TANZI, Carlo Antonio Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 94 (2019)

TANZI, Carlo Antonio Maria

Renato Martinoni

– Nacque a Milano nel 1710, discendente – ricordò il suo primo biografo, Giuseppe Parini (Elogio) – «d’un antica, e già cospicua famiglia» (in C.A. Tanzi, Rime milanesi, a cura di R. Martinoni, 2016, p. 291). Non si hanno notizie della madre, deceduta probabilmente prima del 1740. Il padre, archivista presso la ferma del sale, morì l’11 agosto 1751.

Delle tre sorelle, Girolama Camilla fu monaca di clausura nel monastero di San Lorenzo a Vimercate; un’altra, di cui il nome resta ignoto, si accasò a Modena e fu madre di tre figli; la terza, Felice, visse in casa del fratello, vicino a porta Vercellina (più tardi porta Magenta).

«I primi studi di lui», scrisse ancora Parini in una affettuosissima etopeia, «furono tali, quali era permesso alla fortuna del Padre, alla qualità de’ tempi e de’ coltivatori; ma il terreno per se stesso felice rendette assai più abbondantemente che non promettevano le circostanze» (ibid., p. 292). Tanzi frequentò le scuole di Brera, per poi trovare impiego come archivista e revisore presso la ferma del sale dove poi sempre lavorò, sostenuto, nell’ambito delle riforme amministrative ed economiche promosse dal governo austriaco, dal fermiere generale Antonio Greppi. La sua vita restò molto legata alla città in cui visse, se si eccettuano pochi viaggi di lavoro o diporto: a Mantova, Modena, Bologna, Brescia, nell’oltrepò, sul lago di Como, a Monza e nei Comuni fuori Milano.

Tanzi fu uomo franco, generoso e sincero ancorché a volte focoso nel carattere. Ecco la descrizione che ne diede Parini: «La fisonomia dell’animo era nella persona: alto di statura, grand’occhi neri vivaci, gran naso aquilino, tratti del viso aperti e fortemente scolpiti, parlare e movimento vibrati e risoluti». L’autore di Il giorno lo disse, inoltre, «nel conversare nimico d’ogn’impostura, d’ogni affettazione, pieno di lepidezze argute, di sali fini e dilicati senza ricercatezza» (in C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., p. 296).

La cultura di Tanzi fu più tradizionale e conservatrice che al passo con le novità di quel riformismo settecentesco che a Milano ebbe il suo momento di massimo splendore negli anni Sessanta del secolo. Anche se risulta impensabile immaginare i progressi dell’Illuminismo senza il lavoro certosino degli studiosi delle generazioni precedenti. Orientati sulla poesia e sull’erudizione, gli interessi culturali di Tanzi presero avvio negli anni Trenta, con la frequentazione di salotti e cenacoli letterari milanesi: quello del conte Ercole Sola, sede di un’Accademia di storia ecclesiastica; quello di Pietro Agnesi, padre della matematica Maria Gaetana; quello di Giovan Maria Bicetti de’ Buttinoni, pioniere nella ricerca sul vaiolo; e soprattutto quello di Giuseppe Maria Imbonati dove, nel 1743, venne rifondata l’Accademia dei Trasformati di cui Tanzi fu segretario perpetuo.

Come poeta esordì alla fine degli anni Trenta, con versi in italiano, e ai primi del decennio successivo, con poesie in dialetto milanese, tutte uscite in raccolte di occasione. Fu nella ‘Ragunanza di leggiadri spiriti’, che usava incontrarsi in casa dei Bicetti, che nacque l’idea di quelle Lagrime in morte di un gatto (a cura di D. Balestrieri, Milano 1741; rist., con introduzione e note di A. Bellio, Azzate 1984), impresa collettiva insieme giocosa e polemica che segnò l’avvio di un ventennio, ricco di stimoli e fervido di attività, che si concluse con la stampa di Il mattino e Il mezzogiorno pariniani e Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.

A spingere Tanzi a scrivere fu l’amicizia con altri poeti, come Giuseppe Baretti e Domenico Balestrieri. Nel 1741 fu ospite del canonico Giuseppe Candido Agudio, poi protettore di Parini, nella villa di Malgrate, vicino a Lecco, insieme con una brigata di amici: il medico Bicetti de’ Buttinoni, sua sorella Francesca (poi moglie di Imbonati), Balestrieri, Giuseppe Baretti, Francesca Manzoni, Luigi Giusti, Gian Carlo Passeroni, Remigio Fuentes, Pietro Cesare Larghi, Giovanni Andrea Irico: alcune tra le figure più importanti della scena letteraria lombarda del tempo.

Determinante per la scelta dei temi, alcuni di carattere occasionale (le lodi dell’osteria, le comete), altri, di carattere comico-satirico, impegnati nella direzione educativo-riformistica che sarà poi del Parini del Giorno (le smancerie e le inutili cerimonie dei nobili, l’impostura, la spilorceria), fu l’attività svolta in ambito accademico. Tanzi si mosse fra rime serie e bernesche, riservando soprattutto per il dialetto la strada satirica e comico-realista (Isella, 1959, pp. 428 s.). Se in vita il poeta non volle mai riunire in volume le sue poesie, vi provvidero quattro anni dopo la morte gli amici Balestrieri e Parini. Osservò quest’ultimo in un’affettuosissima prefazione-ricordo: «Il Tanzi ancora è stato uno di que’ primi che, ad onta de’ cattivi metodi, hanno contribuito in questo secolo a far rinascere in Milano il buon gusto delle lettere» (in C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., p. 294). Volendo fissare il canone sei e settecentesco della migliore poesia in dialetto milanese, e lamentando la scomparsa dei suoi propilei, Carlo Porta mise Tanzi fra le cinque «glorie»: «Varon, Magg, Balestrer, Tanz e Parin, / Cinqu omenoni proppi de spallera, / Gloria del lenguagg noster meneghin, / Jesuss! hin mort, e inscì nol fudess vera» (Varrone, Maggi, Balestrieri, Tanzi e Parini, cinque grandi uomini proprio di prim’ordine, gloria della nostra lingua meneghina, ahimè! son morti, e così non fosse; C. Porta, Le poesie, a cura di D. Isella, Milano 2000, p. 16, vv. 1-4).

Già nel 1754 tuttavia Tanzi dichiarò di voler lasciare «le Muse a coloro che han buone spalle, e che resister possono alla fatica». Tanto era l’impegno, accanto al lavoro presso la ferma del sale, richiesto dalla carica di segretario perpetuo dell’Accademia dei Trasformati; e soprattutto tanto grande la passione per le ricerche negli archivi milanesi al servizio degli amici eruditi lombardi e veneti (numerosissime furono le lettere scambiate con loro): il conte bresciano Giammaria Mazzuchelli, editore degli Scrittori d’Italia, Francesco Saverio Quadrio, il bergamasco Pier Antonio Serassi. Mettendo a disposizione di altri, rilevò ammirato Parini, «la propria persona e i proprj talenti» e fornendo «infiniti lumi, e rare notizie».

E intanto Tanzi, che già in una bosinata (Rezitæ in la Cademia sora l’invenzion di coss, C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., pp. 152 s.) si fece storico ante litteram della letteratura lombarda, assemblò materiali per «una Storia Cronologica di tutti i Poeti Milanesi d’ogni secolo» di cui purtroppo non restano tracce. Fra il 1756 e l’anno successivo si fece poi editore della Raccolta milanese, un foglio erudito che, pubblicando inediti (di Gasparo Visconti, di Bramante) e contributi, per esempio di Gian Rinaldo Carli, si proponeva di promuovere il vero «senza anticipati giudizi» e di favorire «l’avanzamento delle lettere». Fu nuovamente Parini a lodare tali iniziative: «Il Tanzi ancora è stato uno di que’ primi che, ad onta de’ cattivi metodi, hanno contribuito in questo secolo a far rinascere in Milano il buon gusto delle lettere: ed ecco un motivo di più per obbligarci a tenerne viva la memoria» (in C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., p. 294).

Tanzi fu in primissima linea anche nella difesa del dialetto, specie in una violenta polemica che, fra il 1759 e l’anno successivo, oppose i Trasformati (Tanzi, Parini e Balestrieri), convinti assertori della dignità letteraria del milanese, al padre barnabita Paolo Onofrio Branda, celebratore di un toscanismo linguistico tanto radicale quanto oramai ridicolmente desueto.

Fin dalla giovinezza il poeta soffrì di gravi problemi di salute, primo fra tutti l’etisia: «un male», spiegò il primo biografo, che «gli tenne quasi sempre abbattuto il corpo, senza potersi mai render tiranna della mente ch’egli conservò sempre alacre, vivace, indefessa in mezzo alla fatica ed all’applicazione» (ibid., p. 293). Scrisse di lui, nel 1760, Peppina Naturani, una giovane figlia di mercanti che il poeta allevò affidandola a maestri-umanisti: «Egli è maghero, e smunto, che fa compassione a’ sassi. I Medici non sanno ormai più come rimediarci». E nell’agosto del 1761: «La di lui vita [...] è quasi un miracolo» (Martinoni, 2016, pp. LXXX s.).

Nel novembre del 1761 Tanzi andò per l’ultima volta in villeggiatura in compagnia di alcuni Trasformati nel palazzo dei conti Imbonati, a Cavallasca, sul lago di Como: dove, come ricordò un testimone, la «Ragunanza di leggiadri spiriti» visse fra «canti, suoni, poesie, cibi scelti, vini grati, e passeggiatelle, e risa, e giuochi, dal cantar del gallo fino a notte chiusa» (ibid., pp. LXXXI s.).

Tornato a Milano, convinto della qualità e della novità del «gentil poemetto», prima di Natale scrisse a Brescia alla ricerca di un editore disposto a stampare Il mattino pariniano. «Satira più grave, più utile, e più ben trattata di questa», osservò acutamente, «difficilmente si trova» (v. Martinoni, 2014, p. 29). Fu il canto del cigno di un uomo «sincero e liberale», «sempre costante nell’amicizia» e «inteso all’altrui bene» (così lo disse un Avviso circolare postumo pubblicato a Brescia), di «un animo generoso», di «uno di que’ valentuomini, il fine de’ quali è di rendersi utile alla Repubblica, e di sacrificarsi per la medesima» (in C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., p. 289).

Morì a Milano, per uno sbocco di sangue, il 18 maggio 1762, lasciando una ricca biblioteca di opere drammatiche in parte acquistata da Giuseppe Casati.

Opere. La prima edizione in volume delle rime di Tanzi fu curata da Giuseppe Parini e Domenico Balestrieri: Alcune poesie milanesi, e toscane di Carl’Antonio Tanzi, Milano 1766; la seconda, Poesie di Carl’Antonio Tanzi, Milano 1816, da Francesco Cherubini nel quarto tomo della Collezione delle migliori opere scritte in dialetto milanese; la terza, C.A. Tanzi, Le poesie milanesi, a cura di R. Martinoni, Pistoia 1990, reca in appendice un glossario del lessico tanziano. La più recente è: C.A. Tanzi, Rime milanesi, a cura di R. Martinoni, Milano-Parma 2016.

Fonti e Bibl.: G. Parini, Elogio, in C.A. Tanzi, Rime milanesi, cit., pp. 291-301; R. Martinoni, Nota biografica, ibid., pp. LXXV-LXXXIII; P. Bartesaghi, Il «prete» Parini: la lettera agli amici di Brescia per la morte del T., in Rivista di letteratura italiana, 2018, vol. 36, n. 1, pp. 105-112. Si vedano, inoltre: D. Isella, Carl’Antonio T., in Lirici del Settecento, a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959, pp. 427-429; R. Martinoni, Carl’Antonio T., in Varon, Magg, Balestrer, Tanz e Parin... La letteratura in lingua milanese dal Maggi al Porta, a cura di D. Isella, Milano 1999, pp. 80-86; Id., Il ristoro della fatica. Erudizione e storia letteraria nel Settecento, Venezia 2014, ad indicem. Sulla contesa intorno al dialetto milanese: G.B. Salinari, Una polemica linguistica a Milano nel sec. XVIII, in Cultura neolatina, IV-V (1944-1945), pp. 61-92; R. Martinoni, «Il gergone o patuà del loro paese». Una polemica linguistica del Settecento, in Id., Il ristoro della fatica..., cit., pp. 195-264, 314-327.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Francesco saverio quadrio

Dei delitti e delle pene

Giuseppe maria imbonati

Domenico balestrieri

Francesco cherubini