua l'abitato della necropoli. Il grande portico non doveva avere funzioni di mercato, sia per l'ubicazione, sia perché sarebbe stato di dimensioni eccessive anche per una città cospicua. Esso deve interpretarsi come un edificio religioso eretto per accogliere pellegrini. La divisione in camere corrispondeva probabilmente alle comunità religiose dei demi camiresi, secondo un uso che continua ancora nei santuari dell'Egeo, dove grandi fabbricati, nella festa annuale della Madonna, ospitano pellegrini raggruppati per famiglia, in singole stanze. Come il portico della città sorella di Lindo anche questo potrebbe essere stato costruito al principio del II sec. a. C., nell'epoca del maggiore benessere dell'isola, dopo le guerre vittoriose su Filippo V di Macedonia e Antioco III di Siria.

Il grande portico chiudeva come uno splendido loggiato l'abitato dell'acropoli, raccolto sulle pendici e chiuso verso il mare dalle mura. Data la natura del terreno, sarebbe stata ovvia una disposizione della rete stradale come in una cavea di teatro. Invece, per seguire la diffusa tradizione ippodamea, ormai saldamente affermatasi nell'ellenismo asiatico, le case sono disposte in insulae in un reticolato ortogonale. Solo una strada ha un andamento più serpeggiante per superare i dislivelli, sebbene anche ivi si trovino scale di raccordo. Le case sono del tipo che appare a Priene e in esemplari meglio conservati a Delo; tutte avevano il cortile centrale con portici, talvolta su tutti e quattro i lati e, in alcuni casi, su un lato solo. Si trova anche il portico rodio, ossia con un lato di altezza maggiore di quella degli altri tre. Le colonne sono tutte doriche e fatte con rocchi di pietra locale intonacati. Le case avevano anche un primo piano e, salvo poche eccezioni, erano costruite con tecnica edilizia povera, ossia con muri fatti con pietre irregolari senza legamento di calce. Lo spurgo delle acque sudice era assicurato da fognature che si versavano in un collettore centrale costruito con lastre di pietra a sezioni quadrate, il quale seguiva il tracciato della via principale.

Al limite O dell'abitato era un edificio pubblico termale di età romana e in una terrazza sottostante era una fontana dorica con pilastri e semicolonne addossate a pilastri incavati sui lati per accogliere i plutei. A ridosso era il muro da cui sgorgava l'acqua. Nel III sec. a. C. forse per la sparizione della vena d'acqua, la fontana fu trasformata in un portico e sui pilastri e sulle colonne fu scritto il catalogo dei demiurgi. Poiché la lista comincia con l'anno 279 a. C. e i nomi dei demiurgi sono scritti anche nelle nicchie dove originariamente erano le lastre dei plutei è da pensare che la fontana sia stata costruita verso la metà del IV sec. a. C.

Davanti è un tempio, anch'esso dorico, in antis, dedicato probabilmente ad Apollo Pizio, il cui tèmenos rettangolare era ornato con paraste, semicolonne e un ingresso monumentale con scala anteriore. Sui lati N ed E sono dei gradoni dai quali si assisteva al sacrificio e dove probabilmente si cantava il peana. Il sacrificio veniva compiuto su di un grande altare composto di una crepidine su cui si elevano dei pilastrini che contenevano il cumulo delle ceneri. Nel tèmenos erano molte statue onorarie e di divinità. Le basi sono importanti perché integrano la nostra conoscenza dei nomi di artisti della scuola rodia, aggiungendosi a quelli del santuario di Atena Lindia.

Un altro edificio interessante della terrazza inferiore era, probabilmente, lo hierothitèion, ossia il luogo dove gli stranieri erano ammessi a partecipare al sacrificio. Ivi si trova un grande altare di Helios e altre are minori delle vecchie divinità camiresi. All'esterno di questo edificio erano ancora basi di statue e una bella esedra onoraria da cui si scendeva verso uno degli ingressi di un acquedotto in galleria, scavato per un chilometro e mezzo, e costruito con bei blocchetti squadrati. Nel primo periodo del suo funzionamento l'acqua doveva essere abbondante sicché non era stato necessario convogliarla in tubi. Questi si resero necessarî nell'età romana; hanno 14 cm di diametro e fori per l'aereazione. Nelle gallerie laterali si trovano anche tubi da 5 cm. Il raccordo era dato da pozzetti di decantazione pure di terracotta. La città non deve avere avuto lunga vita durante l'età imperiale romana e forse dopo il terremoto del 142 d. C. non risorse dalle rovine.

Le necropoli di C. hanno restituito corredi molto cospicui dei secoli VII e VI a. C., nei quali si trovano bei prodotti dell'artigianato locale. Di fabbriche del luogo erano certamente le numerose terrecotte con figure della demonologia indigena, oppure con immagini della dea Atena, seduta in trono. Essa viene molto spesso ripetuta in protomi che la rappresentano col diadema e monili, ch'erano certamente dipinte a vivaci colori. Non è escluso che a C., più che negli altri centri, esistessero officine per la fabbricazione delle belle brocche di evidente derivazione da modelli metallici con rappresentazioni di teorie di animali o di mostri in fasce parallele fra ornati di origine orientale.

Numerosi sono anche i piatti costruiti nella stessa tecnica e con la stessa decorazione. Una classe di vasi, in cui la figura umana è più rappresentata, ma che per la tecnica e gli ornati potrebbe essere l'erede della tradizione che si ritrova nelle brocche camiresi, ha assunto il nome convenzionale di "ceramica di Fikellura", dal toponimo di una necropoli camirese dove sono stati trovati in buon numero gli esemplari migliori. Gli scavi dell'abitato hanno restituito sculture arcaiche ed ellenistiche, quelli delle necropoli una bella stele del V sec. a. C. con l'addio della madre alla figlia. Per quanto dorica di lingua e di origine, C. ebbe un'arte strettamente legata a quella ionica dell'Asia Minore.

Bibl.: Per la topografia: E. Biliotti e l'Abbé Cotret, L'île de Rhodes, 1881, II, p. 42 s.; Bürchner, in Pauly-Wissowa, X, 2, c. 1839 s., s. v.; F. Hiller v. Gaertringen, ibidem, Suppl. V, c. 753 s. Per l'abitato: G. Jacopi, in Clara Rhodos, VI-VII, 1933, p. 226 s.; L. Laurenzi, in Boll. d'Arte, XXX, 1936, p. 133; M. Segre, in Athenaeum, N. S., XII, 1934, p. 144 s. Per l'età cretese micenea: G. Jacopi, in Clara Rhodos, VI-VII, 1933, p. 9 e s., p. 133 s.; L. Laurenzi, in Memorie dell'Istituto storico archeologico Fert di Rodi, II, 1938, p. 49 s. Per le necropoli: G. Jacopi, Scavi nelle necropoli camiresi, I (vol. IV della rivista Clara Rhodos, 1931) e II (Clara Rhodos, IV, 1931). Per le iscrizioni: F. Hiller von Gaertringen, Inscriptiones Graeciae, vol. XII, i, 1895; G. Pugliese-Carratelli, Tituli Camirenses, in Annuario Atene, XXVII-XXIX, 1949-51, p. 141 s.