CANDEGGIO

Enciclopedia Italiana (1930)

CANDEGGIO (fr. blanchiment; sp. blanqueo; ted. Bleichen; ingl. bleaching)

Luigi Caberti

Sotto la denominazione candeggio (volgarmente: sbianca) si designa quel complesso di operazioni, cui vengono sottoposte le fibre tessili, di qualunque provenienza esse siano (vegetali, animali o artificiali) e sotto qualunque forma esse si presentino (fiocco, filato, tessuto), per eliminarne tutte le sostanze estranee, le quali nuocciono sia alla perfetta loro lavorazione successiva (tintura, stampa, appretto), sia al loro aspetto finale. Queste impurezze sono in generale costituite da sostanze grasse, resine, cere, sostanze coloranti, sostanze pectiche, frammenti legnosi o di semi, come nel caso del cotone o del lino, sabbia o simili, come nel caso delle lane gregge. In linea generale il processo di candeggio consiste di due operazioni fondamentali: la prima, digrezzatura o bollitura, trattamento con sostanze alcaline (alcali caustici, carbonati alcalini, silicati alcalini, saponi) destinato ad asportare i grassi, le cere, le resine, e in parte le sostanze coloranti e a facilitare la seconda operazione, che è il candeggio propriamente detto; cioè un trattamento con sostanze ossidanti (cloro, ozono, permanganato, perborati, ecc.) o riducenti (anidride solforosa), avente lo scopo di condurre la fibra ad un colore quanto più possibile vicino al bianco perfetto e di aumentarne la brillantezza e la lucentezza. Queste operazioni fondamentali sono completate da trattamenti diversi, cioè lavaggi con acqua, acidi diluiti, soluzioni di sapone, ecc. ecc.; il loro complesso subisce modificazioni più o meno profonde, a seconda della natura della fibra.

Candeggio del cotone. - Cotone greggio o in fiocco. - Per cotone greggio o in fiocco s'intende il cotone, quale esso giunge dai paesi d'origine. Sotto questa forma, fino a pochi anni or sono, esso ben raramente veniva candeggiato; in generale ci si limitava a sottoporlo a una bollitura con acqua addizionata d'una piccola quantità di carbonato sodico, ½ gr. per litro, e a lavarlo con acqua fredda, dopo di che, in generale, si procedeva alla tintura. Ora però, per la grande richiesta di cotone in fiocco candeggiato, che si verifica da parte delle industrie della nitrocellulosa, della seta artificiale e del materiale sanitario, si procede al candeggio di esso, servendosi in generale di cassoni di cemento, o di piombo indurito o di nichelina e qualche volta ancora di legno (fig. 1). In questi cassoni si dispone il cotone, comprimendolo leggermente, e coprendolo con un grosso coperchio di legno a buchi: attraverso la massa si fa circolare mediante una pompa centrifuga, prima dall'alto al basso, indi in senso inverso e così di seguito, una soluzione di soda caustica bollente, contenente 2-4 cc. di soda custica a 40° Bé per litro; l'operazione dura da 3 a 5 ore; indi si lava, sempre procedendo nello stesso modo, con acqua fredda, rinnovata almeno due volte; dopo il lavaggio, si procede al vero candeggio, facendo circolare una soluzione di ipoclorito sodico a ½-¾ Bé, a contatto della quale si lascia la massa per 4-5 ore. Si lava con acqua fredda, si acidula, facendo circolare una soluzione di acido cloridrico a ¼ Bé, si lava a fondo, si spreme e si asciuga. Se è necessario che il cotone non contenga più tracce di cloro, si ricorre ad un anticloro, e precisamente a una soluzione di bisolfito sodico (½ cc. di bisolfito sodico a 35° Bé per litro), che si fa circolare dopo il lavaggio successivo al candeggio; dopo il bisolfito, si lava, si acidula e si finisce. Se il cotone così candeggiato è destinato alla filatura, conviene, nell'asciugamento, osservare alcune precauzioni, per evitare che la fibra divenga ruvida e male si presti alle operazioni di filatura; si deve perciò asciugare piuttosto lentamente, a temperatura non troppo elevata, mediante circolazione d'aria molto attiva; in taluni casi, si aggiunge pochissimo sale comune all'ultima acqua di lavaggio, perché il cotone possa più facilmente assorbire una certa quantità di umidità e prestarsi così assai meglio alle operazioni cui deve esser sottoposto.

Sovente, come materia prima per la preparazione delle ovatte idrofile e talora anche della nitrocellulosa, si usano oggi i cosiddetti Linters (cascami della sgranatura del cotone) e i cascami delle filature, materiali questi assai sporchi e inquinati da quantità, spesso non indifferenti, di olî minerali usati nella filatura; in questo caso, conviene aggiungere alla soluzione di soda caustica adoperata per la bollitura, una certa quantità di tetrapol (sapone addizionato di tetracloruro di carbonio) o meglio ancora di tricloruro di etilene: si ottiene così una sgrassatura perfetta.

Cotone in filato. - I filati di cotone vengono candeggiati o sotto forma di matasse (metodo primordiale, ma ancor oggi usitatissimo) o di bobine (di ordito o di trama) o di rocche o infine di subbî di ordito (metodi questi modernissimi, i quali, pur non avendo ancor oggi raggiunto l'apice della perfezione, tendono ogni giorno più ad affermarsi, soprattutto per la notevole economia di mano d'opera).

Cotone in matasse.- Anticamente il candeggio di questi filati si operava mediante bollitura con latte di calce, lavaggio, trattamento con cloro, acidaggio, lavaggio, ecc. La bollitura si compiva in grandi tine di legno verticali, aperte o tutt'al più coperte con un pesante coperchio di legno, il quale permetteva di raggiungere una certa pressione nell'interno dell'apparecchio, durante il passaggio del vapore: in questo recipiente le matasse di filato si disponevano per strati il più regolarmente possibile e coprendo la massa con un latte di calce, ottenuto spappolando un chilo di buona calce viva, di recente preparazione, in 400 litri d'acqua: molto spesso alla calce si aggiungeva del carbonato sodico nella stessa proporzione; si dava il vapore e si lasciava bollire per 10-12 ore; dopo di che si scaricava la lisciva, si lavava con acqua fredda e si candeggiava. Molto sovente la bollitura con calce sola era seguita da un trattamento con acido cloridrico a ½ Bé, da un lavaggio e da una bollitura con carbonato sodico. Attualmente questo modo di operare è quasi dappertutto abbandonato e per la bollitura con alcali si usano in generale delle caldaie di ferro cilindriche verticali (raramente orizzontali), nelle quali è possibile ottenere una pressione di 1-1½ in taluni casi fino a 3 atmosfere (fig. 2). In esse s'introducono le matasse ad una ad una, oppure legate in catena, disponendole in strati regolari: si chiude la caldaia, si fa passare il vapore per circa un'ora, dopo di che s'introduce la soluzione di soda caustica e si fa bollire per 6-8-10 ore, secondo la pressione usata. Durante la bollitura la soluzione di soda vien continuamente fatta circolare attraverso la massa del cotone, mediante la pompa di cui è munita la caldaia. La quantità di soda caustica da usarsi varia, a seconda dei casi, dal 2½ al 4-4½% (2% del peso del cotone; in media si può dire che, per 1000 kg. di filato greggio si usano 200 litri di soda caustica a 19-20° Bé, diluiti in 1300-1400 litri d'acqua. Terminata la bollitura, si scarica la lisciva e s'introduce acqua fredda che si fa circolare con la pompa, rinnovandola fino a reazione neutra. Indi si estraggono le matasse che s'introducono in recipienti di legno o di cemento a forma cubica o cilindrica sormontanti una cisterna nella quale è contenuto il liquido decolorante, che può esser fatto circolare, mediante una pompa, da questa al recipiente soprastante, contenente il filato; disposte le matasse nella cassa superiore e copertele con un coperchio bucherellato, si pone in moto la pompa, facendo salire il liquido al livello superiore e facendolo colare sul cotone, attraverso i fori del coperchio, con che lo si viene a distribuire quanto più uniformemente possibile su tutta la massa; il liquido stesso, dopo aver attraversato il filato, viene raccolto sul fondo, donde passa nella cisterna, per esservi ripreso dalla pompa e riportato in alto; si fa circolare in questo modo da 3 a 6 ore, a seconda della qualità del cotone in opera e del bianco che si vuol ottenere. Indi si estrae il cotone e lo si porta in un altro recipiente analogo al primo, nel quale, con lo stesso procedimento, lo si lava e lo si sottopone all'azione dell'acido che deve terminare il processo di candeggio. La soluzione d'ipoclorito di calce usata, segna da ¾ a ½ Bé; l'acido solforico usato per l'acidaggio, segna da ½ a ¾ Bé. Dopo l'acidaggio, si lava a fondo e se il filato deve esser posto direttamente in commercio come bianco, vien di solito azzurrato, cioè trattato con una soluzione di un colorante blu appropriato o con una sospensione di blu oltremare in acqua, per togliere alla fibra, mediante l'azione complementare del colore blu, ogni riflesso giallognolo lasciato dal candeggio. Se invece esso è destinato a successive operazioni di tessitura o di tintura, lo si spreme e lo si asciuga. Conviene ricordare che, per filati di cotone finissimo, destinati alla tessitura di articoli extra e alla mercerizzazione, come pure alla fabbricazione di articoli fini di maglieria, prima della bollitura, si suole procedere alla gassatura, che consiste nel far passare il filo a gran velocità attraverso una fiamma a gas, per togliergli ogni peluria e conferirgli cosi il massimo grado di lucentezza.

Cotone su bobine, rocche e subbî. - Come si è detto, solo da pochi anni il filato di cotone viene candeggiato sotto queste forme; naturalmente per il trattamento di filati così preparati, occorrono apparecchi speciali, i quali debbono corrispondere a esigenze speciali: infatti, sia sulle bobine e sulle rocche, sia sui subbî, il filo è avvolto in forma così serrata e compressa, che, senza l'ausilio di particolari dispositivi, sarebbe impossibile farlo imbevere e penetrare uniformemente dai bagni di digrezzatura e di candeggio. Gli apparecchi o macchine ideate allo scopo si possono dividere in: 1. apparecchi cosiddetti ad infilare; 2. apparecchi ad impacco. I primi, basati sul principio di far circolare i bagni, attraverso i cilindretti di cartone o di metallo speciale costituenti l'anima delle bobine e attraverso il filato su di essi avvolto, innestando i cilindri stessi su un sistema di tubi, connessi con la pompa di circolazione, oggi sono caduti quasi del tutto in disuso per la difficoltà, finora non superata, di raggiungere economicamente forti produzioni; ad essi si sono venuti sostituendo a poco a poco, gli apparecchi detti ad impacco, nei quali le bobine e le rocche non sono più singolarmente innestate sui tubi di distribuzione, ma poste in recipienti inattaccabili agli alcali e agli acidi (metallo Monel, nichelina, ecc.) e sotto forma più o meno compatta, fatti attraversare dal liquido sotto pressione. La lavorazione completa col sistema ad impacco, comprende le operazioni seguenti: 1. digrezzatura in caldaie autoclavi orizzontali (fig. 3), o in apparecchi verticali (fig. 4) e successivo lavaggio; 2. candeggio (cloraggio e acidaggio) in tine del tutto analoghe a quelle usate per il cotone in fiocco (fig. 5); 3. lavaggio a fondo; 4. eliminazione dell'acqua, mediante il vuoto o a mezzo di centrifughe; 5. asciugamento. Alcuni costruttori hanno proposto disposizioni speciali, secondo le quali è possibile compiere successivamente tutte le diverse operazioni di candeggio suindicate, usando un unico apparecchio (fig. 6) il quale è costituito da una caldaia cilindrica verticale a chiusura ermetica, nella quale mediante una pompa si può fare il vuoto. Introdotto il materiale da trattare, stipato in recipienti metallici resistenti agli agenti chimici in uso (la caldaia stessa è allo stesso scopo rivestita internamente di piombo), si fa il vuoto, spingendolo più o meno secondo il bisogno e s'introducono successivamente i diversi bagni, intercalati dagli opportuni lavaggi, ecc.

Filati di cotone su subbî. - La lavorazione dei filati di cotone (in questo caso si tratta solo di ordito) su subbî costituisce il sistema più razionale oggi conosciuto per il candeggio di questo genere di filato e come tale esso va prendendo ogni giorno più piede nell'industria cotoniera. I cilindri metallici, con le relative flange terminali, ricoperti di filato costituenti, una volta ricoperti di ordito i cosiddetti subbî di tessitura, vengono introdotti in apparecchi orizzontali (fig. 7) e, raramente, verticali (anche questi a chiusura ermetica), nei quali, dopo l'introduzione del materiale da trattare, si fanno circolare i bagni o a mezzo di una pompa o col vuoto, forzandoli attraverso l'avvolgimento del filato, in modo del tutto analogo a quello descritto per le bobine e le rocche. La lavorazione procede esattamente nello stesso modo e ordine.

Cotone in pezze. - A seconda degli articoli cui essi sono destinati, i tessuti di cotone possono prima del candeggio esser sottoposti o no alle operazioni preliminari seguenti. 1. Se si tratta di tessuti destinati a lavorazioni fini, sia bianchi, sia tinti, sia stampati, la cui superficie dev'essere esente da pelurie, in modo da lasciar risaltare perfettamente la grana del tessuto e da permettere una rifinitura accurata e brillante, è indispensabile far loro subire l'azione del cosiddetto bruciapelo (fig. 8). Questa macchina consiste essenzialmente di una o più rampe di becchi a gas, tipo Bunsen, sulle cui fiamme il tessuto vien fatto passare una o più volte, a seconda del grado di perfezione che si vuol raggiungere, sul diritto e quasi sempre anche sul rovescio, con una velocità tale, che la fiamma possa bruciare tutti i peli, i piccoli fili o nodi sporgenti dal tessuto, senza per questo intaccare menomamente la resistenza del tessuto stesso e tanto meno provocare sia pure un principio di combustione; la velocità media alla quale è opportuno attenersi è di circa 4500-5000 metri all'ora; uscendo da questa macchina, i tessuti passano attraverso un getto d'acqua destinata a spegnere le fiammelle, che eventualmente potessero accompagnarlo, per la combustione di qualche filo o nodo più consistente, ciò fatto le pezze vengono ammucchiate e inviate alla caldaia. Per tessuti ordinarî o per quelli nei quali la presenza del pelo costituisce una peculiare caratteristica, da conferirsi con altro trattamento, il passaggio al bruciapelo è inutile e le pezze vengono direttamente inviate alla caldaia, dopo esser state segnate all'estremità con un inchiostro indelebile, per notare i numeri, i titoli, il metraggio e tutte quelle altre indicazioni che sono necessarie per le successive operazioni e cucite testa a testa mediante speciali macchine da cucire. 2. I tessuti, per i quali la presenza del pelo su una sola o su entrambe le facce è caratteristica indispensabile (flanelle, moleskin, fustagni, ecc.), vengono sottoposti all'operazione della garzatura, che si compie su macchine denominate precisamente garzatrici e costituite da una serie di cilindri ruotanti a grandissima velocità, tangenzialmente alla superficie del tessuto, che vien fatto scorrere a contatto di essi sotto una forte tensione; detti cilindri sono muniti di una guarnizione a punte di acciaio finissime, elastiche, che intaccando la superficie del tessuto, provocano la formazione di una peluria più o meno pronunciata, destinata a conferire al tessuto stesso la qualità peculiare che deve avere. A seconda del genere di articolo, della qualità del pelo che si deve ottenere, e della finezza da raggiungere, il tessuto passa su questa macchina da 2 a 10-12-14 volte. Dalla garzatrice il tessuto va poi direttamente alla caldaia, dopo la marcatura e la cucitura.

In moltissimi casi i tessuti greggi si sottopongono alla mercerizzazione (v.), oggi di grande importanza e d'applicazione universale.

In tutte queste e nelle operazioni successive, il tessuto vien lavorato in corda cioè non disteso, ma bensì raccolto a guisa di corda; ciò si ottiene facendolo passare, dopo la marcatura e la cucitura, in un anello di porcellana fissato in un quadro di legno. Tutti i passaggi che dopo questo vengono eseguiti da una macchina all'altra, si effettuano attraverso anelli di questo genere, dimodoché la forma di corda viene conservata fino all'asciugamento.

Tralasciando il candeggio al prato (di cui si fa cenno più avanti a proposito del lino e che oggi è in uso solo per certi articoli, specie di uso domestico) si deve ricordare che fino a circa un secolo fa il candeggio dei tessuti di cotone si basava sul trattamento con la calce, il quale, se pure forniva un ottimo bianco, era eccessivamente lungo e complicato: il metodo allora usato (che in America si conosceva sotto il nome di Dana, industriale del Massachusetts, il quale per il primo introdusse il trattamento con soda dopo la bollitura con calce), consisteva di ben 12 operazioni:

1. fermentazione (questa fase consisteva nell'imbevere il tessuto con acqua calda, ammucchiarlo e lasciarlo a sé per 24-48 ore; si stabiliva così una specie di fermentazione, la quale solubilizzava in gran parte le sostanze amidacee usate nell'apparecchiatura della catena, facilitando così la successiva bollitura);

2. bollitura con calce;

3. prima bollitura con soda caustica;

4. seconda bollitura con soda caustica;

5. cloraggio;

6. acidaggio: lavaggio;

7. terza bollitura con soda caustica;

8. cloraggio;

9. quarta bollitura con soda caustica;

10. cloraggio;

11. acidaggio;

12. lavaggio finale.

Alberto Scheurer, il grande industriale alsaziano cui si devono molti progressi nell'industria del cotone, ridusse il numero delle operazioni necessarie a 8; e per molti anni il processo alla calce, così semplificato, fu usato come fondamento dell'industria della tintura e della stampa dei tessuti di cotone. L'incremento considerevole, preso verso la metà dello scorso secolo da queste due industrie, la necessità di ridurre al minimo i prezzi di costo e di portare al più alto livello possibile la celerità e la semplicità delle lavorazioni, condussero ben presto all'adozione del procedimento di candeggio o meglio di bollitura, basato sull'uso della sola soda caustica, con o senza pressione. Con questo sistema la bollitura si riduce ad una sola operazione, della durata di 8-12 ore, se eseguita in caldaia aperta, di 2 a 10 ore al massimo (a seconda della qualità del cotone e del grado di candeggio che si vuol raggiungere) se si opera in caldaie a pressione; quest'ultimo sistema è quello ormai universalmente adottato in tutti gl'impianti industriali, anche di mediocre o piccola importanza. Il primo tentativo di servirsi di recipienti a pressione sembra che sia stato fatto in Inghilterra nel 1838 a Waddington. In linea generale l'apparecchio, nel quale l'operazione si compie, consiste di una grande caldaia verticale di capacità variabile, con coperchio a chiusura ermetica, che permette di ottenere pressioni variabili da ½ a 3 atmosfere; sempre in linea generale, alla caldaia vien di solito unito un apparecchio di riscaldamento, destinato a portare la soluzione di soda caustica alla temperatura di ebollizione, prima d'immetterla nella caldaia, e di una pompa di circolazione (fig. 2). Molto spesso, anzi di regola, negl'impianti importanti, le caldaie di bollitura sono riunite due a due e servite da un unico riscaldatore e da una sola pompa; è così possibile rendere quasi continuo il processo; mentre infatti in una delle due caldaie avviene la bollitura di una partita, l'altra viene scaricata e riempita; un semplice giuoco di robinetti e di valvole permette d'inviare la soluzione di soda caustica nell'una o nell'altra delle caldaie. Questo insieme di apparecchi è oggi costruito da tutte le case specialiste con varianti più o meno importanti.

Molte sono state e sono tuttora le aggiunte preconizzate al bagno di bollitura, destinate sia a facilitare l'operazione, favorendo l'eliminazione delle impurezze contenute nel tessuto, sia a preservare questo dall'azione della soda caustica, la quale, in presenza di piccole quantità d'aria e alla temperatura cui si opera, forma della ossicellulosa, la cui presenza si manifesta con macchie che si formano e si rendono visibili durante le operazioni di stampa e di tintura e con una diminuzione della resistenza della fibra stessa. Di queste aggiunte si ricordano qui alcune, perché effettivamente efficaci e tuttora in uso in molti stabilimenti; così, ad esempio, Scheurer consigliava l'aggiunta d'olio di resina (ottenuto nella distillazione secca della colofonia) e di bisolfito (per 15 kg. soda caustica, 1 kg. olio e 5 litri bisolfito a 35° Bé); Koechlin l'aggiunta di bisolfito e piccole quantità d'ipoclorito di calce (0,800 gr. per 15 kg. soda caustica); Bruckbaeck l'aggiunta di bisolfito e cloruro stannoso; Geisenheimer bisolfito e silicato sodico (2 litri di silicato per 15 di soda caustica); Mathieu l'aggiunta di benzene: (un litro per 20 di soda caustica); Thies, l'aggiunta di bisolfito (5 litri) e di tetracloruro di carbonio (1 litro per 15 kg. di soda caustica). Altri tecnici poi, come Hertel, consigliavano addirittura una modificazione del processo, consistente nell'imbevere il tessuto d'una soluzione d'olio per rosso turco (una specie di sapone ottenuto trattando l'olio di ricino con acido solforico concentrato, lavando e saturando con soda caustica o ammoniaca), lasciare a sé per 6-8 ore, indi bollire con soda caustica; Saget impregnava egualmente con una soluzione d'olio per rosso turco all'8%, asciugava, sottoponeva all'azione del vapore alla pressione di 2½ atm. per 1 ora e ½, indi bolliva in soda caustica. In generale oggi l'aggiunta che più comunemente si fa è quella d'una certa quantità di bisolfito sodico, destinata a prevenire la formazione di ossicellulosa e di tetracloruro di carbonio, o d'un composto analogo per facilitare l'eliminazione delle macchie d'olio, specialmente di quelle provenienti dai lubrificanti minerali usati nelle tessiture; macchie che resistono tenacemente alla semplice azione della soda caustica e del sapone. Dopo la bollitura, si scarica la lisciva e in generale s'immette dell'acqua fredda nella caldaia fino a ricoprire la massa, allo scopo di raffreddarla e di dare un primo lavaggio; indi si estrae il tessuto e lo si fa passare in una macchina detta clapot (fig. 9; manca il termine corrispondente in lingua italiana), nella quale il tessuto viene, dall'azione di un cilindro munito di costole longitudinali, sbattuto energicamente e tenuto sotto l'azione di un getto d'acqua fredda in modo che all'uscita il tessuto è lavato e pronto, dopo essere stato spremuto, ad essere imbevuto della soluzione decolorante, che di massima è ipoclorito di calce o di soda a quella gradazione che si giudica opportuno impiegare, secondo i risultati da ottenere. Il tessuto impregnato d'ipoclorito viene ammucchiato in grandi cassoni di legno (fig. 5), nei quali lo si lascia alcune ore, per dare il tempo alla soluzione decolorante di esplicare tutta la sua azione. Da questi cassoni il tessuto, sempre sotto forma di corda, viene estratto e sottoposto nuovamente ad un lavaggio al clapot; di qui in un altro clapot, nel quale invece che acqua viene usata una soluzione di acido solforico a ½-¾ Bé; scopo di questa operazione è quello di decomporre ogni traccia d'ipoclorito residua nel tessuto e di completare l'azione decolorante, con la messa in libertà del cloro proveniente dall'ipoclorito, che l'acido decompone. Dopo l'acidaggio, il tessuto viene nuovamente lavato a fondo, in modo da togliere fino alle ultime tracce d'acido, spremuto una prima volta sotto la forma di corda che ha sin qui avuto, passato attraverso un apparecchio assai semplice, che ha lo scopo di disfare la corda e di restituire il tessuto alla sua forma distesa, passato attraverso cilindri compressori, che eliminano completamente l'acqua ancora trattenuta dalla fibra, e asciugato (fig. 10).

Questo, nelle sue linee generali, è il sistema di candeggio dei tessuti di cotone che è oggi universalmente usato; si deve però ricordare che modificazioni sostanziali, sia dal punto di vista chimico, sia da quello meccanico furono successivamente escogitate ed applicate; così ad esempio H. Koechlin propose (e parecchie applicazioni se ne fecero anche in Inghilterra) d'imbevere il tessuto d'una soluzione di soda caustica, spremerlo e sottoporlo all'azione del vapor d'acqua completamente esente d'aria, sostituendo con questa operazione la bollitura in caldaia; l'idea del Koechlin, ripresa e modificata, costituì la base del processo Mather-Thompson, nel quale il tessuto, trattato con soda caustica e sottoposto all'azione del vapore per 5 ore, vien lavato, trattato con ipoclorito, poi, invece che con acido solforico, con acido carbonico: il metodo non ebbe però grande diffusione. Il Lunge, professore nel politecnico di Zurigo, propose l'uso dell'acido acetico per la decomposizione dell'ipoclorito: con l'uso di questo acido organico si venivano ad eliminare tutti i pericoli, che, per la resistenza della fibra, presenta l'uso degli acidi inorganici (cloridrico o solforico) e poiché l'idea fondamentale di questo sistema è la rigenerazione dell'acido acetico stesso, durante la sua azione sulla fibra, il prezzo elevato non costituiva un ostacolo; anche questo procedimento però non trovò grande diffusione, come non hanno incontrato grande favore, per il cotone, le applicazioni dei perossidi, dell'acqua ossigenata, ecc., più volte preconizzati per il candeggio di questa fibra. L'idea della impregnazione del tessuto con soda caustica e successivo trattamento col vapore, è stata ripresa sul principio del secolo da non pochi tecnici, tra i quali citiamo in prima linea Giovanni Tagliani e l'ingegnere Rigamonti, Jackson e Hunt, E. Ringenbach; e da alcune case costruttrici, ad es. la Zittauer Maschinenfabrik e E. Welter di Mulhouse, come parte essenziale di diversi processi di candeggio dei tessuti di cotone al largo, processi dei quali diamo un breve cenno. Come si è visto nel procedimento su descritto; il tessuto di cotone vien trattato fino alla fine sotto forma di "corda". Il metodo, se comodo e pratico sotto molti rapporti, non è però esente da inconvenienti, specialmente quando si tratti di tessuti pesanti e molto battuti; è infatti facile a comprendersi che, in questi casi, le pieghe che con questa disposizione vengono a formarsi lungo tutto il tessuto e quelle che si formano nei ripiegamenti della corda su sé stessa nella caldaia e rei recipienti di cloraggio e di acidaggio, possono impedire un'azione uniforme degli agenti chimici posti in opera; donde macchie, differenze di colore nella tintura e nella stampa, barrature, ecc., e in taluni casi anche la permanenza delle pieghe stesse, refrattarie ad ogni ulteriore operazione di stiratura e simili, col risultato finale di un aspetto non commerciabile, se non addirittura difettoso del tessuto. Era quindi naturale che nascesse assai presto l'idea di candeggiare i tessuti di cotone, non più sotto forma di corda, ma in largo, cioè nella forma che essi hanno quando lasciano il telaio, in maniera cioè, che l'azione dei diversi agenti potesse esser perfettamente uniforme e, per così dire, equivalente su tutti i punti della superficie e si evitassero tutte quelle pieghe che si lamentano nel procedimento usuale. L'idea, a prima vista assai semplice, presentò invece nell'applicazione difficoltà considerevoli, in parte superate, in parte evitate con espedienti ingegnosi, differenti nei diversi sistemi proposti dai succitati autori: fondamento però del processo è sempre l'impregnazione del tessuto con soda caustica e trattamento di esso con vapore sotto pressione, come operazione-base ed essenziale. Di questi processi furono fatti parecchi impianti, senza che però nemmeno essi siano entrati nella pratica dell'industria cotoniera, né in Italia né all'estero.

Candeggio del lino. - Per quanto riguarda il candeggio, la fibra del lino differisce alquanto da quella del cotone, per il fatto che essa contiene una assai maggior quantità d'impurezze e queste in parte assai differenti. Infatti, mentre il cotone contiene un totale d'impurezze ammontante al massimo al 5%, il lino ne contiene (secondo Herzog, Hoffmeister, Merritt) dal 15% al 30%. Mentre le impurezze del cotone consistono principalmente di grasso, cera, sostanze albuminoidi, e una piccola quantità di pectine e di sostanze minerali, il lino contiene, oltre quantità variabili dei prodotti su menzionati, anche una percentuale assai forte di sostanze appartenenti al gruppo della pectina e suoi derivati, sostanze le quali incrostano e cementano tra loro le fibre della cellulosa; il lino contiene inoltre percentuali abbastanza elevate di adipocellulosa e di cutocellulosa (insieme circa il 5-6%), sostanze, queste, notevoli per la loro scarsissima solubilità e che, insieme col gruppo dei derivati pectici, costituiscono un grande ostacolo ad una facile e spedita lavorazione di candeggio. Proprio per questo, pur essendo sostanzialmente simile a quello del cotone, il candeggio del lino è di gran lunga più difficile e delicato e richiede un numero assai maggiore di operazioni e un tempo molto più lungo.

Di fronte a queste difficoltà costituite dalla natura chimica delle sostanze incrostanti, che per la loro insolubilità e per la forte quantità esistente nella fibra, indurrebbero a un trattamento assai più energico che per il cotone, sta la costituzione cellulare del lino la quale obbliga invece a trattamenti assai più blandi e leggieri, sotto pena di danneggiare seriamente le qualità della fibra e soprattutto la sua lucentezza serica e il tocco particolare di essa, che ne costituiscono il pregio massimo. Il candeggio quindi del lino, pur basandosi esso pure su un trattamento con sostanze alcaline e con decoloranti, deve procedere in modo diverso ed essere integrato da un trattamento tutto particolare, un tempo assai in uso anche per il cotone, cioè l'esposizione al prato, operazione che mentre aiuta potentemente ad ottenere un bel bianco, per effetto dell'azione dell'ozono atmosferico, concorre a salvaguardare le caratteristiche commerciali della fibra.

Questa operazione si compie bagnando i tessuti e stendendoli, sia realmente sull'erba di un prato, sia su corde o cavalletti di legno, e lasciandoli esposti all'azione della luce solare e dell'aria; ogni volta che si constata che l'acqua di cui erano imbevuti è evaporata, si ha cura di bagnarli nuovamente, lasciandoli nuovamente asciugare; e così via di seguito, per tutto il tempo necessario; dopo di che si ritirano e si sottopongono alle altre operazioni.

Come è noto, i migliori lini che si trovano in commercio sono quelli d'Irlanda e delle Fiandre. Orbene, secondo il Hummel, il metodo seguito in Irlanda per il candeggio del lino è, in generale, il seguente: 1. bollitura di 12-14 ore con latte di calce (1 kg. calce per 1500 kg. tessuto); 2. lavaggio di 40 minuti; 3. passaggio in acido cloridrico a 1,6° Bé circa per 2-6 ore; 4. lavaggio di 40 minuti; 5. bollitura di 6-8 ore con soda caustica (30 kg. di soda e 30 kg. d'olio di resina, sempre per 1500 di tessuto); 6. seconda bollitura con 15 kg. di soda caustica per 5-6 ore; 7. lavaggio di 40 minuti; 8. esposizione al prato per 3-8 giorni a seconda della stagione; 9. trattamento con ipoclorito di calce a 0,6-0,7 Bé per circa 4-6 ore; 10. lavaggio di 40 minuti; 11. trattamento con acido solforico a 0,7 Bé per circa 3 ore; 12. lavaggio di 40 minuti; 13. terza bollitura con 8-10 kg. soda caustica per 4-5 ore; 14. lavaggio di 40 minuti; 15. esposizione al prato per 3-5 giorni; 16. trattamento con ipoclorito di calce a 0,2 Bé per circa 5 ore; 17. lavaggio di 40 minuti.

A questo punto si fa una revisione del tessuto trattato; le pezze, il cui bianco è sufficiente, vengono lavate ancora una volta, poi asciugate; quelle il cui bianco non è ancora perfetto, vengono sottoposte a: 18. trattamento con una soluzione concentrata di sapone; 9. esposizione al prato per 3-4 giorni; 20. trattamento con ipoclorito di calce a ¼ Bé per circa 5 ore; 21. lavaggio di 40 minuti; 22. trattamento con acido solforico a 0,7 Bé; 23. lavaggio a fondo.

Variazioni a questo metodo generale sono quelle suggerite da Cross e Parkes (impregnazione con una soluzione di soda caustica, sapone, silicato sodico e olio minerale, con consecutivo trattamento in vapore alla pressione di 2 atm.); da Jardin (uso dell'acido nitrico invece del solforico per l'acidaggio, dopo il passaggio in cloro); da Keukelaere (trattamento preventivo con solfito sodico per alcune ore e successivo con acido solforico); ma nessuna di esse ha potuto sostituire il processo misto su descritto, che rimane il solo che possa fornire un buon bianco e insieme conservare le preziose peculiari caratteristiche di questa fibra. Anche l'uso del permanganato potassico e dei perossidi, proposti da R. Schmidt e da altri, non ha potuto prender piede nella pratica.

Candeggio della canapa. - La canapa vien raramente candeggiata: data la sua composizione, assai più affine a quella del lino che a quella del cotone, il metodo da seguire, quando sia necessario averla bianca, è piuttosto quello indicato per il lino che quello per il cotone. Bisogna cioè sottoporla a ripetuti ma deboli trattamenti, per non alterare troppo la resistenza della fibra. Per un mezzo bianco, specie per filati, il metodo migliore è il seguente: bollire per ½ ora in caldaia aperta, con una soluzione contenente 10 kg. di silicato sodico a 83° Bé in 500 litri d'acqua; poi bollire in altra caldaia, per ½ ora con acqua semplice; lavare a fondo: ripetere questo trattamento fino a che il colore bruno originario è scomparso e sostituito da un colore giallo chiaro. A questo punto immergere la canapa in una tina di legno e coprirla con una soluzione contenente 10 kg. d'ipoclorito di calce in 1500 litri di acqua e lasciarvela per 24 ore; spremerla e passarla in acido cloridrico a 0,1%. Poi si lava fino a scomparsa di ogni odore di cloro; se necessario, si tratta a questo scopo con una soluzione di iposolfito sodico a ½-1%; indi si lava e si asciuga. Volendo un vero bianco si ricorre al procedimento suggerito da Kapff e Stirm; cioè trattamento a freddo con soluzione acida debole, lasciando a sé per alcune ore; lavare, bollire con sapone e con carbonato sodico (il silicato è da escludersi, perché fornisce un bianco più giallastro e sembra lasciare la fibra più ruvida; la soda caustica è pure da escludere, perché attacca molto facilmente la fibra); lavare, trattare con cloro, lavare, acidare, lavare a fondo e asciugare: ripetere il trattamento completo, usando soluzioni più deboli; alla fine azzurrare con blu oltremare. Si ha così un bianco abbastanza brillante e puro.

Candeggio della iuta. - Raramente questa fibra viene candeggiata; in generale ci si limita ad un mezzo candeggio; d'altra parte un vero bianco sarebbe assai difficile ottenerlo, senza alterare profondamente la resistenza della fibra. Il trattamento ordinariamente seguito per un mezzo-bianco è il seguente. Bollire con una soluzione debole di carbonato sodico o meglio di sapone, spremere, imrodurre in un cassone contenente una soluzione d'ipoclorito sodico a 5-5½ Bé, manovrare la fibra per imbeverla bene, poi riscaldare fino a 40°, mantenere questa temperatura per circa un'ora, facendo in modo che la fibra non sia mai scoperta e quindi mai a contatto con l'aria; estrarre, spremere bene e lavare; indi acidare per ½ ora con acido solforico a 2,7 Bé, lavare a fondo e asciugare. Volendo un bianco migliore ripetere l'operazione. Altri procedimenti di candeggio della iuta, sono basati sull'uso dell'anidride solforosa (come per la lana), del perossido d'idrogeno, del permanganato e infine del cloro gassoso.

Candeggio della ramié. - In considerazione della sua grande resistenza e del suo aspetto brillante e sericeo, questa fibra è abbastanza spesso sottoposta al candeggio. Si procede in questo modo: bollire in caldaia senza pressione col 0,3% (del peso della fibra) di carbonato sodico; lavare; trattare con ipoclorito sodico a 0,7 Bé; lavare; acidare con acido solforico a 0,7 Bé; lavare a fondo e asciugare. Per salvaguardare il più possibile la lucentezza della fibra, si ricorre al permanganato o al permanganato associato al perossido d'idrogeno. In questo caso s'imbeve la fibra con una soluzione di permanganato potassixo all'1%, addizionata di acido solforico, per saturare la potassa caustica, che si mette in libertà durante la reazione; in questo bagno si lascia la fibra per 1-2 ore, indi si lava rapidamente e senza ritardo, la s'immerge in un bagno di bisolfito sodico, il quale scioglie l'ossido di manganese bruno depositato sulla fibra; se occorre, il trattamento vien ripetuto.

Candeggio della seta artificiale. - Come è noto, la seta artificiale, questa fibra la cui produzione costituisce oggi una tra le più grandi industrie mondiali, si ottiene con diversi procedimenti che possono sostanzialmente ridursi ai quattro seguenti: 1. la seta artificiale proveniente dalla nitrocellulosa (seta Chardonnet), oggi di gran lunga la meno importante di tutte; 2. la seta ottenuta con l'ossido di rame ammoniacale; 3. la seta ottenuta dalla viscosa (xantato di cellulosa); 4. la seta all'acetato di cellulosa. Materia prima o, per meglio dire, primordiale, è sempre la cellulosa. Il candeggio è quindi del tutto analogo a quello del cotone; ma, poiché la cellulosa è sempre sottoposta ad un candeggio più o meno completo prima di esser convertita in seta artificiale, così quest'ultima fibra è in generale di per sé stessa molto pura e di un color paglierino chiaro. Ad ogni modo, i prodotti chimici utilizzati sono gli stessi che per il cotone, cioè da un lato gli alcali e i saponi per il trattamento preliminare, inteso ad eliminare le impurezze derivanti dalla trasformazione stessa della cellulosa in seta artificiale; gl'ipocloriti, i persali, il perossido d'idrogeno come agenti di candeggio. È opportuno ricordare che, siccome la seta artificiale, qualunque sia la sua provenienza, perde moltissimo della sua resistenza allo stato umido, così è da raccomandarsi sempre e in ogni operazione la massima attenzione e la più grande delicatezza nel maneggio della fibra umida. Il trattamento corrispondente in certo qual modo alla bollitura o digrezzatura, si esegue, in generale, sottoponendo la seta ad un bagno, qualche volta di carbonato sodico, il più sovente di sapone di Marsiglia o di sapone Monopol (5-10 gr. per litro) alla temperatura di 600 per circa ½ ora; si lava e introduce in un bagno d'ipoclorito sodico a circa 1,2° Bé, nel quale la si mantiene per una mezz'ora. L'ipoclorito sodico è di gran lunga preferibile a quello di calce, sebbene meno economico, perché intacca assai meno la fibra e fornisce un bianco che non ha tendenza ad ingiallire, inconvenienti che invece si presentano con l'ipoclorito di calce. Al bagno di cloro si fa seguire un lavaggio e un trattamento con acido solforico e con acido cloridrico a 0,5 Bé e alla temperatura di 40°, indi si lava a fondo, si passa in anticloro (iposolfito sodico al 3%), si lava di nuovo a fondo e, se del caso, si asciuga; altrimenti si manda direttamente alla tintura. Se la fibra è destinata a rimaner bianca, nell'ultimo lavaggio si procede al cosiddetto azzurraggio, che si fa con violetto alcalino, con blu Vittoria o con violetto metile.

Delle quattro fibre artificiali su menzionate, la più facile a sbiancare è la seta ottenuta con l'ossido di rame ammoniacale; la più difficile, quella derivata dalla nitrocellulosa. Per quest'ultima, conviene, prima del trattamento con ipoclorito, dare un passaggio in acido cloridrico a 1° Bé per circa ½ ora alla temperatura di circa 40°. Invece degl'ipocloriti, si possono usare i persali e il perossido d'idrogeno, i quali dànno un ottimo bianco, senza la benché minima tendenza ad ingiallire e lasciano un ottimo tocco alla fibra; unico ostacolo l'alto costo. Buoni risultati sotto ogni punto di vista fornisce l'aggiunta di sapone al bagno d'ipoclorito sodico. Si deve sorvegliare molto attentamente il lavaggio dopo i bagni di ipoclorito e dopo quelli di acido, per evitare la formazione di ossicellulosa e quella d'idrocellulosa, che si verificherebbe ove rimanessero tracce di queste sostanze durante l'asciugamento, con conseguenze assai gravi per la resistenza della fibra e per le successive operazioni di tintura e di stampa.

Candeggio della lana. - Di tutte le fibre tessili conosciute, la lana è quella che, allo stato greggio, contiene la più grande quantità d'impurezze: a seconda della provenienza e della razza degli ovini che la forniscono, la lana greggia contiene dal 30 fino al 60% di sostanze inquinanti: questa enorme percentuale è costituita in parte da sostanze grasse, dall'8% al 32% del peso della lana, in parte da sali potassici diversi, dall'11 al 22%, in parte da polvere, sabbia, dal 2 al 7%, residui vegetali, ecc. La natura di queste sostanze e la loro notevole quantità, messa in rapporto coi quantitativi di lana greggia annualmente posta sul mercato e lavorata, rendono ragione del perché la digrezzatura della lana costituisca un'industria a sé stante, in quanto che, non solo essa provvede a fornire l'industria tessile laniera dell'indispensabile materia prima, ma pone sul mercato quantità notevolissime di sostanze grasse, che hanno svariatissime applicazioni (dalla fabbricazione di grassi destinati alla lavorazione dei cuoi, a quella di sostanze lubrificanti e di materie prime per usi farmaceutici) e di sali potassici. Se si tiene conto della produzione mondiale della lana, che nel 1921 si aggirò su 1.330.000 tonnellate, e della proporzione di sostanze estranee in essa contenute, è facile valutare la grande importanza che la digrezzatura della lana presenta di per sé stessa.

Il cosiddetto grasso di lana (yolk) è costituito in parte da vari acidi grassi, in parte da alcoli superiori (colesterina e isocolesterina) e loro eteri, provenienti dalla secrezione delle glandole sebacee, e in piccola parte da saponi di calce formati dagli acidi grassi liberi, con la calce della polvere. Il miscuglio di sali, il cui insieme va sotto il nome inglese di suint, è costituito da sali potassici degli acidi organici seguenti: acetico, oleico, stearico, con piccole quantità di cloruro, solfato e fosfato, e proviene dalla secrezione delle glandole sudorifere, la quale, evaporando all'aria, lascia sul pelo la totalità dei sali minerali che contiene. Il suint è facilmente solubile in acqua calda e quindi asportabile mediante lavaggio con questo solvente, dal quale è assai facile ricuperare la totalità della potassa, filtrando ed evaporando la soluzione fino a siccità e calcinando: si ha così un residuo di carbonato potassico, che si purifica o si trasforma in altri sali a seconda dei casi. Il grasso di lana, invece, per esser costituito in gran parte da colesterina, isocolesterina e loro eteri, non solo è insolubile in acqua, ma anche assai difficilmente saponificabile; per contro la presenza di questi alcoli superiori e loro eteri, gli conferisce la preziosa proprietà di dare con grande facilità, con soluzioni debolmente alcaline, emulsioni assai stabili, che ne permettono la completa eliminazione dalla fibra. Teoricamente quindi la digrezzatura della lana deve o dovrebbe avere due fasi: la prima, eliminazione del suint: la seconda, eliminazione del grasso di lana. Praticamente, in alcuni stabilimenti e specialmente in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, le due operazioni si compiono contemporaneamente con vantaggio di tempo e di spesa, ma con risultati non perfetti e con un ricupero più difficile dei due sottoprodotti così interessanti, cioè sali potassici e sostanze grasse, in quanto che la loro separazione dalle acque di sgrassatura nelle quali si trovano mescolate, è tutt'altro che facile. In Europa invece la lavorazione si compie in generale in due tempi, come si è accennato.

a) Eliminazione del "suint". - Si ottiene lavando la lana semplicemente con acqua, alla temperatura di 60°; l'operazione si compie in una macchina costituita da una serie di casse, nelle quali vien posta la fibra e attraverso le quali si fa circolare l'acqua calda, in modo che essa attraversi successivamente tutti i recipienti: quando la lana contenuta nel primo è sufficientemente pulita, si fa entrare l'acqua pura nel secondo cassone, si scarica il primo e lo si riempie di lana greggia e l'acqua già carica di impurità che esce dall'ultimo cassone, si fa, mediante un giuoco di pompe, ripassare nel primo; quando il contenuto del secondo cassone è pulito, s'invia l'acqua che esce dall'ultimo nel terzo cassone, si scarica il secondo riempiendolo di lana greggia e si fa entrare l'acqua pura in questo secondo cassone e così di seguito, in modo che l'acqua si carica mano mano delle sostanze che deve asportare e all'uscita dalla macchina viene inviata in vasche di deposito o a filtri, attraverso i quali si libera delle sostanze insolubili che tiene in sospensione, viene rinviata alle caldaie di concentrazione, e così via.

b) Eliminazione del grasso di lana. - Per questo si deve, come si è accennato, ricorrere a soluzioni di sapone sodico o potassico, addizionate d'una certa quantità di carbonato sodico, o potassico, o ammonico; raramente si usano soluzioni di sapone solo o di carbonati alcalini soli; la pratica ha dimostrato che il miglior effetto si ottiene con l'uso contemporaneo d'un sapone e d'un alcali debole. La temperatura dei bagni non deve superare i 60°, sotto pena d'indebolite la resistenza della fibra e diminuirne la lucentezza: l'operazione si compie in generale in macchine a compartimenti e in questo caso conviene tener la temperatura di 55° nel primo, di 50° nel secondo, di 45° nel terzo e di 40° nel quarto compartimento; il massimo di 60° si raggiunge solo quando si debbano lavorare lane eccessivamente sporche e soprattutto ricche di cere, come sono le lane dell'America Meridionale. Dopo la purga o digrezzatura, si procede ad un lavaggio energico con acqua, prima calda e poi fredda; indi si procede al candeggio propriamente detto. Oltre il metodo generale su indicato, e applicato nella quasi totalità degli stabilimemi che esercitano la purga della lana, fu preconizzato anche l'uso di solventi volatili, come nafta, benzina, benzolo e ultimamente tetracloruro di carbonio e simili, che hanno sui primi il grandissimo vantaggio di eliminare ogni pericolo d'incendio o d'esplosione; con questi trattamenti la lana conserva tutta la sua resistenza e la sua brillantezza ed è possibile un ricupero migliore dei grassi in essa contenuti; a quanto pare però, nessuno di questi metodi sembra aver preso piede nella pratica, salvo in alcune regioni degli Stati Uniti, dove esistono alcuni stabilimenti che applicano esclusivamente l'estrazione con solventi volatili. Altro metodo pure ideato e preconizzato in America e colà coperto con brevetti, è l'uso di terre e sostanze assorbenti (farina fossile, kiesel guhr, gesso, ecc.) che mescolate intimamente con la massa della lana, portata a temperatura di 10-12 gradi superiore a quella di fusione del grasso di lana, ne permette il completo assorbimento da parte della polvere frammista alla fibra che resta libera.

c) Candeggio. - Il candeggio della lana è, contrariamente a quello delle fibre vegetali in genere, basato, salvo casi speciali, su una riduzione della sostanza colorante contenuta nella fibra. Come mezzo di riduzione si usa universalmente l'anidride solforosa, o sotto la forma di gas, ottenuto bruciando lo zolfo in appositi fornelli, o sotto forma di soluzione acquosa di anidride solforosa, o sotto quella di bisolfito sodico. Se si usa il gas, la fibra, sia essa sotto forma di fiocchi, di filato o di tessuto, è introdotta in camere di muratura o di legno e convenientemente disposta, affinché la corrente del gas possa circolare facilmente attraverso la massa; se usata sotto forma di soluzione del gas stesso in acqua o di composto sodico, vien lavorata entro macchine a dispositivi diversi, a seconda dello stato in cui è la fibra. La quantità di zolfo da bruciare, come la concentrazione delle soluzioni da usare, variano a seconda dei casi e della qualità del bianco che si vuol ottenere. Si deve però osservare che qualunque sia il procedimento usato e quali che siano le cure con le quali esso è applicato, non è possibile ottenere un bianco veramente puro, anche su lane della miglior qualità: ciò sembra dovuto al fatto che la sostanza o le sostanze che per riduzione si ottengono da quella che colora la lana non ancora sbiancata, sono esse stesse leggermente colorate in giallo pallido: se quindi si vuole avere un vero bianco, si deve ricorrere all'azzurraggio con una sostanza colorante violetta e anche con questo mezzo, la lana più fina conserverà sempre una tinta avorio pallido caratteristica. È da ricordare che qualche volta si ricorre invece che all'azione dell'anidride solforosa, a quella dei perossidi di sodio o di bario, o dei perborati, o infine del permanganato potassico; nessuno però di questi metodi è applicato su larga scala e l'uso ne è riservato a casi tutti speciali. A quanto pare il bianco ottenuto con questi mezzi avrebbe una minor tendenza ad ingiallire, tendenza che in generale si osserva in tutti gli articoli anche fini di lana, specialmente se sottoposti all'azione del vapore o a lavaggi a temperatura elevata.

Candeggio della seta. - Delle fibre tessili naturali, la seta è quella che contiene il minor numero d'impurezze, se non la minor quantità. Essa è infatti costituita nella sua quasi totalità, meno tracce di grassi e di cere e piccolissime quantità di sostanze coloranti diverse, da due filamenti tenuissimi di fibroina, sostanza albuminoide secreta dalle glandole del baco da seta, avviluppati da una guaina di sericina, altra sostanza albuminoide affine alla gelatina, secreta, secondo alcuni, dalle stesse glandole che secernono la fibroina; formatasi, secondo altri, a spese di quest'ultima, al contatto dell'aria. La sericina, che rappresenta dal 20% al 30% del peso della seta, costituirebbe la sola vera impurezza, se tale si può chiamare, visto che in molti casi essa vien conservata e utilizzata in parte o quasi totalmente, come si vedrà più avanti per le sete dette crude o gregge e per quelle dette addolcite (souples).

La fibroina e la sericina, mentre dal punto di vista della composizione chimica, sono due sostanze quasi uguali, differiscono assai tra loro come comportamento: infatti, se la sericina è molto facilmente solubile in acqua calda e ancor più in soluzioni deboli di sapone o di alcali, la fibroina non lo è affatto, o per lo meno è del tutto insolubile in acqua, e si scioglie in alcali, solo se concentrati e caldi. Su questa differenza di comportamento è basata la digrezzatura o depurazione della seta: il trattamento infatti, corrispondente alla bollitura del cotone o della lana e che in questo caso prende il nome generico di sgommatura, è basato sull'azione più o meno ripetuta di semplici bagni di sapone: esiste anzi un processo, nel quale l'azione di sgommatura è compiuta molto bene, con risultati in taluni casi superiori, dalla sola schiuma del bagno di sapone bollente. A seconda della durata del trattamento e della quantità di sericina che viene asportata, le sete si possono distinguere in sete gregge; sete addolcite; sete cotte.

Sete gregge. - Sono quelle che, trattate con bagni debolissimi di sapone e per poco tempo, perdono una piccola percentuale di sericina, dal 3 al 5% al massimo: ciò è però sufficiente a conferire loro la morbidezza necessaria per le successive lavorazioni, filatura, tessitura, ecc. Se la seta cruda non deve esser candeggiata, tutto il processo si riduce ad una lavatura con acqua calda, seguita da un trattamento con un bagno di sapone alla temperatura di 28-30° per 1-1½ ora e un lavaggio finale.

Sete addolcite. - Per queste il trattamento di sgommatura è più energico e consiste in un lavaggio con acqua calda, seguito da immersione in un bagno di sapone contenente il 10% del peso della seta, di sapone di olio d'oliva o di sego perfettamente neutro addizionato qualche volta di piccolissime quantità d'un carbonato alcalino: l'immersione in questo bagno dura circa 2 ore alla temperatura di circa 30-35°: si estrae, si spreme e, occorrendo, si candeggia. La seta perde così circa il 12-15% della sericina.

Sete cotte. - Per sete cotte s'intendono quelle, per le quali la sgommatura (che in questo caso prende il nome di cottura) è spinta fino al punto che tutta la sericina è eliminata; la perdita in peso che esse subiscono è quindi di circa il 22-30%. Praticamente si procede così: la seta lavata, con acqua bollente, vien trattata in un bagno di sapone, contenente il 20% del suo peso di sapone, sciolto in una quantità d'acqua corrispondente a circa 100-110 volte il peso della fibra: la temperatura del bagno vien portata all'ebollizione e la seta vi è manovrata per 2-3 ore; dopo di che si estrae, si spreme e s'introduce in un nuovo bagno di sapone allestito come sopra, ma con la metà del sapone su indicata, ove viene tenuta, sempre alla temperatura dell'ebollizione, per altre 2-3 ore: si estrae, si spreme e si lava a fondo in modo da eliminare tutto il sapone. In alcuni casi ai bagni di sapone si aggiunge una piccola quantità di carbonato sodico, circa il ½% del peso del sapone. Se la seta è molto ricca di sericina, come ad esempio la seta cinese, si dà un terzo saponaggio, usando una quantità di sapone all'incirca la terza parte della prima e sempre per 2-3 ore di ebollizione.

Come sopra si è accennato, una variante al procedimento di sgommatura su descritto, che ha incontrato il favore dei setaioli e trovato frequenti applicazioni, è quella che si serve della sola schiuma di sapone per eliminare nelle volute proporzioni la sericina, che avvolge la fibroina. Su questo sistema v. la relazione ampia e favorevole di Colombo e Baroni, in Revue générale des matières colorantes, 1911, p. 342 segg., e in Zeitschrift für angew. Chemie, 1912, p. 1944 segg. Altri metodi furono proposti e brevettati, come quello del Hurst, della B. A. S. F., di Stirm, di Bayer. ecc., ma in generale il procedimento su descritto è quello che ancor oggi serve nella grande maggioranza dei casi. Come si è visto per le sete addolcite e per le sete cotte, la perdita di peso che si ha nella sgommatura e nella cottura è considerevole, e poiché la seta è venduta a peso, si è cercato di restituire a questa il suo peso originario o almeno di diminuire la perdita. Si ricorre per questo al seguente artificio: s'immerge la seta addolcita o cotta in un bagno di gelatina di pesce extra, incolora, a 20 gr. per litro e alla temperatura di 38-40°: vi si lascia per un'ora circa, la si estrae la si spreme e la si asciuga a bassa temperatura; indi la s'introduce in un bagno di formaldeide, contenente 20 cc. di aldeide al 40% per ogni litro e ve la si mantiene per circa un'ora; si spreme e si asciuga. Si ottiene così un notevole aumento di peso, senza nessun nocumento per la lucentezza, l'elasticità, la resistenza della fibra e senza nessuna diminuzione delle sue qualità rispetto alle operazioni successive di tintura.

Candeggio propriamente detto. - Per quanto si riferisce al candeggio propriamente detto, si devono distinguere le sete a seconda del colore che esse hanno in greggio; e cioè sete gregge bianche e sete gregge gialle. Per sete bianche, s'intendono le sete che hanno un color giallo-grigiastro chiaro; per sete gialle, quelle che sono invece intensamente colorate in giallo più o meno vivo. Le prime, dopo la sgommatura, vengono trattate in un bagno tiepido leggermente alcalino per carbonato sodico, indi immerse in un bagno quasi bollente di cremor tartaro, a 5 gr. per litro, ove si lasciano più o meno a lungo a seconda del colore che esse hanno; indi s'introducono nelle camere di solforazione, dove rimangono alcune ore sotto l'azione di vapori di anidride solforosa, ottenuta, come per la lana, o bruciando dello zolfo in appositi fornelli o servendosi di anidride liquida contenuta in bombole d'acciaio. Quando si giudica che l'azione sbiancante è sufficiente, si estrae la seta, la si lava in acqua contenente tracce di carbonato sodico, indi in acqua pura e si spreme; dopo di che, se destinata ad esser posta in commercio per bianco, viene azzurrata con carminio d'indaco o con un violetto acido; se destinata alla tintura o alla stampa, viene, a seconda dei casi, inviata direttamente alle barche o asciugata. Per le sete gialle, il trattamento allo zolfo non essendo sufficiente, si procede come segue: dopo la sgommatura e il lavaggio seguente, s'introduce la seta in un bagno costituito da 1 parte di acqua regia su 15 d'acqua (l'acqua regia è un miscuglio di 3 parti d'acido cloridrico a 21° Bé con 1 parte di acido nitrico a 38° Bé); in questo bagno freddo, si tiene immersa, manovrandola dolcemente per circa 15 minuti; dopo di che si estrae, si lava e si sottopone all'azione dei vapori di anidride solforosa, come si è detto sopra, si lava, ecc. Abbastanza spesso le sete bianche vengono candeggiate con l'acqua ossigenata; in questo caso dopo averle sottoposte alla sgommatura nel modo descritto, s'immergono in un bagno composto di 100 litri d'acqua ossigenata a 10 volumi, 400 litri d'acqua, 2 kg. di soda caustica, a 30° Bé o, meglio, 5 litri d'ammoniaca del commercio; e vi si lasciano per 12 ore a freddo; indi si riscalda a 50° e si lasciano a questa temperatura per 4-5 ore, dopo di che si estraggono, si lavano procedendo per tutto il resto come sopra. Se si tratta di sete gialle si ripete il trattamento finché si ottiene il bianco voluto.

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