CANNOCCHIALE

Enciclopedia Italiana (1930)

CANNOCCHIALE (da canna e occhiale; fr. lunette, télescope; sp. anteojo o telescopio; ted. Fernrohr o Teleskop; ingl. spyglass o telescope)

Gino GIOTTI
Giovanni CICCONETTI

È uno strumento ottico da usarsi per l'osservazione di oggetti a grande distanza, i quali, in conseguenza della loro lontananza, all'osservazione a occhio nudo apparirebbero sotto un angolo troppo piccolo, per poterne discernere i particolari. Più particolarmente un tale strumento si chiama cannocchiale, e più precisamente rifrattore quando il suo sistema che guarda all'oggetto (sistema obiettivo) è costituito da lenti; e ciò per creare una distinzione con gli strumenti il cui obiettivo è costituito da un sistema di specchi, a cui è riservato l'appellativo di riflettori o telescopî.

Il sistema obiettivo dei cannocchiali è sempre convergente; il sistema oculare (che è dalla parte dell'osservatore) può essere convergente o divergente. Si hanno così due tipi cui si possono riccndurre tutte le specie di cannocchiali più o meno complessi che si sono venuti creando per gli usi astronomici, fisici, geodetici, topografici, militari, e anche di divertimento. Al primo appartiene il cannocchiale astronomico, al secondo il galileiano: essi si possono descrivere e comprendere fra quei particolari strumenti ottici noti come sistemi telescopici, il cui comportamento è sufficientemente spiegato nella teoria geometrica di Gauss sui sistemi centrati.

Cenni storici. - Prima che fosse scoperta la legge della rifrazione della luce, a opera dello Snellius, ma enunciata sotto forma precisa da Descartes nel 1637, legge che doveva aprire la via allo studio teorico dei sistemi ottici, sembra si conoscessero fino dal sec. XIII alcune combinazioni di lenti convesse e concave, in uso per la correzione dei difetti di vista. Dalle lettere e dalle opere di Giovan Battista Della Porta, appare come fosse a sua conoscenza, se non in suo possesso, un sistema di lenti; precisamente "occhiali che possino raffigurare un uomo alcune miglia lontano". Ma non sappiamo se egli abbia mostrato a taluno questo suo segreto, e se ne siano esistiti modelli. È certo da un documento del 1608, che il primo il quale cercò di patentare un cannocchiale fu Hans Lippershey, occhialaio di Middelburg in Olanda, per quanto la tradizione assegni la proprietà dell'invenzione a Zacharias Janssen, pure occhialaio di Middelburg, il quale poi lo avrebbe costruito nel 1604 "dietro uno italiano sul quale era scritto 1590".

Un cannocchiale fabbricato in Olanda venne portato in Italia nel 1609; e ne giunse notizia a Galileo Galilei, allora a Padova, il quale riuscì a costruire dei modelli migliori di quelli stranieri. Comunque al Galilei spetta il merito incontrastabile di avere intuito nel nuovo strumento un potente mezzo per l'indagine dei misteri del cielo. Al cannocchiale di Galileo venne consacrato dall'Accademia dei Lincei il nome di telescopio. Alla notizia delle applicazioni fatte da Galileo segue il movimento scientifico diretto a creare la teoria, che spiegasse il funzionamento dei sistemi di lenti, e nel 1611 Keplero pubblicò la Diottrica, nella quale figura appunto un tal tentativo, nonché l'indicazione del sistema ottico di due lenti convesse al quale venne dato il nome di cannocchiale astronomico. Sembra che questo venisse costruito dapprima dal gesuita padre Scheiner (1613), per quanto dichiarazioni di altri gesuiti c'inducano a credere che il napoletano Francesco Fontana (1580-1656) ne avesse già costruiti fino dal 1608. La maggiore facilità di costruzione e di studio, la possibilità di applicazione alle misure di precisione, e quella di raggiungere maggiori ingrandimenti e maggior campo, fecero prevalere l'uso del cannocchiale astronomico sul galileiano per le osservazioni celesti.

Sviluppando un altro progetto di Keplero venne quindi costruito il cannocchiale terrestre di tre lenti convesse: comunque, la priorità della costruzione di questo è alquanto incerta; ad essa sono certo associati anche i nomi del cappuccino De Rheita e del padre Scheiner, nonché di Giuseppe Campani romano; a quest'ultimo è dovuta l'introduzione del sistema d'inversione costituito da due lenti convesse in condizione telescopica, il quale servì a migliorare il campo dei cannocchiali terrestri dall'iridescenza delle immagini. Il desiderio di aumentare l'ingrandimento del cannocchiale, e l'altro anche più sentito di correggere dalle aberrazioni le parti ottiche, determinarono i tentativi di perfezionamento compiuti con una elevata conoscenza delle teorie ottiche da Cristiano Huygens, mentre in Italia distinti costruttori gareggiavano nell'ottenere le migliori lenti; ricordiamo tra questi, oltre il nominato Campani, Eustachio Divini a Roma (fig. 1) e l'astronomo Geminiano Montanari a Padova, al quale si deve anzi l'idea del primo cannocchiale distanziometro. L'autorità del Newton, dal quale proveniva l'erronea credenza dell'impossibilità di costruire obiettivi acromatici composti di lenti di diversi mezzi trasparenti, e i dettami di Huygens per ovviare agli effettì dell'aberrazione cromatica e sferica, condussero alla costruzione di cannocchiali veramente enormi. Ricorderemo per esempio un'obiettivo costruito dai fratelli Huygens di duecento dieci piedi (69 metri) di distanza focale: e un cannocchiale costruito da Hevelius in Danzica di 150 piedi (49 m.) (fig. 2). Altri pure di notevole lunghezza fino a 44 metri) vennero usati dall'astronomo Gian Domenico Cassini, cui erano stati costruiti dal Campani.

Contemporaneamente allo sviluppo del cannocchiale a lenti (rifrattore) sorgeva il riflettore, o cannocchiale a specchio, al quale in definitiva è rimasto esclusivo il nome di telescopio. In breve il suo impiego, specialmente nelle osservazioni astronomiche, prevalse su quello del rifrattore. Ma nel 1758 John Dollond, celebre ottico inglese, riusciva a costruire il primo cannocchiale con lente obiettiva acromatica, dopo che Eulero aveva intravisto l'errore di Newton e che Klingenstjerna a Upsala ne aveva sperimentalmente dimostrata l'essenza. È l'inizio dello sviluppo moderno per la storia del cannocchiale. Mano mano che procedevano gli studî e gli sperimenti per ottenere vetri omogenei di diversa riírazione e dispersione, i rifrattori, più maneggevoli nelle osservazioni e di più facile manutenzione, venivano riprendendo la fama perduta. I maggiori progressi nella costruzione degli obiettivi si ebbero con il migliorare della produzione vetraria, iniziato dallo svizzero Pierre-Louis Guinand che troviamo in Germania a Benediktbeuern (1805), dove, per la collaborazione di Guinand, di Fraunhofer, e del suo successore Merz, sorse quell'industria che ancora è una tra le migliori industrie tedesche.

Oggi in Europa si hanno tre famose vetrerie; la francese Parra e Mantois a Parigi, la cui origine risale a poco dopo la morte di P. L. Guinand (1824), la tedesca Schott und Gen a Jena, e la inglese Chance Brothers a Birmingham, dalle quali sono usciti e provengono i vetri ottici per la costruzione dei più noti cannocchiali astronomici. In Italia sembra gettato il seme destinato a emanciparci dall'estero anche in questo campo. Il più grande rifrattore, esistente attualmente in Italia, è quello dell'osservatorio di Brera in Milano, con obiettivo Merz di 487 mm. di diametro, e di cm. 695 di distanza focale. Il più grande esistente ora nel mondo è quello dell'osservatorio di Yerkes (U. S. A.) con obiettivo del diametro di 1016 mm. e 1800 cm. di distanza focale.

I cannocchiali come sistemi telescopici. - Seguendo i criterî di Gauss (v. ottici, strumenti), si limita lo studio dei sistemi alla considerazione dei raggi parassiali e centrali, cioè attraversanti il sistema in prossimità dell'asse e con piccola inclinazione. Risultano allora fissati i caratteri e le proprietà cardinali del sistema. Dopo di che rimangono però da studiare gli scostamenti delle traiettorie vere da quelle di Gauss, scostamenti che costituiscono le aberrazioni della trasformazione ottica; il che conduce poi alla ricerca dei mezzi per ridurre al minimo queste aberrazioni, onde la formazione delle immagini nel sistema ottico considerato si avvicini, per quanto è possibile e in relazione agli scopi ai quali il sistema deve servire, a quella considerata dalla teoria gaussiana.

Un sistema telescopico si può sempre scomporre in due parti distinte, rappresentate nel caso nostro dall'obiettivo e dall'oculare, situati in modo che il fuoco immagine dell'obiettivo coincida col fuoco oggetto del sistema oculare. Nella fig. 3 è rappresentato un sistema telescopico a oculare convergente, cioè lo schema del cannocchiale astronomico; nella fig. 4 è invece disegnato lo schema di un sistema telescopico a oculare divergente, al quale si riduce il cannocchiale olandese o galileiano.

Nei due casi un punto luminoso P situato sull'asse, davanti all'obbiettivo e infinitamente lontano, manda sul sistema un cilindro di raggi paralleli all'asse. Dall'oculare del sistema telescopico i raggi emergono formando ancora un cilindro, come se provenissero cioè da un punto P dell'asse infinitamente lontano: l'immagine cioè della sorgente luminosa P. I due cilindri non hanno in generale la stessa sezione, e precisamente, indicando con y, y′ i raggi del cilindro incidente ed emergente, si ha:

dove f1, f2 indicano le distanze focali per i due sistemi obiettivo ed oculare. Ora se oltre il punto P sull'asse si considera un altro punto Q infinitamente lontano, e la cui posizione rispetto a P sia definita angolarmente, anche Q invia sull'obiettivo un fascio di raggi i quali emergono dall'oculare fra loro paralleli, come se provenissero cioè da un punto infinitamente lontano Q, immagine di Q. La distanza angolare α′ tra Q e P è diversa da quella α tra P e Q, ma il rapporto di α′ e α è costante. Esso chiamasi l'ingrandimento angolare del sistema telescopico, o semplicemente del cannocchiale, ed è espresso dalla relazione:

la quale, tradotta in parole, esprime che, se un oggetto infinitamente lontano è veduto da un punto del sistema, per es. dal centro dell'obiettivo sotto l'angolo α, l'immagine situata anch'essa a distanza infinita sarà veduta attiaverso il cannocchiale sotto un angolo α′ = α Iα. E siccome per la (1) e la (2) è

si può dire che l'ingrandimento del cannocchiale è misurato dal rapporto del diametro di un fascio cilindrico di raggi incidente parallelamente all'asse, a quello del cilindro degli stessi raggi emergenti dall'oculare, ossia dal rapporto del diametro utile dell'obiettivo a quello della sua immagine fornita dall'oculare, detta "anello oculare", e che per il cannocchiale astronomico è reale ed esterno al cannocchiale, mentre per il galileiano è virtuale ed interno.

Cannocchiale astronomico. - Nella forma più elementare si ha la spiegazione del funzionamento delle due parti di un cannocchiale astronomico con le considerazioni seguenti (cfr. fig. 5). Ammesse realizzate dall'obiettivo L1 e dall'oculare L2 le condizioni telescopiche (perché sono quelle di migliore utilizzazione per la vista normale) e supposto che la distanza focale dell'obiettivo sia maggiore di quella dell'oculare. è evidente che, di un oggetto situato in prossimità dell'asse ottico, a una distanza grande rispetto alla focale dell'obiettivo, questo fornisce, prossimamente nel suo piano focale, un'immagine reale e rovesciata che l'osservatore guarda mediante l'oculare in funzione di microscopio semplice, per cui l'oggetto appare all'osservatore sotto un angolo α′ maggiore dell'angolo α sotto il quale vedrebbe l'oggetto senza il cannocchiale. Il modo migliore di collocare la pupilla dell'occhio è di centrarla sull'anello oculare, perché tutti i raggi che attraversano la parte utile dell'obiettivo emergono dall'oculare passando appunto attraverso l'anello; si sfrutta così tutto il campo che può semplicemente definirsi come l'angolo γ d'apertura del cono entro il quale, a occhio nudo, è veduta dal centro dell'obiettivo la regione dello spazio che si vede entro il cannocchiale. Nell'interno di un cannocchiale astronomico esiste generalmente almeno un diaframma (apertura circolare in un setto opaco) col centro sull'asse, il quale delimita il campo e le cui dimensioni e posizione servono a definirlo numericamente. La posizione del diaframma di campo dipende dal tipo di oculare impiegato ma esso è sempre situato in modo che l'osservatore veda netta l'immagine del bordo insieme con l'immagine dell'oggetto. Nei cannocchiali astronomici il campo varia pressoché in ragione inversa dell'ingrandimento Iα secondo la formula γ = K/Iα, dove K è una costante compresa fra 30° e 60° a seconda dell'uso cui è diretto il cannocchiale, dello stato di correzione dell'obiettivo e del tipo di oculare impiegato.

A fine di correggere le aberrazioni, gli obiettivi dei cannocchiali sono composti di almeno due lenti, e lo stesso accade per gli oculari che sono di due tipi: a) di Ramsden, positivi, da cui vennero derivati anche i cosiddetti ortoscopici di Kellner e di Abbe; b) di Huygens o negativi. Il primo tipo, a parità di campo, permette di raggiungere un più forte ingrandimento; il secondo invece, a parità d'ingrandimento, realizza un campo maggiore. Quelli del primo tipo sono impiegati in tutti i cannocchiali collimatori.

La formula (2) può far sembrare che, diminuendo la distanza focale degli oculari, si possa aumentare l'ingrandimento del cannocchiale quanto si vuole; ma a parte il fatto che con l'aumentare dell'ingrandimento, ingrandisce anche l'effetto, sulla formazione dell'immagine, delle anomalie di rifrazione di origine atmosferica lungo le traiettorie dall'oggetto al cannocchiale, la teoria dimostra e la pratica conferma che esiste un valore ottimo dell'ingrandimemo; quello per il quale il diametro a della pupilla d'uscita (anello oculare nel caso nostro) è uguale a quello p della pupilla dell'osservatore, perché in queste condizioni si sfruttano tutto il potere risolutivo del cannocchiale, la massima luminosità delle immagini di sorgenti luminose puntiformi e la chiarezza massima dell'immagine di oggetti estesi e illuminati.

D'altra parte il valore del diametro p della pupilla dell'occhio non è costante; cresce quando si osservano oggetti poco luminosi, diminuisce nel caso contrario; nelle osservazioni terrestri, dove la quantità di luce è variabile, si può prendere il valore medio di p = 2 mm. Nelle osservazioni astronomiche, nelle quali generalmente si usufruisce di poca luce, si può assumere per p il massimo valore fra 5 e 7 mm.

Cannocchiale galileiano o olandese. - Schematicamente il cannocchiale galileiano si riduce a un sistema convergente (obiettivo) e a un sistema divergente (oculare) centrati sullo stesso asse (fig. 6). Le condizioni di migliore utilizzazione per osservare oggetti lontani anche per questo sono le condizioni telescopiche. La formazione dell'immagine reale di un oggetto lontano, nel piano focale dell'obiettivo non ha luogo, perché sul cammino dei raggi resi convergenti da questo, si trova l'oculare che li raccoglie e li fa divergere, determinando così un'immagine virtuale diritta, posta davanti al sistema, e che viene osservata raccogliendo nell'occhio solo parte del fascio dei raggi emergenti dall'oculare. Siccome non è possibile collocare l'occhio sull'anello oculare, che è interno, nel cannocchiale galileiano non si possono sfruttare per la visione tutti i raggi che l'attraversano: donde la necessità di tenere l'occhio il più vicino possibile all'oculare per raccogliere la maggior quantità di luce a vantaggio della chiarezza delle immagini. Anche il campo, che si definisce come per il cannocchiale astronomico, è variabile con la posizione dell'occhio, e dipende anche dal movimento di rotazione di questo e non è uniforme. Un valore medio del campo γm risulta dalla formula

dove D è il diametro dell'obiettivo, l la è l'ingrandimento del cannocchiale, d la distanza della pupilla dell'occhio dall'oculare e l la lunghezza del cannocchiale. Si osservi che, a parità d'ingrandimento e di apertura dell'obiettivo, il cannocchiale galileiano è più corto dell'astronomico; infatti, mentre per questo la lunghezza è prossimamente uguale alla somma delle distanze focali, nel galileiano essa è uguale alla differenza dei valori assoluti di dette distanze. Si noti anche che nel cannocchiale galileiano non è possibile applicare un reticolo di collimazione per misure micrometriche, appunto perché il piano focale dell'obiettivo è esterno al cannocchiale.

Cannocchiale terrestre. - Il cannocchiale astronomico mostra le immagini capovolte. Il problema di far diventare il cannocchiale, da astronomico, terrestre, raddrizzandone le immagini, venne risoluto in molte maniere: la più semplice e antica è quella indicata da Keplero, e consiste nel porre una lente convergente oltre il piano focale dell'obiettivo, sì che possa fornire, dell'immagine rovesciata dell'oggetto, una immagine reale che risulta diritta, e che viene osservata al solito modo con un oculare. Fra i sistemi d'inversione più antichi ed utili è da annoverare quello trovato dall'ottico Campani. Sul cammino dei raggi uscenti dall'obiettivo, e precisamente sul suo asse, si centra un sistema di due lenti convergenti di uguale distanza focale formando un sistema telescopico qual'è rappresentato dalla fig. 7: il fascio che lo attraversa ne esce invertito per simmetria rispetto all'asse e, come nel cannocchiale astronomico, l'immagine definitiva simile all'oggetto e similmente disposta, viene osservata con uno dei soliti oculari.

Citeremo anche il sistema conosciuto sotto il nome di oculare terrestre di Fraunhofer, composto di un sistema di raddrizzamento di due lenti piano-convesse, anteposte a un'oculare di Huygens, il cui funzionamento è chiaramente indicato nella fig. 8.

Oggi il sistema d'inversione è stato, con vantaggio, sostituito da sistemi di prismi, di cui il più noto è quello ideato dal Porro, costituito essenzialmente da due prismi isosceli rettangolari, le cui facce catete agiscono da facce riflettenti, e i cui spigoli riflettenti sono perpendicolari fra loro come è indicato nella fig. 9, la quale mostra come avvenga l'inversione di un fascio incidente. Il sistema del Porro, largamente impiegato nei binocoli prismatici, ha il vantaggio di permettere l'impiego di lunghe distanze focali con lunghezze ridotte del cannocchiale.

Applicazioni del cannocchiale a varî strumenti. - Ai sistemi schematicamente descritti si possono ricondurre tutti i tipi di cannocchiali a lenti, impiegati nei varî strumenti. Il cannocchiale è la parte principale degli strumenti astronomici, e in conseguenza del tipo di montatura meccanica viene spesso indicato col nome di quella. Così lo troviamo nominato brevemente come equatoriale, meridiano o cerchio meridiano, strumento dei passaggi, telescopio zenitale, altazimut. Ritroviamo il cannocchiale astronomico in gran parte degli strumenti geodetici e topografici, ove occorre realizzare una precisa linea di mira. Citeremo così lo strumento universale, il teodolite, il tacheometro, la bussola topografica, la diottra, la livella. I sistemi obiettivi e oculari di questi sono spesso dotati di speciali dispositivi, per il raggiungimento di determinati fini; e di ciò si ha esempio nel cannocchiale distanziometro e nel cannocchiale anallattico, dei quali sarà trattato più avanti. Il cannocchiale si trova applicato in moltissimi strumenti di fisica, tra cui citiamo il catetometro, e gli spettroscopî. Infine è usato anche in moltissimi strumenti militari, come i goniometri, i telemetri, il cannocchiale da assedio, il panoramico e il periscopio.

Il panoramico (rappresentato nello schema della fig. 10) merita un cenno particolare. Un prisma obiettivo a riflessione totale R può ruotare intorno ad un asse verticale in modo da poter esplorare l'orizzonte. Sul cammino dei raggi, un prisma P di Amici inverte rispetto alla sua base il fascio che vi giunge dal prisma obiettivo. Il prisma di Amici ruota insieme col prisma obiettivo ma con velocità angolare uguale alla metà, il che, per una proprietà del prisma, determina la fissità del fascio emergente che viene raccolto da un obiettivo Ob. Un prisma a tetto T devia a 90° il fascio proveniente dall'obiettivo: nel piano focale di questo sistema si forma allora una immagine diritta e similmente disposta degli oggetti guardati dal prisma obiettivo, la quale viene osservata da un oculare ortoscopico Oc.

Il cannocchiale panoramico trova speciale applicazione nei congegni di mira per artiglierie. Per altri strumenti ottici, per es., il binocolo, v. ottici, strumenti.

Cannocchiale distanziometro. - Se nel reticolo di un cannocchiale astronomico (generalmente applicato a un goniometro topografico) si aggiungono ai due fili in croce (fig. 11), uno verticale e uno orizzontale, altri due fili orizzontali a e b simmetrici rispetto al primo, si ottiene un cannocchiale atto alla misura indiretta delle distanze (distanziometro) facendo uso di un'asta centimetrata M (mira o stadia) da porsi verticalmente sul punto del terreno di cui si vuole la distanza orizzontale dal centro (asse verticale) dello strumento al quale il cannocchiale appartiene.

Si volga il cannocchiale verso la mira M e si supponga dapprima l'asse di collimazione del cannocchiale stesso orizzontale. Dette la e lb (fig. 12) le letture della stadia in corrispondenza dei due fili a e b (la figura rappresenta la sezione verticale del cannocchiale secondo l'asse), sarà lb la = H l'intervallo letto sulla mira e allora se si indica con h la distanza fissa tra i fili a e b si ha subito la relazione

nella quale D′ e d sono rispettivamente le distanze della mira e del reticolo dal centro ottico O dell'obiettivo L. Per eliminare dalla (1) l'elemento d che varia con la distanza cercaia D′, sl ricorda che il segmento H di mira e h sono coniugati rispetto alla lente L, epperò fra le loro distanze D′ e d da O ha luogo la relazione fondamentale delle lenti sottili

dove f è la distanza focale dell'obiettivo. Se fra le (1) e (2) si elimina d si ricava

In generale si cerca non la distanza D′ della mira dall'obiettivo, ma quella D della medesima dal centro G dello strumento (asse verticale); e allora detta c la distanza OG, fissa per un dato strumento, si avrà

Ponendo C = c + f e denotando con K l'altra costante f/h, si ottiene

Il costruttore, data la distanza focale f dell'obiettivo, stabilisce h in modo che f/h, cioè K (costante distanziometrica), risulti un numero la cui moltiplicazione per H possa farsi con la maggiore semplicità, onde si scelgono per K i valori 100 (più comune), 50, 200, ecc. Invece di due soli fili a e b possono disporsi nel reticolo diverse coppie di fili a ognuna delle quali corrisponde un diverso valore per la costante K. Compatibilmente con la distanza, giova adoperare la costante più piccola, perché l'errore commesso nella estimazione di H venga moltiplicato per un numero più piccolo.

Fin dal 1674 il modenese Geminiano Montanari, in una sua pubblicazione su La livella diottrica, aveva esposto un suo metodo di misura ottica delle distanze, consistente nel disporre nel reticolo una serie di 6 fili fissi orizzontali equidistanti e nell'osservare quanti di questi intervalli (h) erano abbracciati dalla immagine di un oggetto di altezza nota H. Ma errava nel calcolare D′ con la (1), perché riteneva d costante. L'ottico inglese William Green nel 1778 adoperò un cannocchiale con due soli fili orizzontali nel reticolo, in corrispondenza dei quali leggeva l'intervallo H di una mira, ma commetteva lo stesso errore calcolando la D′ con d costante. Fu verso il 1809 che Giorgio von Reichenbach, costruttore di strumenti di precisione a Monaco di Baviera, adoperò il cannocchiale distanziometro con la giusta formula (3), la quale quindi va anche sotto il nome di teorema di Reichenbach.

Volendo determinare sperimentalmente le costanti strumentali C e K, si osserva che C si ottiene direttamente misurando con un doppio decimetro la distanza c e aggiungendole la distanza focale f, cioè la distanza fra l'obiettivo e il reticolo dopo aver accomodato il cannocchiale per la visione di un oggetto molto lontano (condizione telescopica). Allora, ponendo la mira a una distanza nota D, si ricava dalla (4′)

L'operazione si ripete per diverse distanze note D e si assume per K il valor medio di quelli ottenuti.

Se la visuale media del cannocchiale non è orizzontale bensì inclinata all'orizzonte di un angolo α, si dimostra che la distanza orizzontale della mira (sempre disposta verticalmente) dal centro dello strumento è data dalla formula

Il calcolo della (5) dovendosi ripetere per molti punti battuti, come accade in un rilievo topografico esteso, dà luogo a un lavoro lungo, sebbene possano utilmente usarsi tavole numeriche o grafiche che rendono il calcolo più spedito. Le cose si semplificherebbero se la (4′) e la (5) potessero rendersi monomie annullando con un artificio costruttivo la costante C. La (3) mostra che la distanza della mira dal primo fuoco F (fuoco anteriore) dell'obiettivo è proprio KH, cioè proporzionale ad H, il che significa che l'angolo sotto cui da F è visto l'intervallo H è fisso, qualunque sia la distanza della mira. Per questa proprietà il 1° fuoco F dicesi punto anallattico.

Cannocchiale anallattico. - Ignazio Porro verso il 1850 pensò di accoppiare all'obiettivo semplice L un'altra lente convergente L1 (anallattica) con una distanza focale f1 e a una distanza fissa Δ da L, tali che le due lenti L, L1 costituiscano un obiettivo composto, il cui primo foco cada proprio nel centro G dello strumento, che diventa quindi punto anallattico. Si ha allora il cannocchiale centralmente anallattico o semplicemente anallattico di Porro, nel quale il percorso dei raggi corrispondenti alle visuali dei due fili segue come nella fig. 13, ove il cannocchiale, rappresentato in sezione verticale secondo l'asse, è supposto orizzontale.

Quando il cannocchiale si allunga o si accorcia per adattarsi alle varie distanze della mira, i due fili a e b si spostano parallelamente secondo r1a e s1b e quindi questi due raggi rimangono fissi. I raggi che dalla lente anallattica L vengono trasformati in r1a e s1b sono rr1 e ss1, passanti per F1 fuoco anteriore di L1, epperò anche questi due raggi rimangono invariabili. Se ora la lente anallattica L1 è posta in modo che il suo primo fuoco F1, risulti coniugato del centro G dello strumento rispetto all'obiettivo L, i raggì che, dopo la rifrazione attraverso L, divengono rr1 e ss1 sono lar G e lbs G, che restano dunque anch'essi invariabili e determinano in G primo fuoco del sistema LL1, un angolo costante. Ciò dimostra che la distanza D della mira da G è proporzionale ad H e sarà quindi espressa da

dove la costante K, con semplici considerazioni geometriche, si trova essere data da

D'altra parte per la (3) la costante K è anche espressa dalla distanza focale dell'obiettivo composto LL1 divisa per la distanza dei fili h, e perché si sa essere

Dato il cannocchiale primitivo, cioè f, il costruttore per costruire un cannocchiale anallattico ha a disposizione la distanza focale f1 della lente anallattica e la distanza Δ di questa da L; e si potrebbe dimostrare che l'anallattismo centrale può ottenersi in infiniti modi, perché f1 e Δ non debbono soddisfare a due equazioni, ma ad una sola

che si ottiene eguagliando i valori (7) e (8) di K, e alla diseguaglianza

imposta dalla necessità di raccogliere le immagini sul reticolo che è a destra di L1.

L'aggiunta della lente anallattica con la condizione (10) fa sì che il cannocchiale diventando anallattìco subisce una diminuzione d'ingrandimento. Perché questa riesca lieve si assume:

dove μ è poco minore di 1 (p. es. 0,9) eppoi con la (9), si calcola f1, dopo di che con la (7) o con la (8) si trova la distanza h dei fili che produce, per esempio, K = 100.

Naturalmente, nel caso del cannocchiale anallattico, la distanza dedotta a cannocchiale inclinato diviene:

In pratica non si misurano distanze col metodo esposto con angoli d'inclinazione α maggiori di 25° o 30°, per evitare una forte entità della forzata parallasse dei fili dovuta al non parallelismo della mira (verticale) col piano del reticolo (inclinato), ove se ne raccoglie l'immagine e una forte influenza della eventuale non verticalità della mira.

Oltre alla formula monomia, il cannocchiale anallattico presenta anche un altro notevole vantaggio. Spostando la lente anallattica, cioè variando Δ, si vede per la (7) o la (8) che varia K: orbene, nel caso che il valore effettivo di K ottenuto sperimentalmente non risulti esattamente uguale al valore nominale (100), lo si può ridurre a questo, spostando convenientemente L1. È vero che variando Δ, per la (9), varia c, cioè si sposta il punto anallattico (1° fuoco del sistema LL1) da cui vengono computate le distanze della mira con la (12), ma si potrebbe dimostrare che tale spostamento è sempre trascurabile rispetto all'approssimazione di cui soffre un tal metodo. Questa approssimazione si può ritenere del o,25 o 0,30 per cento anche in buone condizioni, in relazione all'imperfetta conoscenza della costante K, all'errore di lettura della mira, alla parallasse dei fili del reticolo, alle variazioni della lunghezza della stadia per temperatura ed umidità, alle incertezze dovute a circostanze atmosferiche (rifrazione, direzione della luce, ecc.) e soprattutto alle deviazioni della verticale della mira tenuta a mano.

Secondo Jordan (1888), l'errore temibile in una distanza D misurata col metodo ottico, può essere rappresentato dalla formula

che per D = m. 100 dà m. 0,24. Le distanze massime misurabili col cannocchiale dipendono dall'ingrandimento e dalla chiarezza del medesimo, ma nella pratica non superano i 500 metri nelle migliori condizioni di misura.

V. tavv. CLXXXIII e CLXXXIV.

Bibl.: G. Ferrario, Le proprietà cardinali degli strumenti diottrici, Torino 1877; M. von Rohr, Die Bilderzeugung in optischen Instrumenten, Berlino 1904 (v. anche la traduz. inglese di R. Kanthach, Londra 1920); N. Jadanza, Teorica dei cannocchiali, Torino 1906; V. Reina, Teoria degli strumenti diottrici, Milano 1908; F. Southall, The principles and methods of geometrical optics, New York 1913; O. Murani, Strumenti diottrici, Milano 1915; H. Bouasse, Optique géométrique élémentaire, Parigi 1915; id., Construction, description, emploi des appareils, ecc., Parigi 1917; L. Bell, The telescope, New York 1922; Czapski e Eppenstein, Grundzüge der Theorie der optischen Instrumenten nach Abbe, Lipsia 1924; Handbuch der Physik, a cura di Geiger e Scheel, XVIII, Geometrische Optik, ecc., Berlino 1927; V. Ronchi, Lezioni di ottica fisica, Bologna 1928.

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Cannocchiale di galileo

Strumento dei passaggi

Osservatorio di yerkes

Aberrazione cromatica

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