CARLO III d'Angiò Durazzo, re di Napoli, detto della Pace, o il Piccolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 20 (1977)

CARLO III d'Angiò Durazzo, re di Napoli, detto della Pace, o il Piccolo

Salvatore Fodali

Nacque da Lodovico di Durazzo e da Margherita Sanseverino, ma le contrastanti notizie delle fonti non hanno finora permesso di stabilire con certezza la data e il luogo della nascita, che sarebbe avvenuta verso il 1345, o molti anni più tardi, nel 1354 0 '57, a Monte Sant'Angelo o a Napoli. Un cronista ne ha lasciato il ritratto fisico, descrivendolo piccolo di statura (donde uno dei soprannomi) e rosso di capelli, di bell'aspetto. Fu allevato alla corte della regina Giovanna I di Napoli, alla quale fu dal padre praticamente consegnato in ostaggio verso il 1360. Pare ricevesse anche una buona cultura storica e letteraria, tanto da amare e praticare la conversazione su tali materie. Dopo la morte in prigione del genitore egli lasciò la corte napoletana e verso il 1365 si trasferì in Ungheria, dove re Luigi il Grande ne reclamava la presenza.

Quale unico discendente maschio superstite del ramo dei Durazzo, poteva vantare diritto alla successione nei due regni angioini di Napoli e d'Ungheria. L'interesse per la sua persona, manifestato da entrambe le corti in antagonismo, è certamente dipendente da tale posizione dinastica, ma di volta in volta prevalgono nei suoi confronti le speranze o i timori, con l'intento di prepararsi un successore o di controllarne le ambizioni e magari indirizzarle sul regno avversario. Il matrimonio con la cugina Margherita di Durazzo, celebrato a Napoli con la dispensa di Urbano V il 24 genn. 1370, rafforzava ulteriormente i diritti di C. alla successione napoletana, perché la sposa era figlia di Maria d'Angiò, sorella minore della regina Giovanna. Per concludere il matrimonio erano state necessarie trattative tra Luigi d'Ungheria e Giovanna I, con l'intervento favorevole del pontefice. La regina di Napoli, se in passato aveva forse pensato a C. come a un possibile successore, di fronte all'interessamento ungherese manifestava ora preoccupazione per la sicurezza del suo trono. Luigi il Grande progettava a sua volta di farne il successore, e intanto lo aveva investito della Dalmazia e Croazia, e di realizzare per mezzo suo l'unione di Napoli all'Ungheria.

Da Napoli, dove era tornato per il matrimonio, C. ripartì in primavera e alcuni mesi più tardi fu raggiunto in Ungheria da Margherita. Il 2 ott. 1372 era di nuovo a Zara, la capitale del suo ducato, dove risiedette fino al marzo 1375. La nascita di una figlia del re d'Ungheria e poi il matrimonio di Giovanna I con Ottone di Brunswick compromettevano intanto seriamente le sue aspirazioni successorie. Nel maggio 1375 rinunciò infatti a ogni diritto sul regno ungherese, in favore di Maria, figlia di Luigi il Grande, e ottenne in cambio un'analoga rinuncia per il Regno napoletano, al quale erano ormai diretti tutti i suoi interessi. Un anno dopo (maggio 1376) C. e Margherita salparono infatti da Zara, conducendo con sé Giovanna, la figlia che era loro nata in Dalmazia. Un'altra figlia, Maria, forse era già morta o non ancora nata. Nell'estate Margherita era a Napoli, dove nel febbraio 1377 nacque Ladislao. Dei movimenti di C. non si hanno invece notizie fino al luglio 1378, quando è a Tivoli presso Urbano VI. La sua presenza accanto al pontefice, non importase come ambasciatore della regina o consigliere del papa, pone gravi interrogativi circa i rapporti di C. con Urbano VI e l'influenza che possono avere avuto sull'adesione di Giovanna allo scisma di Clemente VII. Le fonti che denunciano esplicitamente l'intenzione di Urbano VI di deporre la regina, per sostituirle C., o piuttosto il proprio nipote, prima ancora che Giovanna aderisse allo scisma e che lo scisma stesso si rivelasse, risentono di un'anticipazione cronologica e di un'inversione nell'ordine dei fatti. Tuttavia anche la questione successoria, e quindi la posizione di C., doveva essere tenuta in conto da Giovanna nell'adesione a Clemente VII. Solo nel 1379 Urbano VI si rivolse però al re d'Ungheria e allo stesso C. per chiederne l'aiuto contro la regina scismatica.

Intanto re Luigi affidava a C. la direzione delle operazioni militari e delle trattative diplomatiche nella guerra con Venezia. Nel giugno 1379 C. era di nuovo a Buda, dove riceveva gli ambasciatori veneti. Alla testa dell'esercito ungherese, in agosto è ad Udine, a settembre assedia Treviso, mentre le trattative di pace proseguono sui campi di battaglia. E dubbio se si sia allora guadagnato l'attributo di principe della pace, che comunque non fu da lui conclusa, giacché pare che quell'appellativo gli venisse invece dalla nascita, quale auspicio di concordia familiare. Lasciava intanto il Veneto e riprendeva la marcia verso sud, preparando la conquista del Regno di Napoli. Il 12 luglio 1379 era ancora a Vicenza; attraversava il Po e raggiungeva Rimini e Forlì. Sul finire dell'anno tornava in Ungheria, lasciando le truppe in Toscana. Ritornava nell'agosto del 1380 e, appoggiandosi al partito guelfo, il 10 entrava a Gubbio, il 14 settembre occupava Arezzo. Dopo avere concluso un accordo con Firenze, l'11 novembre entrava a Roma. Qui fu creato dal papa senatore e il 10 giugno 1381 venne dalui investito in S. Pietro del Regno diSicilia, secondo l'antica denominazione. L'atto pontificio ricalcava solo in parte il prototipo per Carlo I d'Angiò, introducendo varie innovazioni. Tra l'altro C. prometteva, non solo di riconquistare il Regno e di combattere lo scisma, ma anche di nominare il nipote del papa, Francesco Prignano, gran camerario del Regno e di immetterlo nell'effettivo possesso di un ampio dominio feudale, che il papa stesso gli aveva costituito nel territorio del Regno napoletano. Laboriose trattative avevano preceduto l'investitura, come confermano anche la lenta discesa verso Roma e poi la lunga permanenza di C. nella città, tanto che ad un certo punto se ne rischiò la rottura, per l'opposizione del duca alle richieste di Urbano VI.

Solennemente incoronato dal papa il 2 giugno, l'8 C. partiva con l'esercito alla conquista del Regno. Il 16 luglio 1381 entrava a Napoli, dopo avere messo in fuga presso Anagni Ottone di Brunswick, che riusciva poi a catturare. Dopo un apparente accordo, stessa sorte toccava il 2 settembre alla regina Giovanna, che in prigione finirà i suoi giorni. A solennizzare l'avvenuto insediamento, il 25 novembre fu rinnovata a Napoli l'incoronazione di C., e con lui della regina Margherita e del piccolo Ladislao, qualche giorno dopo nominato duca di Calabria. Il controllo del Regno non era però completamente assicurato: il re dovette infatti sostenere l'urto di Luigi d'Angiò, il fratello del re di Francia che Giovanna I aveva adottato e nominato suo erede, e di quella parte del baronaggio che parteggiava per lui. Ma prima ancora dovette scontrarsi con lo stesso pontefice Urbano VI.

Già nel settembre 1381 il nipote del papa aveva lamentato la parziale inosservanza delle clausole dell'investitura che lo riguardavano, per non essere stato immesso nel possesso del principato di Capua, e forse di altri feudi. L'inadempienza di C. ledeva i diritti della Sede apostolica e, allentando l'accerchiamento di Napoli, riduceva la garanzia che il papa aveva così cercato di crearsi. Non è del resto da escludere che tale fosse appunto l'obiettivo alla base della condotta del re. Verso la fine dell'anno fu comunque concluso un accordo, per il quale Francesco Prignano otteneva in cambio la corresponsione di un reddito. I rapporti tra il re e il papa rimasero poi sostanzialmente buoni fino all'autunno del 1383, quando Urbano VI si diresse personalmente a Napoli, malgrado il parere contrario o l'avversione di una parte del Collegio cardinalizio. Il pontefice, preoccupato per la spedizione di Luigi d'Angiò, pare disapprovasse la condotta militare del re, la cui strategia essenzialmente difensiva riteneva inerte e negligente.

L'incontro tra C. e il papa avvenne il 30 sett. 1383 presso Aversa. Rispettoso del cerimoniale, C. si recò ad accogliere il pontefice, con l'intenzione di controllarne e condizionarne l'azione dopo il non desiderato ingresso nel Regno. Urbano VI rifiutò di essere suo ospite nel castello di Aversa, preferendo prendere alloggio nell'arcivescovado, dove si svolsero i primi colloqui. Il re vi si impegnò a fondo nella difesa di un gruppo di cardinali, con a capo Bartolomeo Mezzavacca, i quali, per essersi opposti al papa, erano stati da lui messi sotto accusa. Già una settimana prima aveva fatto causa comune con i cardinali ribelli, diffondendo il testo di una lettera in loro difesa. In tre colloqui, succedutisi tra il 30 e il 31 ottobre, cercò inutilmente di piegare il papa alle sue richieste in favore dei cardinali. Urbano VI accompagnò il rifiuto con l'invito a non intromettersi negli affari della Chiesa e certo fece rimostranza per la condotta e le inadempienze del re, tra le quali anche la mancata immissione del nipote nella maggior parte dei feudi assegnatigli. Forte dei propri diritti di sovranità, ma anche della popolarità goduta a Napoli e dell'esercito che lo accompagnava, il papa giunse probabilmente a minacciare l'applicazione delle gravi sanzioni previste dall'atto di investitura. Il violento scontro si concluse la notte tra il 31 ottobre e il 1º novembre con l'arresto di Urbano VI. Il 4 nov. C. diffondeva la notizia della pace con il papa. L'accordo prevedeva probabilmente la riabilitazione dei cardinali dissidenti protetti dal re e il riconoscimento della soluzione già data alla questione dei feudi. L'apparente successo ottenuto dal re comprometteva però irrimediabilmente le relazioni col papa. L'arresto di Urbano VI, un atto per sua natura così grave e assai pericoloso per le particolari condizioni del Regno, doveva essere stato motivato da altrettanto gravi ragioni e interessi. Già compromesso con la dissidenza cardinalizia, C. da un canto probabilmente temeva l'eccessiva invadenza politica di Urbano VI, che minacciava di accrescersi con l'arrivo a Napoli, e forse in ultimo anche l'applicazione di gravi sanzioni pontificie; d'altro canto sperava in un successo dell'azione intrapresa tra i cardinali dal Mezzavacca. La minacciosa presenza a Napoli di un partito urbanista lo obbligò però a liberare il pontefice, senza quel ridimensionamento della sua autorità sulla Chiesa, solo in previsione del quale l'arresto poteva avere un risultato positivo. Naturalmente C. concesse al papa una libertà solo apparente, ma dovette condurlo con tutti gli onori a Napoli, dove fu alloggiato sotto buona custodia in Castelnupvo. Il 16 dicembre il trasferimento del pontefice all'arcivescovado pare indicare il perfezionamento degli accordi di Aversa.

Col nuovo anno 1384 le relazioni col papa sembrano infatti tornare alla normalità. L'invasione del Regno da parte dello scismatico duca d'Angiò aveva creato una situazione obiettiva di comune pericolo e, pur non riuscendo a smorzarne la rivalità, aveva indotto re e papa, forzatamente riconciliati, a unire le forze nella crociata contro Luigi, bandita dal papa il 1º gennaio. Il 18 aprile C. partiva da Napoli, affidando la reggenza alla regina Margherita. Nel corso delle operazioni militari, condotte con tattica temporeggiatrice senza scontri di rilievo, il 20 settembre l'avversario angioino moriva a Bari e la guerra aveva virtualmente fine. La morte di Luigi, allontanando il pericolo esterno, riaccendeva però tra C. ed il pontefice rancori temporancamente sopiti. Sfruttando il clima di apparente riconciliazione, e probabibnente agevolato dalla partenza in armi del re, il papa aveva abbandonato Napoli nel giugno 1384, rifugiandosi nel castello di Nocera, feudo del nipote. La partenza era stata certamente considerata con sfavore dalla corte durazzesca, perché riduceva la possibilità di controllo dell'azione del papa. Alcuni provvedimenti finanziari adottati dalla reggente offrirono poi occasione di rinnovato conflitto. Il re e la regina tornarono allora ad affidare al cardinale Mezzavacca il compito di liberarli dall'incomodo papa. L'11 genn. 1385 questi ordinava l'arresto di sei cardinali, accusati di aver congiurato contro di lui d'accordo con i sovrani napoletani. Seguiva una nuova, clamorosa prova di forza tra Napoli e la Sede apostolica. Quanti parenti e partigiani del papa si trovavano a Napoli furono subito arrestati, per neutralizzare il forte partito urbanista. Intanto veniva posto l'assedio al castello di Nocera. Il 15 gennaio il papa a sua volta depose e scomunicò il re e la regina, ritenendoli non a torto complici della congiura destinata a rovesciarlo. Pose quindi sotto interdetto la capitale e ogni terra aderente ai Durazzo, ma C. vietò l'osservanza del provvedimento. Dalla Puglia, dove l'esercito angioino era ormai in rotta, il re si affrettava intanto a tornare a Napoli e vi giungeva a fine gennaio 1385.

Per favorire la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto, nel febbraio riduceva l'assedio di Nocera, ma Urbano VI manifestò una irremovibile opposizione al re, dimostrandosi invece pericolosamente interessato a stabilire un rapporto diretto con i Napoletani, anche aderenti al partito angioino. Il rifiuto del papa alle trattative, ma più ancora la scoperta delle trame pontificie e soprattutto l'arrivo a Nocera, nel marzo 1385, delle prime truppe angioine al comando di Raimondo del Balzo Orsini, indussero naturalmente C. a riprendere le azioni di guerra, che culminarono il 24 marzo con la cattura del nipote del papa. Le azioni militari si alternavano però a nuovi, ma vani, tentativi di intavolare una trattativa, secondo una politica che rifletteva, oltre gli interessi, forse anche lo stesso temperamento del re, più incline alla diplomazia che alla guerra, finché il 7 luglio gli assedianti vennero posti in fuga da Tommaso Sanseverino, che riuscì a liberare il papa. In settembre Urbano VI riappariva nel golfo di Napoli, a bordo delle galee genovesi sulle quali si era posto in salvo. La parziale condiscendenza di C. verso le richieste formulate dal papa tramite i Genovesi indica l'intenzione del re di riaprire la strada alle trattative, ma non legittima il sospetto che ne avesse consentito la fuga da Nocera, perché contrasta sia con l'intensificazione finale delle ostilità, sia con la dichiarazione di non obbedienza a Urbano allora pronunciata dal clero napoletano. Già il 27 settembre partiva da Napoli un'ambasceria diretta al papa. L'avvenuta liberazione del pontefice Urbano VI, che annullava le speranze e i progetti di neutralizzarlo, il successo del partito angioino, l'intervento della Repubblica di Genova, l'imminente partenza per l'Ungheria spingono sempre più C., e poi Margherita, a cercare un accordo.

Nello stesso settembre 1385 il re salpava da Barletta per rivendicare il trono ungherese, sul quale, dopo la morte di Luigi il Grande (settembre 1382), sedeva la giovane figlia Maria. Col favore di una parte della nobiltà locale, da Zagabria marcia su Buda, dove viene incoronato il 31 dic. 1385. Nella spedizione e nel successo ungherese forse cercava anche, col compimento delle ambizioni dinastiche, nuova forza per dare soluzione ai problemi napoletani e ai rapporti col pontefice, ma vi trovò invece morte violenta. Il 7 febbr. 1386 a Buda fu ferito a tradimento, per un complotto cui aveva preso parte la regina madre Elisabetta. Moriva alcuni giorni dopo, forse il 27 febbraio. Fu sepolto a Buda nel chiostro di S. Andrea senza cerimonia religiosa, perché scomumicato. Solo in giugno Urbano VI concesse la sepoltura religiosa e il cadavere venne allora trasferito in S. Lorenzo di Visegrad.

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