CONIGLIANI, Carlo Angelo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONIGLIANI, Carlo Angelo

Marco Cupellaro

Nato a Modena il 25 giugno 1868 da Giusto ed Aristea Ravà, fu allievo di G. Ricca Salerno alla locale università e si laureò in giurisprudenza nel 1889, con la tesi Teoria generale degli effetti economici delle imposte (Milano 1890). Vinto il concorso per il perfezionamento per il 1889-90, frequentò a Pavia le lezioni di economia politica di L. Cossa, poi si recò a Londra per ulteriori studi che interruppe per assumere l'incarico di scienza delle finanze presso l'ateneo modenese (1892).

Nel suo primo lavoro, precoce e brillante applicazione degli assiomi neoclassici ai problemi finanziari, col significativo sottotitolo Saggio di economia pura, il C. compiva uno studio sistematico degli "effetti, prodotti nella vita economica ... dai mutamenti dell'imposta" in rapporto a due tipi astratti di società, antitetici dal punto di vista del grado di monetizzazione dello scambio e di sviluppo della divisione del lavoro. Il nuovo "indirizzo esatto-positivo" di provenienza anglo-austriaca forniva a suo parere i presupposti per il superamento sia della "timidezza di ricerca teorica" della scuola storica, sia dei "preconcetti sociali e politici che guastano il lavoro scientifico dei socialisti della cattedra".

All'influenza del Cossa, mentore della storiografia delle dottrine economiche italiane nella seconda metà del sec. XIX, sono da ricondurre i diversi saggi storici, alcuni dei quali destinati, nelle intenzioni del C., ad essere rifusi in un'opera dedicata alla storia delle teorie monetarie in Italia. Convinto della necessità di un "uso sapiente della deduzione e dell'induzione", quantunque portato ad identificare la "dichiarazione di metodo" marginalista con una doverosa esplicitazione delle "premesse fondamentali" della scienza economica, egli manifestò, fin dalla prolusione del '91-92 (Il diritto pubblico nei sistemi finanziari, Bologna 1892; cfr. Saggi ..., pp. 403-426), un atteggiamento di crescente critica nei confronti della corrente "edonistica" della finanza pubblica (A. De Viti De Marco, E. Sax, U. Mazzola), che sottolineando la razionalità economica del comportamento dell'ente Stato, finiva per relegare nel campo delle cause meramente "perturbative" il fattore politico, e con esso un elemento caratteristico del fenomeno finanziario come la coercizione.

Il vero soggetto attivo della finanza non era per il C. lo Stato, né il singolo cittadino, animato magari dall'impulso a conseguire un fantomatico "massimo edonistico collettivo" (su cui cfr. la risposta a M. Pantaleoni e A. Bertolini: Corrispondenze, in Giornale degli econ., s. 2, III [1892], vol. V, pp. 163-167), ma il governante, immediatamente titolare di propri bisogni ed utilità anche se sottoposto alla necessità di interpretare gli interessi presenti nella società civile, e in primo luogo quelli delle classi dominanti. L'autorità politica era da considerarsi come un vero e proprio ostacolo contro cui urta l'azione economica degli individui, regolata dalla legge del valore, "opera[ndo] detrazioni di ricchezza individuale che non corrispondono necessariamente ad alcuna soddisfazione di bisogni". Nell'ambito della spesa pubblica tornavano invece a prevalere le regole dello scambio in condizioni di parità formale (cfr. L'indirizzo teorico nella scienza finatiziaria, in Giornale degli economisti, V [1894], vol. IX, pp. 105-129, poi in Saggi..., pp. 427-452; Le leggi scientifiche della finanza, in Rivista di sociologia, II [1895], pp. 108-131, poi, ampliato, in Saggi..., pp. 453-527). Il dualismo tra i principi regolativi delle sfere dell'entrata e della spesa (politico l'uno, economico l'altro) è stato visto dalla maggior parte degli studiosi come il punto più criticabile, dal lato della coerenza interna, del modello del C., nonostante tentativi d'interpretazione come quelli del paretiano R. A. Murray e di M. Fasiani.

Il contributo del C. si inseriva in un più vasto filone politico-sociologico di teoria finanziaria nelquale confluivano, ispirandosi talvolta alla visione "storico-oppressiva" dello Stato di F. Ferrara, le ricerche di un altro marginalista eterodosso come G. Montemartini, gli studi di ispirazione moschiana e paretiana, le indagini di A. Puviani sulla "illusione finanziaria" e le elaborazioni di stampo loriano sulla "costituzione sociale" come risultato, storicamente determinato, dei contrasti tra le classi.

Nel '98 il C. vinceva il concorso a cattedra per l'insegnamento della scienza delle finanze, sempre nella facoltà giuridica modenese. In quegli anni gran parte delle sue riflessioni furono rivolte ai problemi (al centro del dibattito politico e scientifico dell'epoca) dell'ordinamento tributario italiano e della sua riforma.

Facilità di evasione, complessità dei metodi di riscossione, rigidità delle imposte in relazione alle vicende economiche dei contribuenti, intralci alla produzione e alla circolazione, sperequazione del carico fra le varie classi sociali erano il risultato di una trentennale politica finanziaria "viziata di opportunismo e di empirismo". Una linea di "sgravi" per le imposte indirette più impopolari e le fasce inferiori dell'imposta fondiaria, in funzione diretta della disponibilità di bilancio, era da giudicarsi insoddisfacente perché fondata su due presupposti inaccettabili: prosecuzione di una politica restrittiva della spesa pubblica in contrasto con gli accresciuti compiti economici e sociali dello Stato, e rinuncia ad una organica ristrutturazione del sistema fiscale. Sebbene convinto del futuro ruolo centrale di un'imposta personale e globale sul reddito, il C. riteneva improbabile, in considerazione del crescente fabbisogno finanziario pubblico, una scomparsa delle forme di tassazione indiretta (d'accordo in questo con F. S. Nitti). Egli divenne comunque uno dei più qualificati difensori, in riviste scientifiche ed organi d'informazione, dell'imposta progressiva sul reddito, che, incidendo maggiormente i consumi di lusso delle classi alte rispetto ai redditi medi, trovava per lui giustificazione, al di là di pur imprescindibili esigenze di giustizia, proprio da quel punto di vista produttivistico e conservatore invocato dai suoi avversari, ed era in questo senso "perfettamente consona a quelle tendenze che i partiti democratici abbracciano oggi, proclamandosi ... difensori della società capitalistica", ma anche avversari della "libertà economica assoluta" e convinti di "come la conservazione degli ordini sociali abbia a condizione sine qua non l'appoggio, non di pochi sfruttatori ultrapotenti, ma di ampie classi che da quegli ordini traggano sufficiente benefizio": Per l'imposta progressiva. Note critiche al libro del prof. Martello, in Riforma sociale, III (1896), pp. 123-146, poi in Saggi..., pp. 579-617; anche Laquestione delle imposte (In risposta al deputato Naquet), ibid., I (1894), pp. 580-591.

Ne La riforma delle leggi sui tributi locali (Modena 1898), opera fondata su una vasta base induttiva e su un costante raffronto con le esperienze legislative straniere, giudicata da L. Einaudi come "il più ampio, sistematico e completo contributo alla risoluzione dell'arduo problema che si sia pubblicato negli ultimi anni", le idee riformatrici trovavano un'applicazione piuttosto cauta: si proponeva il mantenimento del dazio di consumo, sia pure "ridotto ai consumi di lusso e graduato per modo da rassomigliare ad una imposta progressiva sulla spesa" (Einaudi), ed una solo parziale attuazione della riserva agli enti locali delle imposte reali, destinata a dotare questi di una vera autonomia tributaria; l'introduzione dell'imposta progressiva sul reddito veniva delineata limitatamente ai grandi centri urbani. Venivano stabiliti peraltro criteri per la progressività dell'imposta sulle successioni, per un'equa tassazione della rendita dei suoli urbani e, tramite il principio dei contributi di miglioria, per la partecipazione dei beneficiari di opere pubbliche al costo delle stesse.

La gridualità cui si ispiravano quelle proposte era dovuta in primo luogo al "calcolo (più che necessario in un riformatore che non voglia costruire utopie) delle resistenze dell'ambiente", com'era affermato, nel 1901, nel suo scritto incompiuto La riforma tributaria in Italia (cfr. Saggi..., pp. 695-713), quando il miglioramento delle condizioni del bilancio statale e la "richiesta di riforme ... in tutte le classi sociali" parevano aprire la strada a più vasti interventi, tanto più opportuni di fronte all'"urto minaccioso alla nostra economia nazionale" portato sia dal rafforzarsi delle tendenze protezionistiche internazionali sia dall'aumento dei redditi operai, favorito dalla nuova prassi giolittiana in materia di conflitti sul lavoro. Una vasta riforma avrebbe dovuto condurre "a scemare ancora il carico della tassazione indiretta, a fissare e coordinare meglio il sistema tributario centrale ponendo a complemento delle imposte indirette le imposte progressive sul reddito e sulle successioni, e a consolidare il sistema tributario locale ponendo a suo fondamento le imposte reali sui terreni, sui fabbricati, sulle industrie e commerci e sulle professioni e. a complemento necessario, le imposte sul consumi di lusso e le sovrimposte personali nei grandi centri" (ibid., pp. 700-701).

Ai medesimi concetti fondamentali si richiamava il progetto di riforma del ministro delle finanze L. Wollemborg, frutto di un intenso rapporto di collaborazione con il C., da questo rievocato ne La riforma tributaria dell'on. Wollemborg (in Giornale degli economisti, XII [1901], vol. XXIII, pp. 125-43; poi in Saggi..., pp. 675-694). Entrambi condividevano la convinzione della priorità, rispetto ai provvedimenti disorganici a sfondo più o meno demagogico, di una profonda riforma tributaria che, "coll'atterramento delle barriere interne, col passaggio del carico dalle fonti economiche al patrimonio e al reddito, collo sgravio dei consumi popolari, col risparmio di tante spese di riscossione e di tanti fastidi fiscali", sarebbe stata "il contributo più grande che lo Stato po[tesse] dare al risorgimento economico del Paese" (ibid., p. 678).

Sia prima sia dopo la bocciatura del progetto Wollemborg da parte del Consiglio dei ministri presieduto da G. Zanardelli (29 luglio 1901), seguita dalle dimissioni del ministro, il C. sviluppò un'intensa attività giornalistica in suo favore. In questa battaglia egli guardò ai partiti dell'Estrema Sinistra come ad importanti alleati, esortandoli a smentire il loro "preteso ministerialismo" coll'imporre come programma di governo la politica finanziaria del Wollemborg, presentata come "un episodio di quella battaglia grandiosa che, col grido di libertà e democrazia, il capitalismo produttivo ha combattuto e combatte dovunque nell'epoca odierna contro le classi improduttive e parassitarie", mentre una politica di libertà di organizzazione operaia che "non rimedia poi allo sperpero del capitale improduttivo ... prepara inevitabilmente, ... col ristagno dell'accumulazione del capitale variabile, una sollecita elisione delle conquiste economiche dei lavoratori" (cfr. Un economista, I provvedimenti finanziari e l'Estrema Sinistra, in Critica sociale, XI [1901], pp. 145-47, e La riforma tributaria e il Ministero Zanardelli, ibid., pp. 231-32).

Collaboratore di alcuni tra i periodici più rappresentativi della cultura italiana di fine Ottocento e, con particolare assiduità, della Riforma sociale diretta da Nitti, il C. prese posizione, oltre che sui problemi tributari, su numerosi altri problemi sia teorici sia pratici. Pur considerando la "crisi del marxismo" come un'inevitabile reazione sia alle sue aporie interne sia alle smentite empiriche da esso subite, egli fu critico verso quei tentativi di correzione che sulla scia della "nuova scuola ottimista degli alti salarii", negavano quell'antagonismo tra reddito operaio e profitto ben compreso invece già dai classici (cfr. Sul libro del Graziadei, in Rivista popolare, IV [1898-99], pp. 348-51; poi in Saggi..., pp. 209-23). Agli studi teorici in materia di distribuzione dedicò vari lavori, tra i quali un'approfondita esposizione critica delle teorie loriane (cfr. L'economia capitalista nel sistema teorico del Loria, in Archivio giuridico "F. Serafini", s. 2, IV [1899], pp. 83-145; poi in Saggi ..., pp. 133-207). Alcune delle conclusioni di questi scritti, che facevano tra l'altro ampio riferimento alla discussione sul III libro del Capitale di Marx, erano state anticipate ne I pronostici del futuro sociale (cfr. Riforma sociale, III [1896], pp. 827-44; poi in Saggi..., pp. 239-61), dove la previsione della crescita di lungo periodo dei salari e della conseguente discesa del saggio dei profitti come "fenomeni progressivi, costanti, sistematici perché prodotti dall'organica eccedenza dell'accumulazione sull'aumento della popolazione operaia" conduceva a delineare non più come una lontana utopia l'avvento di un'epoca in cui, ridottosi il reddito capitalistico ad un livello tale da "costringe[re] la grande massa dei capitalisti ad aggiungere nella produzione il contributo di un lavoro personale", si sarebbe "apprezz[ato] allora il lavoro come la sola naturale forza umana creatrice della ricchezza". Nel breve periodo, però, la tendenza all'aumento dei salari appariva come "un transitorio effetto dei mutamenti che si svolgono nel mercato del lavoro", anziché come causa essa stessa degli aumenti della produttività del lavoro. Nel 1901, in Movimento operaio e produzione nazionale, la conferenza incompiuta che il C. avrebbe dovuto tenere presso l'università popolare di Milano (cfr. Saggi..., pp. 725-41), di fronte allo sviluppo del movimento rivendicativo in Italia, erano illustrate le condizioni che sole avrebbero reso i suoi successi duraturi e compatibili con il progresso complessivo dell'economia: creazione di una mentalità "industriale" e diffusione dell'istruzione tecnica ed economica, adeguata disponibilità all'investimento e capacità riformatrice da parte della classe dirigente. Le politiche di difesa della piccola proprietà capitalistica ("di natura sua impotente ad adattarsi all'ambiente economico" e "chiusa a quello spirito che agita e vivifica il mondo economico moderno") erano definite, con un significativo mutamento di posizione, sia antieconomiche sia inefficaci. Grande produzione e crescita del reddito operaio, industrializzazione dell'agricoltura, adeguato sviluppo dell'industria leggera, conquista del mercato interno da parte delle forze produttive nazionali, "senza fondar speranze eccessive sul mercato internazionale o sulle colonie", erano i lineamenti del progetto del C. nella sua ultima versione.

Dotato di ampie disponibilità economiche familiari, fu solerte iniziatore di associazioni di carattere cooperativo e mutualistico e di attività industriali nel Modenese. Promosse, inoltre, forme di assistenza e beneficienza nell'ambito della locale comunità ebraica, cui egli apparteneva, e diede un importante contributo ai primi passi del movimento sionista in Italia, che egli concepì come fenomeno di solidarietà verso gli ebrei perseguitati dell'Europa centrorientale (per i quali propugnò la creazione di una homeland in Palestina, tutelata dal diritto pubblico internazionale) e di riaffermazione della propria identità culturale, senza porre in forse l'integrazione esistente in paesi come l'Italia. Alla sua opera si deve la nascita dell'Associazione sionistica modenese, cui venne affidata l'organizzazione del secondo convegno nazionale del movimento (1901), conclusosi con la costituzione della Federazione sionistica italiana. Fondò e diresse, inoltre, il mensile L'Idea sionista.

Morì a Modena il 6 dic. 1901.

Scritti principali. Sono da menzionare, oltre a quanto già citato, i saggi storiografici: Le basi subbiettive dello scambio nella storia letteraria della economia, Pavia 1890; L'aumento apparente delle spese pubbliche e "Le Denier Royal" di Scipion de Gramont, Milano 1890; Le dottrine monetarie inFrancia durante il medioevo, Modena 1890; Note storiche sulla questione giuridica dei pagamenti monetari, ibid. 1891;i saggidi teoria della distribuzione: Ilprofitto del capitale tecnico, in Giornale degli economisti, X (1899), vol. XVIII, pp. 115-37, 211-29; Sul conguaglio dei saggi di profitto, in Archivio giuridico..., V (1900), pp. 104-40. Inoltre: A proposito dell'imposta sul gaz, in Riforma sociale, II (1895), vol. III, pp. 975-83; Il "contabilismo socide" del signor Solvay, ibid., IV (1897), vol. VII, pp. 570-80; U. Rabbeno, ibid., pp. 888-94; Gladstone e la finanza inglese, ibid., V (1898), vol. VIII, pp. 543-78; La riforma tributaria e il Congresso degli agricoltori, ibid., pp. 1029-41; Sulla disoccupazione operaia in Italia, in Rivista popolare, IV (1898-99), pp. 167-69, 229-31; Sul preteso decremento del patrimonto nazionale italiano, in Giornale degli economisti, XII (1901), vol. XXIII, pp. 611-16. Insieme con U. Rabbens: Über das Hausiergewerbe in Italien, in Schriften des Fersins für Sozialpolitik, LXXXIII (1899), pp. 13-54. A c. del C. e di A. Loria comparve inoltre: U. Rabbeno, La questione fondiaria nei paesi nuovi, I, Torino 1898. Molti degli scritti del C. furono ripubblicati nel volume postumo di Saggi di economia politica e di scienza delle finanze, a cura di A. Graziani, Torino 1903.

Un elenco delle opere può ricavarsi dalla raccolta di necrologi Inmemoria di C. A. C. nel I anniversario della sua morte, Modena 1902 (ciascuno dei quali, però, bibliograficamente incompleto); da G. Valenti, L'opera sciettrifica di C. C., ibid.;e dagli indici generali del Giornale degli economisti e della Riforma sociale. A proposito del C. come promotore del movimento sionista, occorre consultare in primo luogo L'Idea sionista tra il n. 1 (31 genn. 1901) e il num. straord. del 6 genn. 1902 (dedicato per intero alla commemorazione del C.); in particolare: La Direzione, I nostri ideali, ibid., I (1901), 1, pp. 1-2; Il 2° convegno sionista italiano, ibid., n. 10, pp. 1-4; La parola di C. C., ibid., 6 genn. 1904, pp. 7-8.

Bibl.: Oltre alla cit. raccolta completa di necrologi e commeni. In memoria ... (contenente fra l'altro i necrologi di F. Turati, A. Loria, A. Graziani) ed alla cit. L'opera scientifica ... di G. Valenti, cfr.: E. Masè-Dari, L'imposta progressiva, Torino 1897, ad Indicem;A. Loria, Il capitalismo e la scienza, Torino 1901, pp. 105-10, 123-29, 141-44, 166, 189-207, 235-37; R. Michels, Storia critica del movimento socialista ital., Firenze 1926, p. 190; S. Lanaro, Nazione e lavoro in Italia. Venezia 1979, pp. 205-11. Sul C. come studioso di scienza delle finanze: L. Einaudi, La riforma tributaria locale, ne La Stampa, 31 Maggio 1898, p. 1; R. Dalla Volta, La riforma dei tributi locali, Firenze-Roma 1899, passim;A. Graziani, Istituzioni di scienza delle finanze, Torino 1951, ad Indicem, in part. pp. 73-75; R. A. Murray. Le nozioni dello Stato, dei bisogni pubblici e dell'attività finanziaria, Roma 1913, ad Indicem;Id., Principi fondamentali di scienza pura delle finanze, Firenze 1914, ad Indicem; B. Griziotti, Primi lineamenti delle dottrine finanz. in Italia nell'ultimo cinquantennio, Padova 1930, ora in Storia e storiografia del pensiero finanz., a cura di A. Li Calzi, Padova 1960, pp. 155-215 passim;M. Fasiani, La teoria della finanza pubblica in Italia, in Il pensiero econ. ital. (1850-1950), a cura di M. Finoia, Bologna 1980, pp. 152-55, 177 n., E. Morselli, C. A. C. nel pensiero scientifico della finanza pubblica, in Id., Studi di istituzioni e dottrine finanziarie, Padova 1936, pp. 41-72; Id., La storia della scienza delle finanze in Italia e Id., Sulla storiografia del pensiero finanziario, in Storia e storiografia..., cit., pp. 267-95 e 297-328, passim;J. M. Buchanan, La scuola ital. di finanza pubblica, in Il pensiero economico..., 1980, cit., pp. 236-39; P. Barucci, La diffusione del marginalismo 1870-1890, ibid., p. 85. Inoltre F. Del Canuto, Ilmovim. sionistico in Italia dalle origini al 1924, Milano 1972, pp. 39-41. I. E[llbogen], C. C., in The Jewish Encyclopaedia, IV, New York-London 1903, p. 227; U. C[assuto], C. C., in Jüdisches Lex., I, Berlin 1927, col. 1436.

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