FILANGIERI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FILANGIERI, Carlo

Renata De Lorenzo

Nacque il 10 maggio 1784 a Cava de' Tirreni (Salerno) da Gaetano, noto giurista illuminista, e da Caterina Frendel, nobile ungherese, chiamata a Napoli dalla regina Maria Carolina per educare la figlia secondogenita.

Morto il padre nel 1788, la madre mantenne contatti con l'ambiente intellettuale e, assumendo ella stessa il ruolo di insegnante per le lettere latine, scelse per i figli valenti maestri: G. Capocasale per la filosofia, V. Caravelli e V. Porto per le scienze esatte. Ben presto tuttavia il F. mostrò di preferire la carriera delle armi e la regina gli fece concedere nel 1797, mentre egli era ancora studente, il grado di ufficiale di cavalleria nel reggimento "Principe Leopoldo".

La rivoluzione del 1799 non lo coinvolse in pieno, data la giovane età, ma determinò ugualmente una svolta nella sua vita. La sua partecipazione alla seduta della commissione legislativa che, per bocca di D. Cirillo e M. Pagano, aveva commemorato il padre Gaetano Filangieri, durante la prima Restaurazione fu giudicata, infatti, compromettente per la famiglia, nonostante un editto di perdono. Perciò Caterina Frendel, avvertendo un clima di ostilità, decise di mandare i figli in Spagna presso il cognato Antonio Filangieri, capitano generale delle milizie spagnole, perché proseguissero la carriera delle armi (1800). Mentre erano in viaggio, però, il sovrano spagnolo, Carlo IV, in seguito agli avvenimenti rivoluzionari, aveva vietato l'ingresso in Spagna ai Napoletani. I ragazzi si fermarono a Milano, appena divenuta capitale della Repubblica Cisalpina. Accolti entrambi con favore, in considerazione della fama del padre, vennero indirizzati in Francia con una lettera per il primo console perché vi completassero gli studi. A Parigi i due fratelli Filangieri furono ammessi al Pritaneo, l'ateneo militare francese, poi Scuola politecnica, ove il F. ben presto primeggiò.

Il 18 nevoso dell'anno XI (8 genn. 1803) iniziò la carriera nell'armata francese col grado di sottotenente nel 33º reggimento di fanteria, partecipando alle campagne del 1803, 1804 e 1805. Il 2 dic. 1805, alla battaglia di Austerlitz, ottenne sul campo il grado di capitano e poi, per i meriti conseguiti, il brevetto di luogotenente; nel frattempo compì alcuni brevi soggiorni a Napoli.

Cessate le ostilità dopo il trattato di Presburgo del dicembre 1805, il F. si dedicò a studi comparativi di carattere militare, ma fu richiamato nel Regno di Napoli dopo la conquista da parte dei Francesi nel febbraio 1806. Giunto a Napoli nel maggio, fece parte dello stato maggiore dell'esercito come capitano e fu nominato aiutante di campo del generale M. Dumas, ministro della Guerra; spedito all'assedio di Gaeta, terminato il 19 luglio, fu nominato capitano dei cavalleggeri volontari della guardia del re Giuseppe Bonaparte e, per il valore dimostrato anche nella difesa del ponte sul Garigliano, ebbe la Legion d'onore. Negli ultimi mesi del 1807 collaborò col generale J.-L. Reynier in Calabria nella campagna che proseguì fino alla conquista di Reggio.

Nell'ottobre 1807 ebbe la carica di scudiero del re e la croce di cavaliere dell'Ordine delle Due Sicilie; nel 1808 fu promosso caposquadrone dello stato maggiore dell'esercito. Nel luglio dello stesso anno, divenuto Giuseppe Bonaparte re di Spagna, accompagnò la regina Giulia a Lione. Si recò quindi a Tolosa presso Napoleone, e di lì in Spagna, aggregato all'esercito francese nella guerra contro gli insorti spagnoli. Si distinse in varie operazioni, per cui ottenne il grado di maggiore, poi di tenente colonnello e fu scelto dal maresciallo J.-B. Jourdan come sottocapo dello stato maggiore del suo corpo d'esercito. Nel novembre a Burgos sfidò ed uccise in duello il generale J.-B. Franceschi, reo di aver espresso giudizi poco lusinghieri sui Napoletani, e, dopo un ennesimo coinvolgente incontro con Napoleone, che gli rimproverò il suo carattere impulsivo ("testa di Vesuvio"), fu rimandato a Napoli.

Inviato prima in Abruzzo Citra per formare la milizia provinciale, il 28 maggio 1810 raggiunse a Palmi, in Calabria, il re Gioacchino Murat, partecipò ai fatti d'arme di Maida, Bagnara e Scilla contro le cannoniere inglesi, divenne ufficiale d'ordinanza del re ed ebbe la croce di commendatore dell'Ordine delle Due Sicilie. Nel 1811 partì per la spedizione contro la Russia, ma nel 1812 fu richiamato a Napoli, minacciata dallo sbarco delle truppe anglo-sicule, di cui più volte respinse gli attacchi. Al ritorno del Murat dalla Russia nel novembre 1813 e prima del trattato austro-napoletano il F., che era stato promosso il 5 luglio maresciallo di campo, partì per l'Italia centrale come avanguardia della divisione del tenente generale M. Carrascosa; e fu stanziato prima a Ferrara, poi a Bologna, a Modena e infine presso il maresciallo austriaco H. J. Bellegarde.

Durante la campagna d'Italia del 1814 visse le conseguenze dell'incerta politica murattiana, ora alleato con gli Austriaci. Dopo molti scontri sulle rive del Taro e del Mincio, ora a favore dei Napoletani ora a favore degli Italici del viceré Eugenio, il F. il 24 apr. 1814 si ritirò a Bologna con la sua brigata. Il 26 il Murat lo nominò suo aiutante di campo. In maggio stazionava nelle Marche, ma poco dopo fu richiamato a Napoli per far parte del Consiglio militare del re.

Dal giugno-luglio 1814 fu incaricato di numerose missioni diplomatiche al congresso di Vienna e a Parigi, quando il sovrano ancora sperava di uscire indenne dalla fase di ripristino della "legittimità" alleandosi con l'Austria. Il F. dovette tuttavia constatare in entrambi i luoghi la diffidenza delle potenze europee (tranne l'Austria) e della diplomazia francese in particolare (soprattutto del Talleyrand), verso il Murat, già prima della fuga di Napoleone dall'Elba.

Dopo il ritorno di Napoleone a Parigi il Murat nel marzo 1815 aprì le ostilità contro l'Austria e il F. partecipò alla campagna d'Italia: il 4 aprile, durante la marcia delle truppe verso Modena. conquistò il ponte di Sant'Ambrogio sul Panaro e fu nominato sul campo tenente generale, ma, gravemente ferito, non poté più continuare la guerra. Trasportato a Napoli guarì, ma rimase claudicante alla gamba destra. In tale periodo ereditò dalla zia Teresa Filangieri, coniugata Ravaschieri Fieschi, il patrimonio in Calabria, formato dai feudi dei Ravaschieri Fieschi a cui era congiunto il titolo di principe di Satriano.

Le opere relative a questa fase della vita ed al rapporto coi sovrani francesi, le stesse memorie autobiografiche, scritte in periodo borbonico, e talora nelle fasi repressive della Restaurazione, tendono o a sottolineare che, pur al servizio dei Napoleonidi, il F. aveva rifiutato di prendere le armi contro i Borboni e che il suo rifiuto era stato rispettato (ma le campagne in Calabria lo avevano visto in prima linea contro gli Anglo-siculi) o comunque ad inquadrare la sua collaborazione come riflesso di una fondamentale adesione al ruolo di militare, fedele al proprio sovrano, chiunque questi fosse: atteggiamento che i suoi detrattori invece consideravano opportunista ed espressione di un'ambizione smodata. In realtà il F. fu un tipico esponente della generazione "murattiana" avendo, fino al 1815, partecipato a dodici campagne, sì da divenire tenente generale. Fu perciò anche durante la vecchiaia tacciato sempre di "napoleonico" e portò nella vita politica del Regno una visione militare e amministrativa di impronta francese.

In linea con la politica borbonica dell'"amalgama" inaugurata dalla seconda Restaurazione, finito il regno murattiano con il trattato di Casalanza (20 maggio 1815), venne confennato nel grado. Con la Restaurazione iniziò anche una nuova fase della vita del F. in cui questi, più che sui campi di battaglia, si segnalò per le capacità diplomatiche, amministrative ed imprenditoriali. In vista di un riordinamento dell'esercito, fu infatti nominato nel 1815 componente del Consiglio di guerra, come esponente del disciolto esercito murattiano, ed elaborò un progetto basato sull'obbligo della leva, poi respinto dal re. Il F. si dimise per dissensi su alcune iniziative ed il Consiglio fu sciolto nel 1816.

Designato il generale austriaco L. Nugent capitano generale dell'esercito napoletano e ministro della Guerra, il F. fu nominato ispettore generale della fanteria di linea.

Alla inopportuna politica militare del Nugent, ispirata a criteri di risparmio e basata su disposizioni empiriche e frammentarie, il F. attribuì il diffondersi della carboneria nell'esercito di cui ebbe sentore ben prima del 1820. Nel 1818 ebbe la gran croce dell'Ordine di S. Giorgio e dal maggio 1820 fu ammesso alla corte come gentiluomo di camera del re. Il 6 apr. 1820 sposò a Palermo Agata Moncada, figlia del principe di Paternò.

Dopo il 2 luglio 1820, quando scoppiò la rivolta a Nola, egli rimase fedele al re e operò per il controllo dell'ordine pubblico nella capitale. Accettò nel "nonimestre" alcuni incarichi militari: il 12 luglio ebbe il comando della guardia reale, il 14 il comando della fanteria della guardia, il 17 fu posto a capo della giunta creata per depurare l'esercito dagli elementi sospetti, ma si dimise perché vi vide un intento persecutorio verso i più devoti al re. Incapace di trovare una propria collocazione, attaccato dalla stampa, il 14 agosto rinunziò a tutti gli "incarichi, gradi e impieghi militari" (Moscati, 1933, p. 37), ma le dimissioni furono respinte dal vicario generale, duca di Calabria. Conosciuto il proclama di Lubiana del 21 febbr. 1821 col quale Ferdinando I esortava i Napoletani ad accogliere gli Austriaci, che stavano per invadere il Regno, come alleati, il F. sostenne che essi dovevano essere combattuti e perciò fu poi destituito.

Dopo la sconfitta del governo costituzionale il F. fu esonerato dal comando della guardia reale il 27 marzo 1821, sottoposto alla giunta di scrutinio, privato di ogni grado e onorificenza con decreto 29 luglio 1821. Gli si fece accusa postuma del legame con Murat: attaccato dalla stampa, sia borbonica sia liberale, si ritirò, allora, nei suoi possedimenti calabresi, e nel bosco di Razzona, a Cardinale, fece sorgere, probabilmente nella seconda metà degli anni Venti, una piccola ferriera.

Tornato a Napoli, tentò di dar vita in Calabria a varie manifatture facendo venire artigiani e materiali da altri Stati: impiantò una fabbrica di sapone, un mulino a vapore, una vetreria e nel 1837, quale azionista della Società industriale partenopea, una manifattura di tessuti di lino, cotone e canapa a Sarno: attività che fallirono ed assorbirono tutti i suoi beni, ma che indicano una certa sensibilità imprenditoriale.

In quegli anni il F. intervenne anche nella polemica fra protezionisti e liberisti a favore dei primi e dei grossi monopoli pubblici e privati interessati allo sviluppo di una siderurgia nazionale, indirizzando contro il liberista M. L. Rotondi, autore delle anonime Riflessioni economiche sul ferro (Napoli 1838), una Risposta alle riflessioni economiche sul ferro (ibid. 1838).

Con l'avvento al trono di Ferdinando II (1830), nel clima di rinnovamento dei primi anni del regno, che comportava il recupero alla vita politica di molti ex murattiani, il F. era stato richiamato a corte l'11 genn. 1831. Reintegrato nel grado di tenente generale, ricevette l'Ordine di S. Gennaro ed ebbe il compito di vagliare la possibile riammissione di ufficiali destituiti. Fece parte della Dieta dei generali, incaricata di riordinare l'esercito, e resse, fino al 1849, la direzione generale dei corpi facoltativi, artiglieria e genio.

Rinnovò il collegio militare di Napoli, cui aggiunse una scuola di equitazione, favorì gli studi di storia militare, ma soprattutto si adoperò per la risoluzione dei problemi dell'artiglieria. A Castelnuovo sorse una sala di modelli di armi e nel 1845 fu pubblicato a Napoli l'Atlante del nuovo sistema di artiglieria, con 72 tavole, lavori che trovarono uno sbocco pratico nella simulazione di un assedio a Capua. Curò gli stabilimenti e le manifatture militari di armi, rimodernò le opere di difesa del Regno, rendendo inespugnabile Gaeta, migliorò fortezze, ospedali e caserme, portò a nuova vita l'ufficio topografico istituito dal Rizzi-Zannoni, fece sorgere l'arsenale, la fonderia ed altri importanti edifici militari. Favorì l'impianto dell'officina di Pietrarsa e di una scuola teorico-pratica dei macchinisti, che si rivelarono utili anche dopo l'annessione al Regno d'Italia.

Allo scoppio dei moti del 1848, con la rivoluzione in Sicilia e poi a Napoli, il F. fu tra coloro che spinsero Ferdinando II a concedere la costituzione del 10 febbraio. Durante le successive trattative per una lega dei principi italiani e dopo la dichiarazione di guerra all'Austria il F. si offrì di guidare le due divisioni di fanteria e cavalleria che dovevano unirsi ai soldati piemontesi, ma, fatto oggetto di attacchi da parte della stampa, si vide preferire G. Pepe, che ritornava a Napoli dopo ventotto anni di esilio, e in aprile si dimise.

Convocato dal re dopo la reazione del 15 maggio, il 26 agosto ebbe il comando delle truppe di terra e di mare per la spedizione in Sicilia, terra da riconquistare dopo l'insurrezione del 12 gennaio e la dichiarazione d'indipendenza da Napoli. L'8 settembre, dopo ripetuti assalti, si impadronì di Messina e delle zone circostanti; cercò quindi di reintrodurre un'ordinaria gestione della giustizia e dell'amministrazione nella zona occupata, operò in favore del commercio, ma dovette difendersi dalle accuse pubblicate dalla stampa estera, secondo cui la città era stata bombardata per otto ore consecutive dopo la resa, il che valse al sovrano l'appellativo di "re bomba". Un successivo armistizio, durato fino al 29 marzo, non ottenne la pacificazione dell'isola, in quanto il governo siciliano respinse le strumentali concessioni costituzionali promesse dal re; il F. perciò continuò ad avanzare verso Palermo, contrastato invano dalle truppe comandate dal generale L. Mierosllawski. Ottenuta la capitolazione, cercò di riportare l'ordine nell'isola, concedendo ad alcuni il perdono, riaprendo tribunali e uffici, riarmando la guardia urbana; ma gli oppositori sottolinearono il saccheggio e l'incendio di Catania, l'opera delle corti marziali, la facilità con cui veniva applicata la pena di morte.

Il 15 maggio 1849 il F. entrò a Palermo. Per tale impresa, con decreto 19 luglio 1849, gli fu conferito il titolo di duca di Taormina, con dotazione di 12.000 ducati di rendita e il gran cordone di S. Ferdinando.

Egli rimase al governo dell'isola col titolo di luogotenente generale, dedicandosi ad un'intensa opera di ricostruzione, nell'ottica dell'indipendenza amministrativa della Sicilia. Che questo fosse il suo obiettivo venne riconosciuto anche dalla storiografia a lui avversa, che ne rimarcava però ancora una volta l'opportunismo, in quanto, guardandosi bene dall'opporsi all'invadenza del sovrano, il F. finiva per dare alla propria luogotenenza le caratteristiche di una dittatura militare (Finocchiaro, pp. 337-341). Al contrario altri storici, come G. De Sivo, lo accusarono di tolleranza nei confronti delle speranze autonomiste.

La luogotenenza del F. incise profondamente sulla vita dell'isola per la riorganizzazione compiuta nei più svariati campi, da quello finanziario a quello scolastico e universitario, a quello commerciale. Da antico murattiano, il F. operò soprattutto sotto il profilo politico-amministrativo, restituendo alla Sicilia l'autonomia persa nel 1837, "cercando di spingere innanzi, benché con scarso successo, le restanti operazioni demaniali, riuscendo anche a conciliare provvisoriamente alla monarchia una frazione della aristocrazia palermitana, irritata e spaventata dalle tendenze democratiche manifestatesi nel 1848" (Romeo, pp. 358 s.). In sostanza, comunque, come sostiene il Romeo, egli, "nonostante qualche platonico atteggiamento costituzionale, era e restava ministro di assolutismo, intimamente assolutista...", per il suo ritenere la paura "elemento di governo coi perversi", per aver ordinato le fucilazioni del 28 genn. 1850 e aver appoggiato gli arbitrii della polizia.

Ostacolato dai militari di corte, che lo avevano soprannominato ironicamente Carlo I, e dal ministro di Sicilia a Napoli, il messinese G. Cassisi, il F. si dimise quando venne aperta un'inchiesta, soprattutto contabile, sulla gestione luogotenenziale, i cui risultati furono pubblicati nel 1855. Dopo sei anni di governo dell'isola, il 12 febbr. 1855 gli fu accordato il ritiro e si accettarono anche le sue dimissioni da generale. Il F. tornò quindi a vita privata, stabilendosi a Ischia.

Benché non ricoprisse ormai alcun ufficio, era consultato spesso dal re. Morto Ferdinando II il 22 maggio 1859, il nuovo sovrano Francesco II, dopo i tumulti del 7 giugno a Napoli, mentre era in pieno svolgimento la guerra in Lombardia, lo nominò presidente del Consiglio dei ministri e ministro della Guerra. Il F. non fu circondato da uomini da lui scelti, limitandosi ad accettare i nuovi direttori imposti dal re; il suo coinvolgimento era emblematico dell'invecchiamento dei quadri dirigenti borbonici dal momento che ancora operavano nei più alti gradi funzionari e militari formatisi durante il decennio francese.

Certamente nel maggio 1859, in un periodo critico, apparve come l'unico dotato dei requisiti di esperienza ed intelligenza necessari a riordinare lo Stato, in quanto individuo abituato ad ispirarsi ad una condotta morale fondamentalmente corretta. Fu considerato l'uomo giusto sia dai circoli liberali napoletani e dai circoli degli esuli e degli emigrati a Torino, sia dagli autonomisti, dal governo francese e da quello piemontese e per certi aspetti dalle stesse forze reazionarie, dal momento che ognuno faceva riferimento ad episodi e fasi diverse della sua vita; e il F. abilmente si era preparato il terreno per una chiamata al ministero dovuta, più che alla decisione di Francesco II, alle circostanze politiche. In tale periodo fece sì che fosse sciolta dal re la legione svizzera e fossero formati altri reggimenti di napoletani (due di fanteria e due di cacciatori) e riuscì ad ottenere, con decreto del 16 giugno 1859, l'abolizione delle liste degli "attendibili", i cui effetti furono però annullati dalla circolare Casella, che prescriveva agli ufficiali di polizia di consultare all'occorrenza registri e liste di sospetti.

In contrasto con la fazione austriacante che faceva capo alla regina madre Maria Teresa, cercò di riallacciare i rapporti con la Francia e con l'Inghilterra, timorosa di una ripresa del murattismo nel Regno. Timore condiviso d'altra parte da C. Cavour, che tentò di allearsi coi Borboni e inviò nel maggio 1859 R. Gabaleo, conte di Salmour, in missione presso il nuovo re.

Vengono al F. attribuiti in questo periodo sia il lavoro diplomatico di avvicinamento alla Francia sia le pressioni sul re per la concessione di uno statuto costituzionale. In realtà i passi del Salmour e del rappresentante francese A. Brénier furono "sostenuti solo con molta tiepidezza e dubbia buona fede dal Filangieri" e "assai blandi" furono i suoi accenni al sovrano circa i vantaggi del progetto di statuto redatto da G. Manna, sul quale egli fece solo "cauti sondaggi" (Moscati, 1960, p. 60).

Il 5 settembre chiese un permesso per motivi di salute, ma, nonostante ciò, per tutto il periodo successivo influì sulle più importanti decisioni prese dal re. A differenza di coloro che, seguendo il conte di Trani, erano fautori della resistenza ad oltranza, il F. guidava i più moderati. Le dimissioni, offerte ripetutamente da ottobre, furono accettate dal re nel gennaio 1860 e rese pubbliche solo il 10 marzo; in questi due mesi egli continuò dal suo rifugio di Pozzopiano ad esercitare le funzioni di ministro della Guerra con effetti "paralizzanti" sul settore (ibid., 1960, p. 69). Venuto a conoscenza dei disegni di Garibaldi contro il Regno di Napoli, cercò inutilmente di indurre il re ad usare la carta dello statuto per ottenere l'appoggio di Napoleone III.

Nella primavera del 1860 fece parte del riordinato Consiglio di Stato, e propugnò una riconquista "morale" della Sicilia. Giunto Garibaldi nell'isola, il F. si oppose alla proposta di A. Nunziante e L. Latour di bombardare Palermo. Non ascoltato dal re, che era sotto l'influsso dei suoi cortigiani, si ritirò a Pozzuoli, rifiutando di prendere il comando delle armate napoletane in Sicilia.

Mentre a Napoli il 25 giugno veniva promulgata la costituzione ed era formato il ministero di A. Spinelli, si verificarono disordini, ma il F. non fu più consultato dal re, che ormai diffidava di lui. Era considerato pericoloso anche da L. Romano, che ne consigliò l'allontanamento, da Napoli; l'11 ag. 1860 gli fu perciò concesso di partire con la moglie per Marsiglia. Da qui i due coniugi si recarono nell'isola di Hyères, ove vissero per qualche mese, indi, mentre la moglie tornò a Napoli con le figlie Carolina e Giovanna, il F. col figlio Gaetano si recò a Firenze presso la figlia Teresa. Qui rimase fino al 3 dic. 1862, quando ritornò a Napoli, ove era morta la moglie.

Richiamato in attività dai generali A. Lamarmora e M. Fanti nel 1865 per preparare studi sull'esercito, redasse la Composizione dell'esercito attivo dell'Armata d'Italia: studi e progetti che da me furono presentati al ministro della Guerra del Regno d'Italia. Nel 1866 e nei primi mesi del 1867 iniziò una corrispondenza col generale G. S. Pianell sull'ordinamento dell'esercito italiano.

Morì per crisi cardiaca nella dimora estiva di San Giorgio a Cremano (prov. di Napoli) il 10 ott. 1867.

Opere: L'Autobiografia manoscritta è conservata a Napoli presso la Biblioteca della Società napoletana di storia patria; i Ricordi militari sono stati pubblicati dalla figlia Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri nel volume Il generale C. F. principe di Satriano e duca di Taormina, Milano 1902. Il F. fu autore di numerosissime relazioni sui principali avvenimenti politici e militari a cui partecipò e di riflessioni su problemi politici, di strategia e di tecnica militare, ed ebbe una fitta corrispondenza con molti importanti personaggi, non solo nell'ambito del Regno delle Due Sicilie: questo abbondante materiale è presente in vari fondi archivistici, soprattutto in quelli del Museo civico "Gaetano Filangieri". Sono al F. inoltre attribuite le anonime Memorie istoriche per servire alla rivoluzione siciliana del 1848-1849, s.l. [Pisa] 1853.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Archivio Borbone, ad Indicem; Ibid., Archivio Serra di Gerace, vol. V, p. 1743; vol. 90; Napoli, Arch. del Museo civico "Gaetano Filangieri", Mss., Marchese Caccavone, Vita di C. Filangieri.

Data la lunga e costante presenza del F. nella vita politica del Regno, riferimenti a lui sono in moltissime opere sull'Ottocento napoletano. Le biografie sono quasi tutte agiografiche e danno largo spazio alla descrizione di battaglie e alla abilità tattica e strategica del F.; importanti puntualizzazioni e revisioni critiche sono invece dovute a R. Moscati (1933) ed A. Saladino (1960). In particolare, si veda: Nobiliaire, s.l. s. d., pp. 418 ss.; L. Bianchini, Sullo stato delle ferriere del Regno di Napoli, in Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, Napoli 1834, pp. 118 s.; A. Santoro, Discorsi in occasione del giorno onomastico dell'ecc. C. F., Napoli 1837; G. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII Congresso in Napoli nell'autunno del MDCCCXLV, Napoli 1845, pp. 25-28; Biografia di C. F., Napoli 1849; H. de la Garde, Le général F., Turin 1858; G. La Cecilia, Cenni biografici del tenente generale C. F., Napoli 1867; P. Calà Ulloa, Di C. F. nella storia dei nostri tempi, Napoli 1871; A. von Reumont, Don C. F. Fürst von Satriano, in Biographische Denkblätter...,Leipzig 1878, pp. 75-126; C. De Lellis, Casa Filangieri,a cura di B. Candida Gonzaga, Napoli 1887, pp. 323 ss.; M. Amari, Carteggio, a cura di A. D'Ancona, I, Torino 1896, pp. 310, 589; R. De Cesare, La fine di un regno, Città di Castello 1909, pp. 302 ss., 327, 370; V. Finocchiaro, La rivoluzione siciliana del 1848-49e la spedizione del generale F., Catania 1906; G. Ferrarelli, Memorie militari del Mezzogiorno d'Italia, a cura di B. Croce, Bari 1911, pp. 258-267; N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero. Francesco Pignatelli principe di Strongoli, I-II, Bari 1927, ad Indicem;R. Moscati, Il generale C. F. nella Rivoluzione napoletana del 1820, in Rass. stor. nap., I (1933), pp. 25-41; A. Omodeo, Difesa del Risorgimento, Torino 1951, pp. 369-399; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, II, pp. 430, 450 s.; III, ad Indicem; Fonti documentarie per la storia napoletana del sec. XIX. Il tramonto del Regno delle Due Sicilie nella corrispondenza riservata di Francesco II e C. F., a cura di A. Saladino, Napoli 1960; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna..., Milano 1960-64; III, pp. 361 s., 428 s.; IV, pp. 40-43, 418-421; A. Saladino, L'estrema difesa del Regno delle Due Sicilie (agosto-settembre 1860), Napoli 1960, ad Ind.;R. Moscati, La fine del Regno di Napoli, Napoli 1960, ad Indicem; Carteggi di C. Cavour: cfr. l'Indice gen. dei primi 15 voll. (1926-1954), Bologna 1961, ad nomen; P.Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, ad Indicem;N.Cortese, Il Mezzogiorno e il Risorgimento italiano, Napoli 1965, pp. 210, 214, 299, 347, 399; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1982, pp. 336, 351, 358, 359 n.; J. A. Davis, Società e imprenditori nel Regno borbonico 1815/1860, Bari 1979, p. 140; G. Rubino, Le fabbriche del Sud, Napoli 1990, pp. 149-153; A. Scirocco, Briganti e società nell'Ottocento: il caso Calabria, Lecce 1991, pp. 17 s., 80 s., 90.

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