Caparra confirmatoria e riduzione giudiziale

Libro dell'anno del Diritto 2015

Caparra confirmatoria e riduzione giudiziale

Francesco Paolo Patti

Con due recenti ordinanze, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità riguardante l’assenza di una norma sulla riduzione giudiziale della caparra confirmatoria di ammontare eccessivo. La Consulta ha affermato l’inammissibilità della questione, offrendo una interpretazione costituzionalmente orientata, secondo cui sarebbe nulla la pattuizione in contrasto con il dovere di solidarietà e il «canone» della buona fede. Le decisioni inducono ad affrontare problemi di carattere generale concernenti i rapporti tra norme costituzionali e disposizioni del codice civile, nonché i limiti dell’autonomia privata e il ruolo del giudice, al quale risulta attribuito un significativo margine di discrezionalità. Con riguardo al problema della caparra confirmatoria, un’alternativa adeguata alla soluzione della Consulta, spesso invocata dalla dottrina, potrebbe consistere nell’applicazione della norma sulla riduzione della penale.

a ricognizione

La clausola penale e la caparra confirmatoria determinano in via forfetaria il risarcimento del danno da inadempimento. Tuttavia, a differenza di quanto è stabilito per la clausola penale dall’art. 1384 c.c., la legge non prevede la riduzione giudiziale della caparra confirmatoria, ove il suo ammontare risulti manifestamente eccessivo.

Posto che, in caso di predeterminazione eccessiva del danno, le ragioni sottese al controllo giudiziale della clausola penale possono ritenersi sussistenti anche per la caparra confirmatoria, la questione dell’applicabilità in via analogica dell’art. 1384 c.c. alla caparra ha spesso suscitato interesse in dottrina. Nonostante il crescente favore manifestato dagli studiosi per la soluzione della riducibilità della caparra confirmatoria, la Corte di cassazione, con un orientamento costante, ha negato l’applicabilità in via analogica dell’art. 1384 c.c., in virtù del carattere eccezionale della norma.

Assumendo leso il principio di ragionevolezza ex art. 3, co. 2, Cost. (per «intrinseca incoerenza (…) rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore»), per due volte il Tribunale di Tivoli ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 1385, co. 2, c.c. nella parte in cui non dispone che il giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere, nell’ipotesi in cui il contraente che ha dato la caparra confirmatoria sia inadempiente, o quella pari al doppio da restituire, nell’ipotesi inversa in cui sia inadempiente il contraente che l’ha ricevuta, ove risulti la manifesta sproporzione o sussistano giustificati motivi.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della suddetta questione per difetto di motivazione, in punto di manifesta infondatezza e di rilevanza1. Sotto il profilo della rilevanza, la Consulta ha affermato che il Tribunale di Tivoli non ha tenuto conto «dei possibili margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta (…) un regolamento degli interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte. E ciò in ragione della rilevabilità, ex officio, della nullità (totale o parziale) ex art. 1418 c.c., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost., (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato”».

In una recente decisione della Cassazione (successiva agli interventi della Consulta) l’innovativa opzione ermeneutica privilegiata dalla Corte costituzionale non è stata presa in considerazione. I giudici di legittimità, posti di fronte alla questione dell’applicabilità in via analogica della norma dell’art. 1384 c.c. alla caparra confirmatoria, si sono limitati a formulare una risposta negativa, riproponendo il proprio orientamento fondato sul carattere eccezionale della norma sulla riduzione della penale2.

I fatti della causa decisa dalla Suprema Corte mettono in luce il grave vulnus di tutela del soggetto inadempiente, obbligato alla corresponsione di una caparra di ammontare eccessivo. Nella specie, nell’ambito di un contratto preliminare di vendita intercorrente tra un’agenzia immobiliare e due persone fisiche, il promissario acquirente, rilevatosi inadempiente, aveva corrisposto una caparra pari a 180 milioni di lire e la Corte d’appello, constatata l’eccessività dell’ammontare, aveva ridotto quest’ultima dell’80 per cento. La Suprema Corte ha accolto il ricorso della parte promittente venditrice e, decidendo la questione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., ha escluso la riduzione della caparra confirmatoria. Ne consegue la legittimazione del promittente venditore, titolare dell’immobile, a trattenere una cospicua somma di denaro, di gran lunga superiore rispetto al risarcimento del danno che sarebbe stato liquidato secondo le regole legali.

La focalizzazione

Il caso al quale si è fatto cenno e altre fattispecie in passato sottoposte al vaglio della giurisprudenza, in cui effettivamente risultano trasmesse somme esorbitanti, confermano l’esigenza del controllo giudiziale dell’ammontare della caparra confirmatoria. Il problema concerne le norme da applicare alla fattispecie: si profila un’alternativa tra l’approccio della Corte costituzionale, la quale risolve il problema invocando la violazione del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. in combinato disposto con la clausola generale di buona fede, da un lato, e l’impostazione della dottrina che sostiene l’applicabilità in via analogica dell’art. 1384 c.c., dall’altro lato.

2.1 La nullità (virtuale) della clausola

La Corte costituzionale, nelle due ricordate ordinanze, ha dichiarato che la clausola lesiva del dovere di solidarietà e del canone della buona fede è nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c. Il dictum trae ispirazione da precedenti sentenze della Suprema Corte, in tema di esecuzione del contratto secondo buona fede3, di riducibilità d’ufficio della penale manifestamente eccessiva4 e di abuso del diritto5, nelle quali tuttavia era assente l’indicazione della nullità quale “rimedio” per contrastare il comportamento scorretto.

I rapporti tra il principio di solidarietà e la clausola generale, così come delineati dalle ordinanze della Corte costituzionale, corrispondono alle opinioni espresse dall’estensore del provvedimento in uno scritto della fine del secolo scorso, al quale è possibile attingere per chiarire il significato della formula, accolta dalla Corte, secondo cui il principio di solidarietà e la clausola generale opererebbero in «combinato contesto»6. Nella prospettiva dello studioso, la norma costituzionale avrebbe la funzione di «integrare» la clausola generale, creando un «effetto sinergico delle due regole in combinazione», sicché «all’un tempo, per un verso la disposizione ordinaria si completi e si definisca, in senso evolutivo attraverso l’introduzione di valori costituzionali nel suo nucleo precettivo e, per altro verso e reciprocamente, quei “valori”, attraverso il presidio della sanzione offerta dalla norma codicistica, passino dallo stadio del valore enunciato a quello del valore attuato»7. La violazione dell’obbligo di comportamento secondo buona fede e del dovere di solidarietà determinano la nullità della pattuizione.

In questo quadro, la Consulta non si è soffermata sui rapporti tra regole di validità e regole di comportamento. Ma deve ritenersi che, secondo le innovative pronunce, la lesione della norma di rango costituzionale, sebbene da considerare regola di «comportamento», incida sulla validità del contratto.

In questa ipotesi, risulta pertanto superato l’orientamento inaugurato dalle Sezioni unite della Suprema Corte, secondo cui, ove non altrimenti stabilito dalla legge, soltanto la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità «e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità»8.

L’operazione ermeneutica compiuta dalla Corte costituzionale è stata qualificata da un commentatore alla stregua di una interpretazione adeguatrice delle disposizioni del codice civile, in conformità alla norma di rango costituzionale9. Tale interpretazione – secondo l’impostazione accolta nel citato commento – sarebbe condotta dalla Consulta in maniera indipendente rispetto a quella di settore in cui le disposizioni si inseriscono (come si è detto, volta a negare che la violazione di regole di comportamento possa incidere sulla validità del contratto), e offrirebbe un risultato appositamente ritagliato alla luce delle circostanze del caso concreto, in seguito a un bilanciamento – «in concreto» – dei principi costituzionali.

2.2 L’applicazione analogica dell’art. 1384 c.c.

In dottrina si esprime favore per la soluzione dell’estensione analogica del potere di riduzione del giudice, in quanto anche la caparra confirmatoria si sostanzia in una forma di liquidazione convenzionale del danno, idonea a privare il giudice della competenza riconosciuta dalle norme legali10.

Infatti, dal momento che, ai sensi dell’art. 1385, co. 2, c.c., il diritto di ritenere la caparra o di ottenere la somma pari al duplum postulano necessariamente la risoluzione del contratto al quale il patto accede, non può escludersi la sussistenza di esigenze di tutela analoghe a quelle che si presentano nel caso della clausola penale, in quanto il tradens o l’accipiens perde un ammontare pari al valore della caparra, senza avere diritto ad alcuna controprestazione.

Pertanto, al fine di valutare se la caparra sia eccessiva, sembra che l’ammontare non debba essere posto soltanto in rapporto con il valore della prestazione inadempiuta,ma altresì con il danno subito dal contraente non inadempiente, il quale in assenza della pattuizione avrebbe diritto al risarcimento del danno da inadempimento, conseguente alla risoluzione del contratto11.

Come emerge dalle ordinanze di rimessione e dalle decisioni della Corte costituzionale, dove non è posta in discussione l’interpretazione offerta dai precedenti giurisprudenziali, l’applicazione analogica dell’art. 1384 c.c. alla caparra confirmatoria si pone però in contrasto con il carattere eccezionale da tempo riconosciuto alla norma. A fronte della situazione simile in cui versa il soggetto inadempiente nel caso di penale o caparra avente ammontare eccessivo, già sulla base di una prima riflessione, l’appiglio «formale» al divieto di applicazione analogica della norma eccezionale non sembra insuperabile per negare il controllo giudiziale della caparra confirmatoria.

Quanto detto trova conferma in contributi che nel vigore del codice civile previgente mettevano in luce l’«assurdità» del divieto di applicazione analogica, in considerazione del fatto che anche la norma eccezionale ha una propria ratio, idonea a ripetersi in situazioni diverse rispetto a quelle avute di mira dal legislatore12. Con tutta probabilità l’indirizzo della Suprema Corte è frutto del timore che un’apertura possa con il trascorrere degli anni determinare un’applicazione generalizzata dell’art. 1384 c.c.

I profili problematici

L’interpretazione della Corte costituzionale conferisce al giudice un potere connotato da un forte grado di discrezionalità, che potrebbe incidere in maniera significativa sull’autonomia contrattuale.

Al di là di tale questione di carattere generale, occorre comprendere se la nullità della clausola costituisca lo strumento più idoneo per risolvere il problema della caparra confirmatoria di ammontare eccessivo o se sia preferibile applicare la norma dell’art. 1384 c.c. Tale applicazione in via analogica, oltre a porre difficoltà di coordinamento con il disposto dell’art. 14 delle preleggi, potrebbe – come si è visto –, con il trascorre del tempo, condurre a un’utilizzazione generalizzata della norma.

Dal tenore dei passaggi salienti della motivazione, si ricava che il principio affermato nelle ordinanze della Corte costituzionale sembra applicabile a qualsiasi tipo di contratto e non soltanto alla caparra confirmatoria. Il problema trascende pertanto la specifica questione in esame, investendo quella, di carattere più generale, del potere di intervento del giudice sullo scambio divisato dai contraenti.

In questa prospettiva, in base a considerazioni di analisi economica del diritto, le ordinanze sono state criticate, affermandosi che, al di fuori dalle ipotesi dei contratti in cui è parte un consumatore o a quelle riconducibili al cd. “terzo contratto”, dovrebbe «continuare a tener campo l’intangibilità del programma d’autonomia»13.

A completamento del quadro, giova ricordare che l’argomentazione presente nelle motivazioni non è nuova, in quanto, per mano dello stesso estensore delle ordinanze, essa aveva fatto ingresso sotto forma di obiter dictum nella giurisprudenza di legittimità per dare fondamento, mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1384 c.c., alla tesi della riducibilità d’ufficio della penale14. Le vivaci critiche rivolte alla decisione15, le quali hanno preceduto quelle riservate alla sentenza sull’abuso del diritto, inducono a ritenere che il problema avvertito in via preminente dagli studiosi, con riguardo al tema in esame, non concerne strettamente il rapporto tra principio costituzionale e clausola generale – il quale tuttavia alla stregua di quanto visto sopra merita la massima attenzione – ma la delimitazione dei poteri di intervento del giudice sul regolamento contrattuale. All’affermarsi di una tecnica interpretativa del dato normativo orientata ad indici assiologici consegue la preoccupazione che il frequente riferimento al dovere di solidarietà, o a ulteriori norme costituzionali, venga adoperato dai giudici come base argomentativa per fondare interpretazioni innovative del dato normativo, idonee a ridurre in maniera eccessiva l’autonomia dei contraenti16.

Inoltre, per quanto concerne il problema della caparra di ammontare eccessivo, al fine di garantire maggiore certezza in ordine alle modalità di controllo, si ritiene preferibile una soluzione che consenta l’applicazione dell’art. 1384 c.c., norma specificamente preordinata al controllo giudiziale delle clausole di forfetizzazione anticipata del danno e anch’essa espressione del dovere di solidarietà nei rapporti tra privati. Nel valutare la caparra, il giudice potrebbe così servirsi dei precedenti giurisprudenziali sul controllo della clausola penale, come, ad esempio, quelli recenti relativi al momento in cui compiere la valutazione e al parametro di riferimento in tema di manifesta eccessività17.

Un’ultima difficoltà in ordine all’applicazione dell’art. 1384 c.c. riguarda la natura eccezionale della norma. Per aggirare l’ostacolo del divieto di applicazione analogica potrebbe profilarsi una qualificazione della caparra confirmatoria di ammontare eccessivo alla stregua di una clausola penale. La soluzione è accolta in altre esperienze giuridiche caratterizzate da un quadro normativo simile a quello italiano, nel senso che è prevista la riduzione della penale,ma non della caparra. Ad esempio, dai lavori preparatori del codice civile tedesco si evince che, alla luce del potere del giudice di qualificare la caparra in termini di clausola penale, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti, la previsione di una norma sulla riduzione della caparra (Draufgabe, disciplinata dai §§ 336-338 BGB) è stata ritenuta inutile in virtù della presenza della norma sulla riduzione della penale «sproporzionatamente eccessiva» (§ 343 BGB)18.

Un indice in merito alla correttezza dell’assimilazione, in via ermeneutica, della caparra confirmatoria di ammontare eccessivo alla clausola penale deriva dai progetti di armonizzazione del diritto dei contratti.

I Principles of European Contract Law (PECL) e il Draft Common Frame of Reference (DCFR) adottano un approccio innovativo, in quanto presentano un solo regime giuridico applicabile a patti che secondo le codificazioni continentali sarebbero da qualificare come clausole penali o caparre confirmatorie.

Le normative di soft law omettono di utilizzare le denominazioni «clausola penale» e «caparra confirmatoria » e per i «pagamenti (convenzionalmente stabiliti) dovuti in caso di inadempimento», agli artt. 9:509 PECL e III.-3:712DCFR, prevedono che la somma può essere ridotta dal giudice a un ammontare «ragionevole» nel caso in cui risulti manifestamente eccessiva rispetto al danno conseguente all’inadempimento e alle altre circostanze del caso di specie.

1 C. cost., ord. 2.4.2014, n. 77;C. cost., ord. 24.10.2013, n. 238.

2 Cass., 30.6.2014, n. 14776. Nello stesso senso, già Cass., 1.12.2000, n. 15391; Cass., 23.8.1997, n. 7935; Cass., 23.5.1995, n. 5644; Cass., 24.2.1982, n. 1143; Cass., 10.12.1979, n. 6394; Cass., 10.11.1977, n. 4856.

3 Cass., 20.4.1994, n. 3775.

4 Cass.,S.U., 18.11.2005, n. 18128;Cass., 24.9.1999, n. 10511.

5 Cass., 18.9.2009, n. 20106.

6 Morelli,M.R.,Materiali per una riflessione sulla applicazione diretta delle norme costituzionali da parte dei giudici, in Giust. civ., 1999, II, 3 ss.

7 Morelli, M.R., Materiali per una riflessione,cit., p. 5.

8 Cass., S.U., 19.12.2007, nn. 26724 e 26725.

9 Cfr. Scoditti, E., Il diritto dei contratti fra costruzione giuridica e interpretazione adeguatrice, in Foro it., 2014, I, 2036 ss.

10 Cfr., in particolare Zoppini, A., La pena contrattuale, Milano, 1991, 287 s.

11 In questo senso, Bianca, C.M., Diritto civile, vol. 5, La responsabilità, II ed., Milano, 2012, 390, nt. 11.

12 Così Bobbio, N., L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1938, 170 ss.; Carnelutti, F., Teoria generale del diritto, Roma, 1940, 149 s.

13 Pardolesi, R.,Un nuovo super-potere giudiziario: la buona fede adeguatrice e demolitoria, in Foro it., 2014, I, 2039 ss.

14 Cass. n. 10511/1999.

15 Cfr. soprattutto Ferri, G.B., Autonomia privata e poteri del giudice, in Dir. giur., 2004, spec. 8 ss.

16 Cfr., ad es., Navarretta, E., Diritto civile e diritto costituzionale, in Riv. dir. civ., 2012, I, 651 s.

17 Cfr. Cass., 6.12.2012, n. 21994; Cass., 10.5.2012, n. 7180.

18 Cfr. Gottwald, P., sub § 338 BGB, in Münchener Kommentar zumBürgerlichenGesetzbuch6,München, 2012, 2294,Rn. 1.

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