BORGO, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BORGO, Carlo

Giuseppe Pignatelli

Nato a Vicenza il 26 luglio 1731 da Ignazio e Santa Borgo, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1746. Discepolo del Pellegrini, insegnò lettere in vari collegi della Compagnia e teologia a Modena, ove si segnalò anche come valente predicatore, succedendo nella fama al padre Granelli. Di questi anni ci rimane una Orazione in lode di Clemente XIII detta in Padova per l'elezione di lui al sommo pontificato l'anno 1758, s.l. né d., pubblicata certamente dopo la soppressione della Compagnia, in quanto l'elogio di Clemente XIII è parallelo al rimpianto per l'estinto istituto ignaziano, della cui causa quel pontefice si era reso benemerito. Destò, quindi, un certo interesse l'Analisi ed esame ragionato dell'arte della fortificazione e difesa delle piazze, Venezia 1777, un trattato dedicato a Federico II di Prussia, che aveva agli occhi del B. il gran merito di proteggere nei suoi Stati i membri della disciolta Compagnia.

L'opera, che secondo l'autore avrebbe dovuto completare quella sugli assedi del Vauban, suggeriva la costruzione di fortificazioni che offrissero al nemico la minor superficie possibile d'attacco; consigliava una difesa statica basata piuttosto sulla potenza, delle artiglierie che sulle sortite; mostrava l'utilità dell'uso di proiettili a punta al posto delle palle; e progettava, infine, un telegrafo ottico da campo, fissando cifre e segni convenzionali. Federico II premiò il B. con un brevetto di tenente colonnello onorario del genio, mentre l'opera conosceva due traduzioni: in lingua spagnola ad opera del gesuita Casseda e in francese ad opera dell'abate J. J. Rossignol (Pensées sur l'art de fortifier les places..., Turin 1805).

Nel novembre 1780 era pubblicata anonima e con la falsa indicazione di Cosmopoli la Memoria cattolica da presentarsi a Sua Santità. Il B. l'aveva composta fin dal 1776, subito dopo l'elevazione di Pio VI al soglio pontificio, e l'operetta si era diffusa manoscritta, specialmente nella Repubblica di Venezia, più cautamente anche a Roma, verso il 1778. In essa si sosteneva che il breve Dominus ac Redemptor, che aveva sciolto la Compagnia, era un atto invalido, nullo e illegittimo, "ingiurioso al pontificato, dannoso alla Chiesa, e patentemente estorto dalla violenza d'una cabala nemica d'ogni giustizia" (p. 12).

All'apologia dei gesuiti si aggiungeva un aspro attacco a Clemente XIV, e in genere all'autorità pontificia. Il B., con un linguaggio non molto dissimile dai suoi avversari giansenisti, definendo le prerogative del papa, affermava: "tutta l'autorità che egli ha nella Chiesa, l'ha da Gesù Cristo in favor della Chiesa; e solamente in favor della Chiesa, e a bene di Lei egli può tutto: a danno di lei Egli non può nulla. Egli può comandare; ma se Egli sorpreso come uomo comanda una ingiustizia, che disonori la Chiesa, che offenda la Chiesa, e che metta in periglio la Chiesa, il suo comando è nullo" (p. 77).

È naturale, quindi, che negli ambienti di Curia l'opera fosse accolta con indignazione e ci si preoccupasse di impedirne la diffusione: il 9 genn. 1781 il papa ordinò la carcerazione dello stampatore, Luigi Perego, già laico gesuita, ritenuto responsabile della pubblicazione. Nello stesso giorno il ministro di Spagna a Roma, Grimaldi, presentava al cardinal Pallavicini, segretario di Stato, un promemoria, in cui si chiedeva la condanna dell'opera e l'esemplare punizione dei responsabili, cui fece seguito l'11 gennaio un colloquio con il papa stesso. Il 13 gennaio il maestro del Sacro Palazzo, padre Schiara, pubblicava un editto in cui proibiva "l'ulteriore introduzione, spaccio e retenzione della sudetta Memoria cattolica" (vedi Seconda memoria cattolica, Buonaria 1788, p. III). Infine il 13 giugno usciva un breve apostolico di condanna dell'opera come contenente "proposizioni offensive delle pie orecchie, scandalose, temerarie, erronee, ingiuriose, sediziose, sospette di eresia, e tendenti allo scisma: e qual libello infamante e ingiurioso sì alla Santa Sede, e sì a' Principi cattolici" (ibid., p.VIII).Fu quindi ordinato che fosse bruciata per mano del boia, mentre il 2 settembre il Perego fu condannato all'esilio.

Il B., sconosciuto autore del libello, sembra non aver avuto parte alcuna nella sua pubblicazione, anzi negli Anecdoti interessanti di storia e di critica sulla Memoria cattolica, s.l. 1787, si lamentava di alcune aggiunte inserite nell'edizione del 1780. Ritiratosi a Parma, componeva frattanto l'Orazione in lode di s. Ignazio di Lojola fondatore della Compagnia di Gesù, s.l. 1786, in cui profetizzava la rinascita dei gesuiti, e la Novena in apparecchiamento alla festa del Sacro Cuore di Gesù ad uso delle persone religiose, Ferrara 1786, che ebbe altre edizioni italiane e traduzioni in tedesco, inglese, spagnolo, olandese, polacco, fiammingo ed arabo. In sostanza il B. rimaneva attaccato all'apologia dell'estinta Compagnia: gli sfuggiva quindi la necessità di una presa di contatto con più vasti settori del mondo cattolico per respingere gli attacchi che venivano mossi alla Chiesa da più parti, rinunciando a sostenere particolari opinioni nel campo della teologia e della morale per convergere su alcuni fondamentali caposaldi di disciplina ecclesiastica, quali l'idea dell'accentramento gerarchico intorno al papa. Non rifuggiva perciò, nei già citati Anecdoti interessanti..., di attaccare violentemente il domenicano T. M. Mamachi, ritenendolo l'autore delle censure alla Memoria cattolica, fondate, secondo lui, su falsità tali da indurre Pio VI alla condanna dell'opera. Questa posizione settaria viene mantenuta anche nella polemica che il B. svolge contro i tentativi riformatori dei giansenisti e particolarmente contro il sinodo di Pistoia. Pubblicati gli atti di questo nel 1788, ed essendo stata creata dal papa una congregazione di cardinali e vescovi per esaminarne l'ortodossia, il B. tentò d'influenzarne le decisioni con l'anonima Lettera ad un Prelato romano dove con gran vivezza e con profonda dottrina vengono confutati gli errori de' quali abbonda il Sinodo di Monsignor De Ricci vescovo di Pistoja e Prato, Hala (Assisi) 1789, che circolò effettivamente fra i consultori della Congregazione (Bibl. Vat., Vat. lat. 10502, f. 245: Zaccaria a Severoli, 9 maggio 1789).

Il B. trovava negli atti del sinodo pistoiese errori già condannati dalla S. Sede negli eretici Calvino, Lutero, Hus, Wycliffe, Baio, quali l'attacco al primato del papa, che veniva equiparato agli altri vescovi; le affermazioni che la Chiesa è composta di soli giusti, che la grazia è invincibile, che tutte le azioni umane, senza la grazia divina, sono peccati; l'inutilità delle indulgenze; il lamento della corruzione della Chiesa. Questa congerie di errori propria di diverse sette, staccate da Roma, sembrava al B. fornire la prova che "il Giansenismo è un complotto di veri Deisti nemici non solo dell'integrità cattolica, ma del Cristianesimo tutto, e di Gesù Cristo" (p. 57). Il B. riprendeva così il vecchio motivo della congiura ordita da giansenisti ed atei contro la Chiesa a Borgo Fontana. Unico rimedio che l'ex gesuita vede in una situazione tanto precaria per le sorti della religione, e che non manca di suggerire alla Curia romana, è la ricostituzione della Compagnia di Gesù per debellare il giansenismo "all'ignaziana spada da Dio fino dal primo suo sorgere destinato" (pp. 65 s.).

Attaccato dall'organo di stampa ricciano Annali ecclesiastici di Firenze (IX [1789], pp. 117-119), il B. replicava con la Seconda lettera ad un Prelato romano sull'idea falsa,scismatica,erronea,eretica,contradittoria ridicola della Chiesa formata dal Sinodo di Pistoja,pubblicata per mancia agli scrittori degli Annali Ecclesiastici di Firenze, Hala 1790, in cui accusava i giansenisti di tendere a trascinare la Chiesa in uno stato di anarchia, in quanto, ne negavano l'infallibilità rigettando la bolla Unigenitus, ovvero di ridurla ad essere il "ripiego esterno della Chiesa luterana", con il sottometterla all'autorità del principe considerato vescovo esteriore.

Il B. morì a Parma il 5 giugno 1794.

Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Ferraioli 386, ff. 1-55; Epistolario di Vincenzo Monti, a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, p. 156; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, II, Venezia 1835, pp. 141-143; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant'anni, App., Venezia 1857, p. 87; F. H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, II, Bonn 1885, pp. 925 s.; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, I, Venezia 1905, pp. 215-217; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, I, Bruxelles 1890, coll. 1796-1803; P. Savio, Devozione di mons. A. Turchi alla S. Sede, Roma 1938, p. 175; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccles., LX, p. 227; LXX, p. 168; Encicl. Catt., II, col. 1918.

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