CARAFA, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CARAFA (Caraffa), Carlo

Georg Lutz

Nacque nel 1584 a Napoli, secondogenito di Fabrizio, conte di Grotteria, marchese di Castelvetere e (dal 1594) principe della Roccella, e di Giulia Tagliavia d'Aragona. Dopo aver terminato gli studi conseguendo il titolo di dottore in utroque, entrò al servizio pontificio. Referendario delle due Segnature a partire dal 1608, diventò in seguito prelato di consulta e prelato domestico di Sua Santità. La sua carriera di Curia fu favorita dal matrimonio del fratello Girolamo con Diana Vittori, nipote di Paolo V, celebrato nel 1607. Il 19 luglio 1616 fu nominato vescovo di Aversa, ma si fece consacrare prete solo il 7 agosto successivo. Risiedette poco nella sua diocesi, che gli forniva entrate del valore di 7.500 scudi circa, e nel 1619 vi tenne un sinodo diocesano. All'inizio di aprile del 1621 fu nominato da Gregorio XV nunzio ordinario presso la corte dell'imperatore Ferdinando II, dove giunse alla fine di maggio.

Secondo l'istruzione principale del 12 apr. 1621 il C. si doveva adoperare per stabilire su fondamenta più solide la pace conclusa tra l'imperatore e Venezia e fare pressioni sull'imperatore perché intervenisse contro i principi protestanti dell'Impero che appoggiavano gli ugonotti francesi. Doveva prospettare inoltre l'opportunità di cercare la soluzione della successione lorenese all'interno della famiglia ducale stessa, in modo da escludere pericolose rivendicazioni francesi e spagnole sul ducato. Per quel che riguarda la questione valtellinese, che minacciava di sfociare in un conflitto franco-spagnolo, doveva persuadere Ferdinando II ad esercitare la sua influenza sugli Spagnoli per ottenere libertà di transito nei passi alpini contesi, lo smantellamento delle fortezze e la salvaguardia degli interessi della popolazione cattolica. Tuttavia il compromesso, che fu raggiunto con la garanzia del papa, risultò insoddisfacente per la Francia e indusse nel 1624 Richelieu ad intervenire militarmente in Valtellina. Infine doveva indurre Ferdinando II a collaborare efficacemente con la Polonia, in considerazione del pericolo di un'offensiva turca nell'Europa orientale.

Ma molto più che di questi problemi europei, il C. fu costretto ad occuparsi delle vicende interne dell'Impero nel corso della sua settennale nunziatura. Al suo arrivo alla corte imperiale, la situazione politica era caratterizzata dalla vittoria clamorosa che l'imperatore e la lega cattolica sotto la guida della Baviera avevano riportato contro gli alleati calvinisti di Federico V del Palatinato, il "re d'inverno" della Boemia, alla Montagna Bianca presso Praga, nel novembre del 1620. Nella posizione di forza della fazione cattolica Roma vedeva un'ottima opportunità per la restaurazione completa dell'autorità imperiale e una vasta ricattolicizzazione della Germania. Al C. fu dunque raccomandato nella sua istruzione di favorire in ogni modo la continuazione della guerra per la quale il papa si dichiarava disposto a raddoppiare i sussidi. In un primo momento il C. doveva perciò sollecitare la sottomissione definitiva dei domini ereditari degli Asburgo, in particolare della Boemia, e di insistere per l'espulsione dall'Ungheria di Gábor Bethlen, il principe calvinista della Transilvania. Con la riuscita di queste imprese, concluse felicemente alla fine del 1621, l'imperatore avrebbe avuto mano libera per procedere alla ricattolicizzazione forzata dei suoi domini ereditari e agire più risolutamente all'interno dell'Impero. Si trattava anzitutto di trovare un candidato per la dignità elettorale del Palatinato, vacante dopo la messa al bando imperiale di Federico V all'inizio del 1621, e una soluzione per il futuro dei territori palatini, ancora in mano del conte quando il C. assunse il suo ufficio. Una rapida conquista del Palatinato Superiore e del Palatinato Renano era nei voti dell'imperatore e della Baviera ma anche di Roma; la S. Sede e la corte imperiale erano inoltre d'accordo sulla necessità di concedere la dignità elettorale a un cattolico per assicurare la maggioranza cattolica nel Collegio dei principi elettori. Divergenze esistevano solo sulla persona del candidato e sui tempi della concessione: mentre il C. doveva sollecitare con tutti i mezzi l'investitura immediata di Massimiliano di Baviera, sostenuto pienamente da Roma come il più forte esponente del partito cattolico e delle tendenze controriformiste nell'Impero, ambienti influenti della corte imperiale patrocinavano invece un'altra soluzione e cercavano di guadagnare tempo. Così il C. incontrò presto resistenze alimentate soprattutto dagli Spagnoli che desideravano lasciare aperta la questione della successione elettorale.

La diplomazia pontificia poté conseguire un successo temporaneo quando il C., insieme al cappuccino Giacinto da Casale, giunto a Vienna nel luglio del 1621 come emissario di Gregorio XV, addusse, nei suoi colloqui con l'imperatore, con sempre maggiore frequenza argomenti eticoreligiosi anziché politici; nel settembre il cappuccino indusse Ferdinando a rilasciare un diploma segreto di investitura a favore di Massimiliano. Ma alla fine di ottobre alcune lettere del C. indirizzate a Roma, che lamentavano l'esitazione della corte imperiale, e altre corrispondenze diplomatiche compromettenti caddero nelle mani dei seguaci di Federico V che le resero immediatamente di pubblica ragione, provocando l'inasprimento dei contrasti confessionali nell'Impero e disaccordi tra Vienna, Roma, Monaco e Madrid. A dispetto di questo incidente, il C. insistette, fino all'autunno del 1622, in collaborazione - anche se poco armonica - con il nunzio straordinario Fabrizio Verospi, per una investitura ufficiale e immediata di Massimiliano che il papa cercò di ottenere con la forza, sospendendo il pagamento dei sussidi. La concessione della dignità elettorale a Massimiliano avvenuta alla fine di febbraio 1623, nel corso della riunione di Ratisbona, fu comunque il risultato dell'opera del C., ma solo nel 1628 fu riconosciuta dall'Imperatore l'ereditarietà.

Il consolidamento della posizione del partito cattolico nell'Impero raggiunto in tal modo, l'occupazione dei territori palatini conclusasi contemporaneamente e l'estensione fortunata della guerra nella Germania nordoccidentale permisero al C. di dedicarsi con maggiore intensità al suo secondo compito, cioè al ripristino della giurisdizione ecclesiastica, alla riorganizzazione della Chiesa nell'Impero e al miglioramento della disciplina ecclesiastica. Doveva preoccuparsi soprattutto dell'elezione e della nomina di vescovi degni e di far valere nuovamente il diritto pontificio di conferma; doveva procedere contro il malcostume di predeterminare nei capitoli l'esito delle elezioni con accordi preliminari e intervenire contro l'usurpazione delle entrate ecclesiastiche, l'alienazione dei beni ecclesiastici e gli abusi nella concessione di canonicati e di altri benefici. A Roma si sperava che l'attuazione dei decreti di riforma del concilio di Trento avrebbe eliminato tali abusi e rafforzato l'autorità pontificia in Germania. Mentre questo lavoro procedeva nell'occidente dell'Impero e soprattutto nella nunziatura di Colonia, il C. volse le sue energie alla restaurazione del cattolicesimo negli Stati ereditari austriaci e nell'Ungheria. Il suo intervento personale fruttò risultati duraturi soprattutto in Boemia, dove nel 1621 la Chiesa cattolica versava in uno stato di completo sfacelo; l'istruzione era passata quasi completamente in mano protestante e i beni ecclesiastici erano stati alienati in larga misura. Con le sue instancabili iniziative riuscì a indurre le esitanti autorità statali ad intraprendere l'attuazione dei progetti di controriforma abbozzati dalla corte imperiale e ad adottare spietate misure di ricattoficizzazione, che nel corso di pochi anni ribaltarono completamente la situazione non soltanto in campo confessionale.

Nel 1623 il C. si trattenne parecchio tempo a Praga per seguire da vicino l'evolversi della situazione ecclesiastica e sollecitare l'attuazione di sempre nuovi provvedimenti. Già alla fine del 1622 aveva fatto espellere gli ultimi predicatori luterani fin allora tollerati, fatto chiudere le chiese non cattoliche, allontanato i maestri protestanti e appoggiato la ricattolicizzazione dell'università; nei due anni successivi ottenne successi decisivi nella ricattolicizzazione forzata della popolazione sia nelle altre città della Boemia che nelle campagne. La sempre maggiore durezza degli editti imperiali e della loro applicazione non provocava tuttavia solo conversioni in massa, ma anche massicce emigrazioni e sporadiche rivolte contadine. Un'ultima ondata restauratrice, iniziata nel 1626 e rivolta soprattutto contro la nobiltà, portò a un profondo cambiamento nel ceto dei proprietari in Boemia, assicurando definitivamente il potere alla nuova nobiltà cattolica e all'alto clero. I provvedimenti repressivi, che colpivano in primo luogo i calvinisti e membri di altre sette protestanti, ma anche ussiti e luterani, erano seguiti da iniziative del C. dirette a rivivificare e riformare il cattolicesimo non soltanto. in Boemia: fece venire religiosi dalla Polonia per supplire all'insufficienza quantitativa e qualitativa del clero locale; restaurò i vecchi monasteri abbandonati ed istituì seminari e collegi per la formazione del clero; creò nuovi vescovati, favorì le missioni degli Ordini, l'istruzione religiosa del popolo e la pubblicazione di libri cattolici. Nel 1628 la ricattolicizzazione dei domini asburgici, che in Moravia, nell'Austria Inferiore, in Carinzia, Carnia e Ungheria per considerazioni politiche ed economiche si era svolta in forme più moderate, poteva considerarsi conclusa. Non pare invece che il C. abbia contribuito in modo decisivo all'elaborazione del cosidetto "editto di restituzione", progettato sin dall'autunno 1627 ed emanato finalmente nell'autunno del 1629, che doveva porre le basi giuridiche per la ricattolicizzazione di tutti i territori tedeschi e la riconquista dei diritti e dei beni perduti dalla Chiesa cattolica a partire dal 1552 in tutta la Germania.

Il C. fu uno dei pochissimi nunzi non richiamati a Roma dopo l'elezione di Urbano VIII avvenuta nel 1623: segno inequivocabile del favore goduto presso l'imperatore, che del resto nell'agosto del 1622 aveva concesso al padre il titolo ereditario di principe del Sacro Romano Impero. Ma proprio al tempo di Urbano VIII le tensioni tra Roma e la corte imperiale ripresero fiato. Erano causate dalla politica filofrancese del nuovo papa, dalla sospensione del pagamento dei sussidi e da alcune controversie (come il conflitto per i diritti di esenzione dell'abbazia benedettina di S. Massimino a Treviri e la richiesta imperiale, respinta da Roma, di dividere il patriarcato di Aquileia) che il C. non riuscì a comporre. Ma la situazione precipitò nel 1628, quando ebbe inizio il conflitto per la successione mantovana. Il C., che in un primo momento aveva cercato di raggiungere un accordo amichevole, sollecitando un lodo arbitrale immediato dell'imperatore sulle rivendicazioni dei singoli pretendenti, si procurò le reprimende della Curia quando nel marzo del 1628 appoggiò apertamente e con segrete minacce il candidato della Francia e del papa. Alla fine di maggio giunse alla corte imperiale di Praga il nunzio straordinario Giov. Batt. Pallotta; i due nunzi cercarono, con la loro mediazione, di preparare una soluzione pacifica del conflitto mantovano, ma i loro sforzi rimasero vani a causa della crescente influenza sull'imperatore degli Spagnoli decisi alla guerra. In questa situazione Urbano VIII, il 15 settembre, nominò il Pallotta nunzio ordinario e successore del C., che nello stesso tempo fu richiamato a Roma. Il C. lasciò Vienna il 26 settembre, si fermò, a metà novembre, per due giorni a Venezia, dove trattò la questione di Aquileia sostenendo, con disappunto della segreteria di Stato, il punto di vista imperiale, ed arrivò a Roma il 9 dicembre.

Il richiamo del C. significò anche la fine della sua carriera. Sebbene la nunziatura alla corte imperiale fosse considerata una sicura promessa per il cardinalato e l'imperatore fosse intervenuto in suo favore a Roma, dove ancora nel 1626 si contava fermamente sulla sua elevazione, questa gli fu negata. I motivi della sua disgrazia presso Urbano VIII non hanno niente da vedere con la questione mantovana, nella quale egli non si distaccò mai in modo rilevante dalla linea politica del papa. Anche la missione del suo successore, il Pallotta, era stata decisa al più tardi nell'aprile 1627, parecchio tempo prima cioè dell'esplosione del conflitto mantovano, che fornì solo l'occasione per la sua sostituzione. I veri motivi della disgrazia si debbono invece individuare nella rivalità con i gesuiti. Il ruolo dominante svolto dai gesuiti nella ricattolicizzazione dei domini austriaci e il monopolio dell'istruzione, in particolare da quando erano state affidate loro le università di Vienna e di Praga, avevano portato, sin dal 1624, a conflitti con gli altri Ordini e con gli ordinari competenti. Gli interventi accomodanti del C. risultarono, anche per l'influenza del combattivo cappuccino Valeriano Magni, sempre più svantaggiosi ai gesuiti. Tra il C. e il gesuita Wilhelm Lamormaini, confessore dell'imperatore, si venne a un forte dissidio originato dai conflitti esplosi nelle due università. Mentre il C. non aveva mai dissimulato le sue accuse e insinuazioni contro i gesuiti e contro Lamormaini, quest'ultimo lo accusò, alla fine del 1627, a sua volta in Curia, contribuendo al suo richiamo. Ovviamente il papa preferì puntare sulla collaborazione dell'influente confessore dell'imperatore, anziché compensare i meriti di un nunzio rimasto del resto in carica molto più a lungo del solito. È significativo che il successore del C. fosse considerato un grande amico dei gesuiti e che il Lamormaini cercasse di influenzare l'imperatore sulla questione mantovana nel senso del pontefice.

Dopo il suo ritorno in Italia il C. si trattenne a Roma solo per breve tempo. Già il 17 febbr. 1629 si ritirò nel suo vescovato di Aversa, la cui amministrazione aveva affidato nel 1621-23 al suo vicario generale Carlo Maranta, poi a Paolo Squillante, che nel 1625 fece una visita pastorale della diocesi. Negli anni seguenti il C. fece eseguire nella cattedrale di Aversa numerosi lavori di ampliamento. Il 1º novembre 1630 mise la prima pietra per la costruzione di una cappella dedicata alla Madonna di Loreto, che era una copia dell'originale in scala minore. Inoltre fece costruire un coro per i canonici, installare due organi ed erigere la cappella del tesoro riccamente adornata e dedicata ugualmente alla Madonna di Loreto; nel 1637 sorse una nuova e grande sagrestia. Alla sua iniziativa si deve la dotazione di un "Monte de' poveri infermi" e nel 1638 la costruzione dell'orfanotrofio Mater Domini. A Napoli si fece costruire, ai piedi di Posillipo, un grande palazzo come residenza estiva. Dispose di una serie di benefici redditizi come l'abbazia di S. Vincenzo in Prato a Milano e la prepositura di S. Albino di Vigevano, ai quali rinunciò nel 1643 a favore del nipote e successore sulla cattedra vescovile di Aversa, Carlo.

Morì il 7 apr. 1644 a San Marco presso Aversa e fu sepolto nella cattedrale di S. Paolo di Aversa.

Opere. Commentaria de Germania sacra restaurata, Aversa 1630; Köln 1639; Frankfurt 1641 (con aggiunte che non sono di mano del Carafa).

Fonti e Bibl.: L'istruzione principale del 1621 è pubblicata in D. Albrecht, Die deutsche Politik Papst Gregors XV. Die Einwirkung der päpstlichen Diplom. auf die Politik der Häuser Habsburg und Wittelsbach 1621-1623, München 1956, pp. 105-33; la "Relatione dello stato dell'imperio e ecclesia in Germania" (1628), la più ampia delle sue numerose relazioni, è stata pubbl. da J. G. Müller, in Archiv für Künde österreichischer Geschichtsquellen, XXIII (1860), pp. 100-450. Indicaz. archivistiche per altre relazioni e corrispondenze della nunziatura del C., conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nell'Archivio Segreto Vat. e nel Zentralarchiv della Repubbl. Democratica Tedesca, Zweigstelle Merseburg, ed edizioni parziali di esse sono in H. Laemmer, Analecta Romana: Kirchengeschichtliche Forsch. in römischen Bibliotheken und Archiven, Schaffhausen 1861, pp. 32 ss., 119 ss.; A. Pieper, Die Relationen des Nuntius C. über die Zeit seiner Wiener Nuntiatur (1621-1628), in Histor. Jahrbuch, II (1881), pp. 388-415; H. Kiewning, Nuntiaturberichte aus Deutschland, IV, 17. Jahrhundert,Nuntiatur des Pallotto (1628-1629), I-II, Berlin 1895-1897, ad Indices (cfr., in particolare, I, pp. XVI, XXVII, XXXIV); I. Kollmann, Acta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide res gestas Bohemicas illustrantia, I, 1 (1622-1623), Pragae 1923, passim; J. Semmler, Das päpstliche Staatssekretariat in den Pontifikaten Pauls V. und Gregors XV. 1605-1663, Rom-Freiburg-Wien 1969, pp. 20, 24, 28. Altri scritti del C. e dati biografici si trovano in Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Urbinato latino, voll. 1084, ff. 303, 309', 462'; 1096, ff. 28, 35'; 1098 II, ff. 711, 715; 1099 I, ff. 108', 116; Ibid., Fondo Barberiniano latino, voll. 6345, f. 162; 6361, ff. 563 65'; 7572, ff. 89-99; 9893, ff. 209-210'; 13513, ff. 162-243; Arch. Segr. Vat., Segret. di Stato,Avvisi, vol. 96, f. 100. Cfr. inoltre: B. Aldirnari, Historia geneal. della famiglia Carafa..., II, Napoli 1691, pp. 304 ss., 395; I. G. Gravius, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae..., III, 1, Lugduni Batavorum 1704, pp. 337-40, 347 ss., 397 s.; Briefe und Akten zur Geschichte des Dreissigjährigen Krieges..., Die Politik Maximilians I. von Bayern und seiner Verbündeten 1618-1651, II, 1, a cura di W. Goetz, Leipzig 1907, ad Indicem; 2, a cura di A. Duch, Manchen-Wien 1970, ad Indicem; Petri cardinalis Pázmány... Epistolae collectae, a cura di F. Hanuy, I, Budapestini 1910, ad Indicem; F. Galla, Petri card. Pázmány... Epistolae ineditae..., Vác 1936, ad Indicem; B. de Meester, Corresp. du nonce Giovanni-Francesco Guiddi di Bagno (1621-1627), Bruxelles-Rome 1938, ad Indicem; G. Parente, Origine e vicende ecclesiastiche della città di Aversa, I, Napoli 1857, pp. 333, 340, 437; IIs ibid. 1858, pp. 378, 442, 454, 459, 461, 639 ss.; F. Hurter, Freidensbestrebungen Kaiser Ferdinands II, Wien 1860, pp. 212-80; J. Anthieny, Der päpstliche Nuntius Carl Caraffa. Ein Beitrag zur Gesch. des Dreissigjährigen Krieges, in Programm des Berlinischen Gymnasiums zum Grauen Kloster, Berlin 1869, pp. 3-29; A. Gindely, Gesch. der Gegenreformation in Böhmen, Leipzig 1894, pp. 95-519 passim; M. Ritter, Der Ursprung des Restitutionsedikts, in Historische Zeitschrift, LXXVI (1896), pp. 88-92, 98-101; R. Stiegele, Beiträge zu einer Biographie des Jesuiten Wilhelm Lamormaini, in Historisches Jahrbuch, XXVIII (1907), pp. 849 s., 864; B. Duhr Geschichte der Jesuiten in den Ländern deutscher Zunge, II, 1-2, Freiburg 1913, ad Indicem; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, pp. 73, 153, 157, 177-81, 193, 197, 206, 210-16, 219 s., 224, 314-21, 323, 325 s., 329, 332-36, 356-59, 365-67, 374, 385, 757; B. Katterbach, Referen. utriusque Signaturae..., Città del Vaticano 1931, p. 240; D. Albrecht, Der Hl. Stuhl und die Kurübertragung von 1623, in Quellen und Forsch. aus ital. Arch. und Bibliotheken, XXXIV (1954), pp. 236-49; Id., Zur Finanzierung des Dreissigjährigen Krieges. Die Subsidien der Kurie für Kaiser und Liga 1618-1635, in Zeitschrift für bayerische Landesgeschichte, XIX (1956), pp. 540-44, 547; Id., Die auswärtige Politik Maximilians von Bayern 1618-1635, Göttingen 1962, ad Indicem; K. Repgen, Die römische Kurie und der Westfälische Friede, I, Papst,Kaiser und Reich, 1-2, Tübingen 1962-1965, ad Indices; J. Grisar, Maria Wards Istitut vor römischen Kongregationen (1616-1630), Roma 1966, ad Indicem; G. Mann, Wallenstein, Frankfurt am M. 1971, pp. 329 ss., 437; W. Reinhard, Åmterlaufbahn und Familienstatus. Der Aufstieg des Hauses Borghese 1537-1621, in Quellen und Forschungen aus italienische Archiven und Bibliotheken, LIV (1974), p. 407; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 106; Encicl. cattolica, III, col. 746; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, coll. 989 ss.

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