Capacità all’esercizio di impresa [dir. comm.]

Diritto on line (2014)

Angelo Venchiarutti

Abstract

Il codice civile italiano dedica una serie di norme all’esercizio dell’impresa dell’incapace legale assoluto o parziale. Per il minore, l’interdetto e l’inabilitato l’ipotesi della continuazione dell’impresa, il legislatore contempla della continuazione dell’impresa, previa l’autorizzazione del Tribunale, su parere del giudice tutelare. Peculiare la disciplina per l’emancipato: costui se autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore, potrà esercitare un’impresa commerciale senza l’assistenza del curatore. Quanto al beneficiario di un’amministrazione di sostegno, considerato che costui conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, con riferimento all’esercizio dell’attività di impresa non sussisterà, di regola, alcuna limitazione, né vi sarà bisogno per il suo inizio, o la sua prosecuzione, di specifiche autorizzazioni. Nel proseguo verranno esaminate le posizioni dei diversi soggetti incapaci, con riferimento all’esercizio e alla partecipazione di un’impresa sia individuale che collettiva.

Capacità e esercizio d’impresa

Il codice civile italiano dedica specificatamente una serie di norme all’esercizio dell’impresa dell’incapace legale assoluto o parziale. Si tratta delle previsioni contenute negli artt. 320, co. 5, 371, co. 1, n. 3 e co. 2, 397, 424 e 425; nonché nell’art. 2294 c.c., quanto alla partecipazione di un incapace in una società in nome collettivo (Campobasso, G.F., Diritto commerciale, Diritto dell’impresa, V ed. a cura di M. Campobasso, t. 1, Torino, 2008, 48 ss); mentre l’ipotesi di intervenuta sentenza dichiarativa dell’interdizione o dell’inabilitazione dell’imprenditore artigiano è contemplata nell’art. 4, co. 5, legge-quadro sull’artigianato. Non assumerà invece un rilievo particolare l’eventuale incapacità naturale dell’imprenditore (Galgano, F., L’impresa del folle: infermità di mente e diritto commerciale, in Cendon, P., a cura di, Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli 1988, 505; Giunta, G., Incapacità di agire: interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, Milano, 1965, 162; nonché Rescigno, P., Effetti dell’incapacità non dichiarata sulla sentenza di fallimento sulla vendita collettiva e sulla partecipazione sociale, in Giur. it., 1951, I, 2, 689; Cass. 16.1.1964, n. 101, in Foro. it., 1964, I, 504; Cass. 23.2.1954, n. 519, in Foro it., 1955, I, 377).

Per il minore, l’interdetto e l’inabilitato, il nostro legislatore contempla l’ipotesi della continuazione dell’impresa, previa l’autorizzazione del Tribunale, su parere del giudice tutelare (Auletta, G., Capacità all’esercizio dell’impresa commerciale, in Enc. dir., VI, Milano 1960, 72 ss; Panuccio, V., Impresa (dir. priv.), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 606). Salvo il caso del minore emancipato, l’inizio dell’impresa commerciale da parte di un incapace legale non è dunque consentito. Là dove l’impresa sia già operativa, vantaggi e rischi suscettibili di derivare dalla sua continuazione per l’incapace potranno essere valutati in maniera più ponderata - non foss’altro per la maggiore diponibilità di dati relativi alla stessa attività imprenditoriale (cfr. la stessa Relazione del Guardasigilli al Libro delle persone, n. 166; per la dottrina, inter alios, Campobasso G.F., Diritto commerciale. cit., 107 ss; Bonfante, G. – Cottino, G., L’imprenditore, in Tratt. Cottino, Padova, 2001, 453 ss). Né, per la prosecuzione, beni o capitali specifici dell’incapace andranno necessariamente impiegati, distogliendoli da destinazioni dall’esito più sicuro (Cass. 15.5.1984, in Giur. comm., 1984, II, 333).

Le soluzioni approntate dal legislatore costituiscono il punto di equilibrio tra finalità di diverso segno: quella conservativa, propria dell’amministrazione legale del patrimonio di un incapace, e quella lucrativa, tipica dell’esercizio dell’impresa.

Coerentemente con una logica protettiva, le operazioni aleatorie e di sorte incerta vengono, in genere, bandite dalla gestione del patrimonio soggetto a potestà genitoriale, a tutela o a curatela. Il legislatore non vede dunque con favore, stante l’intrinseca rischiosità, lo svolgimento di un’attività d’impresa da parte di persone incapaci (Ruscello, F., La potestà dei genitori. Rapporti patrimoniali, Artt. 320-323, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2007, 123 ss). Nondimeno, considerato che la liquidazione o la vendita a terzi dell’azienda già presente nel patrimonio potrebbero dar luogo a conseguenze negative per l’incapace, privandolo di una fonte di reddito anche significativa, il codice contempla appunto (in genere) la sola prosecuzione dell’esercizio dell’impresa (Corsi, F., Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974, 166).

Per i rischi connessi all’esercizio di quell’attività e per l’eventualità del fallimento, soltanto l’esercizio di imprese commerciali è condizionato all’autorizzazione per l’incapace (Pazè, P. La tutela e la curatela dei minori, in Lenti, L., a cura di, Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, in Tratt. dir. fam. Zatti, VI, II ed., Milano, 2012, 386; nonché Ferri, G., Potestà dei genitori. Artt 315-342, cit., 93; De Rosa, A., La tutela degli incapaci, I, Patria potestà, Milano, 1962 144. Cass. 7.10.1975, n. 3176, in Mass. Foro it., 1975; nonché App. Milano 24.5.1968, in Foro. it., 1968, I, 2346; Foro pad., 1968, I, 563 han precisato che, in caso di fallimento, solo gli effetti patrimoniali riguarderanno il minore; quelli personali graveranno su chi ha gestito concretamente l’impresa).

Per l’impresa agricola, non comparendo nel nostro sistema regole specifiche, si applicherà la disciplina generale relativa al compimento dei singoli atti giuridici da parte degli incapaci. Stante l’evoluzione legislativa che ha caratterizzato quel settore, una scelta del genere suscita qualche riserva. A seguito della modificazione apportata all’art. 2135 c.c. dal d.lgs. 18.5.2001, n. 228, tra le attività connesse a quelle ‘tipizzanti’ ora vengono incluse una serie di attività, suscettibili di rafforzare l’aspetto industriale e commerciale dell’operatore (agricolo). Né, sotto altro profilo, può mancarsi di sottolineare la presenza nel nostro sistema del cd. imprenditore agricolo professionale - formula che qualificherà colui il quale si dedichi, tra l’altro, alle attività agricole «direttamente o in qualità di socio di società», e che potrà riguardare pure le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile (art. 1, d.lgs. 29.3.2004, n. 99) (v., più ampiamente, Ruscello, F., La potestà dei genitori. Rapporti patrimoniali, cit., 127 ss; Id., Vecchi schemi e nuovi rapporti economici. le continuazione dell’impresa da parte del minore, in Vita not., 2010, 529 ss.).

Incapace assoluto e continuazione dell’impresa

Per quanto concerne l’incapace assoluto, sono prospettabili più ipotesi di continuazione dell’impresa. Nell’evenienza in cui essa pervenga all’incapace per successione o a seguito di una donazione, sarà necessaria l’autorizzazione giudiziale alla continuazione dell’impresa – che nel caso di successione mortis causa sarà condizionata all’accettazione con beneficio d’inventario da parte dei genitori o del tutore (art. 471 c.c.) (Cass. 15.5.1984, n. 2936, cit.; Trib. Palermo 6.7.1990, in Vita not., 1990, 654; Trib. Napoli, 17.6.1992, in Società, 1992, 1554 ss.; per la dottrina, v. Auciello, A., Incapaci e impresa. Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di G. Capozzi, III ed., Milano, 2009, 15 ss).

Allorché la successione inter vivos nell’esercizio dell’impresa avvenga nell’ambito di un patto di famiglia, l’assegnazione del bene ad un minore in potestate, o sottoposto a tutela, ovvero ad un interdetto giudiziale, dovrà essere preceduta dalla necessaria autorizzazione giudiziale (cfr. Trib. Reggio Emilia 19.7.2012, in Fam. pers. succ., 2012, 844).

L’ipotesi di continuazione a seguito di acquisto a titolo oneroso degli asset aziendali suscita più di un’incertezza, in quanto un’operazione di tal sorta ben difficilmente soddisferà i criteri della necessità o dell’evidente utilità per l’incapace (De Cristofaro G., Il contenuto patrimoniale della potestà, in Collura, G.-Lenti, L.-Mantovani, M., a cura di, La filiazione, in Tratt. di dir. fam. Zatti, II, Milano, 2002, 1107; nonché Bocchini, F., L’interesse del minore nei rapporti patrimoniali, in Riv. dir. civ., 2001, I, 299; e giàCasanova, M., Le imprese commerciali, Torino, 1955, 210; per un approccio maggiormente pragmatico della questione, Colussi, V., Capacità e impresa - L’impresa individuale, Padova 1974, 77 ss; per le diverse posizioni, Bucciante A., La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, in Trattato dir. priv. Rescigno, 4, III, II ed., Torino, 1997, 629). La realizzazione non sarebbe impedita dal testo dell’art. 371 c.c., che fa riferimento alle aziende commerciali, le quali si trovano nel patrimonio del minore: la formula si giustifica per il fatto che considera come già completato l’inventario di cui agli artt. 362 ss c.c.

A decidere sull’autorizzazione alla continuazione dell’impresa sarà competente il Tribunale ordinario per il minore in potestate, ovvero il Tribunale per i minori soggetti a tutela (art. 38 disp att., anche nel testo modificato dall’art. 3, co. 1, l. 10.12.2012, n. 219; Cass. 3.8.1994, in Arch. civ., 1995, 219). Alla decisione finale è chiamato a collaborare anche il giudice tutelare, con parere non vincolante per il Tribunale (più ampiamente, v. Ruscello, F., La potestà dei genitori. Rapporti patrimoniali, cit., 124 ss).

Nell’ipotesi del minore sottoposto a tutela e dell’interdetto, la procedura per la prosecuzione dell’impresa commerciale figurerà più articolata rispetto a quella contemplata per il minore in potestate: il giudice tutelare, «compiuto l’inventario» (cfr. art. 365 c.c.), delibererà, su proposta del tutore e sentito il protutore, «sulla convenienza di continuare ovvero alienare o liquidare le aziende commerciali che si trovano nel patrimonio del minore»; ove poi «il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell’esercizio d’impresa», il tutore sarà tenuto a domandare l’autorizzazione del Tribunale (art. 371, co. 1, n. 3, co. 2, c.c.). Pur se la norma non chiarisce i criteri in base ai quali il giudice formulerà la propria valutazione, pare fondato ritenere che per la continuazione dell’attività d’impresa debba venir constatata l’evidente utilità della stessa per il minore, sulla base di parametri oggettivi (Savorani G., Sub. art. 371, in Balestra, L., a cura di, Della famiglia. Artt. 343-455, in Comm c.c. Gabrielli, Torino, 2009, 779).

Per evitare l’interruzione, sia pur temporanea, dell’attività, lo stesso giudice tutelare avrà la facoltà di consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa, fino a quando il Tribunale non ne abbia autorizzata la continuazione (art. 371, ult. co., c.c.) (v. anche, per il minore in potestate, art. 320, co. 5, c.c.).

A seguito dell’autorizzazione del Tribunale, i genitori o, rispettivamente, il tutore potranno compiere tutti gli atti strumentali all’esercizio dell’impresa (Cass. 27.5.1977, n. 2178, Gius. civ., 1977, I, 1078; Cass. 10.7.1968, n. 2936, Banca borsa tit. cred., 1969, II, 216; v. anche Cass. 13.5.2011, n. 10654, in Fam. dir., 2012, 589, con nota di Ridella, G., Esercizio dell’impresa commerciale da parte di soggetti minorenni e atti di amministrazione, che ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 320, 5 co. c.c., con riferimento all'art. 3 Cost.; quanto alla dottrina, ex multis, Ferri, G., Potestà dei genitori. Artt 315-342, cit., 92; Tencati A., Incapacità per infermità e attività d’impresa, cit., Napoli, 1988, 96; Porzio M., L’impresa commerciale del minore, in Riv. dir. civ., 1962, I, 388; di diversa opinione Colussi, V., Capacità e impresa - L’impresa individuale, cit., 17).

La menzione tra i (possibili) partecipanti all’impresa familiare dei familiari privi della piena capacità d’agire (art. 230bis, co. 1, ult. parte) è suscettibile di riferirsi a minori (emancipati o meno), interdetti e inabilitati. Per la partecipazione di costoro all’impresa familiare non sarà però necessaria alcuna autorizzazione: in ragione della natura individuale di un’impresa di tal sorta, essa non implicherà per l’incapace l’assunzione della veste di imprenditore (v. Dogliotti M. e Figone A., Impresa familiare: le problematiche più recenti, in Fam. dir., 2011, 195 ss, nonché Ferri, G., Potestà dei genitori. Artt 315-342, cit., 94; per una particolare analisi, v. Giardina F., La condizione giuridica del minore, Napoli, 1984, 149 ss; Pret. Genova, decr. 22.12.1977, in Dir. pers. fam., 1979, 142 con nota di Bianco, R., Sulla tutela del minore nell’impresa familiare). L’espressione sopra richiamata non esclude la ricorrenza, anche in casi del genere, del titolo costitutivo del rapporto di impresa familiare – ossia di una capacità, seppur ridotta, di apporto lavorativo del partecipante (Colussi, V., Impresa familiare, lavoro familiare e capacità di lavoro, in Giur. comm., 1977, I, 708 ss).

Nelle decisioni da assumere (nell’ambito dell’impresa familiare) a maggioranza dei partecipanti, l’incapace sarà rappresentato, a seconda dei casi, dai genitori esercenti potestà - ovvero, in ipotesi di conflitto di interesse fra il primo e i secondi, da un curatore speciale nominato dal giudice tutelare, ai sensi dell’ult. co. l’art. 320 c.c. (Trib. Torino decr. 10.4.1990, in Riv. not., 1990, II, 791) - o dal tutore (per maggiori dettagli, Prosperi F., Impresa familiare, Art. 230-bis, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2006, 126 ss; Balestra, L., L’impresa familiare, Milano 1996, 166).

Quanto alla comunione tacita, l’eventualità della presenza di incapaci è confortata dagli usi e soprattutto dalla natura e dai fini dell’istituto. I vincoli di solidarietà e di sangue (che sono determinanti in tale contesto) consentono anche la partecipazione di soggetti i quali non siano in grado di fornire alcun apporto di lavoro, né di compensare la propria inabilità con apporto di beni personali (di recente, Alessi, R.-Pisciotta, G., L’impresa agricola. Artt. 2135-2140 in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, II ed., Milano, 2010, 363 ss).

Inabilitato e continuazione dell’impresa

In base all’art. 425 c.c., pure l’inabilitato potrà essere autorizzato dal Tribunale a continuare, e non già ad iniziare, un’attività di impresa. Sotto questo profilo, la sua posizione figura sostanzialmente analoga a quella del minore e dell’interdetto, pur se l’inabilitato, in ragione della sua condizione legale, ha la capacità di compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

Le dinamiche proprie di una gestione imprenditoriale mal si conciliano però con le regole che richiedono la cooperazione del curatore e le autorizzazioni giudiziali per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione dell’inabilitato (v. anche Napoli, E.V., L’infermità di mente l’interdizione l’inabilitazione. Artt. 414-432, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, II ed. Milano, 1995, 248). La mancanza di specifiche indicazioni normative ha indotto tuttavia, per lo più, la dottrina a ritenere che, pur dopo l’autorizzazione di cui all’art. 425 c.c., l’inabilitato rimanga vincolato al sistema ordinaria anche per lo svolgimento dell’attività d’impresa (fra gli altri, v. Pescara, R., Lo statuto privatistico dei disabili psichici tra obiettivi di salvaguardia e modello dell'incapacità legale, in Tratt. dir. civ. Rescigno, 4, t. 3, II ed., Torino, 1997, 862 ss.; v., anche, Auletta, G., Capacità all’esercizio dell’impresa commerciale, cit., 78; di diverso avviso, per tutti, Galgano F., L’impresa del folle, cit., 506). I dubbi, in proposito, sono stati superati con l’introduzione del co. 1 dell’art. 427 c.c. (premesso ad opera della l. 9.1.2004, n. 6): ossia con la previsione che abilita l’autorità giudiziaria a stabilire, con un provvedimento anche successivo alla sentenza di pronuncia dell’inabilitazione, che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione siano realizzabili dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. Ciò significa che, in mancanza di provvedimento autorizzatorio del giudice, si dovrà applicare il regime ordinario.

Una maggiore sistematicità nella direzione dell’impresa sarà senza dubbio realizzabile allorché il giudice subordini l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa alla nomina di un institore (425 c.c.). Il tenore della norma induce a ritenere che la designazione spetti allo stesso inabilitato (ancorché, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, necessiterà dell’assistenza del curatore). L’art. 425 c.c. si limita a richiamare la nozione di institore senza ulteriori specificazioni: può fondatamente ritenersi che, in base alla disciplina generale in tema di preposizione institoria, pure l’institore di cui all’art. 425 c.c. venga abilitato a compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto - salve le eventuali limitazioni contenute nella procura (così, inter alia, Colussi, V., Capacità e impresa - L’impresa individuale, cit., 199; nonché Albanese, A., Poteri dell’institore e responsabilità dell’imprenditore preponente, in Resp. civ., 2006, 542 ss; di diverso avviso Ferrara, jr., F. - Corsi, F., Gli imprenditori e le società, XIV ed., Milano, 2009, 79; Januzzi, A. – Lorefice, P., Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2006, 403 ss).

Il minore emancipato: l’esercizio dell’impresa commerciale

Per l’emancipato il nostro codice tratteggia una disciplina con connotati del tutto singolari: l’emancipato, se autorizzato dal Tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore, «può esercitare un’impresa commerciale senza l’assistenza del curatore» (art. 397, co. 1, c.c.). Contemplando non già la semplice continuazione dell’attività bensì l’esercizio tout court di un’impresa commerciale, il codificatore domestico intendeva facilitare lo svolgimento di un’attività economica da parte dell’emancipato il quale già godesse di una sviluppata maturità psichica (Palmeri, G., Diritti senza poteri. La condizione giuridica del minore, Napoli, 1994, 100 ss.). Con la riduzione al diciottesimo anno del limite della minore età (e la conseguente abrogazione degli art. 391, 398 e 399 c.c. inerenti all’emancipazione giudiziale: l. 8.3.1975, n. 39, art. 1 e 6) l’ambito di operatività dell’art. 397 c.c. si è inevitabilmente ristretto – potendo trovare applicazione soltanto nei confronti dell’ultra sedicenne emancipato di diritto a seguito del matrimonio (art. 390 c.c.) .

L’autorizzazione all’esercizio dell’impresa ha l’effetto altresì di attribuire all’emancipato una sorta di capacità di agire anticipata. Egli potrà compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione «anche se estranei all’esercizio dell’impresa» (art. 397, co. 3, c.c.) (in argomento, Lo Pardo, G., La potestà genitoriale del minore emancipato autorizzato all’esercizio dell’impresa commerciale, in Riv. not., I, 1990, 127 ss.; C. cost. 30.11.1988, in Giur. cost., 1988, I, 5166, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal Trib. di Agrigento degli art. 390 e 397 c.c., in riferimento all’art. 3 Cost.). Il minore emancipato verrà a trovarsi in una condizione assimilabile a quella del maggiore di età – pur se permarranno in capo a costui alcune specifiche incapacità (cfr., in particolare art. 774, co. 2, e art. 591, co. 2, n. 1, c.c.) (Colussi, V., Capacità e impresa - L’impresa individuale, cit., 209 ss; Auciello, A., Incapaci e impresa, cit., 17 ss; di diverso avviso: Dell’Oro, A., Dell’emancipazione dei minori affidati alla pubblica o alla privata assistenza e dell’assistenza. Art. 390-413, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1972, 79 ss; nonché già Pugliatti, S., Della tutela e dell’emancipazione, in Comm. c.c. D’Amelio, I, Persone e famiglia, 1940, Firenze, 719). L’espressa previsione della revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’impresa (art. 394, co.2) non è tale da inficiare, di per sé, la stabilità dell’acquisto della capacità da parte dell’emancipato – essendo prospettabile pure per il maggiorenne l’eventualità di un provvedimento ablativo, o limitativo, della capacità legale di agire.

La seconda parte dell’art. 425 c.c. – che, con riguardo all’inabilitato, consente al giudice di subordinare l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa alla nomina di un institore – sarà applicabile nei confronti dell’emancipato, là dove si ritenga che la stessa costituisca l’espressione di una facoltà di carattere generale attribuita all’autorità giudiziaria.

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno

Consideriamo ora la situazione del beneficiario di un’amministrazione di sostegno. Si ricorda anzitutto che, con la l. 9.1.2004, n. 6, è stata operata una riforma di ampio respiro degli istituti a protezione dei soggetti deboli.Oltre ad essere stata introdotta l'amministrazione di sostegno, la disciplina dell'interdizione e dell'inabilitazione è stata parzialmente modificata. Ne è sortita una nuova versione del titolo XII del libro I del codice civile, profondamente diversa dalla precedente quanto alla struttura, ai principi e alle regole (sulla nuova normativa i commenti sono stati molteplici: tra gli altri, v. Bonilini, G. – Chizzini, A., L'amministrazione di sostegno, Padova, 2004; Ferrando, G., a cura di, L'amministrazione di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, Milano, 2005; Ferrando, G. – Lenti, L., a cura di, Soggetti deboli e misure di protezione. Amministrazione di sostegno e interdizione, Torino, 2006; Cendon, P. – Rossi, R., Amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, t. 2, Torino, 2009; Lisella, G., Gli istituti di protezione dei maggiori d’età, in Tratt. dir. civ. C.N.N., II, 1, Persona fisica, Napoli, 2012, 243 ss.).

L’art. 1 della l. 6/2004, che, pur se non è stato inserito nel codice civile, esplicita le finalità della nuova disciplina, precisando che essa ha lo scopo di «tutelare con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte dell'autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente».

Quanto all'individuazione dei soggetti suscettibili di beneficiare dell’amministrazione di sostegno, marcata è la differenza rispetto all’area di operatività disegnata dal codice per l'interdizione l'inabilitazione. L’art. 404 c.c. ha in effetti una portata molto ampia, in quanto comprende ogni tipo di infermità o menomazione, di tipo psichico o fisico, anche parziale o temporanea. Pure per quanto riguarda gli effetti, il nuovo istituto è stato disegnato dalla legge del 2004 rovesciando la prospettiva tradizionale: da una situazione di incapacità, totale o parziale, predeterminata dalla legge, si passa ad una condizione generale di capacità, con limitazioni, più o meno ampie, relative agli atti che l'interessato non può compiere, o che non può compiere da solo. Tant’è che, con la nomina dell'amministratore di sostegno, il beneficiario conserva la propria capacità per tutti quegli atti che «non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno» (art. 409 c.c.).

Il rapporto tra capacità ed incapacità, stabilito tradizionalmente nel codice nei termini di un’alternativa netta, diviene ora mobile e fluido. Per il disabile, l'incapacitazione diventa una conseguenza eventuale e residuale per alcune categorie di atti, con riferimento ai quali si prospetta come mezzo necessario ai fini della sua protezione. Il legislatore del resto non definisce i compiti dell'amministratore di sostegno: sarà invece il provvedimento di nomina del giudice tutelare, di volta in volta, ad individuare l’«oggetto dell'incarico» e gli «atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario» e gli «atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno» (art. 405 c.c.). Il beneficiario non sarà legittimato a compiere gli atti che richiedono la rappresentanza «esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno» (art. 409 c.c.), ma conserverà la propria capacità in relazione a tutti gli altri atti.

Stante il fatto dunque che il soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno è capace di agire, neppure con riferimento all’esercizio dell’attività di impresa sussisterà, di regola, alcuna limitazione, né vi sarà bisogno per il suo inizio, o la sua prosecuzione, di specifiche autorizzazioni. Non saranno applicabili pertanto, in via generale, le norme fin qui esaminate riguardanti gli incapaci, salvo che nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, o in un successivo provvedimento, il giudice tutelare non abbia diversamente disposto. L’art. 411, ult. co., c.c. conferisce difatti al giudice la facoltà di disporre, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, «che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni». In mancanza di disposizioni del genere, le regole relative all'interdizione ed all'inabilitazione non si applicheranno al beneficiario dell'amministrazione di sostegno.

In concreto, stante le caratteristiche dell’amministrazione di sostegno, che si connota come una misura proporzionabile e flessibile in ragione delle effettive necessità di protezione del beneficiario, provvedimenti circa la prosecuzione o l’inizio di un’attività di impresa da parte del beneficiario saranno adottabili soltanto là dove si presenti in concreto l’effettiva esigenza di provvedere al riguardo. In frangenti del genere, sarà opportuno che - su espressa richiesta del ricorrente, o d’ufficio – il giudice tutelare, al momento della nomina dell’amministratore di sostegno, definisca i poteri dello stesso amministratore, quanto alla prosecuzione, ovvero all’inizio, di un’impresa del beneficiario. Qualora poi una necessità del genere si manifesti successivamente all’apertura dell’amministrazione di sostegno, l’ipotesi di inizio o di prosecuzione dell’attività di impresa andrà vagliata dal giudice tutelare, tenuto conto dei poteri che sono stati precedentemente attribuiti, volta a volta, all’amministratore di sostegno in sede giudiziale (art. 407, co. 4, c.c.) (v. Bonilini, G. – Tommaseo, F., Dell’amministrazione di sostegno. Art. 404-413, in Comm. c.c. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2008, 456; nonché Delle Monache, S., Prime note sulla figura dell'amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. comm., 2004, II, 54; in giurisprudenza, Trib. Roma, decr. 7.1.2005, in Studium iuris, 2005, 503 concernente l’attivazione dello scudo protettivo di cui all’art. 404 c.c., nell’ipotesi in cui il socio amministratore d’una società collettiva non figurava più in grado di provvedere agli atti necessari allo svolgimento dell’attività di impresa).

La partecipazione di incapaci alle società

Quanto alla partecipazione a una società di soggetti incapaci o parzialmente incapaci, le disposizioni che regolano la prosecuzione o l’inizio dell’impresa individuale sono richiamate nell’ambito della disciplina della società di nome collettivo (art. 2294 c.c.): norma che è sicuramente estensibile ai soci accomandatari in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2315 c.c. (v. del resto, a sua volta, l’art. 208 disp. att. c.c.).

Il legislatore del 1942 ha così risolto le questioni sorte in vigenza del codice di commercio abrogato, concernenti le condizioni di partecipazione di persone incapaci ad una società commerciale, in qualità di soci illimitatamente irresponsabili (Ferrario, F., La partecipazione dei minori e degli incapaci alle società, in Riv. not., 1962, I, 242). Rimane dubbio se per l'incapace (che non sia un minore emancipato) sia ammissibile la sola continuazione del rapporto sociale, alla stregua della disciplina in tema di esercizio d’impresa da parte dell’incapace (tra gli altri, Lo Sardo,G., La potestà genitoria del minore emancipato autorizzato all'esercizio di impresa commerciale, in Riv. not., 1990, I, 117; Micheli P., L’acquisto e l’esercizio dell’impresa da parte del minore, in Riv. not., 1968, I 337; nonché Graziani, A., Partecipazione di incapaci a società commerciali, in Dir e giur., 1946, 316), ovvero possa partecipare ad una società anche al di fuori delle ipotesi nelle quali la qualità di socio gli derivi sulla base di un rapporto di successione o di trasferimento a titolo gratuito (Ferri, G., La partecipazione di incapaci a società commerciali, in Giur. compl. Cass. civ., 1945, XVII, 220; Rescigno, P., Effetti della incapacità non dichiarata sulla sentenza di fallimento, cit., 693). In ogni caso, il concetto di continuazione è inteso fra gli interpreti in senso alquanto elastico: tant’è che non mancano le opinioni favorevoli ad includervi, almeno in via tendenziale, anche la costituzione di una nuova società là dove l’incapace conferisca l’azienda o quota parte di questa. In frangenti del genere, nuova in effetti, è la società ma non lo è l’impresa (per le varie ipotesi, Ferrario, F., La partecipazione dei minori e degli incapaci alle società, cit., 245 ss). Il minore emancipato, invece, potrà sia entrare a far parte di una società in nome collettivo già costituita, che partecipare alla costituzione stessa, sempre con l’autorizzazione del Tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore (art. 397, co. 1, c.c.).

Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno sarà abilitato anch’egli sia a partecipare alla costituzione della società che ad aderire ad una società già costituita senza autorizzazione – salvo che diversamente abbia disposto il giudice tutelare nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o in un successivo provvedimento.

Sul piano delle autorizzazioni, oltre a quelle richiamate dall’art. 2294 c.c., sarà necessaria quella specifica relativa all’atto con il quale l’incapace acquista la qualità di socio, ogni qualvolta essa sia imposta dalla legg,e come nell’ipotesi di acquisto mortis causa a titolo di eredità (per maggiori dettagli: Januzzi, A. – Lorefice, P., Manuale della volontaria giurisdizione, cit., 414).

L’autorizzazione andrà presumibilmente richiesta pur quando venga pronunciata l’interdizione o l’inabilitazione di un socio, e gli altri soci non intendano avvalersi della facoltà loro attribuita dall’art. 2286 c.c. di escludere il primo dalla compagine sociale (Graziani, A., Diritto delle società, V ed., Napoli, 1962, 133; di avviso contrario, fra gli altri, Ferri, G., Delle società. Artt. 2247-2324, III ed., in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 376).

Pure per quanto concerne la partecipazione alle società, la serie delle autorizzazioni cui soggiace l’incapace (in osservanza agli articoli richiamati poco sopra) troverà applicazione soltanto con riferimento all’acquisizione di partecipazioni in società che esercitano attività commerciali, secondo la dizione di cui all'art. 2195 c.c. (Buonocore, V., a cura di, Manuale di diritto commerciale, V ed., Torino, 211; Graziani, A., Diritto delle società, 135, il quale trae una conclusione del genere dalla Relazione del Guardasigilli, n. 938) – senza distinguere peraltro tra società regolari o irregolari (sul tema, v. Bonacina, L., Partecipazione di incapace a società di fatto, in Notariato, 1997, 327 ss, in commento a App. Napoli 14.5.1996). Dal novero delle compagini sociali interessate dall’operatività dell’art. 2294 c.c., sarà dunque da intendersi esclusa la società semplice, stante il disposto dell’art. 2249 c.c. (sempre che sia convenuta contrattualmente la limitata responsabilità del socio incapace: Ferrario, R., La partecipazione dei minori e degli incapaci alle società, cit., 266).

Nelle società in accomandita semplice, l’autorizzazione di cui all’art. 2294 c.c. riguarderà di norma (come del resto dispone il co. 1 dell’art. 208, disp. att. c.c.) soltanto la partecipazione di un incapace come socio accomandatario, e non già come accomandante, sull’assunto che quest’ultimo rischia solo il capitale conferito, non rispondendo illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali (Campobasso, G.F., Diritto Commerciale. I. Diritto dell’impresa, cit., 136; Auciello, A., Incapaci e impresa, cit., 127; nonché, a suo tempo, Spallanzani. D., La tutela del socio accomandante incapace, in Riv. not., 1959, III, 394; sul tema, Cass., 14.02.2001, n. 2099, in Fam dir., 2001, 495 ss., con nota di Pellegrini, L., Partecipazione del minore quale accomodante della s.a.s. costituita fra gli eridi dell’imprenditore). Considerando tuttavia l’eventualità per l’accomandante dell’assunzione della responsabilità illimitata per violazione del divieto di immistione (art. 2320 c.c.), non manca tra gli interpreti chi conclude per la necessità dell’autorizzazione di cui all’art. 2294 c.c. anche per il socio limitatamente responsabile (Montalenti, P., Il socio accomandante, Milano, 1985, 267 ss).

Nessun problema particolare si pone invece per quel che attiene la partecipazione di incapaci a società di capitali. Trattandosi di soci limitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, e non essendo gli stessi esposti al rischio del fallimento, il legislatore non ha ritenuto di estendere alle società di capitali la particolare forma di protezione prevista dall’art. 2294 c.c.: per la partecipazione alle stesse, sia in fase di costituzione che per la continuazione, si applicheranno le regole generali in tema di autorizzazione dell’atto a mezzo del quale l’incapace diventa socio.

Neppure dovrebbe ritenersi necessaria l’autorizzazione di cui all’art. 2294 c.c. per l’ipotesi dell’unico azionista o quotista – stante il fatto che l’attuale normativa non prevede, di norma, l’illimitata responsabilità per le obbligazioni sociali allorché l’intero pacchetto azionario, o delle quote, si concentri nella mani di un unico socio o quotista (alla luce del testo dell’art. 2362 c.c.ante riforma, App. Torino, sez. min., 19.2.1983: Trib min. Torino, 5.6.1982, con nota di Marchio A.M., Autorizzazione alla continuazione di attività imprenditoriale e partecipazione del minore a società di capitali quale unico azionista, in Giur. it., 1985, I, 2, 377).

Resta inteso che l’incapace non potrà assumere la qualità di amministratore e di sindaco, a ciò ostando il disposto degli artt. 2382 e 2399 c.c.: disposizioni che, fra l’altro, implicitamente presuppongono la piena capacità di agire; e neppure potrà, l’incapace, rivestire la qualifica di accomandatario, stante quanto previsto dagli artt. 2454 e 2455 c.c.

Questioni connesse all’autorizzazione

Problemi comuni alle diverse ipotesi sin qui considerate, si pongono là dove l’incapace, o il suo rappresentante, continui di fatto l’esercizio di un’impresa, in difetto di autorizzazione, oppure nel caso in cui lo stesso rappresentante eserciti un’impresa diversa da quella autorizzata, o qualora l’autorizzazione, inizialmente concessa, venga revocata (ipotesi che, pur se espressamente contemplata solo dall’art. 397 c.c. nell’ambito della disciplina dell’emancipazione, deve ritenersi espressione di un principio generale del nostro sistema: Auletta, G., Capacità all’esercizio dell’impresa commerciale, cit., 81 ss).

Secondo l’orientamento prevalente, l’autorizzazione legittima sia l’esercizio dell’impresa sia gli atti di impresa, con la conseguenza che sia l’uno che gli altri saranno imputabili all’incapace (Panuccio, V., Impresa (dir. priv.), cit., 607 ss.; Auletta, G., Capacità all’esercizio dell’impresa commerciale, cit., 80). Per la natura costitutiva dell’autorizzazione alla continuazione dell’impresa commerciale si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità: tant’è che, in mancanza di autorizzazione, sarà da escludersi per l’incapace l’acquisto della qualità di imprenditore (Cass., 15.5.1984, n. 2936, in Giur. comm., 1984, II, 333, in Dir. fall., 1984, II, 720; nonché Cass., 25.10.1965, n. 2237, in Foro it., 1966, I, 264; Cass., 14.3.1949, n. 505, in Foro it., 1950, I 321; App. Milano, 15.6.1962, in Riv. dir. proc., 1963; Trib. Forlì, 18.1.1958, in Dir. fall., 1958, II, 153; Trib. Firenze, 25.1.1957, in Foro pad., 1958, I, 393). Più nello specifico, affinché possa configurarsi attività di impresa nei confronti di incapaci, sarà necessaria sia l’autorizzazione all’esercizio dell'impresa commerciale sia un'attività economica organizzata con beni entrati nella disponibilità del soggetto tutelato (Cass., 15.5.1984, n. 2936, cit.).

Non mancano tuttavia coloro i quali, ritenendo preferibile attribuire rilevanza sostanziale all’impresa, suggeriscono di affrontare la questione di cui si discute, non già in termini di imputazione formale dell’attività di impresa, bensì considerando la responsabilità di colui che ha agito (Corsi, F., Diritto dell’impresa, II ed., Milano, 2003, 50; nonché Galgano, F., L’impresa del folle, cit., 508; per qualche decisione di merito, v. App. Venezia, 9.5.1960, in Dir. fall., 1960, II, 886; Trib. Milano, 28.5.1960, in Giur. it., 1962, I, 2, 80; Trib. Macerata, 21.2.1955, in Arch. ric. giur., 1955, 278).

Pur in mancanza di autorizzazione, occorrerà tuttavia verificare se sia configurabile, in concreto, una partecipazione di fatto dell'incapace, o dell'incapace con il suo rappresentante, ad una società. Dalle non numerose pronunce dei giudici domestici, si desume un orientamento prevalentemente indirizzato ad escludere l’imputazione all'incapace di qualsiasi rapporto sociale che non abbia ricevuto il crisma dell’autorizzazione giudiziale (rileverà. 14.4.1949, n. 505, cit.; App. Genova, 16.1.1987, in Giur. comm., 1988, II, 389; Trib. Palermo, 4.5.1990, in Vita not., 1990, I, 259; Trib. Roma, 14.4.1987, in Dir. fall., 1987, II, 764; Trib. S. Maria Capua Vetere, 19.1.1980, in Dir. fall., 1980, II, 647).

Fonti normative

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