CAMPANIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CAMPANIA

Domenico Ruocco
Fausto Zevi
Valter Pinto
Teresa Colletta

(VIII, p. 573; App. II, I, p. 491; III, I, p. 296; IV, I, p. 343)

La C. continua a rimanere distinta in due aree geografiche dissimili per condizioni ambientali e socio-economiche ed è caratterizzata da una struttura insediativa che esalta tali differenze territoriali. Nella regione non si è avuto quel processo di sviluppo intensivo e diffuso che ha interessato altre parti d'Italia e che ha reso possibile la crescita di una pluralità di centri di taglia demografica intermedia. Si è così acuita la dipendenza delle zone interne da quelle costiere, le quali, per eredità storica e per posizione geografica, hanno vissuto fasi di intensa urbanizzazione. La forte attrazione della fronte costiera di Napoli e di Salerno si è accompagnata all'esodo dalle zone meno attive e alla concentrazione demografica in quelle pianeggianti, con estesi processi di iperurbanizzazione. Nell'interno, invece, la precarietà economica continua a persistere e i centri che polarizzano l'intero territorio sono rappresentati dai capoluoghi provinciali, Avellino e Benevento, e da pochi altri.

Attualmente la C., con quasi sei milioni di abitanti, continua a occupare il secondo posto, dopo la Lombardia, tra le regioni italiane per popolazione, e il primo per densità (427 ab. per km2), mentre il reddito per abitante è inferiore al 75% di quello medio nazionale. Essa ha visto diminuire costantemente la sua influenza nell'economia meridionale per la mancata soluzione di atavici problemi che non le hanno consentito di maturare un equilibrato sviluppo nel suo ambito, e per la più marcata crescita economica di altre regioni.

La C. negli ultimi decenni è stata interessata da numerosi fenomeni di ordine fisico, umano ed economico, che hanno avuto influenza sull'attuale realtà geografica regionale. Tra i fenomeni di origine endogena occorre ricordare il terremoto di Roccamonfina del 1960, del Beneventano del 1962, il bradisismo positivo di Pozzuoli del 1970 e degli anni successivi, che è continuato nel 1988 con un sollevamento della terra di oltre un metro, e il sisma del 1980 che interessò il cuore dell'Appennino campano e lucano, provocando numerosi morti e notevoli danni al patrimonio abitativo, agli impianti di interesse collettivo, al territorio e all'apparato produttivo. L'area coinvolta direttamente nel sisma è di circa 300 km2, con una popolazione di oltre 230.000 abitanti e comprende gran parte della provincia di Avellino (40 comuni) e di Salerno (16 comuni).

Il popolamento costiero e le attività industriali hanno provocato gravissime forme d'inquinamento, alterando l'equilibrio ecologico di ampi specchi d'acqua.

Il colera che nel 1973 interessò l'area partenopea testimonia le carenti condizioni sanitarie in cui versano ancora oggi la città e il suo mare, dove da tempo è stato superato il livello di guardia a tal punto da imporre il divieto di mitilicoltura e di balneazione nello specchio d'acqua antistante la città. Altri mutamenti ambientali sono dovuti alla costruzione di laghi per scopi idroelettrici e irrigui, come quello sul Bussento, alla derivazione di acqua da sorgenti, come quelle del Torano e del Biferno, o da fiumi per scopi irrigui o alimentari. I caratteri idrologici di molti corsi d'acqua ne sono stati modificati, tanto che alcuni si esauriscono nei mesi estivi e altri registrano un crescente grado di inquinamento. Il mantello boschivo e la macchia subiscono ogni anno gravi danni dagli incendi che divampano sempre più frequentemente, distruggendo boschi e colture, per cui sterpi e boscaglia invadono vaste aree bruciate, specie dove il turismo di massa favorisce distrazioni e dolo.

La popolazione della C. ha registrato, nell'arco dell'ultimo decennio intercensuario, tassi di crescita sensibilmente più alti rispetto a quelli rilevati nel decennio precedente, dovuti soprattutto a una notevole contrazione dell'emigrazione e all'immigrazione di ritorno. A livello regionale l'aumento della popolazione nel decennio 1971-81 è stato dell'8%, con differenze sensibili tra le province interne (Benevento, 0,9%; Avellino, 1,5%) e quelle costiere (Caserta, 11,4%; Napoli, 9,6%; Salerno, 5,9%).

Se si prescinde dai limiti provinciali e si fa riferimento ai singoli comuni e ai raggruppamenti di comuni che rientrano nella medesima classe di variazione demografica, l'analisi diventa più interessante. Tutta la fronte costiera registra aumenti di popolazione, a eccezione di Napoli (il cui comune, al pari di altri grandi comuni capoluoghi provinciali d'Italia, è da tempo tutto urbanizzato e respinge abitanti dal degradato centro storico), di alcuni centri turistici superpopolati (Capri, Amalfi) e di alcuni tratti del Cilento. Del pari in sensibile aumento sono le pianure interessate dallo sviluppo balneare e industriale, da quella del Sele a quella circumvesuviana e a quella casertana. Anche le cinture dei comuni intorno ai grandi capoluoghi di provincia (Napoli, Salerno) hanno conosciuto forti aumenti demografici ed estesa urbanizzazione, ampliando le aree metropolitane tanto da saldarle addirittura tra loro in un'unica grande area urbanizzata dal Sele al Volturno. La zona partenopea in particolare rimane un'area di forte addensamento umano, come testimonia il valore della densità della provincia di Napoli (2700 ab. per km2), dove le difficoltà del traffico sono più gravi che in qualunque altra parte del nostro paese.

Le aree interne della collina argillosa e della montagna calcarea sono interessate estesamente dallo spopolamento, se si escludono i capoluoghi di provincia, i solchi vallivi più ampi e le aree meglio servite da trasporti agevoli. Tuttavia, l'inversione di tendenza verificatasi in tanti comuni ha consentito un migliore equilibrio demografico anche nelle zone interne, nonostante il calo sensibile del tasso di crescita naturale dovuto all'impoverimento demografico dei decenni precedenti. Gli squilibri nella distribuzione della popolazione e delle attività produttive permangono notevoli, anche se è aumentato sensibilmente il peso demografico della zona intermedia. Sul territorio provinciale di Napoli, pari all'8,6% della superficie regionale, abita il 54,4% della popolazione regionale.

L'esame dei dati sulla popolazione residente in età lavorativa evidenzia il notevole peso delle classi più giovani, e ciò acuisce la già grave realtà del mercato del lavoro locale, da sempre caratterizzato da instabilità e da forti differenze tra domanda e offerta di forza lavoro. La popolazione attiva in C. è solo il 27,6% di quella complessiva (1981) e scende addirittura al 25,5% nella provincia di Napoli, che pertanto occupa in Italia un non invidiabile primato. Infatti da anni dilaga il grave problema della disoccupazione giovanile, tant'è che gli iscritti alle liste ordinarie di collocamento, per le classi di età 15-24 anni e 25-35 anni, costituiscono una parte rilevante del totale (18,7% e 23,7% rispettivamente, che sono i valori più alti in Italia per tali classi).

Il 18% della popolazione attiva trova occupazione nel settore primario, con valori notevolmente più bassi per diversi comuni della provincia di Napoli, a causa della sua economia più differenziata, e testimonia che l'agricoltura conserva una certa importanza nell'economia campana, specie per le produzioni ortofrutticole pregiate. Il settore secondario ne assorbe circa il 31%, ma il suo peso nelle province di Caserta e Avellino è maggiore, anche se i valori assoluti sono molto più bassi rispetto a Salerno e Napoli. Il settore terziario occupa il 51% degli attivi (nella provincia di Napoli oltre il 59%) e solo in parte è riuscito a neutralizzare il calo registrato nel primario e nel secondario.

L'esame dei dati relativi ai due ultimi censimenti pone in luce un moderato esodo agricolo specie nella seconda metà degli anni Settanta; la contrazione nei livelli di occupazione industriale; la terziarizzazione dell'economia regionale, caratterizzata pur sempre dal ruolo preponderante del ramo della pubblica amministrazione.

Il rapporto tra abitanti e stanze, pur avendo registrato un costante miglioramento nel corso dell'ultimo ventennio (1,5 nel 1961; 1,1 nel 1971; 0,9 nel 1981), rimane uno dei più bassi tra le regioni italiane per l'incidenza delle seconde case nella zona costiera, ma in numerosi comuni dell'area napoletana è molto elevato, mettendo in luce la crisi degli alloggi e la spinta verso la cintura suburbana e la zona intermedia. Gli effetti del terremoto del 23 novembre 1980 sul parco abitativo sono stati catastrofici e sono stati aggravati nell'area flegrea dal bradisismo: si consideri che le persone interessate da ordinanze di sgombero nelle zone coinvolte rappresentano circa il 10% della popolazione residente e che gli stabili dichiarati inagibili dal Commissario straordinario di governo sono stati in complesso più di 10.000 (per il 61% in modo totale e la rimanente parte solo parzialmente). Nel corso dell'ultimo decennio le abitazioni ancora prive di acqua potabile e addirittura di servizi igienici hanno subito un'ulteriore contrazione, grazie anche alle provvidenze elargite dallo stato ai comuni terremotati dal sisma del 1980, che hanno consentito di sollevare numerosi centri o quartieri urbani dallo stato di precarietà in cui versavano. Il bradisismo ha portato al temporaneo abbandono di Pozzuoli e alla costruzione con prefabbricati di una nuova città a Monte Ruscello.

Ancora nel corso dell'ultimo decennio il reddito pone in evidenza le perduranti differenze tra le diverse province, sicché dal confronto tra l'andamento del reddito per abitante della C. con quello delle altre regioni il sospirato riequilibrio non sembra realizzabile nel breve periodo, a differenza di altre regioni meridionali, che, partite da posizioni simili, sono riuscite a colmare di molto il loro ritardo rispetto alla media nazionale. Per tutte le province campane tale reddito è notevolmente più basso rispetto a quello che si registra a livello medio nazionale: lo scarto più ampio riguarda la provincia irpina, mentre quello più contenuto la Terra di Lavoro.

Tutto ciò dimostra che gli squilibri perdurano e i loro effetti negativi sono ancora gravi in C. per l'assenza di una politica economica a livello nazionale e regionale in grado di annullare o ridurre i grandi divari esistenti nel paese: la crisi attanaglia l'agricoltura, l'industria, i trasporti e altre attività, e trova le cause prime nella crescita demografica incontrollata della zona partenopea, nel mancato rispetto della legge, negli abusi permessi a tutti i livelli, dall'edilizia alla giustizia. La crisi del comparto agricolo ha assunto entità sempre più preoccupante e non ha consentito al settore di raggiungere adeguati livelli produttivi, quantitativi e qualitativi. Il quadro colturale frazionato e promiscuo, che riflette la struttura sociale della regione, non favorisce l'applicazione delle direttive comunitarie (1972), che prevedono soprattutto l'ammodernamento delle aziende agricole mediante la meccanizzazione e la specializzazione colturale. Né migliori appaiono le prospettive per le attività agricolo-zootecniche. I limiti morfologici e pedologici e il precario sistema idro-geologico, il mancato sviluppo delle forme associative moderne, l'inesistente coordinamento tra produzione agraria e industriale creano pesanti condizionamenti nella fase sia di trasformazione che di commercializzazione dei prodotti.

L'andamento della produzione lorda vendibile agricola e zootecnica evidenzia che sul finire degli anni Sessanta Napoli era la prima provincia agricola campana per quantità prodotte, seguita da Salerno e Caserta, mentre attualmente al primo posto figura la provincia di Caserta, che meglio ha sfruttato le potenzialità naturali, seguita da Salerno e da Napoli, dove l'urbanizzazione e l'abbandono della terra hanno sottratto spazio all'agricoltura.

La superficie irrigua regionale si è più che raddoppiata nel corso dell'ultimo trentennio, consentendo l'aumento della produzione di estese aree e provocando marcate modificazioni nel paesaggio agrario, negli insediamenti e nei modi di vita della popolazione.

L'industria continua a registrare carenze e difficoltà, così come appare dall'esame di alcuni indicatori quali il reddito prodotto nell'ambito del ramo manifatturiero, l'occupazione e la produttività del lavoro. Permane la cattiva distribuzione delle unità locali nell'ambito regionale, come dimostra il preponderante peso della provincia di Napoli in campo industriale, che certamente non favorisce il riequilibrio regionale tra popolazione e risorse. Ciò è dovuto anche alla politica dell'intervento pubblico attuata in C. nel corso degli ultimi decenni, che ha elargito investimenti quasi soltanto alle attività di trasformazione: alcuni comparti hanno richiesto notevoli incentivi finanziari per sostenere i loro processi produttivi.

Nell'ultimo decennio il ramo chimico e delle fibre ha assorbito il 18% delle risorse stanziate, quello meccanico il 17,6%, quello metallurgico il 16,6% e quello alimentare il 12%. L'approvvigionamento delle fonti di energia è assicurato, oltre che dagli impianti idroelettrici (683 milioni di kWh), di cui quelli sul Garigliano e sul Busento sono piuttosto recenti, soprattutto dalla centrale termoelettrica di Napoli-Levante (dalla potenza installata di 450 MW) dopo che quella termonucleare del Garigliano dal 1963 ha cessato l'attività.

Le industrie manifatturiere davano occupazione nel 1981 a 243.214 addetti (+2,7% rispetto al 1971), collocando la C. al sesto posto in Italia, dopo Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana per forze di lavoro occupate; la sola provincia di Napoli ne assorbe il 58%, per circa due terzi nel comune capoluogo.

L'agglomerato industriale partenopeo, frutto della politica dei poli e degli assi di sviluppo, che ha ostacolato la diffusione territoriale degli stabilimenti, è ritenuto uno dei più consistenti d'Italia e ha un alto grado di concentrazione, da ricollegare alla sua forza attrattiva e alle infrastrutture. Nel contempo si sono andate consolidando le aree industriali poste a Nord (Arzano, Casalnuovo, Casavatore, Casoria, Frattamaggiore, Grumo Nevano e Melito) e quelle a Sud (Nola, Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia e Gragnano) pur senza superare l'ambito provinciale: per l'Italsider, nonostante le recenti ristrutturazioni e il notevole impiego di risorse finanziarie, se ne prospetta l'allontanamento dall'area urbana, così come per la raffineria del petrolio e per altre industrie inquinanti. In C. si assiste alla formazione di una zona intermedia di sviluppo industriale, conseguenza della deindustrializzazione della zona costiera: è l'aspetto più interessante della geografia industriale della regione degli ultimi decenni.

La progressiva diversificazione ed espansione dell'industria ha provocato una notevole ridistribuzione della popolazione e l'insorgere di bisogni nuovi e di problemi di fronte ai quali le strategie di intervento si sono rivelate inadeguate. Il settore terziario, pur occupando il 51% del totale, appare carente sotto l'aspetto qualitativo, anche perché sono irrisori i servizi alle imprese, cioè le attività di supporto alla gestione delle aziende industriali; il moderno centro direzionale in costruzione a Napoli dovrebbe supplire a tale carenze.

L'area metropolitana di Napoli, con il suo disordine a tutti i livelli, è una somma di problemi che assumono sempre più carattere nazionale e richiedono un risanamento generale di ordine urbanistico e sociale di non facile realizzazione, che riguarda la città e i sobborghi. Vedi tav. f. t.

Bibl.: P. Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Torino 1975; D. Ruocco, Campania, ivi 1976; E. Mazzetti, I. Talia, Caratteri evolutivi dell'armatura urbana della Campania, Napoli 1977; F. Compagna, Dal terremoto alla ricostruzione, ivi 1981; M. Mautone, L. Sbordone, Città e organizzazione del territorio in Campania, ivi 1983; G. Biondi, Mezzogiorno produttivo. Il modello solofrano, ivi 1984; C. Quintano, L. Esposito, Terziario metropolitano e assetto dell'industria manifatturiera in Campania, in Mezzogiorno d'Europa, gennaio-marzo 1984; G. Cundari, Campania: difficile assestamento di un sistema dualistico, in I sistemi locali delle Regioni italiane (1970-1985), Roma 1989.

Archeologia. - La ricerca archeologica degli ultimi anni ha privilegiato, più che i centri urbani di età classica (per Paestum, Pompei, Pozzuoli v. voci relative in questa App.), la protostoria e le culture indigene fino all'impatto con Roma. Un originale filone di studi si è concentrato sul vulcanesimo e i suoi effetti sul popolamento, e le attuali possibilità di datazione di paleosuoli e materiali eruttivi consentono stratigrafie correlate geologico-archeologiche. Per quanto riguarda la preistoria, gli scavi più recenti hanno messo in luce i complessi abitativi di Casalbore con ceramica impressa, che risalgono al Neolitico Medio, gli abitati di Serra d'Alto e di Mulino S. Antonio nel comune di Avella per il Neolitico Tardo. Nel 1987 a Piano di Sorrento in località Trinità è stato trovato un sepolcreto eneolitico, essenziale per la conoscenza del Gaudo qui presente nelle sue fasi iniziali. Abitati dell'età del Bronzo (Appenninico e protoappenninico) sono stati da poco rinvenuti in località La Starza e nell'isola di Vivara (Appenninico) con sovrapposto materiale miceneo. Il ritrovamento a Palma Campania di un importante insieme di vasi pertinenti a un abitato sepolto dall'eruzione vesuviana detta ''di Avellino'', ha fissato attorno al 1800 a.C. una facies del Bronzo Antico, detta appunto di Palma Campania (correlata coi ritrovamenti di Camposauro sul Taburno, Monte Fellino di Nola, Pertosa, ecc.), di cui si sono rilevate sostanziali affinità con la cultura di Capo Graziano, quasi una risultante locale degli estesi rapporti con l'Egeo all'inizio del Medioelladico (R. Peroni, L. Bernabò Brea). D'altronde, la ripresa dei saggi a Vivara (Procida) ha potuto determinare una sequenza di abitato che, riagganciandosi alla facies di Palma Campania, prosegue con le due fasi del Protoappenninico B (Punta di Mezzogiorno, capanne ellittiche con focolare centrale, di m 10-12 di diam.), e poi di Punta Alaca, associate con importazioni micenee (ma anche minoiche) del T(ardo) E(lladico) i, TE ii A-B (2ª metà 16°-15° sec. a.C.) fino alla facies propriamente appenninica associata con TE iii A 1-2, 14° sec. a.C.

Tale continuità di importazioni, ragguardevole anche per quantità, ripropone un problema di persistenza o meno di rotte occidentali tra età del Bronzo e colonizzazione storica. Nell'area flegrea, le ricerche, ancora all'inizio anche per la complessità del sistema vulcanico, hanno però evidenziato un'importante stazione appenninica a Montagna Spaccata, e consentito l'ipotesi, ricca di conseguenze, di un abbandono di Cuma preellenica a seguito di un'eruzione (dell'Averno?) che giustificherebbe lo hiatus tra insediamento indigeno e stanziamento coloniale greco.

Per l'età del Ferro, gli scavi hanno interessato soprattutto necropoli. Nei due maggiori centri di cultura villanoviana, a Capua e specialmente nell'ancora anonima Pontecagnano (pur ricordando gli Aminei delle fonti, il termine Amina iscritto su un vaso è probabilmente un nome di persona), le tombe scavate si contano ormai per migliaia; le necropoli si dispongono sin dall'inizio attorno all'area poi urbanizzata, come in centri dell'Etruria, ciò che implica pianificazione dei suoli e forte autorità centrale, elementi che, insieme con il precoce differenziarsi di gruppi emergenti e la specializzazione dell'artigianato, marcano il carattere protourbano degli insediamenti, e spiegano la relativa facilità di contatti con il mondo greco già in fase preprotocoloniale (prima metà dell'8° sec. a.C.); relazioni basate, oltre che sul commercio, su rapporti di ospitalità e matrimoni giustificherebbero la presenza non solo di oggetti, ma anche di particolari rituali funerari, non senza precoci manifestazioni, sembra, di vero culto tributato al defunto (Pontecagnano).

Dal momento della colonizzazione (730 a.C. ca.), importazioni di vasi corinzi e pitecusani e oggetti orientali (rilevante una musiera da cavallo in bronzo sbalzato, da Pontecagnano) si accompagnano a importazioni dall'Etruria (un ruolo importante conserva l'area tiberina e interna), mentre limitate presenze di vasi enotri, dauni, ecc., sono indizio di ''ritorni'' dalla redistribuzione di oggetti, specialmente etruschi, verso le regioni montuose dell'interno e il versante adriatico. Due eccezionali tombe orientalizzanti (nn. 926 e 928 di Pontecagnano) a cista di pietra, con calderone bronzeo contenente le ceneri, servizio da vino fenicio-egittizzante in argento, utensili e vasellame metallico per focolare e per banchetto, si adeguano al costume funerario ''eroico'' degli aristoi euboici, testimoniando di un ormai raggiunto equilibrio politico-culturale con i Greci.

Degli abitati si conosce ben poco; a Capua, dove si è scavato un lembo periferico di città, con una fornace a doppia camera del tardo 6° sec. a.C., sembra che ancora in quel tempo perdurasse un tessuto abitativo discontinuo; la sovrapposizione di tombe del 4° sec. dà segno della frattura storica intervenuta, che si coglie anche in necropoli con assenza di deposizioni dalla seconda metà del 5° al 4° sec. avanzato. Anche a Nola, la ripresa, dopo il fiorire del 5° sec., è della seconda metà del 4°; un cospicuo gruppo di tombe dipinte campane, con il consueto repertorio figurato, si è aggiunto a quelle già note.

Le accresciute conoscenze sulle aree indigene consentono una migliore percezione del ruolo acculturatore svolto dalle due città, in particolare Capua, col rapido sviluppo dei centri della locale Fossakultur, Suessula e la ora meglio nota Calatia (oltre 500 tombe scavate), e con la pronunziata differenziazione indotta nella regione aurunca, tra un'area in immediato contatto (Cales con ricche tombe etruscheggianti già alla metà del 7° sec. a.C.) e la arretratezza del vasto ''territorio di accantonamento'' che dal Massico e dai Monti Trebulani giunge al Cassinate; parimenti, nell'interno, la Valle Caudina, pur senza forme di aggregazione urbana, mostra nelle necropoli (estesamente esplorate, ma quasi inedite) una cultura che, anche se con fenomeni di singolare conservatorismo, subisce fortemente l'influenza dell'area campana, sì da distinguersi nettamente dalla povertà di manifestazioni delle finitime valli del Sannio.

Rilevante è altresì il fenomeno dei santuari extraurbani, che diremmo di distretto più che campestri, specialmente lungo il fiume Savone (dalla foce: Penetelle di Mondragone), con addensamento nell'area di Teano (Torricelle, 7° sec. a.C.; Loreto, Ruozzo); quello di fondo Ruozzo presenta una monumentale sistemazione degli accessi sul pianoro con rampe e mura a blocchi di 4° sec. a.C., rifacimento a terrazze di opus incertum del tempo della Guerra Sociale, e ricchissima stipe con figure fittili anche al vero (madri, offerenti, guerrieri, ecc.), che, dal tardo 6° sec. a tutto il 3°, offrono l'intero ventaglio delle possibilità espressive dall'aderenza a modelli ionicizzanti di tradizione capuana fino, come nella stipe di Presenzano, a una spontaneità scevra di precisi riferimenti culturali. Oltre a terracotte architettoniche campane, importanti due singolari capitelli d'anta ionici in tufo che, con un coronamento di stele a palmetta da Montanaro di Francolise, mostrano la presenza in zona di una bottega di intagliatori in pietra di cultura ionizzante forse ancora in età tardoarcaica.

Manifestazioni simili, ma con diversi esiti, mostrano le necropoli della Fossakultur della Valle del Sarno. A San Marzano, San Valentino, Striano, sepolture in gruppi (familiari?) entro recinti circolari distribuiti lungo stradelli sembrano riportare in necropoli un'organizzazione di villaggio. L'emergere di élites si palesa con esibizioni di grande ricchezza in tombe dell'orientalizzante antico-medio, specialmente femminili, in cui vistosi costumi, cosparsi di ambre, faiences, ornamenti in metalli preziosi, sembrano tradurre visivamente il prestigio sociale dell'oikos (B. d'Agostino); il vasellame bronzeo è per lo più etrusco. Tali necropoli cessano tra la fine del 7° e la prima metà del 6° sec., apparentemente senza dar luogo ad aggregazioni di abitato locali, sì che si è supposto suggestivamente (W. Johannowsky) che la loro cessazione consegua a vere forme di sinecismo, da cui sorgerebbero o si rafforzerebbero centri urbani come, in primo luogo, Pompei (considerata, in una recente proposta, come alternativa e perciò concorrenziale rispetto a Stabia). Anche Nola ha nuovo impulso alla fine del 7° secolo. Assistiamo in effetti, dal 600 ca. in poi, a una "vigorosa ripresa dell'interesse etrusco" per la C. (d'Agostino), segnatamente nell'area tra il Sarno e il Salernitano, cui non è forse estranea, più a sud, l'installazione della colonia di Posidonia. Presenze greco-posidoniati, infatti, sono certe a Pontecagnano (santuario di Apollo) e rivelate anche a Nocera e nella penisola sorrentina da iscrizioni greche e osche in un alfabeto acheo modificato (e comunque, l'onomastica osca attesta la persistenza dell'ethnos locale), oltre che di Etruschi, che rimangono tuttavia elemento propulsivo determinante per nuove forme di organizzazione e sfruttamento delle risorse del territorio (necropoli, che debbono corrispondere ad aggregazioni cantonali, a Stabia, Vico Equense, Priora di Sant'Agata, Sorrento, oltre a Fratte, Vietri, ecc. di carattere più decisamente etrusco; inoltre santuari di altura e di valico). Un'iscrizione osca di età ellenistica ha rivelato un'organizzazione santuariale con meddices connessa con l'Athenaion di Punta della Campanella.

Le aree meridionali-interne, pertinenti alla facies di Oliveto-Cairano, hanno conosciuto parimenti una ripresa delle esplorazioni, constatando anche qui l'emergere precoce di élites dalle manifestazioni funerarie di grande ricchezza, specie in inconsueti costumi femminili (Bisaccia), ma anche con forme d'insediamento in recinto fortificato per un gruppo forse familiare, con adiacente propria zona sepolcrale (Cairano), talvolta con evidenze di brusche cesure culturali (a Bisaccia la necropoli di 8°-7° sec. occupa il sito di un villaggio dell'età del Bronzo, ed è stata essa stessa soverchiata da un insediamento con aggere di 6°-4° sec. a.C.).

Una definizione delle aree culturali dell'entroterra irpino si è avuta solo negli ultimi anni, grazie agli interventi di scavo della Soprintendenza (Johannowsky); in particolare, l'area a cavallo dell'Appennino, un tempo assimilata a siti come Sala Consilina e Palinuro nella generica definizione di ''enotria'', ha trovato miglior inquadramento grazie alla più chiara evidenziazione di una zona contraddistinta da sepolture con cadavere rannicchiato (Atena Lucana, Buccino; in Basilicata Satriano, Ruvo del Monte), di chiara ascendenza illirica, terminale di un cuneo migratorio spintosi dalla Peucezia sin quasi al Tirreno; ma i bronzi greci, originali e d'imitazione, ed etruschi in tombe altoarcaiche di Atena, sono portato di contatti forse più con Capua che con Pontecagnano. È rilevante che a Buccino (dove è però nota una tomba dipinta di 4° sec. di tipo pestano) non si avvertano discontinuità fino alla conquista romana del 280.

In ambito irpino (Casalbore, Castel Baronia e Carife sull'Ufita) le necropoli di 6°-5° e di 5°-4° sec. a.C. hanno modificato l'idea di un forte isolamento culturale, rivelando, al contrario, una facies con influenze campane, a conferma dell'eccezionale ruolo-guida svolto da Capua nei confronti del mondo italico; nella seconda parte del periodo si afferma, in tombe ricche anche di bronzi (Carife), l'ideologia del banchetto mediata dal mondo etrusco-campano, interpretata come espressione di una ''aristocrazia agraria costituitasi tramite il mercenariato'', potente strumento di acculturazione per le élites sannitiche formatesi all'interno delle poleis greche. Entro tale cornice è stato riguardato anche il particolare caso di Roccagloriosa (5°-3° sec. a.C.), sorta di palazzo con cortile lastricato e piccolo sacello con bothros colmo di ex voto, racchiuso da una cinta muraria di 4° sec. e correlato con un piccolo gruppo di ricche sepolture.

A eccezione di Paestum (v. in questa App.), dove sono proseguite indagini finalizzate all'edizione scientifica dell'intero comprensorio urbano, gli scavi hanno interessato limitatamente le colonie greche. A Pitecusa, il quadro di conoscenze acquisite non è stato sostanzialmente modificato da limitate prosecuzioni dello scavo. A Napoli, interventi di ''archeologia urbana'' hanno consentito ipotesi integrative e/o correttive circa l'impianto urbanistico originario (di cui si è evidenziata, da ultimo, l'affinità progettuale con fondazioni siceliote dei Dinomenidi); circa lo sviluppo topografico della città, la discontinuità dei dati non consente, per ora, che analisi puntuali, e tuttavia si evidenzia un fenomeno di crescita urbana dopo il foedus con Roma (326 a.C.) per tutto il 3° sec. a.C. (importante al riguardo il recupero al periodo ellenistico degli ipogei funerari dipinti, di ascendenza alessandrina, prima considerati finanche di età romana), mentre precocemente appaiono fenomeni di contrazione delle aree abitate, certo anche in dipendenza degli episodi sismico-eruttivi vesuviani del 1° sec. d.C. Quanto a Velia, lo scavo, proseguito sull'acropoli (trasformata in santuario intorno al 480), si è esteso anche in varie zone della città bassa, con importanti sequenze cronologico-tipologiche, specie per le abitazioni, dall'età arcaica in poi; dell'impianto urbano è stata determinata la misura degli isolati (m 37,5 × 75 ca.), ed edifici pubblici hanno avuto definizioni cronologiche o interpretazioni di destinazione, come il teatro sulla pendice dell'acropoli, di età romana senza rilevabili precedenti greci; l'edificio a doppio triportico, interpretato come luogo del culto imperiale; tra gli stabilimenti termali, notevole un impianto pienamente ellenistico con vasche fittili, e un precoce esempio di mosaico tessellato che troverebbe un parallelo, se non un antecedente, in un singolare edificio scoperto a Buccino in zona di necropoli, e datato prima della conquista romana. L'organizzazione dei phrouria del territorio è stata investigata a Moio della Civitella, collina di 7 ettari a 15 km da Velia, con mura del 300 circa a.C., dove peraltro l'addensamento degli edifici in vetta sembra richiamare forme di abitato indigene.

La maggior parte dei ritrovamenti archeologici recenti concerne il periodo romano repubblicano (per es. a Flumeri) e imperiale; sono quasi sempre recuperi casuali o interventi di salvataggio dovuti a radicali trasformazioni fondiarie anche in territori fino a poco tempo addietro pressoché intatti; si sono aggiunte imponenti opere conseguenti al terremoto dell'Irpinia del 23 novembre 1980; in area flegrea, la ripresa dei fenomeni bradisismici dopo il 1984 ha dato pretesto a interventi pesanti di urbanizzazione con distruzioni o irreversibili alterazioni di paesaggi storici tra i più celebrati. Solo in qualche caso, dunque, le indagini hanno potuto essere ampliate in modo organico ed essere pubblicate esaurientemente; pochi i veri progetti di ricerca. Tra le imprese programmate, si segnala l'esplorazione dell'ager Falernus e in parte dell'ager Campanus, con rilevamenti fotogrammetrici e trattamento delle immagini con filtraggi ottici, che hanno consentito, oltre a numerose scoperte puntuali (ville, soprattutto; percorsi stradali, come quello dell'Appia presso il Pons Campanus; insediamenti tra cui notevole quello, finora invano cercato, della colonia di Urbana), una completa definizione dei sistemi di divisione agraria.

In parallelo, ricognizioni e limitati saggi di scavo hanno apportato conoscenze sulle modifiche delle strutture di produzione, specie vinicole, con ville rustiche con proprie piccole fornaci per anfore del 2°-3° sec. d.C., e abbandono delle grandi fabbriche di anfore lungo la costa destinate alle massicce spedizioni oltremare. Esplorazioni per comprensori territoriali, talvolta con parziali scavi di strutture individuate, si sono avuti altrove, per es. a Buccino, mentre a Lauro di Nola, Oplontis, Massalubrense, ecc., si sono esplorate parzialmente ville di otium, con decorazioni anche di grande qualità, ville che, peraltro, anche se rimaste in uso talvolta fino al tardo impero, palesano precoci fenomeni di dismissione della parte padronale.

Particolare accento va posto sulle ricerche sottomarine nell'area flegrea, ormai indirizzate non più solamente al recupero di opere d'arte, ma alla definizione dell'originaria morfologia della costa e a un'indagine per interi complessi monumentali. Importante sotto ogni riguardo lo scavo di Punta dell'Epitaffio a Baia, che ha interessato un grande ninfeo-triclinio absidato di età giulio-claudia, pertinente alla residenza imperiale, con decorazione scultorea comprendente, oltre alle figure di Ulisse e del compagno con l'otre (non si è ritrovato il Polifemo che completava il gruppo, disposto nell'abside), immagini di Dioniso assieme a statue-ritratto di membri della famiglia imperiale come Antonia Minore e una bambina (forse una figlia di Claudio), secondo un complesso ''programma'' ancora in studio. Sempre a Baia, esplorazioni e rilievi subacquei hanno definito la forma del lacus Baianus, con grandiosi edifici circostanti la cui storia edilizia si prolunga fino al 2°-3° sec. d.C.; importanti indagini sono inoltre in corso al Porto Giulio (Lago Lucrino) e sulla ripa di Pozzuoli (v. in questa App.).

A parte il caso già citato di Napoli, dove le esplorazioni hanno consentito di articolare i fenomeni di continuità e di trasformazione abitativa fino in età altomedievale, indagini importanti sono in corso in varie località, tra cui si segnalano, oltre a Nocera dall'eccellente conservazione monumentale, città come Nola, Abellinum, ecc., in cui l'analisi del vulcanesimo vesuviano in avanzata età imperiale e fino al 5° sec. d.C. ha consentito di conseguire sequenze stratigrafiche che illustrano fasi di trasformazione e momenti del progressivo abbandono parziale, o totale, delle aree urbane. Anche a Capua pagana e paleocristiana (resti della basilica costantiniana, riconoscimento del battistero nel cosiddetto catabulum) sono stati ben evidenziati i momenti della distruzione operata dai Vandali e dell'abbandono di vaste zone della città. Infine, per il periodo tardoantico, si segnala la ripresa delle indagini nel complesso paleocristiano di Cimitile di Nola. Vedi tav. f. t.

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Arte. - La conoscenza delle arti in C. si è arricchita, in questo secondo dopoguerra, di contributi, spesso legati a occasioni di pubbliche esposizioni − dalla pionieristica Sculture lignee nella Campania (Napoli 1950) alla recente Andrea da Salerno nel Rinascimento meridionale (Certosa di Padula 1986) − in cui sono stati passati al setaccio dei moderni criteri storiografici interi periodi, ridefinendone percorsi e recuperando personalità solo pochi decenni orsono male o nient'affatto conosciute.

In particolare la seconda delle mostre citate ha visto la mobilitazione degli studiosi intorno a un tema 'periferico' e in un luogo altresì 'periferico', restituito alla pubblica fruizione, sia pur parzialmente, dopo alterne vicende conservative culminate nei restauri resi necessari dai danni provocati dal terremoto del 23 novembre 1980.

Proprio quest'ultimo terribile avvenimento ha segnato in maniera decisiva buona parte dei monumenti e delle opere d'arte nella regione, in una vasta area formata dall'intera provincia di Avellino e da buona parte delle province di Napoli e Salerno e, se a dieci anni di distanza dall'evento è possibile affermare che nel complesso le maggiori 'emergenze' sono state recuperate, nulla potrà restituire il complesso organismo di centri minori rasi al suolo dagli eventi e dalle ruspe della ricostruzione: Sant'Angelo dei Lombardi, Sant'Andrea di Conza per citare solo i primi fra i più colpiti. Ricostruzione per altro dai tempi lunghi, se solo il 6 ottobre 1989 è stata reinaugurata la chiesa di S. Maria di Costantinopoli ad Avellino (18° sec.), il cui restauro s'inserisce nel più ambizioso programma di risanamento dell'intero corso Umberto i e delle limitrofe parti più antiche della città danneggiate dal terremoto.

Studi e interventi di restauro, negli ultimi decenni, hanno contribuito a una conoscenza più precisa e approfondita degli eventi artistici in C.: per Cimitile è stata possibile l'individuazione di rapporti diretti con architetture dell'Africa numibiana − in particolare l'uso di absidi triconche nella basilica di S. Felice in Pincis (5° sec.) −, da confrontare con la stessa Napoli dove, inoltre, nelle superstiti decorazioni dell'epoca si ha la conferma di un rapporto forte con la tradizione ellenistica, arricchita delle esperienze coeve bizantine, nella sua componente più mediterranea, di aspetto quindi vivacemente naturalistico, presente anche nei mosaici della cappella di S. Matrona in S. Prisco a S. Maria Capua Vetere (5° sec.).

Ancora debitori di questa congiuntura stilistica devono essere considerati gli affreschi delle absidi della chiesa di S. Sofia a Benevento (8° sec.), dove meglio si possono precisare gli orientamenti in senso siro-palestinese nel generale riferimento alla cultura bizantina. Così a esempi armeni va ricondotta l'architettura stessa della chiesa di S. Sofia dopo che, spogliata delle stratificazioni successive, ha rivelato il suo impianto stellare.

Perduta definitivamente nel conflitto mondiale la basilica desideriana di Montecassino, è in area campana che se ne possono trovare gli echi, in particolare nella basilica di S. Angelo in Formis (11° sec.) il cui andamento architettonico e decorativo non dové discostarsi molto dalla basilica cassinense; la coeva decorazione pittorica mostra il grado di allontanamento dallo schematismo bizantino raggiunto e anche l'eventuale involgarimento di quelle forme. Proprio la formula più corsiva di queste pitture ha portato a escludere l'esistenza in C. di una 'scuola benedettina' e a ritenere questi affreschi e quelli a essi avvicinabili (Ventaroli, Basilica, 12° sec.) una deformazione in chiave locale di formule artistiche allogene. Negli affreschi dell'abside della basilica di Ventaroli appaiono però ulteriori elementi stilistici di origine più propriamente musulmana, dalle caratteristiche formule astratte e aniconiche.

Accanto a questi modi 'orientali' sempre più chiaro appare il rapporto con l'arte occidentale: fra la fine del sec. 11° e la metà del 12° si possono situare il deambulatorio del Duomo di Aversa, il chiostro di S. Sofia a Benevento, il Crocifisso ligneo di Mirabella Eclano, opere che a vario titolo possono essere ricollegate al movimento 'occidentale' dell'arte, che sulle vie di pellegrinaggio viaggiava da Santiago de Compostela a San Michele a Monte S. Angelo.

L'insieme di queste correnti artistiche − orientale bizantina, islamica e occidentale − è ritrovabile nei maggiori monumenti dell'epoca normanna quali la Cattedrale di Salerno, i cui restauri, rispettosi delle stratificazioni successive, hanno permesso comunque di individuarne i caratteri originali: per es. le colonne della navata inglobate in pilastri settecenteschi, o negli altri edifici sacri coevi della regione, a Ravello, a Sessa Aurunca, ecc.

Il rinnovamento in senso gotico del periodo svevo non interessa la C. se non nella Deposizione lignea del Duomo di Scala (metà del 13°sec.); l'impresa più importante nella regione sotto Federico ii dové essere senz'altro la perduta Porta di Capua, le cui sculture recuperate mostrano un interesse di tipo classicista.

Con la dominazione angioina, oltre al trasferimento della capitale a Napoli si verifica l'arrivo dei maggiori artisti dell'epoca, dagli architetti francesi, che imprimono agli edifici un forte senso gotico, ai grandi pittori italiani − Giotto, Simone Martini −; si determina quindi un processo di centralizzazione, nella capitale, delle sperimentazioni che vengono diffuse nella regione attraverso la divulgazione di artisti che si formano o quanto meno si aggiornano a Napoli.

Da questo momento in avanti le vicende artistiche regionali coincideranno di fatto con quelle napoletane, che alla metà del Quattrocento conoscono un momento particolarmente interessante grazie all'incontro della cultura catalano-valenzana, portata dai nuovi regnanti aragonesi, con quella borgognona-provenzale degli ultimi angioini, congiuntura prontamente recepita da Colantonio, accanto al quale nei primi anni Cinquanta dové essere il giovane Antonello da Messina, e diffusa, sia pur in ritardo, da A. Arcuccio, attivo ad Aversa, Sarno, Sant'Agata dei Goti, ecc. Le committenze e il mecenatismo della nuova dinastia imprimono alla cultura napoletana un'accelerazione, fatta di arrivi di importanti opere d'arte e di artisti, culminante nelle due produzioni dell'Arco trionfale in Castelnuovo e del Libro d'ore di Alfonso, inserita in uno scambio 'mediterraneo' di apporti che gli studi vanno precisando e che hanno ripercussioni nel resto della Campania.

È col Cinquecento che si vanno tuttavia definendo personalità capaci di tradurre e diffondere le novità che gli artisti chiamati a Napoli portano; è il caso nella prima metà del secolo di Andrea da Salerno e G. F. Criscuolo, nella seconda metà di F. Curia, G. Imparato, F. Santafede e soprattutto del greconapoletano B. Corenzio, attivo fino alla metà del Seicento secondo la cifra stilistica tardo cinquecentesca.

In questa vicenda, che vede una sostanziale dipendenza dei centri regionali dalla capitale, spiccano episodi che per qualità vengono segnalati: Solofra, nel Seicento, intorno all'opera di F. Guarino, formatosi sulla fase caravaggesca di M. Stanzione, vive una stagione di primo interesse; questo artista, la cui attività si svolge sempre lontano da Napoli, ma che mostra di essere aggiornato 'quotidianamente' sulla vicenda artistica della capitale, lascia nella sua città natale un capolavoro, le tele per il transetto della Collegiata (fra il quarto e il quinto decennio nel 17° sec.) e altre opere sulle quali il suo allievo A. Solimena, padre del più noto Francesco, forma la propria cultura artistica. Una vicenda che si dipana fra Solofra e Canale di Serino (patria dei Solimena padre e figlio), e che vedrà proprio a Solofra uno degli esordi di F. Solimena.

Anche nel campo della scultura e della decorazione plastica in questi ultimi anni si è avuto un proliferare di studi che hanno permesso di inserire, accanto a C. Fanzago, altre personalità attive, in tutta la regione. Ma particolarmente suggestivo è il capitolo delle arti minori, che dal Seicento in poi ebbero a Napoli una fioritura di prima grandezza: oltre agli argenti, lavorati soprattutto a Napoli, da ricordare l'arte del ricamo, di cui ci sono pervenute buone testimonianze negli arredi sacri, l'intaglio ligneo, che su una tradizione cinquecentesca si sviluppa soprattutto in Irpinia − testimonianza di rilievo il coro seicentesco della chiesa di S. Maria Assunta di Bagnoli Irpino − e infine le ceramiche la cui produzione, in particolare nella zona di Vietri, costituisce ancora oggi un'attività fiorente.

Il Settecento è dominato dalle figure di F. Solimena e dei suoi allievi-sodali F. Sanfelice e D. A. Vaccaro; in particolare alle ingegnose architetture e alle eleganti decorazioni degli ultimi due si rifaranno gli artisti della regione anche dopo la venuta di L. Vanvitelli, portatore di uno stile classicista e severo, che ha nel locale M. Gioffredo un esponente di primo piano.

Gli studi sul 19° secolo sono in corso in questi anni e soprattutto per il periodo borbonico se ne devono attendere gli esiti, che aiuteranno a meglio ricostruire un periodo restato finora in ombra: accanto a C. Angelini che, almeno nel genere del ritratto, contribuisce originalmente al neoclassicismo, dovrà essere meglio precisata la figura di G. Forte che, nello stesso genere ma con richiami a G. Traversi, è attivo negli stessi anni. Già definita, invece, la personalità dell'olandese A. S. Pitloo cui va attribuito, insieme al russo Ščedrin, un ruolo di primo piano nella vicenda della Scuola di Posillipo, anche per il collegamento che l'olandese e il suo allievo G. Smargiassi permettono di rilevare col mondo accademico. Per l'architettura è nella seconda metà del secolo che si devono ricercare gli episodi più interessanti, da quelli 'mancati' − come la progettata risistemazione urbanistica basata su di un moderno piano di trasporti dello scozzese-napoletano L. Young (primo progetto del 1872) −, a ciò che venne effettivamente realizzato sia per opera di E. Alvino, esponente dello stile neorinascimentale, sia, dopo l'epidemia di colera del 1884, nell'ambito del Risanamento, segnato quest'ultimo dalla prevalenza di interessi speculativi.

Di fatto con l'Ottocento la vicenda artistica non solo viene sempre più centralizzata a Napoli, ma in architettura incomincia ad affermarsi una pratica di edilizia incontrollata che in scacco ai piani regolatori continua ancora oggi e che è forse la vera ridisegnatrice del volto urbanistico della regione; ancora una volta Napoli e il suo hinterland, soprattutto nella fascia dei comuni vesuviani, rappresentano l'esempio più evidente.

Gli anni del colera sono gli stessi in cui nasce una generazione di artisti, E. Curcio, E. Pansini, R. Uccella, recentemente riscoperti, che, insieme al futurista F. Cangiullo, nei primi due decenni del 20° sec. contribuiranno in modo originale al dibattito artistico italiano, rompendo una tradizione, incapace di rinnovarsi, che alla fine del 19° sec. aveva emarginato V. Gemito e A. Mancini. Anni di vitalità artistica ben rappresentati anche dalla qualità nel genere dell'illustrazione, e dalle tracce di architettura liberty presenti un po' in tutta la regione, specialmente nelle residenze estive dell'alta borghesia cittadina, ma con buoni episodi a Napoli quali palazzo Mannaiuolo. Durante il Fascismo saranno, in pittura, L. Crisconio, E. Notte, P. Ricci, finché il regime glielo permetterà, a mantenere vivo il dibattito artistico.

Nel secondo dopoguerra, le vicende artistiche si snodano attraverso la costituzione di gruppi: dalla Libera associazione degli artisti al Gruppo sud, al Gruppo 58 e al Gruppo studio P. 66, e infine, in ambito non strettamente napoletano, al Gruppo Salerno 75, una serie di iniziative che, se testimoniano della vitalità artistica napoletana del dopoguerra, mostrano anche il limite di voler sempre cominciare da capo, da un presunto grado zero. Negli ultimi anni vanno segnalate Terrae Motus, a cura della Fondazione Amelio − attorno all'evento disastroso una serie di esplorazioni di artisti contemporanei in mostra a villa Campolieto (1984) − e la Biennale del Sud, a cura dell'Accademia delle belle arti di Napoli nel 1988.

Bibl.: R. Pane, Architettura dell'età barocca in Napoli, Napoli 1939; R. Causa, Angiolillo Arcuccio, in Proporzioni, 3 (1950), pp. 99-110; Sculture lignee della Campania, catalogo della mostra, a cura di F. Bologna e R. Causa, Napoli 1950; M. Rotili, L'arte nel Sannio, Benevento 1952; R. Causa, Pitloo, Napoli 1956; Id., Pittura napoletana dal XV al XIX secolo, Bergamo 1957; F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli 1958; R. De Fusco, Il floreale a Napoli, ivi 1959; F. Bologna, Roviale spagnolo e la pittura napoletana del Cinquecento, ivi 1959; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, ivi 1961; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma 1962; R. Causa, La scuola di Posillipo, Milano 1967; A. Venditti, Architettura bizantina nell'Italia meridionale, Napoli 1967; Storia di Napoli, Cava dei Tirreni Napoli 1967-78; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale (1904), aggiornamento a cura di A. Prandi e altri, Roma 1968-78; F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli. 1266-1414, ivi 1969; G. Borrelli, Il presepe napoletano, Roma 1970; N. Spinosa, L'arazzeria napoletana, Napoli 1971; M. Rotili, L'arte del Cinquecento nel regno di Napoli, ivi 1972; E. Catello, C. Catello, Argenti napoletani dal XVI al XIX secolo, ivi 1973; A. Putaturo Murano, Miniature napoletane del Rinascimento, ivi 1973; A. Carotti, Gli affreschi della Grotta delle Fornelle a Calvi Vecchia, Studi sulla pittura medioevale campana, i, Roma 1974; G. Donatone, La maiolica napoletana dell'età barocca, Napoli 1974; A. Blunt, Neapolitan Baroque and Rococo architecture, Londra 1975; A. Perriccioli, L'arte del legno in Irpinia dal XVI al XVIII secolo, Napoli 1975; R. Pane, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, Milano 1975-77; L'avanguardia a Napoli: documenti (1945-72), a cura di L. Caruso, Napoli 1976; F. Bologna, Napoli e le rotte mediterranee della pittura, ivi 1977; R. Zuccaro, Gli affreschi nella Grotta di San Michele ad Olevano sul Tusciano, Studi sulla pittura medievale campana, ii, Roma 1977; Campania, a cura di A. De Franciscis e altri, Milano 1978; G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, Torino 1978; Civiltà del '700 a Napoli. 1734-1799, catalogo della mostra, Firenze 1979; G. Alisio, Napoli e il Risanamento. Recupero di una struttura urbana, Napoli 1980; C. De Seta, L. Di Mauro, M. Perone, Ville vesuviane, Milano 1980; G. Donatone, Pavimenti e rivestimenti maiolicati in Campania, Cava dei Tirreni 1981; Sisma 1980: effetti sul patrimonio artistico della Campania e della Basilicata, in Bollettino d'arte, 67 (1982), suppl. n. 2; P. Ricci, Arte e artisti a Napoli. 1800-1943, Napoli 1983; F. Abbate, I. Di Resta, Sant'Agata dei Goti, Roma-Bari 1984; C. De Seta, G. Milone, Le filande di Sarno, ivi 1984; Civiltà del Seicento, catalogo della mostra, Napoli 1984; Terrae Motus, catalogo della mostra, ivi 1984; M. De Cunzo e V. De Martini, Avellino, Roma-Bari 1985; I. Di Resta, Capua, ivi 1985; Evacuare Napoli. L'ultima generazione, catalogo della mostra, Napoli 1985; P. Giusti, P. Leone de Castris, 'Forastieri e regnicoli'. La pittura moderna a Napoli nel primo Cinquecento, ivi 1985; Andrea da Salerno nel Rinascimento meridionale, catalogo della mostra, a cura di G. Previtali, Firenze 1986; In Margine. Artisti napoletani fra tradizione e opposizione. 1909-1923, catalogo della mostra, a cura di M. Picone Petrusa, Milano 1986; N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, Napoli 1986-87; Luigi Cosenza. L'opera completa, catalogo della mostra, a cura di G. Cosenza e F. D. Moccia, ivi 1987; Biennale del Sud. Rassegna d'arte contemporanea, catalogo della mostra, ivi 1988; R. Lattuada, Il Barocco a Napoli e in Campania, ivi 1988; A. Perriccioli Saggese, A. Putaturo Murano, L'arte del corallo, ivi 1989; F. Abbate, C. Vargas, Campania, in Dizionario della pittura e dei pittori, i, Torino 1989, pp. 513-26. Da consultare inoltre le riviste: Apollo. Bollettino dei Musei provinciali del salernitano, Salerno 1961-; Archivio storico delle province napolitane, Napoli 1876-; Archivio storico di Terra di Lavoro, Caserta 1956-; Napoli Nobilissima, Napoli 1982-; Rassegna storica salernitana, Salerno 1937-; Rivista storica del Sannio, Benevento 1914-; Samnium, Benevento-Napoli 1928-.

Tutela dei beni architettonici. - L'architettura della C. è stata sempre studiata quale parte della cultura figurativa nel più generale dibattito sulle arti visive (v. campania: Arte, VIII, p. 586) e caratterizzata, dopo il 1266, dalle esperienze condotte a Napolicapitale; di conseguenza è nella storia artistica e urbanistica di Napoli (v. napoli: Architettura, in questa Appendice) che trovano espressione le varie fasi della cultura architettonica della Campania. Di qui l'orientamento generale degli studi storico-architettonici, che hanno da sempre privilegiato il capoluogo egemone, e le emergenze architettoniche; e ciò si verifica anche nel campo della tutela e salvaguardia del patrimonio monumentale, a iniziare dai restauri e dalle ricostruzioni per riparare i danni subiti dalle fabbriche ''maggiori'' dopo la guerra (S. Chiara e S. Lorenzo di Napoli; le cattedrali di Salerno, Benevento, Teano; S. Maria Maggiore a Nocera Superiore; la cattedrale e il Museo Campano a Capua). La tematica del restauro nell'immediato dopoguerra metterà in crisi le teorie enunciate negli anni Trenta e dal dibattito sulle scelte dei metodi da adottare emergeranno i nuovi concetti sul restauro: dall'idea del monumento isolato (criteri di protezione puntuale delle "cose di notevole interesse" della legge del 1939) a quello dell'insieme ambientale (Carta di Venezia del 1964) e alla conservazione integrata (Carta europea e Dichiarazione di Amsterdam del 1975; Carta internazionale delle città storiche, Washington 1987).

Si va lentamente acquisendo anche in C. uno sviluppo del concetto di conservazione in stretta relazione con il nuovo concetto di bene culturale architettonico non più scisso dal contesto ambientale al quale appartiene; e assumono grande rilievo pertanto i centri urbani antichi o le parti di città storiche quali valori corali unitamente alle emergenze. A questo nuovo indirizzo ha contribuito non poco la lezione di R. Pane e la sua produttiva promozione verso la tutela dei monumenti e degli ambienti antichi della C., che, oltre a produrre una ricca messe di contributi scientifici, ha avuto il merito di indirizzare una larga schiera di studiosi alla conoscenza e allo studio del ricco patrimonio architettonico campano, in cui l'80% del costruito è vecchio di almeno un secolo e presenta peculiarità e caratteristiche di pregevole valore ambientale. Valori ancora in gran parte sconosciuti e spesso ignorati e pertanto in grave stato di abbandono e degrado, perciò bisognosi di urgenti operazioni di salvaguardia, da condursi secondo opportuni criteri di restauro.

Mentre però gli anni 1950-70 hanno visto fortunatamente il proliferare della ricerca in questo campo di studi, gli organi di tutela competenti non hanno contemporaneamente attuato proficue campagne di restauri architettonici di quegli stessi monumenti o centri ''da salvare'' essendo la loro azione limitata alle opere ''vincolate''.

Il quadro legislativo e normativo della C. nel campo della tutela del patrimonio storico-artistico inizia con la Prima normativa per il censimento dei beni culturali e naturali (L.R. 24 luglio 1974, n. 32), seguita dal regolamento di attuazione e dal Primo Programma di interventi per i beni culturali (L.R. 9 novembre 1974, n. 58) con il quale si regolava la destinazione dei fondi per l'acquisto, il restauro e la valorizzazione dei Beni allo scopo di costituire una sorta di demanio regionale; ma entrambe le leggi non hanno però portato effetti benefici, dal momento che i modesti fondi, pur rinnovati anche con un secondo programma (L.R. 19 novembre 1977, n. 63, e ancora per il triennio 1977-79), sono stati polverizzati in mille rivoli. Unico impegno positivo volto alla salvaguardia del patrimonio architettonico è stato la costituzione dell'Ente ville vesuviane (L.R. 29 luglio 1971, n. 578) che nel primo quinquennio ha assicurato (Gazzetta ufficiale n. 5 del 7 gennaio 1977) un completo elenco di questi rinomati luoghi della residenza aristocratica napoletana, nonché, con i successivi contributi, il restauro della vanvitelliana villa Campolieto a Ercolano, mentre altri restauri sono in corso, unitamente a nuove iniziative progettuali di riqualificazione ambientale di alcuni itinerari di ville costiere lungo il Miglio d'oro.

Nell'affermarsi di un rinnovato criterio di conservazione, la tutela viene rivolta anche ai luoghi della produzione collettiva, alle strutture manifatturiere e industriali, in particolare a quelle d'età borbonica. L'archeologia industriale diventa anche in C. un proficuo settore di studi, promuovendo la valorizzazione di numerosi edifici del lavoro, tra cui l'Opificio meccanico borbonico di Pietrarsa, presso Portici, quale museo storico delle Ferrovie dello stato.

All'indomani del sisma irpino del 23 novembre 1980, in relazione ai forti danni subiti dal patrimonio e alle urgenti necessità di intervento, si rinnova l'interesse per i beni architettonici della regione − e principalmente per Napoli −, e si verificano nuovi sviluppi per la ricerca storica conservativa in ragione dei cospicui finanziamenti per il restauro e la valorizzazione. I restauri sono stati gestiti in gran parte dalle Soprintendenze ai Beni architettonici e ambientali, in quell'occasione decentrate e suddivise per province (l. 6 luglio 1981, n. 456), dai comuni e dai privati proprietari (l. 14 maggio 1981, n. 219 e successivi aggiornamenti), solo in parte coadiuvati dall'università e dalla Regione nell'opera di ricognizione e di schedatura degli edifici storici e monumentali danneggiati, per addivenire all'inventario regionale dei ''beni'' dei 544 comuni formanti la Regione (L.R. 24 luglio 1974, n. 32, e 9 novembre 1974, n. 58, rifinanziate con nuove integrazioni in relazione al sisma: L.R. 4 febbraio 1981, n. 3; 6 maggio 1985, n. 41, e 13 agosto 1986, n. 25). Le successive operazioni di recupero, ripristino e salvaguardia di quanto di quel patrimonio s'era conservato hanno salvato dalle ruspe e dalla museificazione un gran numero di monumenti, in applicazione delle più recenti acquisizioni nel campo della conservazione integrata dei beni architettonici (Collegiata di S. Michele a Solofra, Duomo di Avellino, S. Francesco a Folloni a Montella, La Certosa di Padula, ecc.).

All'interno del meccanismo di pianificazione urbanistica della ricostruzione, particolare rilievo assumono i piani di recupero in corso di esecuzione nei centri terremotati di Calitri (1984), S. Angelo dei Lombardi (1981-87), S. Andrea di Conza (1982-87), Caposele (1987), redatti in base alla legge di ricostruzione (L.R. 14 maggio 1981, n. 219, facente riferimento alla legge del 5 agosto 1978, n. 457), dove si cerca di raggiungere l'obiettivo del restauro globale integrato del centro storico attraverso l'azione correlata tra comune, stato, soprintendenza e proprietà privata tramite Uffici di piano locali, competenti e attivi. Queste operazioni risultano ancora più convincenti se confrontate con le proposte di ponderosi studi e piani di salvaguardia dei centri storici delle città di Napoli, Salerno, Benevento e Pozzuoli, condotti negli anni 1984-88 da gruppi di professionisti, ampiamente contrastati e dibattuti per le metodologie proposte; pertanto nessuno dei tre è finora entrato in fase di attuazione.

La Regione C. tende a promuovere una pianificazione volta a tutelare i beni ambientali; in tal senso va vista la proposta di Piano Regionale per la tutela paesistico-ambientale (1986), strategia regionale messa in atto solamente con l'approvazione del Piano territoriale della penisola Sorrentino-Amalfitana (L.R. 27 giugno 1987, n. 35).

Bibl.: G. Ceci, Bibliografia per la storia delle arti figurative nell'Italia meridionale, Napoli 1937, voll. i-ii; Bollettino Bibliografico per la storia del mezzogiorno d'Italia (1951-60), ivi 1961; (1961-70), ivi 1971; (1971-1980), ivi 1989; le riviste Napoli Nobilissima, dal 1961 a oggi; Restauro, dal 1972 a oggi; Bollettino per l'Archeologia industriale, dal 1980 a oggi. Inoltre: R. Pane, Capri, mura e volte, Napoli 1954; Id., Sorrento e la costa, ivi 1955; R. Pane, A. Venditti, G. Alisio, P. Di Monda, L. Santoro, Ville Vesuviane del Settecento, ivi 1957; A. Maiuri, Passeggiate campane, Firenze 19573; R. Pane, Città antiche ed edilizia nuova, Napoli 1959; Id., Campania. La casa e l'albero, ivi 1961; A. Venditti, Architettura bizantina nell'Italia meridionale, 2 voll., ivi 1967; R. Pane, Attualità dell'ambiente antico, ivi 1967; R. Pane, L. Cinalli, G. D'Angelo, R. Di Stefano, C. Forte, S. Casiello, G. Fiengo, L. Santoro, Il centro antico di Napoli, 3 voll., ivi 1970; R. De Fusco, R. Pane, A. Venditti, R. Di Stefano, F. Strazzullo, C. De Seta, Luigi Vanvitelli, ivi 1973; S. Casiello, Alta Irpinia. Ambiente e monumenti, ivi 1974; A. Filangieri, La Campania interna, Milano 1975; R. Di Stefano, A. Aveta, F. La Regina, Regioni: Beni culturali e territorio, in Restauro, 17 (1975), pp. 34-57; G. C. Alisio, Siti reali dei Borboni, Roma 1979; T. Colletta, Piazzeforti di Napoli e Sicilia. Le "carte Montemar", Napoli 1981; Campania (guida T.C.I.), Milano 1981; AA.VV., Cultura materiale, arte e territorio in Campania, Napoli 1981-82; R. Di Stefano, La certosa di S. Giacomo a Capri, ivi 1982; Ministero dei Beni culturali e ambientali, Sisma 1980. Effetti sul patrimonio artistico della Campania e Basilicata, in Bollettino d'arte, suppl. nn. 2-3, Roma 1982; Regione Campania. Università di Napoli, Campania oltre il terremoto, verso il recupero dei valori architettonici, Napoli 1982 (ricca bibliografia anteriore per aree territoriali); AA.VV., Mezzogiorno terremotato, in Campo, 4-5 (1982); AA. VV., Manifatture in Campania, Napoli 1983; A. L. Rossi, Il recupero del centro antico di Pozzuoli, in La Provincia di Napoli, 1-5 (1984); L. Santoro, Castelli angioino-aragonesi nel regno di Napoli, Cava dei Tirreni 1984; AA. VV., Benevento: l'arco e la città, Napoli 1985; M. A. De Cunzo, V. De Martini, La certosa di Padula, Firenze 1985; M. De Cunzo, V. De Martini, Avellino, Bari 1985; M. Rotili, Benevento romana e longobarda, Benevento 1986; R. Giamminelli, Il centro antico di Pozzuoli, Rione Terra e Borgo, Napoli 1987; Soprintendenza di Avellino e Salerno, La collegiata di San Michele a Solofra, Salerno 1988; U. Cardarelli, P. Romanello, A. Venditti, Ville vesuviane, progetto per un patrimonio settecentesco, Napoli 1988; T. Colletta, La salvaguardia integrata del territorio storico: dall'ambiente naturale all'opera d'arte. La proposta della Soprintendenza di Avellino e Salerno, in Storia della città, 43 (1988), pp. 115-25; AA. VV., Tra storia e urbanistica, in Atti del Convegno Nazionale sul recupero del centro storico di Salerno, Salerno 1988; R. Di Stefano, La carta delle città storiche e il piano di salvaguardia per Napoli, in Restauro, 98-100 (1988).

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