Cardiochirurgia

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Medicina e chirurgia

Branca della chirurgia che si occupa di intervenire sul cuore e sui grossi vasi allo scopo di correggere le alterazioni congenite o acquisite o, nei casi di estrema compromissione cardiaca, di provvedere al trapianto di organo o all’impianto di protesi sostitutive.

Cenni storici

I primi interventi chirurgici eseguiti sul cuore risalgono al 1896 (G. Farina) e al 1897 (A. Parrozzani, L. Rehn) e riguardano la riparazione di lesioni traumatiche (ferite di arma da punta e da taglio dei ventricoli). A parte ciò, la chirurgia cardiovascolare si è sviluppata attraverso una lunga maturazione teorica, sperimentale e clinica durata circa 50 anni. Nella sua fase iniziale essa si limitava a interventi extracardiaci, come nel caso della legatura del dotto di Botallo pervio (1938, R.E. Gross; 1939, P. Valdoni) o della resezione della coartazione aortica (1944, C. Crawford). Subito dopo la Seconda guerra mondiale sono state corrette con successo e con metodiche ‘a cielo coperto’, cioè a cuore chiuso e pulsante che non interrompe la sua funzione di pompa, alcune malformazioni intracardiache congenite e si sono così eseguite la valvulotomia transventricolare per la correzione della stenosi valvolare della polmonare (R. Brock) e la chiusura di piccole pervietà del setto interatriale (1952, C.P. Bailey; 1953, R.E. Gross; 1954, E.B. Kay e H.B. Shumacker ecc.). Negli stessi anni ha avuto enorme diffusione la commissurotomia mitralica transatriale (C.P. Bailey) per la terapia chirurgica della stenosi mitralica. Queste prime esperienze cliniche dimostrarono però che le tecniche a cuore chiuso, basate esclusivamente sulla guida del tatto, erano applicabili solo nel caso di vizi cardiaci semplici e che i risultati ottenuti in assenza del controllo visivo erano spesso insoddisfacenti e incompleti. Per allargare l’indicazione operatoria a cardiopatie più complesse si doveva, di necessità, riuscire ad aprire le camere cardiache e a interrompere il passaggio di sangue attraverso esse, allo scopo di aggredire e riparare le lesioni sotto il diretto controllo della vista.

La chirurgia a cuore aperto

Dopo il 1950, sono state individuate due diverse soluzioni, assai fruttuose per risultati terapeutici e apporto di conoscenze:

a) la possibilità di provocare un arresto circolatorio, temporaneo e reversibile, mediante l’ipotermia (1950, E.G. Bigelow);

fig. 1

b) la circolazione extracorporea del sangue (➔ by-pass), ottenuta sostituendo al sistema propellente e ossigenante naturale un cuore-polmone artificiali. La durata dell’arresto circolatorio in ipotermia non può oltrepassare i 7-8 minuti: si possono quindi eseguire solo interventi semplici di breve durata, come la valvulotomia della polmonare o la sutura di una pervietà interatriale. Per correggere chirurgicamente malformazioni cardiache più complesse, si è reso quindi necessario l’uso della circolazione extracorporea (CEC) che permette di escludere il cuore dal circolo per un lungo periodo di tempo senza rischio di anossia dei vari parenchimi. Le apparecchiature per la CEC si sono progressivamente perfezionate, così da poter essere impiegate per molte ore consecutive e senza rischi (fig. 1).

Tipi di intervento

Alle soglie degli anni 1960 sono state aggredite e corrette radicalmente e con successo quasi tutte le cardiopatie congenite, anche le più complesse (pervietà interatriali e interventricolari, stenosi e atresie polmonari, tetralogia di Fallot, trasposizione dei grossi vasi ecc.). Nel decennio successivo si è sviluppata la chirurgia a cuore aperto delle valvulopatie acquisite (vizi mitralici e aortici). Dopo i primi tentativi con tecniche conservative o correttive (plastiche, anuloplastiche) che davano risultati incostanti e non duraturi, si è passati alle tecniche di sostituzione valvolare. Le valvole lese vengono escisse e sostituite con protesi artificiali biologiche o meccaniche di varia forma. Sono anche disponibili valvole aortiche umane, prelevate in occasione di trapianti di cuore (e spesso recuperabili perché sane), senza rischio di rigetto grazie a un pretrattamento chimico. In caso di valvola mitralica alterata, si può evitare l’intervento aperto affidandosi alla dilatazione con un catetere a palloncino di opportuna forma e dimensione.

A partire dal 1970 è iniziato il periodo della terapia chirurgica per malattie coronariche, favorito dal diffondersi degli esami coronarografici. Per le coronaropatie è ora possibile una scelta, a seconda della patologia, fra dilatazione con palloncino, disostruzione con laser e mantenimento della pervietà con stent (supporti metallici espansibili). La rivascolarizzazione diretta del miocardio viene eseguita mediante by-pass coronarico con trapianto di vena o, preferibilmente, anastomosi di arteria mammaria interna. In pratica si impiantano uno o più ponti vascolari che saltano l’ostruzione coronarica, dimostrata con la coronarografia, e portano il sangue alla parte distale dell’arteria coronaria interessata. Sono sottoposti a questo intervento pazienti con malattia ostruttiva coronarica (➔ aterosclerosi) non suscettibile di rivascolarizzazione percutanea (angioplastica, stent).

fig. 2

Come terapia chirurgica degli esiti di infarto vengono resecati gli aneurismi del ventricolo sinistro, riparate perforazioni del setto o lesioni della valvola mitrale. Anche nel caso di gravi turbe della conduzione elettrica cardiaca (➔ aritmia) la chirurgia, più propriamente la cardiologia interventistica, può intervenire mediante l’impianto di pacemakers, elettrostimolatori artificiali che inducono ritmicamente la contrazione del miocardio (fig. 2).

Di pertinenza cardiochirurgica è anche l’impianto del cosiddetto cuore artificiale, cioè di una pompa meccanica destinata a sostituire l’azione propulsiva del cuore in caso di grave scompenso cardiocircolatorio irreversibile nell’attesa di poter eseguire un trapianto di cuore. Alla fine del 1967 risale il primo clamoroso tentativo di trapianto del cuore da uomo a uomo di C.N. Barnard, subito seguito da quelli di N.E. Shumway, D.A. Cooley, M.E. De Bakey. Nei due decenni successivi, i progressi tecnici e quelli realizzati nella prevenzione della crisi di rigetto hanno nettamente migliorato la prognosi del trapianto (➔) cardiaco, la cui attuazione in Italia è stata autorizzata nel 1985 e da allora largamente praticata.

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