CONTARINI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Carlo

Gino Benzoni

Preceduto da Alvise (1635-1686), nacque a Venezia, l'11 nov. 1636, secondo ed ultimo figlio di Federico (1602-1680) di Gasparo e di Cecilia, sua seconda moglie, figlia del doge Carlo Contarini. Eletto, ancora il 15 dic. 1668, ambasciatore in Spagna, lascia Venezia il 6 marzo 1670, ma non prosegue il viaggio oltre Brescia poiché la morte dello zio Vincenzo lo costringe - autorizzato dal Senato a "rivedere gi'interessi della... casa" - al ritorno. Si occupa perciò, risiedendo soprattutto a Padova, di rispettare l'"ultima volontà" dei defunto, il quale, nella "commissaria" l'ha appunto nominato esecutore testamentario. Una volta "rassettate" le faccende patrimoniali, parte alla fine di settembre e, toccate Lione e Baiona, a metà novembre è a Madrid.

A dire il vero non ha molto da fare, ché a poco si riduce la rappresentanza veneta presso una monarchia che, barcollante sotto i colpi aggressivi di Luigi XIV e umiliata dalla recente pace col Portogallo, è irreparabilmente precipitata dal passato "apice di grandezza" dei tempi di Filippo II sino a divenire - tarlata com'è finanziariamente, col suo mediocrissimo personale politico e militare, con le sue :fiaccate forze di terra e di mare - oggetto di "poco rispetto" e, persino, di "sprezzo" palese. Il C. deve solo ricordare i "privilegi" dei sudditi veneti nel Napoletano e tener desto sino al risarcimento (che, suo malgrado, non riesce ad ottenere) l'interminabile "affare della nave predata dal vascello maiorchino", vale a dire far sì che sia rimborsato il povero suddito veneto Federico Zanetti cui erano stati rubati i 5.625 tumuli di grano caricati in un "petacchio" battente bandiera ragusea malauguratamente assalito dalla "capitana di Maiorca" nei pressi di Messina nel gennaio del 1670. Il C., perciò, ha molto tempo per osservare la compresenza d'un "re pupillo", Carlo II, e d'una "vedova regina", l'austriaca Maria Anna, dall'"animo ulcerato" questa per l'"acerba memoria" della cacciata di Nidhard, il contrastato gesuita suo favorito; l'agitarsi di "molti pretendenti" non appena fiutano la possibilità d'ottenere una qualche carica, d'arraffare una qualche retribuzione; la tronfia burbanza dell'ambasciatore francese, che lascia cadere "a mezza bocca" accenni ambigui variamente interpretati. Inequivocabile dato di fatto, comunque, gli "armamenti vigorosi" di Luigi XIV, il suo ritenerti libero di "farsi ragione da sé". Ed è terrificante la prospettiva di un'alleanza franco-inglese. Sballottato tra "speranza" e "timore" il governo, ondeggia in preda ad "eventi" indifferenti ai suoi "consigli": "vanno... gli animi di questi ministri alternativamente fluttuando a misura dell'incidenza" delle notizie, costata il C.; "girano le meditationi et riflessi di questa corte con voti ambigui e fluttuanti opinioni", ripete più volte. Dell'evanescenza di una qualsiasi linea politica da parte d'un governo succube delle decisioni di Londra Parigi e L'Aia risente persino la prosa del C. che svapora in considerazioni generali, che scivola in divaganti pezzi di bravura letteraria, in ovvietà formalmente tornite, quasi a riempire - con immagini, metafore, accostamenti inventivi - il vuoto da cui egli stesso è avvolto. Il pericolo di guerra diventa "imminenza de' turbini" che oscura il cielo, che scende ad "ingombrar il terreno della tranquillità". L'attesa tremebonda, l'incertezza titubante si camuffano, nella versione edulcorante del C., in assorta ponderazione, in saggezza previdente. Il C., che pur verifica quotidianamente una situazione di panico ed impotenza, quasi teme di registrarla crudamente. È pertanto, più elusivo che, penetrante. È sintornatico che - laddove deve prender atto dell'assenza sconcertante d'ogni reazione al colpo di mano di Morgan su Panama - quasi s'ingegni d'attenuarla scrivendo che "alla riflessione ben grave con cui si concepì la perdita di Panamà, se corrispose la rissolutione e prontezza del governo nel deliberarvi l'opportuno rimedio, poi non procedè la dispositione dei medesimo". Madrid, ormai, è capitale subalterna; ma anche il C. rappresenta una potenza secondaria, è portavoce d'una repubblica di secondo rango. La elusione, ottenuta con un linguaggio artefatto e stonato nella prosa diplomatica, è fuga dalla consapevolezza, timore della verità, incapacità di giudizio. Nel giugno del 1671 il C. si trova, casualmente, con l'ambasciatore cesareo e quello francese: acerbo il contrasto d'opinioni dei due che interpellano il C., sollecitano il suo parere. "Tra sì sottile e delicata alteratione - scrive questi - et che minacciava scogli da ogni lato, non credei bene formalizarmi né per l'una né per l'altra oppinione, ma con parole generali studiai più tosto a divertire l'incontro, come seguì pienamente sopravenendo nello stesso tempo mons. nuntio". Un episodio emblematico - non si tratta, infatti, solo del C., ma anche del Senato che approva il suo comportamento - dei livelli d'inibizione e d'autocensura cui è giunta la classe dirigente veneziana. Paiono bloccati i meccanismi del giudicare. A forza di non esprimere, per prudenza, giudizi, non si sa più giudicare. Il C. tace non solo perché è opportuno, ma perché non sa cosa dire, come non lo sa il Pregadi.

Colpito, nel febbraio del 1672, da "spetie d'apoplessia" e curato con "molta evacuation del sangue" che lo rende "languido", il C. non può più tollerare il "clima" madrileno; e, dopo un "violento attacco" a stento superato nell'agosto, lascia in settembre la capitale, raggiunge Avignone e, oltrepassate "le montagne dei Delfinato e l'asprezza dei Monginevre", il 29 ottobre è a Torino. Imbarcatosi, quindi, sul Po, il 13 novembre è a Padova. Senatore, una panoramica dedicata, nel 1675, a cento componenti del Pregadi, di lui ricorda la "breve ambasciata"; non esclude abbia "valore", solo che si tratta di "potenza all'atto non ancora ridotta". Da metà novembre del 1676 al marzo del 1678 podestà a Brescia (e, per i primi sei mesi, anche vicecapitano), il C. protegge la "comunità" di Bagolino nelle controversie con la confinante "Lodron"; verifica, con periodiche rassegne, l'efficienza dei duccentoquaranta soldati presidianti il castello; sorvegha l'esecuzione delle commesse pubbliche di "canne" e "moschetti" pungolando, in ispecie, l'attività delle "fucine" gardonesi. Quanto all'incanto dei dazi, riesce a collocarlì complessivamente ad un prezzo superiore rispetto a quello delle "condotte" precedenti, anche se rimangono addossati - per mancanza d'acquirenti - alla Repubblica quelli del "pane a prestino", delle "condanne", del "vino dolce per terre aliene". Cospicuo, invece, l'"augumento" da lui spuntato nel collocamento di quello della "mercantia".

Partito coll'accompagnamento - così, il 3 apr. 1678, il successore Alvise Dolfin - dell'"applauso" alla sua "virtù", "prudenza" e "merito... impareggiabile", sì sposa a Venezia, l'11 febbr. 1679, con Piuchebella di Francesco Grimani, vedova di Giovanni Bragadin. Ne ha due figlie, Lucrezia, sposa, nel 1702, a Giorgio Contarini di Angelo, ed Elisabetta, maritata, nel 1704, con Bartolomeo (IV) Gradenigo di Girolamo. Muore a Venezia, dopo venti giorni di "febre continua", il 2 maggio 1688. Sepolto, a cura della vedova, nella chiesa della Madonna dell'Orto, un'iscrizione ricorda il suo impegno in "Hispaniensi legatione" e "Brixiensi praetura".

Fonti e Bibl.: Arch, di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 59, c. 88v; 93, c. 83r; Ibid., Senato, Corti, regg. 47 (da c. 23r), 48, 49 (sino a c. 135v), passim;Ibid., Senato, Rettori, regg. 51, passim da c. 178r; 52, passim alle cc. 27v-189r; Ibid., Senato. Lett. rettrri Bressa e Bressan, filze 84 (dalla lettera del 14 nov. 1676), 85 (sino alla lettera del 3 apr. 1678), passim;Ibid., Provv. alla Sanità, 896, alla data 3 maggio 1688; Ve nezia, Bibl. del CivicoMuseo Correr, Cod. Cicogna, 1702, p. 55; 2520/24; 2526/19; 3416/2; 3474/VI, 36, 38, 41-58; Ibid., Mss. Gradenigo Dolfin, 15, c. 84; Ibid., Mss. P. D., 1054/440; Calendar of State papers... in Venico..., a cura di A. B. Hinds, XXXVI, London 1937, p. 321; XXXVII, ibid. 1939, ad vocem; Relazioni dei rettori ven., a cura di A. Tagliaferri, XI, Mi lano 1978, p. LII; Rel. di amb. ven., a cura di L. Firpo, X, Torino 1979, pp. 381-399; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., II, Venezia 1827, p. 250;VI, ibid. 1853, p. 864; V. Marchesi, Le relaz. tra la Repubblica... ed il Portogallo, in Arch. ven., XXXII (1887), pp. 51-53, F. Antonibon, Le relaz. ... di amb. ven., Padova 1939, p. 127; Dispacci degli amb. al Senato. Indice, Roma 1959, p. 300.

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