GIACHERY, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIACHERY, Carlo (Carlo Napoleone Luca)

Fabio Cosentino

Figlio di Luigi e di Paola Cerchi, nacque a Padova il 28 giugno 1812. Nel 1818 la famiglia si trasferì a Palermo dove prese in gestione l'hôtel de France.

Il G. studiò all'Università palermitana seguendo i corsi di Domenico Scinà e di Gaetano Batà, per le materie umanistiche, e quelli di Antonio Gentile per le materie architettonico-scientifiche. Dopo la laurea in architettura (1833) si recò a Roma dove perfezionò gli studi presso l'Accademia di S. Luca studiando, tra gli altri, con C. Sereni.

Tornato a Palermo conseguì la laurea in fisica e matematica e ricoprì per tre anni la carica di lettore di matematiche miste nel corso di Diego Muzio. In seguito a pubblico concorso ottenne, nel 1837, la cattedra di architettura civile (Arch. di Stato di Palermo, Commissione Pubblica Istruzione, Registro della Consulta, 2 giugno 1837), che tenne sino all'anno della morte.

Convinto assertore del progresso tecnologico ma rispettoso delle matrici neoclassiche dei suoi predecessori, il G. ebbe il merito di rinnovare l'insegnamento dell'architettura a Palermo in un momento in cui si rendeva necessaria una stretta collaborazione tra le strutture accademiche, l'imprenditoria industriale e i cenacoli culturali della città, creando così una nuova figura professionale capace di approfondimenti tecnici, scientifici e storici. Senza accentuare fratture tra ingegneri e architetti in sintonia con il processo di decomposizione disciplinare attuato a Napoli sin dal 1822 (Venditti, p. 27), divise la cattedra di architettura civile in due cattedre distinte di statica e di decorazione (separazione di fatto avvenuta nel 1852 con la collaborazione delle Province di Palermo, Trapani e Girgenti e del Comune di Palermo), al fine di apportare specifici approfondimenti a ogni singola disciplina. Nella cattedra di statica introdusse lo studio della stereometria e della geometria descrittiva utilizzando i testi di C.F.A. Leroy e di M.J.A. Borgnis (Mauro, p. 340). In quella di decorazione si servì del trattato di estetica di F. Milizia e del testo di T. Hope per l'insegnamento della storia dell'architettura. Quest'ultima decisione fu maturata in seno a un rinnovamento degli studi storici siciliani avviati da D. Lo Faso di Pietrasanta, duca di Serradifalco, secondo i metodi della storiografia artistica positivista.

La necessità di compenetrare arte e tecnica, storia e progetto, tradizione e innovazione fu alla base di tutta l'attività artistica del G., che cela però una contraddizione di fondo. Se come progettista di opere pubbliche egli si attenne alle linee neoclassiche, poi neogreche, anticipate da G.B. Amico e codificate da G.V. Marvuglia, nel campo dell'edilizia privata oscillò tra l'uso di tecniche avanzate e di modelli architettonici di matrice gotico-inglese, che spesso ammiccavano alla tradizione arabo-normanna dell'isola.

Espressioni del primo atteggiamento sono il progetto per il concorso a cattedra del 1837, dove dimostrò padronanza nell'uso degli ornati greco-romani; il progetto per il cimitero dei Rotoli del 1837; quello di camposanto presentato all'Esposizione palermitana di belle arti del 1838, criticato da G. Di Martino per la licenziosità nell'uso di elementi architettonici presi a prestito ora dalla tradizione romana, ora dall'antico Egitto, ora dalla tradizione barocca borrominesca, a dispetto dei principî formulati dal Milizia; il progetto di ampliamento del palazzo dell'Università di Palermo (1846-48) completato solo nel 1855 con l'inserimento nel vestibolo di statue simboliche; il progetto, non realizzato, per la nuova facciata della Biblioteca comunale di Palermo in stile neogreco. Con la realizzazione dei padiglioni per l'orto botanico commissionatigli dall'Università di Palermo nel 1837, il G. dimostrò una maturazione architettonica riscontrabile in particolare nell'abbandono degli elementi della tradizione classica siceliota in favore di espressioni architettoniche di respiro internazionale.

Nella compostezza volumetrica dell'insieme, nel dosato uso della decorazione, visibile nelle forme semplificate delle paraste, nelle nicchie appena accennate e sovrastate da bassorilievi, separati da quelle da modanature a fascia da cui si diparte l'arco centrale, si può notare un chiaro riferimento alle opere romane di R. Stern e di L. Canina e a quelle inglesi di J. Nash (il Quadrant di Regent street).

Con il rinnovo della farmacia Monteforte (1842) e la trasformazione in residenza suburbana della tonnara all'Arenella per i Florio (dal 1844), il G. abbandonò definitivamente gli stilemi neoclassici in favore di modelli neogotici di matrice inglese particolarmente cari alla nascente borghesia imprenditoriale siciliana. Se confrontata con la palazzina "in stile gotico chiaramontano" del Serradifalco, o con palazzo Forcella e la villa di corso Pisani, la sala gotica dei Quattro Pizzi - testata di raccordo tra le due ali della vecchia tonnara, di forma quadrangolare con, agli angoli, torri digradanti - ricorda più gli elementi turriti delle costruzioni di campagna di A. Welby o di W. Butterfield che le architetture del Trecento siciliano. La decorazione a piccoli archetti che disegnano sul muro una trina poco aggettante, prende spunto invece dai palermitani palazzi Chiaramonte e Sclafani. All'interno, sulle pareti che inquadrano le crociere, le scene di caccia rappresentate hanno un sapore anglosassone, i riquadri a stelle mistilinee che contengono falconi e aquile nelle vele delle stesse crociere rimandano a un lontano ma sempre presente passato arabo-svevo.

La frequentazione del duca di Serradifalco - con il quale il G. collaborò in qualità di collega sia nel Consiglio edilizio (dal 1842), sia nel 1844 nella redazione di un progetto di teatro della musica al Foro Borbonico di Palermo (Lima, 1995, pp. 153, 177) - gli servì per maturare quella coscienza storica che lo avrebbe condotto ad accettare l'incarico per un programma di restauro dei prospetti degli edifici cittadini e a intraprendere, dopo la rivoluzione del 1848, l'energica e decisa campagna per evitare la demolizione della porta Nuova, della quale, in una memoria a stampa dello stesso anno, lodò e il valore artistico e la necessità di un radicale restauro (Rapporto della Commissione della Camera dei Comuni sul progetto di demolizione di porta Nuova, Palermo, 5 ag. 1848).

Molto intenso e di lunga durata fu il sodalizio con i Florio, non solo sul piano professionale. Amico e braccio destro di Vincenzo Florio - tanto da essere azionista della palermitana Società de' piroscafi postali di I. e V. Florio & C. (Candela) - il G. poté applicare le proprie conoscenze tecnologiche alle costruzioni commissionategli dal suo committente. Nel 1841, prima dell'intervento all'Arenella, aveva lavorato alla vecchia sede della Fonderia Oretea inserendo la prima motrice a vapore in Sicilia (Lima, 1995, p. 152). Tra il 1852 e il 1853 costruì nei pressi della tonnara dell'Arenella un mulino a vento per la macina del sommacco, ben presto dismesso, come ricordano le Notizie sulla Casa Florio (Palermo, Biblioteca comunale, ms., 1925), il cui dispositivo, particolarmente apprezzato da alcuni ingegneri olandesi venuti appositamente per studiarne il meccanismo, permetteva di volgere le pale in direzione del vento. Nel 1854 si occupò dell'ampliamento della nuova sede della Fonderia Oretea al Borgo, di cui sarebbe stato anche amministratore (Lima, 1995, p. 155), dove, per le tettoie dei magazzini, introdusse un sistema costruttivo basato su incavallature di legno e ferro che verrà utilizzato in seguito anche dal genio civile.

Quando nel 1864 V. Florio gli affidò il progetto di un molo di alaggio, impianto indispensabile per spostare le unità della flotta Florio, il porto di Palermo era sprovvisto di questo tipo di attrezzatura, anche se qualche tentativo in tal senso era stato compiuto ai tempi del governo borbonico, come aveva scritto il G. stesso nella Memoria descrittiva della Sicilia e dei suoi mezzi di comunicazione… (Palermo 1860, p. 43).

I lavori procedettero molto lentamente a causa della scarsa dimestichezza delle maestranze con le moderne tecniche di calcolo e impasto dei cementi utilizzati. Anche la costruzione di una gru (capace di sollevare 40 tonnellate per agevolare le operazioni di imbarco e di sbarco delle merci: Di Maggio, 1868, pp. 12, 29), non migliorò il ritmo lavorativo. La costruzione venne presto interrotta e fu ripresa solo dopo la morte del G., per essere conclusa nel 1871.

Il G. ebbe a collaborare anche con altre importanti famiglie imprenditoriali palermitane, come per esempio quella di Michele Pojero per il quale, tra il 1850 e il 1851, riordinò la casa presso porta Felice, mantenendo lo stile classico preesistente. Inoltre, nel 1853 progettò il palazzo di Salvatore De Pace, genero di V. Florio, nelle vicinanze del bacino portuale (Salemi, p. 27); dopo il 1856 realizzò altri mulini per i Brandaleone, i Casiglia e i Pojero nel Trapanese; nel 1864, ancora per i Pojero, intervenne al Sammuzzo, nella zona del porto, redigendo il progetto per uno stabilimento e per una banchina.

Nel 1850 il G. venne chiamato a modificare e ampliare il palazzo Alliata di Solanto per adibirlo a sede del ministero di Stato. Del progetto originale rimane solo la grande scala a chiocciola che serviva da collegamento tra il piano terreno e alcuni locali del limitrofo ospedale di S. Giacomo: è questa forse l'opera più significativa della sua intera produzione, testimone di una evoluzione verso forme e formule semplificate che anticipano il liberty siciliano.

Finita nel 1852 la scala, interamente a sbalzo, si snoda elicoidalmente all'interno di un alto cilindro. Una cupola sferica ritmata da scanalature concave, sormontata da un occhio circolare coperto da un lucernario in ferro e vetro, ne conclude l'evoluzione spaziale. Realizzata con tecniche tradizionali, in un perfetto sistema stereometrico esteso a tutta la struttura che può ricordare gli esempi normanni, come le scale a chiocciola dei campanili della cattedrale palermitana, e quelli del pieno Quattrocento isolano di cui la chiesa dell'Annunziata di Trapani è valida espressione, l'opera in realtà si attiene a modalità espressive e costruttive riferibili a modelli d'Oltralpe, specialmente francesi, conosciuti attraverso i testi di stereometria di Leroy e gli scritti di E. Viollet-Le-Duc. La decorazione scolpita, in apparenza semplice, contribuisce a evidenziare lo spiccato verticalismo: a partire dal ricciolo d'inizio dei gradini, rafforzato dal motivo naturalistico della ringhiera (lo stesso sviluppo sarà presente nelle scale del villino Florio di E. Basile e del villino Bacchi-Salerno di E. Armò), seguito dal forte aggetto orizzontale della cornice del tamburo e dalla cupola che ricorda i baldacchini arabi o più semplicemente, in negativo, il catino absidale della cappella dei Pescatori dell'Annunziata di Trapani, fino ad arrivare al culmine con il lucernario. Una scelta, quella del lucernario, insolita a quel tempo, per l'inserimento di un elemento vetrato di copertura in una struttura muraria che dichiara apertamente il portato innovativo delle idee tecnologiche del G. e la disinvoltura nell'applicarle.

Il G. ritornò subito dopo su questo tema progettando per il teatro di S. Cecilia (1853-54) una copertura parzialmente trasparente presa a esempio da G. Damiani Almeyda per il teatro Politeama Garibaldi. Per lo stesso teatro di S. Cecilia, oltre all'innovativo sistema di spostamento dei macchinari scenici, progettò e realizzò (la direzione dei lavori fu affidata a G. Patricolo) i rifacimenti interni (Arch. di Stato di Palermo, Intendenza di Palermo, vol. 1197).

Le quattro file di palchi sono inquadrate in una fitta ma delicata decorazione che simula, attraverso paraste, la sovrapposizione di ordini architettonici. Queste, a cornice, internamente decorate, hanno come base il parapetto continuo dei palchi e come coronamento un abbozzo di capitello che permette di collegarle dolcemente con la fascia continua che inquadra l'arco ribassato di ogni singolo palco. Il sistema segue il gusto neoclassico allora in voga (Tedesco, 1992, p. 91) non apportando alcuna sostanziale novità architettonica, così com'era successo per il rifacimento del teatro S. Anna del 1852 (Mazzamuto, 1989, p. 108).

Nel 1853 il luogotenente del re in Sicilia affidò al G. la realizzazione del nuovo ospizio di beneficenza di Palermo, da costruirsi nel piano di S. Oliva, fuori porta Maqueda. L'edificio si sviluppava su pianta quadrata con avancorpi poco aggettanti in corrispondenza del vestibolo d'ingresso e della cappella; e in altezza, su due piani, secondo una linea architettonica che, in forme semplificate, ricorda la villa Belmonte di Marvuglia.

Realizzata in breve tempo, dal gennaio all'ottobre del 1854, e con pochi mezzi, l'opera fu oggetto di una accesa campagna diffamatoria da parte degli stessi incaricati della perizia sull'edificio. Il G. si difese con una memoria (Pochi cenni sulle fabbriche del Nuovo R. Ospizio di beneficenza…, Palermo 1856) nella quale spiegò dettagliatamente e con consumata perizia tecnica le linee essenziali del progetto, semplice e modesto, senza abbellimenti decorativi superflui per l'uso che se ne sarebbe fatto. La memoria convinse l'opinione pubblica: una nuova perizia, redatta nel 1855 dagli ingegneri G. Albeggiani e G. Machì, restituì dignità all'operato del G., volto ormai a espressioni puramente funzionaliste.

Altre critiche al G. si registrarono nel 1857: venne stabilito di sostituire la obsoleta stufa di Maria Carolina all'orto botanico con una più moderna e il direttore Agostino Todaro mostrò diffidenza verso il G., ingegnere ufficiale dell'orto dal 1839 al 1862 (Fatta - Ruggieri Tricoli, 1983, p. 80 n. 26), il cui progetto fu ritenuto tecnicamente inadeguato, tanto da decidere di commissionare la stufa alla ditta parigina Le Febvre. Al G. dunque rimase il solo compito di montare la stufa, arrivata a Palermo nel 1858, ricevendo, anche solo per questo intervento, aspre critiche da parte della direzione dell'orto.

Il G. prese anche attivamente parte alla vita politica di Palermo. Nel 1855 fu nominato ispettore di Ponti e Strade, incarico che lo portò a scrivere la Memoria del 1860, nella quale espresse la necessità di dotare di una fitta rete stradale e ferroviaria la Sicilia al fine di migliorare le comunicazioni tra i vari centri. Prese inoltre attivamente parte ai moti del 1860 e ricevette una medaglia al valore per la sua attività di commissario forestale e ispettore per i Lavori pubblici (Bozzo, p. 424). Nel 1863 fu nominato ufficiale dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.

Il G. morì a Palermo il 31 ag. 1865 e venne sepolto nella chiesa di S. Domenico.

Durante tutta la sua carriera il G. si distinse anche come valido esecutore di progetti altrui. Basti ricordare la direzione dei lavori del carcere dell'Ucciardone (dal 1838) progettato da N. Puglia; la trasformazione del convento di S. Cita in ospedale (1850); il completamento dell'altare in onore del padre Lucchese Palli di Campofranco progettato da G.V. Marvuglia nella chiesa di S. Nicolò all'Olivella (1854); i lavori di ampliamento del collegio Massimo di Palermo sede della Biblioteca nazionale (1854); il progetto di un lazzaretto su commissione di V. Florio, mai realizzato (Bozzo, p. 426).

Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca storica dell'Università, Corrispondenza ufficiale dell'Orto botanico di Palermo, anni 1811-1896; Ibid., Biblioteca comunale, Prospetto di programmi ed orari per l'anno 1859-1869, volume di miscellanea ai segni CXXXVI, G.102-104; G. Di Martino, Poche parole intorno agli artisti che i loro lavori espongono nella quadreria della Regia Università di Palermo…, Palermo 1838, p. 10; Giornale dell'Intendenza di Palermo, 12 giugno 1838, p. 103; G. Meli, Nuovo prospetto del real teatro S. Cecilia, in Giornale dei Lavori pubblici e dell'ingegneria (Palermo), I (1855), pp. 28-31; G. Albeggiani - G. Machì, Rapporto che precede la perizia di riverifica dei lavori di costruzione del novello ospizio di beneficienza nel largo di Sant'Oliva, Palermo 1857; L. Di Maggio, Per i solenni funerali del cavalier V. Florio, Palermo 1868, pp. 12, 29; G. Bozzo, Biografia del prof. C. G., in Nuove Effemeridi siciliane di scienze, lettere ed arti (Palermo), I (1869), pp. 373-380, 422-428; Palermo, il suo passato, il suo presente, i suoi monumenti, Palermo 1875, pp. 27 n. 16, 215; E. Salemi, Esami dei criteri pel miglioramento igienico della città di Palermo, Palermo 1886, p. 27; G. Strafforello, Itinerario palermitano, Palermo 1893, s.v.Teatro di S. Cecilia; M. Musso, Illustrazione del Pantheon siciliano nel tempio di S. Domenico in Palermo, Palermo 1910, pp. 86-88; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, p. 27; G. Pirrone, Un architetto siciliano dell'Ottocento: C. G., in Studi in onore di Salvatore Caronia Roberti, Palermo 1966, pp. 235-259 (con bibl.); A.J. Lima, L'orto botanico di Palermo, Palermo 1978, p. 66 e passim; G. Fatta - M.C. Ruggieri Tricoli, Medioevo rivisitato. Un capitolo di architettura palermitana, Palermo 1980, pp. 32-36; A. Cottone, L'insegnamento pubblico dell'architettura a Palermo nel periodo preunitario, in Vittorio Ziino architetto, a cura di G. Caronia, Palermo 1982, pp. 323-342; G. Fatta - M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo nell'età del ferro. Architettura, tecnica, rinnovamento, Palermo 1983, pp. 76-98, 122, 124; S. Candela, I Florio, Palermo 1986, ad indicem; S. Troisi, I Florio e la cultura artistica in Sicilia, in L'età dei Florio, a cura di R. Giuffrida - R. Lentini, Palermo 1986, pp. 109 s.; M.C. Ruggieri Tricoli - M.D. Vacirca, Palermo e il suo porto, Palermo 1986, pp. 207, 215 e passim; O. Cancilia, Palermo, Bari-Roma 1988, ad indicem; A. Mazzamuto, Teatri di Sicilia, Palermo 1989, ad indicem; G. Pirrone, La "vaga fabbrica" dei Quattro Pizzi, in Palermo: una capitale dal Settecento al liberty, Milano 1989, pp. 37-39; E. Sessa, Neoclassico e neogotico, ibid., pp. 28-35; G. Dionisi - G. Porretta, L'ospizio di beneficenza di C. G. in Palermo (1853-1855), Palermo 1990; S. Di Matteo, La porta Nuova a Palermo, Palermo 1990, pp. 133 s.; A. Tedesco, Il teatro di S. Cecilia e il Seicento musicale palermitano, Palermo 1992, p. 99; A.M. Ingria, La Palermo dei Florio, Palermo 1993, p. 55; G. Lo Tennero, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani. Architettura, Palermo 1993, pp. 200-202; E. Mauro, L'insegnamento di C. G.…, in G.B.F. Basile. Lezioni di architettura, a cura di M. Giuffrè - G. Guerrera, Palermo 1995, pp. 339-341; M. Giuffrè, Le radici accademiche di G.B.F. Basile, ibid., pp. 231-235; A.J. Lima, Storia dell'architettura. Sicilia. Ottocento, Palermo 1995, ad indicem.

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