FIESCHI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIESCHI, Carlo

Giovanni Nuti

Figlio di Niccolò di Tedisio del ramo ligure dei conti di Lavagna e di una Leonora, di cui ignoriamo il casato, nacque forse a Genova, nella seconda metà del sec. XIII. Finché visse il padre, sembra aver svolto, nella gestione della politica familiare, un ruolo secondario rispetto a quello sostenuto dai più influenti fratelli Ottobono e Luca. Il F. sposò, ignoriamo quando, una nobildonna, di cui il Federici ci tramanda il nome, Teodora, ma non il casato, anche se asserisce che ella era parente del re di Sicilia Carlo I d'Angiò, di cui il F. era consigliere.

Tale matrimonio dovette avvenire nell'ultimo decennio del sec. XIII, perché l'ultimo figlio maschio del F., Gabriele, era già nato da tempo il 26 ag. 1304, quando il padre del F., Niccolò, nel testamento da lui allora dettato, stabilì che venisse depositata una grossa somma di denaro in suo favore. Gabriele, tuttavia, non doveva aver ancora raggiunto, a quella data, la maggiore età perché nel documento vengono indicati come suoi amministratori Mamiele Zaccaria ed il giudice Meliaduce "de Salvaticis".

Il 22 nov. 13 11, dopo l'arrivo a Genova dell'imperatore eletto Enrico VII - un successo del card. Luca Fieschi, come lo fu il di poco successivo ritorno dei guelfi in città -, il F. presenziò alla solenne cerimonia con cui il sovrano abrogò il trattato stretto tra Genova e Carlo d'Angiò, accettandone la signoria. Ottenne allora che Enrico VII confermasse a lui e ad altri suoi fratelli il possesso feudale dell'importante centro strategico di Pontremoli.

Il 10 luglio 1313, insieme con i fratelli card. Luca e Ottobono, il F. fu investito dall'imperatore anche dei feudi di Calestano, Marzolara e Vigolone, che essi gia possedevano. Inoltre il F. grazie ai buoni uffici del card. Luca, ebbe la conferma, per tutte le convenzioni e per i patti stipulati in diverse occasioni tra la famiglia ed il Comune genovese.

Nell'area appenninica toscoligure il F. fu a lungo impegnato per mantenere il controllo dei suoi feudi. A quanto risulta da documenti posteriori, dopo aver preso possesso di Pontremoli, insieme col cardinale Luca egli si adoperò per comporre le divisioni esistenti tra gli abitanti del borgo e quelli del contado; a questi ultimi fu concesso di sedere nel Consiglio generale in pari numero a quello degli abitanti del borgo ma non il diritto di rivestire cariche pubbliche. Il F. dovette, poi, affrontare le ostilità di Franceschino Malaspina, marchese di Mulazzo, che si impadronì di alcuni castelli appartenenti ai Fieschi. Il conflitto, che vide il F. e suo fratello Luca, alleati con alcuni Malaspina, fra cui Moroello, e Franceschino, appoggiato da Simone di Giberto da Correggio, signore di Parma, durò dal 1314 al 1319, quando Giberto divenne vicario di Pontremoli e Giovanni, uno dei figli del F., sposò Donella di Giberto da Correggio, sancendo un accordo tra le due famiglie.

Tuttavia Pontremoli continuò ad essere contesa fra le diverse potenze regionali, finendo per passare all'imperatore Ludovico il Bavaro e poi ai signori di Parma, i Rossi. Con questi ultinii il F. strinse rapporti di parentela più tardi, nel 1329, quando dette in sposa una sua figlia, Ginetta, a Pietro Rossi, fratello di Rolando, allora signore di Pontremoli.

Proprio negli anni in cui era impegnato nella lotta contro Franceschino Malaspina e Simone da Correggio, il F. svolse anche una parte di rilievo nella vita politica di Genova. Egli fu infatti uno dei protagonisti del tentativo di restaurazione guelfa, che si concretizzò tra lo scorcio del 1317 e l'agosto del 1318 nell'effimero regime dei capitani del Popolo.

Nel 1317, al culmine di una crisi di rapporti iniziatasi alcuni anni prima, si era rotta l'alleanza tra i Doria e gli Spinola, che aveva assicurato per oltre quarantacinque anni ai ghibellini il dominio su Genova. Gli Spinola erano stati espulsi dalla città e, dopo estenuanti trattative, si erano sentiti negare il permesso di rientrare a causa dell'intransigenza di Corrado Doria. Si erano perciò accordati - loro ghibellini - con i Fieschi e con i Grimaldi da tempo esclusi - perché guelfi - da Genova e dalla gestione del potere in quella città.

Il nuovo, atipico schieramento di forze non tardò a portare al crollo del dominio ghibellino in Genova: i Doria, prima, e poi gli stessi Spinola furono espulsi a conclusione di una tormentata lotta per il potere, in cui il F. ebbe certo una parte importante se, quando la direzione politica passò definitivamente nelle mani dei guelfi, proprio lui fu investito, insieme con Gaspare Grimaldi, nella piazza di S. Lorenzo, il 10 dicembre (secondo alcune fonti, il 10 novembre), del governo della città e proclamato capitano del Popolo.

Non facili le condizioni interne ed esterne, in cui il F. ed il suo collega erano stati chiamati ad operare. La Riviera di Ponente era infatti nelle mani degli "extrinseci" di parte ghibellina, che vi si erano rifugiati e che vi avevano costituito una vasta lega, nella quale erano entrati anche Corrado Doria, signore di Loano, Rinaldo Spinola ed altri feudatari minori. A sottometterla, il F. ed il suo collega inviarono, con un corpo d'esercito, Rabella Grimaldi, che riuscì ad occupare Albenga, ma non poté impedire il ritorno offensivo degli avversari. Albenga fu assediata e, dopo otto giorni di blocco, venne nuovamente conquistata dai ghibellini, che costrinsero Rabella Grimaldi ed i suoi soldati a ripiegare sulle basi di partenza. Anche Savona riuscì poco dopo a cacciare i guelfi, divenendo la roccaforte dei fuorusciti genovesi. Tuttavia la situazione si fece veramente difficile per il governo e per la stessa Genova quando in aiuto dei ghibellini liguri intervenne, col peso della sua forza militare, Matteo Visconti, signore di Milano. Nel 1318, a Gavi Ligure si concentrò un grosso esercito milanese affidato al comando di Marco Visconti, che il 25 marzo pose l'assedio a Genova. Quando, dopo due mesi di resistenza, la torre di Capodifaro si arrese e l'esercito integrato dei ghibellini poté spingersi sino a Prà, che fu investita il 27 giugno, il F. ed il suo collega, per conservare Genova al partito guelfo, si risolsero a chiedere l'aiuto del re di Napoli Roberto d'Angiò, il quale inviò subito in loro soccorso un forte contingente di truppe. Il sovrano stesso si presentò, il 21 luglio, dinanzi alla città assediata con una flotta di 25 navi da guerra. Il 27 successivo il F. ed il suo collega rinunciarono, nel corso di una solenne cerimonia, alla loro carica e posero Genova sotto la signoria del papa Giovanni XXII e del re di Napoli per la durata di 10 anni. L'aiuto angioino permise all'ancora fragile regime guelfo al potere in Genova di resistere con successo agli attacchi dei suoi avversari: il 6 febbr. 1319 Marco Visconti si vide costretto a levare l'assedio e a rinunciare al progetto di impadronirsi della città ligure.

Non conosciamo la parte avuta dal F. nelle vicende politiche genovesi degli anni immediatamente successivi al 1318. È probabile, tuttavia, che egli sia stato coinvolto nei convulsi scontri, in cui si affrontarono nel secondo quarto del secolo i guelfi al potere nella città ed i ghibellini fuorusciti, o nelle operazioni militari, in cui si distinsero alcuni esponenti della sua famiglia, compreso uno dei suoi figli, Luchino. Dovette risiedere abitualmente, in quegli anni, nel suo feudo di Torriglia, anche se non mancano attestazioni di una sua saltuaria presenza in Genova, come, ad esempio, nel 1321, quando, il 26 agosto, diede in affitto una taberna sita nella zona di S. Ambrogio.

Ignoriamo quando e dove il F. sia morto.

Dalla moglie Teodora il F. ebbe numerosi figli: Giovanni (cui toccò il compito di guidare la famiglia dopo la scomparsa del padre), Antonio (ricordato come canonico di Parigi), Luchino (già morto nel 1336), Gabriele, Ginetta (andata sposa, come si è detto. al parmense Pietro Rossi), Eliana (che sposò, secondo quanto afferma la letteratura storica, Alberto Del Carretto e non Mariano Doria, come sostiene invece il Battilana), Isabella (poi unita in matrimonio a Luchino Visconti), Soborgia (andata in moglie a Geoffroy de Challant, governatore di Ginevra). Il Battilana attribuisce al F. anche una quinta figlia, Luciana, poi moglie di Daniele Oltremarino.

Teodora dettò il suo testamento nel 1325: in esso disponeva per la fondazione di monasteri e di ospedali. A due figli, Antonio e Giovanni, e a due nipoti del F., figli di Luchino, allora già scomparso, lasciò tutti i suoi beni, compresi i suoi diritti su Pontremoli, il card. Luca Fieschi nel testamento da lui dettato in Avignone il 31 genn. 1336.

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