Campagna

Universo del Corpo (1999)

Campagna

Alice Bellagamba

Campagna viene dal latino campanea o campania, propriamente un aggettivo plurale dal senso "campestre, di campagna", derivato di campus, "campo, pianura". La nozione tradizionale di campagna, intesa come deposito dei valori culturali e sociali della civiltà contadina e contrassegnata dalla materialità del rapporto dell'uomo con l'ambiente, ha lasciato oggi il posto al concetto di spazio rurale, più neutro e più comprensivo delle nuove funzioni che hanno profondamente mutato l'identità della campagna, a cominciare dall'adozione in agricoltura di logiche e tecniche tipiche della produzione industriale.

1. Mondi locali

Nella prospettiva, ormai classica, di R. Redfield (1947), il mondo rurale, quello che egli chiama la folk society, è un modello di anti-città, una realtà isolata, dove la vita scorre in modo ripetitivo e autosufficiente. I suoi abitanti condividono abitudini, comportamenti, significati culturali. La vita cittadina, all'opposto, è differenziata a seconda degli ambiti e delle categorie sociali. La città si presenta come l'esempio tipico di una società aperta verso l'esterno: vivacità culturale e mobilità sono valori portanti. La chiusura è invece l'attributo proprio degli spazi rurali. Così, mentre nelle realtà urbane le persone sono votate a interagire su una molteplicità di scene distinte e la realizzazione del sé è una questione individuale, in cui rivelazioni e informazioni sui retroscena si intrecciano a comportamenti e relazioni superficiali, nel mondo rurale (come in tutte le società di piccole dimensioni) la costruzione delle identità personali, sostiene M. Gluckmann (1962), è un percorso socialmente obbligato, scandito da rituali d'iniziazione e da cerimonie cui partecipano tutti i membri della comunità. Quello appena delineato è un modello astratto. Il confine fra realtà urbane e rurali può infatti sfumare al punto da risultare impercettibile. Città e campagna, piuttosto che mondi antitetici e distinti, costituiscono gli estremi di un continuum, poli fra cui fluiscono informazioni, scambi, relazioni e reciproche interpretazioni. Nell'uno e nell'altro contesto coesistono dimensioni locali e globali. Nelle città è possibile riscontrare pratiche, istituzioni, tendenze miranti a salvaguardare e a ricostituire tessuti e intrecci di valori e identità personali. D'altro canto, le realtà pensate e descritte come isolate e circoscritte rispondono, secondo modalità originali e impreviste, alle sollecitazioni provenienti da altri luoghi, sono reti di simboli e significati culturali, alcuni radicati nella situazione locale, altri originati dalla rielaborazione di modelli esterni (Hannerz 1988).

Se l'attributo tipico del mondo rurale è quello di essere per l'appunto uno spazio locale, delimitato e circoscritto, questa caratteristica, è bene sottolinearlo, si origina da un consapevole sforzo. L'identità di un luogo è di per sé effimera, a meno che non sia posta in atto un'opera regolare volta a produrne e a conservarne la materialità (Appadurai 1995). I rischi più diversificati la minacciano (migrazioni e spostamenti di popolazione, avversità climatiche, entropia delle relazioni sociali, tecnologie produttive che impongono un movimento continuo sul territorio), creando una costante ansietà per l'instabilità dell'ordine sociale. La vasta letteratura sulle società di piccole dimensioni, quelle per tradizione studiate e descritte da etnologi e antropologi, può essere riletta e riscritta come un documento che testimonia le sfaccettate modalità di costruzione del concetto stesso di comunità locale. I riti di passaggio che scandiscono le fasi principali del ciclo di vita individuale (nascita, pubertà, matrimonio, morte), le cerimonie dell'iniziazione, le tecniche per proteggere le coltivazioni, gli animali e le risorse produttive, le procedure per fondare nuovi insediamenti e costruire abitazioni possono tutte essere considerate, secondo A. Appadurai (1995), altrettante strategie di localizzazione. In questo processo il corpo occupa una posizione particolare.

2. Simbologia dell'ordine e del disordine

Vi sono società, insegna M. Douglas (1966), che costruiscono i loro confini lavorando sul corpo e utilizzano il corpo come modello per rappresentare l'idea di una realtà delimitata e circoscritta. Il controllo di tutto ciò che dal corpo viene prodotto - dal latte materno al sangue, agli escrementi - è contemporaneamente un controllo sui punti deboli della struttura sociale. Prendiamo come esempio i kaguru, una popolazione bantu di agricoltori, a discendenza matrilineare, stanziata nelle regioni centrali della Tanzania. I loro villaggi sono costruiti all'insegna di una peculiare visione dell'essere umano e delle sue relazioni con l'universo naturale e sociale. La simbologia della mano destra (associata agli ideali di forza e purezza) e della mano sinistra (che configura invece la possibilità della contaminazione) costituisce uno strumento per rappresentare, e organizzare, gli aspetti più eterogenei della vita quotidiana.

Il dualismo fra le due mani esprime le differenze di genere: gli uomini sono associati alla mano destra, le donne alla sinistra. Lo stesso dualismo si estende fino ad avviluppare il paesaggio: l'insediamento è maschile e la savana che lo circonda, femminile. Maschili sono le montagne e femminili i corsi d'acqua. Di associazione in associazione, la cosmologia kaguru costruisce, a partire dalla percezione differenziale delle due mani, un discorso sull'ordine e sul disordine (Beidelmann 1993). Stabilisce linee di demarcazione fra un mondo civilizzato e l'orizzonte selvaggio che lo circonda. Ciò che si pone al di là dei confini è sorgente di pericolo, ma al tempo stesso oggetto di inevitabile attrazione. Nel disordine vi è infatti qualcosa di potenzialmente creativo.

Emblematico è il caso del sangue. Simbolo femminile per eccellenza, esso viene associato all'acqua, elemento fondamentale poiché la coltivazione dei campi dipende strettamente dal ciclo annuale delle piogge, e dai pochi ruscelli che attraversano il loro territorio i kaguru traggono sostentamento nei mesi della stagione secca. La stretta relazione esistente fra sangue e acqua è dimostrata dal fatto che la parola utilizzata per denotare il lignaggio, lukolo, deriva da un termine più antico il cui significato è proprio "il luogo dove scorrono le acque".

Come le piogge, se troppo violente, possono provocare inondazioni, così il sangue esprime gli aspetti pericolosi della fertilità femminile. La sua fluidità porta con sé la caratteristica dell'incontrollabilità. Evoca la morte e la distruzione e qualsiasi versamento di sangue - dalle ferite alle mestruazioni - è considerato estremamente contaminante. Solo un'attenzione costante, che trova espressione nelle numerose prescrizioni rituali che circondano il corpo femminile nelle diverse fasi del ciclo vitale, permette di mantenere sotto controllo le sue qualità dirompenti.

Tuttavia, nonostante le sue potenzialità negative, il sangue riveste un ruolo fondamentale nella riproduzione della società kaguru. Il 'matriclan' è pensato come l'insieme di tutti coloro che discendono da una medesima antenata. Ciascun componente è il risultato di una mescolanza, avvenuta al momento del concepimento, fra il sangue materno, che dà forma alla carne e alle parti fluide del corpo, e lo sperma del padre da cui si originano le ossa. Il flusso del sangue rappresenta dunque non solo il disordine, ma anche la continuità e la vitalità dell'ordine sociale. Come molte altre società dell'Africa rurale i kaguru ricorrono alla simbologia del corpo per esprimere sia la struttura della loro società, sia la precarietà e le difficoltà implicite nel garantirne la sopravvivenza.

3. Fra corpi e cultura

Il corpo, qualsiasi contesto si intenda prendere in esame (una città o un piccolo villaggio isolato, un quartiere di periferia o una delle società esotiche e lontane di cui si occupa l'antropologia), è sempre e comunque un prodotto della cultura: le società lo rappresentano, lo plasmano e lo adornano, ne interpretano la fisiologia, costruiscono discorsi che rendono ragione della malattia e della morte. Le strette relazioni che si instaurano fra corpi e cultura emergono con sorprendente chiarezza proprio considerando quei mondi locali in cui il discorso sul corpo non è, come nell'Occidente contemporaneo, dominato dagli sviluppi delle scienze biomediche. Eredità di una filosofia meccanicistica, queste ultime ipotizzano una frattura fra il corpo e il soggetto, nell'intera rete delle sue relazioni, che non si riscontra in altri contesti (Le Breton 1990).

Il missionario ed etnografo M. Leenhardt (1947) rimase sorpreso della peculiare concezione del corpo propria dei canachi (una popolazione di orticoltori della Nuova Caledonia). Nella visione locale dell'essere umano non vi sono confini fra corpo e natura. Lo stesso termine denota la pelle umana e la scorza dell'albero. La carne e i muscoli sono la polpa e il nocciolo dei frutti. Le viscere sono gli intrecci di liane che avviluppano la foresta. Il corpo è una fra le diverse forme vegetali e la morte è considerata un passaggio verso un altro tipo di esistenza nelle spoglie di un albero, di un animale o di uno spirito. Né il corpo è considerato il sostrato dell'individuo: come esso si fonde con l'universo naturale che lo circonda, così le persone esistono soltanto nella rete delle loro reciproche relazioni. L'io dei canachi è diffuso sull'intera rete dei rapporti che caratterizzano la comunità locale. L'idea che il corpo sia solo una realtà materiale i cui componenti interagiscono l'uno con l'altro secondo processi ricostruibili razionalmente prende forma nel Rinascimento. Ai suoi esordi questa visione è una prerogativa delle classi colte. La cultura popolare medievale e rinascimentale ipotizzava invece un'omologia fra corpo, natura e società non dissimile da quella dei canachi (Le Breton 1990). La frattura si inasprisce progressivamente nei secoli successivi. Da un lato, si sviluppa un sapere, l'odierna biomedicina, la cui validità viene considerata avulsa dal variare delle culture e delle circostanze storiche e i cui contenuti sono spesso poco noti, o noti solo in modo superficiale e confuso, ai non specialisti. Dall'altro, le tradizioni popolari, come trovano espressione nei rituali di cura e di guarigione che caratterizzano le campagne europee, hanno finito per trasformarsi in una sorta di discorso alternativo sull'esperienza della malattia e della morte. Denigrati e osteggiati negli ambienti ufficiali, i saperi locali sul corpo iscrivono i malesseri che lo investono in una più ampia griglia di riferimenti naturali e sociali (Laplantine 1986). Gli studi condotti da Y. Verdier (1979) in un piccolo villaggio della Borgogna descrivono le relazioni simboliche che uniscono il corpo all'ambiente e l'influenza che il corpo esercita sulla natura. Durante il ciclo mensile, la donna ostacola tutti quei processi di trasformazione (la lavorazione del burro, l'invecchiamento del vino, il lavoro delle api nell'alveare) che comportano l'idea di fecondità. Nella cosmologia locale le frontiere fra i corpi e l'ambiente sono permeabili e i primi si espandono fino a modificare l'ordine del quotidiano in un gioco di corrispondenze simboliche che evocano le diverse componenti dell'universo (animali, vegetali, minerali, climatiche e umane).

Altrettanto particolare è la visione del corpo che trova espressione nei discorsi sulla stregoneria che si possono ascoltare nelle campagne del Bocage francese (Normandia), dove malattia, sventura e morte sono considerate il risultato di un attacco in cui la vittima perde progressivamente la propria forza vitale a vantaggio di quella dell'aggressore. Durante questo processo il corpo della vittima si estende fino a comprendere tutto ciò che essa possiede sia sul piano materiale sia in termini di relazioni umane: il bestiame, la terra, i figli, la moglie. Solo l'intervento di un terapeuta particolare, il cui primo compito consisterà proprio nell'autenticare la percezione che il paziente ha della propria sventura, permette di respingere l'attacco (Favret-Saada 1977). Egli procederà poi a identificare i punti vulnerabili, come se il corpo della persona aggredita, quello dei suoi familiari, le sue terre e i suoi possedimenti costituissero un'unica superficie cosparsa di buchi entro cui può incunearsi la violenza della strega. L'identità di quest'ultima verrà stabilita tenendo conto dei nodi di tensione nella rete di relazioni che caratterizza la vita del paziente.

4. Conclusioni

Come sottolineato all'inizio di questo percorso, la contrapposizione fra mondo urbano e rurale è una dicotomia che rende conto soltanto in modo parziale della pluralità di esperienze che caratterizzano l'abitare umano nelle campagne come nelle città. Piuttosto che un dato di fatto essa è in una certa misura il risultato di un processo di immaginazione messo in atto sia da chi osserva tali contesti dall'esterno sia da chi li vive quotidianamente. Proprio per questo, le ricerche condotte a partire dagli anni Settanta negli insediamenti dell'Europa rurale hanno sostenuto la necessità di non reificare le distinzioni fra i due ordini di realtà (Cohen 1985). Stabilita la necessità di non contrapporre in modo antitetico l'esperienza del corpo negli spazi urbani e in quelli rurali, si deve però riconoscere come questi ultimi, nella pluralità delle loro manifestazioni, costituiscano il contesto privilegiato entro cui è possibile avvicinarsi a tradizioni e saperi che conferiscono un particolare valore alle dimensioni simboliche e sociali della corporalità (Le Breton 1990). Come per i kaguru della Tanzania, il corpo può costituire un modello per rappresentare l'idea di una realtà delimitata e circoscritta. Come fra le popolazioni canachi della Nuova Caledonia, può essere considerato parte del regno vegetale. Nelle interpretazioni della fisiologia femminile, tipiche delle campagne della Borgogna, i suoi confini si estendono fino ad avviluppare l'ambiente. Nel Bocage, come in molti altri angoli di mondo, i malesseri che lo investono sono considerati il segno di una relazione sociale disturbata: l'atto della cura è infatti identificato con la necessità di ristabilire i corretti rapporti fra la persona e l'universo naturale e sociale che la circonda.

bibliografia

a. appadurai, The production of locality, in Counterworks. Managing the diversity of knowledge, ed. R. Fardon, London-New York, Routledge & Kegan Paul, 1995, pp. 204-26.

t.o. beidelmann, Moral imagination in Kaguru models of thought, Washington-London, Smithsonian Institution Press, 1993.

a.p. cohen, The symbolic construction of community, London, Routledge & Kegan Paul, 1985.

m. douglas, Purity and danger, London, Routledge & Kegan Paul, 1966 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1975).

j. favret-saada, Les mots, la mort, les sorts: la sorcellerie dans le Bocage, Paris, Gallimard, 1977.

m. gluckmann, Essays on the ritual of social relations, Manchester, Manchester University Press, 1962 (trad. it. Roma, Officina Edizioni, 1971).

u. hannerz, The world in creolization, "Africa", 1988, 57, 4, pp. 546-59.

b. kayser et al., Pour une ruralité choisie, Paris, Éditions de l'Aube, 1994.

f. laplantine, Anthropologie de la maladie, Paris, Payot, 1986.

a. le breton, Anthropologie du corps et modernité, Paris, PUF, 1990.

m. leenhardt, Do Kamo: la personne et le mythe dans le mélanésien, Paris, Gallimard, 1947.

r. redfield, The folk society, "American Journal of Sociology", 1947, 41, pp. 293-308.

y. verdier, Façons de dire, façons de faire, Paris, Gallimard, 1979.

CATEGORIE
TAG

Filosofia meccanicistica

Smithsonian institution

Nuova caledonia

Mestruazioni

Rinascimento