CARLO EMANUELE I duca di Savoia

Enciclopedia Italiana (1931)

CARLO EMANUELE I duca di Savoia

Rosario Russo

La sua nascita (12 gennaio 1562) assicurò la continuazione della dinastia ed evitò che la successione si trasferisse al ramo Savoia-Nemours. Nella corte, sotto gli occhi di sua madre, Margherita di Valois, anima fine e colta, e di suo padre, il vincitore di S. Quintino, C. E. fu allevato "tanto alla grande quanto se fosse il figliuolo del maggior re del mondo". Ma quando salì al trono (1580), sebbene al padre succedesse "non solo negli stati, ma anche nei pensieri" dovette seguire una politica cauta e rassegnarsi alla cessione di Carmagnola al re di Francia. Insofferente di quiete, si volse alla conquista di Ginevra, abbandonando la politica di Emanuele Filiberto; ma il sentimento nazionale e religioso dei Ginevrini, l'avversione degli stati italiani, specialmente di Venezia, e di Filippo II all'impresa, la suscettibilità del re di Francia ad ogni rumore d'armi sulle Alpi svizzere, resero vani gli sforzi di C. E. Per salvare l'onore, egli accettò il lodo degli Svizzeri. Indignato contro il re di Francia, tessé intrighi per fare insorgere la Linguadoca e la Provenza e rafforzò l'intesa con Madrid, sposando l'infante Caterina (11 marzo 1585).

Di ritorno dalla Spagna, C. E. ritentò l'impresa di Ginevra. Sebbene non ottenesse gli sperati aiuti da Filippo II, in lotta contro i Fiamminghi e gl'Inglesi, non si rassegnò alla quiete. Mentre il papa e Venezia guardavano pensosi alla gravissima situazione interna della Francia, il cui sfacelo avrebbe consolidato l'egemonia spagnola, C. E., traendo vantaggio dai tragici avvenimenti, in due mesi occupava il marchesato di Saluzzo. Se ne indignò Filippo II, impegnato in mortale duello con l'Inghilterra; i Francesi, colpiti nel loro onore, chiesero unanimi la guerra contro il duca "ladrone"; Venezia proibì al duca di far levata di truppe nel suo territorio. Intanto, C. E. incitava la lega cattolica a vendicare il delitto di Blois, sperando che la sua educazione tutta francese e la parentela con la corte di Francia lo portassero al trono dei Valois; nello stesso tempo, si preparava a calare nella Provenza e nel Delfinato. Ma i Ginevrini, sicuri dell'aiuto di Berna, alleatasi con la Francia (28 febbraio 1589), lo prevennero sferrando un attacco. C. E. stipulò allora con Berna la pace di Nyon, sulla base della reciproca restituzione del territorio occupato e sull'impegno da parte dei Bernesi di non aiutare Ginevra contro Savoia. Ma i Ginevrini, riprese le armi, ruppero il cerchio di ferro in cui C. E. li aveva stretti, mentre i Francesi minacciavano di mettere a ferro e fuoco il Piemonte. Finalmente, Filippo II diede l'invocato soccorso. Liberata Grenoble, C. E. invase la Provenza. Trionfale il suo ingresso ad Aix. Il 23 novembre, nel palazzo del parlamento, presenti gli ordini del paese, ebbe il comando "sulle armi, sullo stato e sulla polizia della Provenza, affine di conservarla nell'unione della religione cattolica apostolica romana e sotto l'obbedienza e l'autorità del re e della corona di Francia". Ma ben presto il Lesdiguières, espugnata Grenoble, poté tendere la mano agli Svizzeri. Corse allora il duca a chiedere soccorsi in Spagna, ma non ottenne nulla. Abbandonò la Provenza e se ne tornò in Piemonte. Richiamò le forze lasciate in Provenza e nella Savoia, assoldò mercenarî, chiamò i sudditi alle armi, chiese aiuto al papa e a Filippo II "avendo gli ugonotti in casa" e, nello stesso tempo, aprì trattative col Lesdiguières, e mandò in Francia il Molart, per proporre la sua candidatura al trono appena gli stati generali avessero proclamato l'esclusione di Enrico IV. Ma il 23 luglio 1593 avveniva in Saint-Denis l'abiura di Enrico IV. Il 3 settembre C. E. aderì alla tregua generale. Ma Filippo II riprese le armi contro la Francia, affidando a C. E. il comando supremo delle forze operanti in Piemonte. Dopo qualche successo, non sentendosi aiutato dai ministri spagnoli sempre più insolenti con lui, mentre nella sua corte e nel paese sentiva risorgere una viva simpatia per la Francia, C. E. concluse un'altra tregua di tre mesi, che sperava fosse il preludio della pace (conferenze di Bourgoin, Pont-Beauvoisin e Susa). Riaccesasi la guerra per non aver voluto permettere che sul suo territorio si attaccassero le truppe spagnole dirette in Fiandra, il duca fu tuttavia abbandonato dagli Spagnoli e soltanto per intercessione del papa fu compreso nel trattato di Vervins, col quale la questione di Saluzzo venne rimessa al papa stesso. Finalmente, il 17 gennaio 1601, fu concluso a Lione il trattato di pace, nel quale, come disse il Lesdiguières, "le duc avait agi en prince et le roi en marchand". Il marchesato di Saluzzo restava a C. E. che, in compenso, cedeva al re la Bressa, il Bugey e il Valromey. Il re otteneva un territorio molto più vasto e più ricco del saluzzese; ma il duca scrisse: "è molto meglio aver uno stato unito tutto, come è questo di qua dai monti, che due, tutti due malsicuri, tanto più che, ritenendo il marchesato di Saluzzo, si difficolta assai ai Francesi la calata in Italia".

C. E. persegue altri disegni. Pensa sempre all'acquisto di Ginevra, contro la quale sferra invano un proditorio attacco (dicembre 1602); spera di dare in moglie una sua figlia al principe ereditario d'Inghilterra, ambisce invano l'onore di comporre il dissidio fra Venezia e la Santa Sede; medita di togliere Cipro alla Porta e briga per il comando d'una spedizione, che si concertava fra Roma e Madrid, contro i Turchi; sogna la conquista della Macedonia e dell'Albania. In fine aderì al disegno di Enrico IV contro gli Asburgo e concluse il trattato di Brosolo (v.), che gli dava mano libera per la conquista della Lombardia. Ma il trionfo del partito spagnolo alla corte di Francia, dopo l'uccisione di Enrico IV, espose C. E. all'ira di Spagna. E dové implorare il perdono.

Era ancora cocente l'umiliazione, quando, nel dicembre 1612, moriva Francesco Gonzaga, duca di Mantova. C. E., nonno di Maria, figlia del duca defunto, impugnò la spada per difendere i secolari diritti della sua casa sul Monferrato. Ma imperatore, Francia, Venezia, il governatore di Milano, furono tutti contro di lui. C.E. sgombrò Alba, Trino e Moncalvo. Ma non subì l'umiliazione del disarmo, perché "se la Spagna - diceva - guadagna meco oggi questo punto, da quindi innanzi noi principi d'Italia staremo ai suoi piedi". La guerra del Monferrato diventò lotta per la cacciata degli Spagnoli dalla penisola. Sorse allora la più accesa letteratura antispagnola. Le Filippiche incitavano gl'Italiani a stringersi intorno al duca, che per Fulvio Testi era l'unica speranza dell'Italia anelante a veder la monarchia "che sin al ciel fa guerra - cader distrutta e fulminata a terra". Con la prima pace d'Asti (23 giugno 1615) si stabilì il disarmo dei due nemici; ma il duca, che aveva lottato da solo contro un colosso, conservò i suoi diritti sul Monferrato. Era molto. A qualcuno queste parvero le esequie della monarchia spagnola. Si riprese la guerra sotto auspici migliori per C. E., perché altrove Venezia si batteva contro gli Asburgo. C. E. invocò un'alleanza con la repubblica. Ma fra Venezia e Torino non era possibile un accordo sulla sorte di Milano a guerra finita. D'altra parte, se letterati e scrittori popolari auspicavano l'unione di Savoia e Venezia, i principi italiani non condividevano tale entusiasmo per un'azione contro gli Spagnoli. La guerra languì e si venne alla pace con la restituzione di Vercelli.

Scoppiata la guerra dei Trent'anni, C. E. fornì aiuti ai nemici degli Asburgo, che gli promisero la corona imperiale. Quando il "sacro macello" della Valtellina (19 luglio 1620) rese manifesto il disegno spagnolo di unire il Tirolo coi possedimenti italiani, C. E. trattò per una lega con Francia e Venezia, per scacciare per sempre gli Spagnoli dall'Italia. Mentre truppe francesi occupavano la Valtellina, C. E. con grandi forze attaccò Genova, la più preziosa alleata della Spagna in Italia. Aiuti francesi, promesse dell'Inghilterra, Olanda e Venezia gli facevano sembrar facile l'impresa; un accordo col ribelle corso Biagino da Leca doveva agevolargli la conquista della Corsica. Ma la strenua difesa di Genova, alla quale con magnifico slancio contribuirono i Corsi, lo costrinse a precipitosa ritirata, mentre i Genovesi, passati all'offensiva, invadevano il Piemonte. Abbandonato dalla Francia, che stipulò con la Spagna il trattato di Monçon, col quale si dichiarò l'intangibilità di Genova, C. E. gridò al tradimento. E quando con la morte di Vincenzo Gonzaga (24 dicembre 1627) si riaprì la questione del Monferrato, C. E., che pretendeva alla successione contro Carlo di Rethel, si unì con la Spagna. Sordo alle preghiere del papa, che a lui "difensore della libertà d'Italia" si rivolse perché terminasse "da se solo questa differenza senza intervento di Spagna e Francia", invase il Monferrato (aprile 1628), provocando l'ira del Richelieu, che alla testa d'un poderoso esercito piombò sul Piemonte e occupò Pinerolo. Disperato, umiliato e amareggiato di veder riaperte ai Francesi le porte del Piemonte, si accinse a suprema battaglia; ma ammalatosi, il 26 luglio 1630 si spense.

Gli ultimi avvenimenti avevano acuito il dissidio tra C. E., che per l'ingrandimento del dominio s'era servito ora della Spagna ora della Francia, e quella corrente d'Italiani che credevano possibile raggiungere l'indipendenza con l'aiuto di Francia. Con l'impresa di Mantova rimasero sterili tutti i tentativi di C. E., dal trattato di Lione in poi, contro la dominazione spagnola in Lombardia; ma nella penisola e oltr'alpe si manifestò la forza morale e materiale del Piemonte. Il popolo, al quale non erano stati risparmiati sacrifici, non dimenticò il grande principe che aveva governato con mitezza, favorito gli studî, fatto della sua corte un centro di cultura, promosso lo sviluppo del commercio e dell'industria, abbellito il paese di numerosi monumenti, fra cuì il santuario di Vico ch'egli si scelse per l'eterno riposo. (V. tav. XVI).

Bibl.: Di monografie specifiche su Carlo Emanuele, non esistono se non quella di I. Raulich, Storia di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, voll. 2, Milano 1896-1902, che è ancora il lavoro più importante, e quella, fiacca e di carattere troppo divulgativo, di R. Bergadani, Carlo Emanuele I, Torino 1927. Importanti, per la seconda fase dell'attività politica del duca sabaudo, i lavori di R. Quazza, Ferdinando Gonzaga e Carlo Emanuele I, in Archivio storico lombardo, 1922; id., Mantova e Monferrato nella politica europea alla vigilia della guerra per la successione 1624-1627, Mantova 1922; id., La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato (1628-1631), Mantova-Mondovì 1926. Per questioni particolari cfr. Rignon, Carlo Emanuele I e la Macedonia, in Nuova Antologia, Roma 1904; G. Sforza, I negoziati di Carlo Emanuele I per farsi re di Cipro, in Atti della R. Accademia delle scienze, Torino 1917-18. Per il fermento nazionale e la pubblicistica nell'età di Carlo Emanuele, cfr. G. Rua, Per la libertà d'Italia. Pagine di letteratura politica del '600, Torino 1905; e specialmente V. Di Tocco, Ideali d'indipendenza in Italia sotto la dominazione spagnuola, Messina 1927. Cfr. inoltre Relazioni degli ambasciatori veneti, s. 3ª, I, Venezia 1862; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, Firenze 1865, III, IV; D. Carutti, Storia della diplomazia della Corte di Savoia, Torino 1875-76; E. Rott, Histoire de la représentation diplomatique de la France auprès des Cantons Suisses, II-III-IV, Parigi 1902-1909.

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