DE STEFANI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE STEFANI, Carlo

Pietro Corsi

Nacque a Padova il 9 maggio 1851, da Luigi e da Caterina Rigon.

Poco dopo la sua nascita, il padre, avvocato e patriota già militante nelle truppe di Pier Fortunato Calvi tra il 1848 ed il 1849, riparò in Piemonte per stabilirsi poi, alla costituzione del Regno d'Italia, in Toscana come insegnante.

Conclusi gli studi liceali a Livorno, il D. si laureò in giurisprudenza a Pisa il 26 luglio 1870. Accanto alle materie giuridiche aveva coltivato lo studio dell'economia politica e dei metodi statistici applicati alla valutazione dei fenomeni economici e sociali. Il suo maggior interesse andava però alla geologia, di cui G. Meneghini era a Pisa docente e fondatore con P. Savi della scuola geologica pisana.

Furono tuttavia gli scritti di economia che procurarono al D. i primi riconoscimenti. Nel 1875 a Pisa pubblicava la tesi di laurea, Il fondamento del valore nell'economia politica, volta a confutare "le maligne teoriche dei Proudhoniani e di una parte di altri socialisti e comunisti" (p. 3). Qui il D., studioso attento della letteratura economica francese e inglese, citava opere di N. W. Senior, F. Bastiat, J. B. Say, J. R. MacCulloch, confutata la "falsa teoria" del valore-lavoro, concludeva che la misura dell'utile, e dunque del valore, è relativa "al variare di ogni relazione dell'uomo col mondo esterno" (p. 22). Pochi mesi dopo la pubblicazione dell'opera un decreto ministeriale lo nominava professore incaricato di statistica ed economia politica presso l'università di Siena. Nella prolusione al corso dell'anno accademico 1876-1877 il D. trattava Della condizione sociale degli operai e dell'intervento dello Stato (Pisa 1877). Ad una condanna delle teorie "sovversive" della Sinistra l'autore univa la deplorazione della legislazione antisciopero, in nome di un liberalismo "applicato equamente" e della libertà di concorrenza. Appassionata era anche la denuncia dello "spirito di fiscalità e di polizia che ha invaso tutto" (p. 15), nefasta conseguenza della crescita della burocrazia, del centralismo statale, e dell'intervento legislativo in ogni settore della vita economica e sociale. Sempre del 1877 (pubblicata a Pisa) è la prolusione al corso di statistica presso l'università di Siena, Del metodo statistico della ricerca del vero. Per il D., unico è il metodo delle scienze fisiche e sociali, essendo unico il metodo della scienza e della ricerca della verità; la storia della scienza avrebbe dovuto far apprezzare le conquiste metodologiche degli scienziati del passato, mentre troppo spesso si soffermava a denunciarne gli errori.

Nel 1878 il D. scrisse l'ultima opera d'economia politica, La così detta teoria della rendita (Pisa): dimostrando un'ampia conoscenza dei classici, vi confutava la teoria della rendita di D. Ricardo, sulla falsariga delle considerazioni svolte dall'economista americano H. Carey, negando l'esistenza della rendita in senso classico.

Intanto il D. aveva iniziato a pubblicare alcuni apprezzati lavori geologici ed aveva fin dal '66 iniziato un'esplorazione sistematica del territorio delle Alpi Apuane. Per invito del ministro della Pubblica Istruzione M. Coppino, intraprese nella primavera del '78 un'escursione geologica nelle Calabrie. Ne pubblicava i risultati in una Carta geologica della Calabria meridionale (in Atti della Soc. toscana di sc. nat. residente in Pisa, Processi verbali, II[1879-1881], pp. 113 s.), cui seguiva nel 1882 uno studio con i dettagli delle osservazioni e la descrizione completa dei reperti litologici e paleontologici raccolti, donati al Museo di geologia dell'università di Pisa (Escursione scientifica nella Calabria, Jejo, Montalto e Capo Vaticano, in Mem. d. R. Acc. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., s. 3, XVIII [1884], pp. 3-290, 11 tav.).

All'apertura della campagna di rilievo geologico delle Alpi Apuane il D. pensò ad un impiego presso l'Ufficio geologico, i cui lavori erano coordinati dal R. Comitato geologico, presieduto dal suo maestro Meneghini, e di cui faceva parte anche I. Cocchi, pioniere negli studi geologici sulle Apuane.

Il Comitato e l'Ufficio geologico, secondo il decreto del 1873 che ristrutturava l'istituzione fondata nel 1867, non potevano assumere geologi naturalisti, ma esclusivamente gli ispettori del r. corpo delle miniere: il rilievo delle Apuane pertanto era stato affidato a B. Lotti e a D. Zaccagna, i quali nelle prime memorie vantavano la "perfezione geometrica" dei propri rilievi e indicavano gli errori di dettaglio commessi dal D. nei suoi scritti. Il D. ingaggiò una polemica aspra con il Comitato geologico e con i colleghi incaricati dello studio delle Apuane: al primo rimproverava l'ostracismo decretato contro i geologi accademici e dilettanti, e l'inefficacia del metodo topografico e litologico adottato nei rilievi per la carta geologica del Regno; ai secondi contestava l'esattezza di alcune determinazioni stratigrafiche e lo scarso conto in cui essi tenevano i dati paleontologici, con grave danno per la corretta datazione dei terreni e delle rocce toscane. Lo scontro tra il D., da un lato, ed il Lotti e lo Zaccagna, dall'altro, animò le sedute della Società toscana di scienze naturali in Pisa negli anni tra il 1879 e il 1882, il D. contrapponeva i propri risultati, e quelli ottenuti da altri geologi, agli errori commessi dai rappresentanti di un apparato burocratico dotato di mezzi incomparabilmente superiori (La zona marmifera delle Alpi Apuane secondo gli studi dell'Ufficio geologico e secondo i miei, in Atti d. Soc. tosc. di sc. nat. …, Processi verbali, III[1881-1883], p. 4), B. Lotti e lo Zaccagna a loro volta in Seguito e chiusura, per parte nostra, della polemica col dott. D. (ibid., p. 79) sottolineavano le carenze tecniche della geologia italiana, troppo amante delle teorie e poco propensa ad applicare gli insegnamenti delle più recenti scoperte mineralogiche e delle nuove tecniche di analisi litologica.

Il D., sempre più isolato anche per aver perso l'appoggio del maestro Meneghini, responsabile scientifico dei lavori del Lotti e dello Zaccagna (ibid., p. 195), il 12 nov. 1882 si dimetteva (ibid., pp. 173 s.) dalla Società toscana di scienze naturali. Le sue critiche al Comitato furono invece condivise da A. Stoppani e T. Taramelli, nominati membri nel 1879, i quali con tono e tattica ben più efficaci avevano subito sollevato la questione dell'inefficenza e delle cause istituzionali che ritardavano la preparazione della carta geologica del Regno. Essi invocavano l'istituzione di un Istituto geologico indipendente dal Corpo degli ingegneri delle miniere, diretto da geologi professionisti, o comunque da personale di chiara fama scientifica (Relazione e progetto di legge per la Carta geologica del Regno, Firenze 1880). I loro tentativi di riforma, pur appoggiati da I. Cocchi - che era stato il fondatore del Comitato - ottennero un effimero riconoscimento legislativo, ma nessun risultato concreto, con grave danno per la carta geologica e la geologia italiana.

La ferma, critica posizione del D. per ottenere la riforma del Comitato (vedi lettere 21 nov., 26 nov., 23 dic. 1913 in Università di Firenze, Dip. di Geologia, fasc. Diplomi e documenti) ebbe finalmente un risultato nel gennaio del 1920 quando un decreto reale lo nominava membro del Comitato completamente rinnovato; il ministro dell'Agricoltura scriveva al D.: "l'indirizzo è mutato: le Miniere nulla hanno da vedere con la geologia" (Arch. De Stefani, lettera 4 genn. 1920, ibid.).

Le vivaci polemiche del 1879-1882 con il Lotti e lo Zaccagna giovarono alla carriera scientifica e istituzionale del D.: la competizione costrinse i contendenti a nuove esplorazioni e a rivedere molte conclusioni. Il Comitato geologico finì per accettare la sostanza delle tesi sostenute dal D., e questi prese atto della giustezza di diversi appunti mossigli dai rivali, che divennero per altro i migliori rilevatori dell'Ufficio geologico. Dagli inizi del 1881 il D. abbandonava l'incarico di insegnamento a Siena, dedicando tutte le proprie energie alla geologia. Nel settembre del 1881 prendeva parte ai lavori del II congresso internazionale di geologia che si teneva a Bologna, dove fu tra i più attivi sostenitori della proposta di Q. Sella di fondare la Società geologica italiana. Il 28 sett. 1881 venne nominato membro del comitato ristretto (Meneghini, Capellini, Sella e Taramelli) che doveva redigere lo statuto della Società, modellato sul regolamento della consorella francese.

A partire dal 1883 il D. prese a frequentare assiduamente il gabinetto di geologia dell'Istituto di studi superiori di Firenze, diretto dallo Stoppani. Nel 1885 questi tornava a Milano, lasciando libera la cattedra fiorentina di geologia e geografia fisica che fu affidata al De Stefani. Nel 1886 egli otteneva poi per concorso la cattedra di geologia a Napoli, che però faceva trasferire presso l'ateneo fiorentino; dal 1885 sino alla morte fu anche direttore del Museo di geologia e dell'annessa biblioteca. Il D. fu conoscitore profondo della letteratura geologica europea ed americana, e arricchì la biblioteca fiorentina e il museo, che sono ancor oggi depositari di fondi librari e reperti di grande interesse storico e scientifico.

Sanato il dissidio con il Meneghini, nel 1885 fu rieletto membro della Società toscana di scienze naturali e tuttavia preferiva pubblicare i suoi lavori presso l'Accademia dei Lincei, la Società geografica e la Société géologique de Belgique, di cui fu membro e socio corrispondente.

Fu presidente della Società geologica per il 1896 e della Società italiana di antropologia, che vigorosamente sostenne, per il biennio 1913-1914. Dal 1902 al 1907 fu assessore ai Lavori pubblici del Comune di Firenze, e per circa venti anni rappresentò il mandamento di Castelfranco di Garfagnana al Consiglio provinciale di Massa, e poi di Lucca. Negli ultimi anni della carriera si occupò di questioni di geologia applicata, presiedendo o facendo parte di diverse commissioni per lo studio delle risorse idriche toscane. Il 21 febbr. 1920 venne nominato direttore dell'Ufficio di studi e ricerche di olii minerali per la zona della Toscana, incarico che tenne sino al gennaio 1922, quando l'Ufficio venne sciolto (Univ. di Firenze, Dip. di Geol., Arch. De Stefani, lettere 1920-1921). Al pari di molti colleghi geologi, fu vivo in lui l'interesse per l'antropologia fisica e lo studio delle stazioni preistoriche. Si dedicò con particolare fervore allo scavo della grotta preistorica di Equi nelle Alpi Apuane, aiutato da E. Bercigli, capo tecnico del Museo geologico di Firenze, collaboratore di tutti i geologi della scuola fiorentina di allora (La grotta preistorica di Equi nelle Apuane, in Arch. p. l'antr. e l'etnol., XLVI [1916], pp. 42-82).

Il D. morì a Firenze il 12 nov. 1924 e venne sepolto a Pieve Fosciana, dove possedeva una villa.

Alla morte, molti dei suoi allievi occupavano cattedre in diverse università italiane, e furono i maestri di generazioni di geologi italiani: G. Dainelli e G. Stefanini, il mineralogista E. Artini, il geografo O. Marinelli. Tra i discepoli furono anche P. Principe, A. Fucini, A. R. Toniolo, G. Trabucco (Merla).

Al nome del D. è legato un contributo decisivo alla conoscenza della intricatissima regione appenninica che va dalle Alpi Apuane alle colline del Senese. Nel 1870 pubblicava la prima memoria (Note sul calcare cavernoso dei colli di Pietrasanta nelle Alpi Apuane, in Il Nuovo Cimento, s. 2, IV [1870], pp. 390-400). Deprecando la carenza dell'approccio puramente litologico allo studio dell'Appennino centrale, iniziava una indagine sistematica dei fossili della regione, particolarmente ricca di reperti malacologici.

Contro le tesi di P. Savi e del Meneghini, il D. negava che la costa tirrenica toscana mostrasse segni di uno sprofondamento, sostenendo al contrario che tutto l'Appennino toscano era gradualmente emerso dal fondo del mare. In epoche successive, quello che era stato un arcipelago di picchi isolati divenne terra emersa, solcata da laghi e da fiumi che si gettavano in un mare poco profondo, in cui si alternavano vaste lagune ora salate ora a prevalenza di acqua dolce (I dintorni di Munsumanno di Monte Catini in Val di Nievole, in Boll. d. R. Comit. geol., VII [1877], pp. 42-53). Le complesse vicende della formazione dell'Appennino settentrionale e centrale avevano lasciato tracce altrettanto complesse e di difficile decifrazione.

Il D. presentò la carta geologica delle Apuane all'esposizione internazionale di Parigi del 1878 e, ulteriormente elaborata, al II congresso internazionale di geologia di Bologna del 1881.

Affidava le conclusioni delle sue ricerche sull'Appennino a due lavori di notevole respiro, il Quadro complessivo dei terreni che costituiscono l'Appennino Settentrionale (in Mem. d. Soc. tosc. di scienze naturali, V [1881], pp. 206-254) e il classico studio Le pieghe delle Alpi Apuane. Contribuzione agli studi sull'origine delle montagne (Firenze 1889). Lo studio delle vicende geologiche dell'Appennino settentrionale e centrale si apriva a conclusioni teoriche di ampia portata, che a loro volta stimolarono nuove campagne di esplorazione e offrirono materiale per più ambiziose sintesi. Alla teoria orogenetica dei sollevamenti verticali di L. von Buch e di E. de Beaumont, seguite da P. Savi e dal Meneghini, il D. opponeva la convinta adesione alla metodologia uniformitaria e anticatastrofista elaborata da C. Lyell e arricchita dalle tesi fisico-cosmologiche di G. H. Darwin e J. D. Dana, che il geologo italiano definiva come i rappresentanti della "teorica del raffreddamento". Due erano per il D. le forze principali che provocano la formazione delle montagne: una forza "radiale o interna alla terra", derivante dalla contrazione di volume per il raffreddamento, e una tangenziale, che costringe i terreni a corrugarsi in pieghe, in risposta alla contrazione della superficie. A queste forze si devono, secondo il D., la formazione delle montagne ed i rovesciamenti degli strati (Le pieghe dell'Appennino, in Cosmos, s. 2, XI [1892], pp. 147-151).

L'elaborazione di una complessa teoria tettonica spinse il D. a verificare la correttezza dei propri assunti in diverse regioni della penisola italiana e del Mediterraneo. Alle escursioni in Calabria del 1878 seguirono esplorazioni in Corsica (1893), nelle isole dell'Egeo (1894-1895), nella penisola balcanica (1895) ed una serie di viaggi che continuarono sino alla sua morte. Nel 1908 egli pubblicava una importante sintesi dei risultati delle proprie esplorazioni, Géotectonique des deux versants de l'Adriatique (in Annales de la Soc. géol. de Belgique, XXXIII [1908], pp. 193-278). Opponendosi a tesi allora dominanti, avallate da autorità quali E. Suess, il D. negava che l'Adriatico fosse anticamente occupato da una terra poi sprofondata, e riaffermava la tesi del sollevamento progressivo dei due versanti dell'Adriatico per un movimento orogenico ancora in corso.

L'importanza del lavoro del D. non risiede tanto nelle conclusioni specifiche da lui suggerite, destinate a venire superate nei decenni successivi, quanto nell'aver promosso e diretto una serie di studi effettuati dai suoi allievi. Nello spingere i propri discepoli a campagne internazionali, motivi di ordine scientifico si fondevano nel D. a ragioni di carattere culturale generale e di politica scientifica. L'Italia era divenuta la meta preferita di studiosi tedeschi e francesi, che affrontavano le ricerche sul suo territorio con una prospettiva teorica globale. Di contro, il D. vedeva la geologia italiana affetta da "municipalismo scientifico" (Lo stato presente degli studi geologici, in La Rassegna naz., 16 giugno 1886, pp. 764 s.), pronta tuttavia ad abbracciare la tesi dei geologi stranieri e a lasciare ad essi il compito di fornire teorie generali sulla formazione della superficie terrestre. Una forte vena di nazionalismo scientifico caratterizzava gli scritti del D. soprattutto a partire dagli anni Ottanta, un atteggiamento che trasmise a non pochi suoi allievi. Positivo fu tuttavia il contributo che egli diede per allargare gli orizzonti della geologia italiana: stimolò le ricerche di A. Martelli in Dalmazia (1904), in Montenegro (1907) e nelle isole Egee (1917), di O. Marinelli in Eritrea (1905), di G. Dainelli in Eritrea e nell'Asia centrale; di A. R. Toniolo in Istria, di G. Stefanini in Somalia.

Il nazionalismo scientifico e politico del D. non offuscò mai la sua consapevolezza dei valori scientifici internazionali. Di notevole interesse, e rivelatrici della sua profonda conoscenza della letteratura geologica mondiale, sono una serie di memorie dedicate alla storia di varie branche della geologia (pubblicate tra il 1911 ed il 1912), che offrono un quadro sintetico delle teorie geologiche discusse nella seconda metà dell'Ottocento. Queste memorie illustrano il pensiero del D. nel contesto dei dibattiti geologici del suo tempo: particolarmente interessante è la sua discussione delle teorie di E. Suess, M. Bertrand, J. D. Dana, M. Neumayr. Meno favore trovò presso di lui la teoria dei carreggiamenti proposta da W.-H. Schardt e da C. Schmidt (Lostudio dei movimenti del suolo nell'ultimo cinquantennio specialmente in Italia, in Boll. d. Soc. geografica ital., XLIX [1912], pp. 5-32).

Il D. prese parte attiva alla fondazione della Società malacologica italiana, avvenuta a Pisa nel 1874, e pubblicò diverse memorie nel suo Bollettino, a volte in collaborazione con D. Pantanelli. I risultati delle sue ricerche di malacologia fossile furono raccolti in due opere principali, Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena (in Boll. d. Soc. malac. it., IV[1878], pp. 5-215) e Molluschi continentali pliocenici d'Italia (Pisa 1884). Il D. non disattese tuttavia lo studio della malacologia attuale, come dimostra il dettagliato saggio Molluschi viventi nelle Alpi Apuane, nel monte Pisano e nell'Appennino adiacente (in Boll. d. Soc. malac. it., IX [1883], pp. 11-253).

Nelle opere geologiche e malacologiche il D., condividendo le teorie uniformitarie di Ch. Lyell e dell'evoluzionismo di Darwin, sosteneva che fu la geologia fondata dal Lyell a sviluppare per prima i moderni concetti di successione cronologica e di mutamento progressivo delle forme di vita (Fisica terrestre e geologia nell'ultimo cinquantennio specialmente in Italia, in Rivista d'Italia, I [1912], pp. 198 s.). Meno puntuali erano invece i riferimenti a Darwin, visto a volte come continuatore di Lamarck, sempre esaltato per i suoi meriti filosofici e scientifici, ma mai utilizzato a livello di discussione teorica su questioni specifiche di tassonomia o paleontologia.

In un solo punto della sua opera malacologica il D. dedicò poche righe alla discussione del concetto di specie (Molluschi continentali, p. 53), polemizzando contro coloro - darwinisti inclusi - che moltiplicavano le identificazioni specifiche e non tenevano conto delle variazioni locali o climatiche cui erano soggette le varie forme di vita. Il suo concetto di evoluzione non pareva tenere in alcun conto il principio della selezione naturale o della divergenza dei caratteri: le specie cambiano in quanto "ciascun individuo successivo si trova via via in rapporti diversi colla natura esteriore, talché si modifica ed assume diversità". L'adesione al darwinismo sembra dunque nel D., come in molti altri geologi e naturalisti della fine del diciannovesimo secolo, un'accettazione del principio generale della trasformazione graduale delle forme di vita nel corso delle ere geologiche, piuttosto che un'accettazione delle teorie di Darwin. Anche per questi aspetti di discussione critica dei maggiori paradigmi scientifici del suo tempo, il D. si rivela come uno dei geologi più interessanti nei decenni a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo.

Opere: per una completa bibliografia degli scritti del D. cfr. D. Del Campana, in Mem. d. Acc. lunigianese di sc. G. Capellini (1926), pp. 54-73, che elenca 407 titoli.

Tra i suoi scritti economici e storici ricordiamo Delle proprietà comuni e dei limiti alle proprietà private in alcune parti dell'Appennino, in Riv. europea, IX (1878), pp. 115-126; Storia dei Comuni di Garfagnana, Modena 1925.

Tra gli scritti sulla carta geologica, Res geologicae, Siena 1880; La carta geologica del Regno, in La Rassegna settimanale, V (1880), 123, pp. 328-330; 130, pp. 442 s., e in Atti d. Soc. tosc. di sc. nat. Proc. verbali, II (1878-81), passim; III (1881-83), passim; La carta geologica d'Italia pubblicata per cura del R. Ufficio geologico nel 1889, in Boll. d. Soc. geol. it., X (1891), pp. 92-97; La carta geologica d'Italia e lo Stato, in Atti d. Acc. Econ.-agraria dei Georgofili, XVI (1893), pp. 185-218; La geologia e la carta geologica, in Atti d. R. Acc. d. Lincei, cl. di scienze fis. mat. e nat., s. 5, XXVII (1918), pp. 215-219. Tra gli scritti sulla geologia dell'Appennino cfr. Sull'asse orografico della catena metallifera, in Il NuovoCimento, s. 2, X (1873), pp. 98-114; Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, in Boll. d. R. Com. geol. it., V (1874), pp. 131-145, 196-216, 259-270, 348-361; VI (1875), pp. 31-46, 73-81; La Montagnola senese. Studio geologico, ibid., X (1879), pp. 202-224, 332-355, 431-460; XI (1880), pp. 73-102, 156-175, 264-280, 367-375; Lias inferiore ad Arieti, in Atti d. Soc. tosc. di sc. nat. ..., VIII (1886), pp. 9-76; Descrizione sommaria delle principali pieghe dell'Appennino fra Genova e Firenze, in Bull. d. Soc. geol. it., XI (1893), pp. 371-408.

Per gli scritti su diverse regioni europee cfr.: Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Méditerranée, in Annales de la Soc. géol. de Belgique, XVIII (1891), pp. 201-419; Terreni mesozoici e neozoici della Corsica, in Rend. d. R. Acc. d. Lincei, cl. di sc. fis. mat. e nat., II (1893), pp. 97-102; Observations géologiques sur l'ile de Corfou, in Bull. de la Soc. géol. de France, XXII (1894), pp. 445-464; Viaggio nella penisola balcanica, in Boll. d. Soc. geol. it., XIV (1895), pp. 283 s.; Appunti geologici su Brioni, nell'Adriatico, ibid., XLIII (1924), pp. 193-199.

Ricordiamo infine gli scritti di divulgazione e di storia della geologia: La superficie della Terra, Firenze 1886; Geografia fisica e geologia ad uso degli istituti tecnici, ibid. 1893; Le acque di terraferma e i fenomeniglaciali secondo gli studi degli ultimi cinquanta anni, in Riv. geograf. it., XVIII (1911), pp. 561-583, Il mare e i terreni sedimentari secondo gli studi degli ultimi cinquanta anni, ibid., pp. 498-507; Lo studio dei movimenti del suolo nell'ultimo cinquantennio specialmente in Italia, in Boll. d. R. Soc. geograf. ital., XLIX (1912), pp. 5-32; La geologia endodinamica in Italia nell'ultimo cinquantennio, in Mem. d. Soc. tosc. di sc. nat., XXVIII (1912), pp. 3-34.

Fonti e Bibl.: Necrologi, in Riv. geograf. it., XXXI (1924), pp. 260-263; in Boll. d. Soc. geol. it., XLIV (1925), pp. CXXX-CXLVI; in Mem. d. Acc. lunigiana di scienze... E. Capellini, VII (1926), pp. 37-53;M. Cermenati, Il R. Comitato geologico d'Italia. Brevi cenni di cronaca, in Rass. d. scienze geol. in Italia, I (1891), pp. 448-463; E. Clerici, B. Lotti, in Boll. d. Soc. geol. ital., LII (1933), pp. CXLII-CLV; M. Gortani, B. Lotti, in Boll. d. R. Comit. geol. it., LIX (1934), pp. 1-10; G. Merla, La tettonica dell'Appennino settentrionale dagli albori al 1950: riflessioni e ricordi, in Cento anni di geologia italiana. Volume giubiliare della Soc. geol. it., Bologna 1984, pp. 177-182.

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