PASSAGLIA, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PASSAGLIA, Carlo

Luciano Malusa

PASSAGLIA, Carlo. – Nacque a Pieve di San Carlo (Lucca) il 2 maggio 1812, da Michele Carlo, bottegaio, e Maria Anna Celli.

Compiuti i primi studi in un collegio a Pisa, entrato quindicenne nella Compagnia di Gesù, li proseguì nel Collegio romano. Come docenti ebbe Giovanni Perrone per la teologia dogmatica e Giuseppe Dmowski e Giovanni Battista Pianciani per la filosofia. Nell’anno della sua ordinazione sacerdotale (15 agosto 1845) cominciò a insegnare teologia dogmatica entro lo stesso ateneo.

Nel 1841 scrisse con Isaia Carminati e Antonio Ballerini (con il comune pseudonimo CBP), il libro Sulla difesa del Chiarissimo Abate Antonio Rosmini inserita nel Propagatore religioso piemontese (Firenze 1841), in cui si confutava la difesa che Rosmini aveva fatto della propria dottrina sulla coscienza morale contro le critiche del gesuita Pio Melia. Il contributo effettivo dato da Passaglia al volume non è chiaro: egli piuttosto fu fedele alle direttive del preposito generale dei gesuiti p. Giovanni Roothaan, che intendeva contrastare l’influenza tra i cattolici di Rosmini in ambito filosofico e teologico. Passaglia, infatti, si pentì di aver preso parte a questa pubblicazione, ammettendo, anni dopo, che l’opera di Melia non era degna di pubblicazione (Della dottrina di San Tommaso, Torino 1880, p. 277).

Lavorò in stretto contatto con Ballerini: l’opuscolo Esame critico teologico di alcune dottrine del chiarissimo Antonio Rosmini Serbati (Modena 1842), dedicato alle nozioni rosminiane di peccato e di colpa, è di incerta attribuzione tra i due, mentre tra le carte di Passaglia si trova anche il testo delle Postille di Ballerini al Catechismo rosminiano (1848).

Allontanatosi con fatica dal polemismo di Ballerini, intraprese un originale itinerario di teologia positiva, né sistematica né scolastica, ma sostanziata dalla ricerca storica e dal rigoroso metodo filologico applicato alla patristica. Scrisse De aeternitate poenorum, Roma 1844; De praerogativis Romani Pontificis, Roma 1845 (ripubblicato come Commentarius de praerogativis Beati Petri apostolorum principis auctoritate divinarum litterarum comprobatis, Ratisbona 1850); Commentarii theologici, Roma 1850. Esperto in filologia e lingue orientali, seppe anche comunicare la propria ampia preparazione, come denotano il suo Corso di Conferenze sulla verità della Religione, Roma 1850 e la conferenza Del necessario a concedere alla ragione toltane la regola dell’analisi della Fede, Roma 1851.

Con l’espulsione dei gesuiti da Roma del 1848, Passaglia si trasferì in Inghilterra e poi a Lovanio, dove insegnò nel 1848-1849. Rientrato al Collegio romano alla fine del 1849, ricevette da Pio IX l’incarico di rintracciare le testimonianze più antiche della fede delle comunità cristiane nell’Immacolata Concezione. Membro dall’agosto 1851 della commissione teologica chiamata a pronunciarsi sull’opportunità della proclamazione del dogma, il suo lavoro fornì abbondanti materiali alla congregazione in seguito nominata da Pio IX per formulare la costituzione apostolica che l’8 dicembre 1854 promulgò il dogma. L’opera De Immaculato Deiparae Virginis Conceptu, Roma 1854-55, I-III, preparata in collaborazione con il confratello Clemens Schrader (con il quale in seguito avrebbe pubblicato il trattato De Ecclesia Christi, Ratisbona 1853-1856, I-II), accolta dal papa come un contributo fondamentale per la causa del dogma mariano, gli procurò la benevolenza del pontefice, che più tardi gli sarebbe tornata utile nel proprio contrasto con la Compagnia. Passaglia infatti aveva maturato una certa insofferenza nei confronti delle regole di vita comune, e mal si adeguava al metodo classico impostogli dai superiori nell’insegnamento al Collegio romano. Inoltre l’amicizia stretta con Schrader sollevò maldicenze e dovette essere troncata. Dopo un vivace scambio epistolare, nel 1857, con il nuovo preposito generale Pietro Beckx, chiese nel 1858 di lasciare l’ordine. Pio IX gli concesse la riduzione a prete secolare (29 gennaio 1859) e dall’anno accademico 1858-1859 cominciò l’insegnamento della filosofia presso la Sapienza; Schrader restò nella Compagnia. L’edizione, curata dai due, dell’Opus de Theologicis Dogmatibus di Denis Pétau (Petavius), rimase limitata al primo volume (Roma 1857).

Lasciato l’insegnamento teologico, Passaglia cominciò una seconda carriera nella quale restò fedele al suo metodo teologico, abbracciando una dottrina piuttosto contigua all’ontologismo di Gioberti con un approccio insieme positivo, basato com’era sull’accertamento filologico, e contemporaneamente speculativo, nel senso che coglieva nelle verità cristiane il frutto del ritmo creativo discensivo e di ritorno delle creature a Dio.

Nel 1860, dopo i plebisciti che avevano annesso al costituendo Regno d’Italia le Legazioni pontificie e in seguito le Marche e l’Umbria, Pio IX lo chiamò nella commissione incaricata di studiare la questione del dominio temporale dei papi. Aderendo alla corrente minoritaria della curia romana favorevole ad aprire trattative con il Regno di Sardegna e convinta che l’unificazione politica italiana non fosse negativa per le sorti del papato, purché contemplasse un suo primato morale, Passaglia difese questa posizione ne Il Pontefice ed il principe, ossia la teologia, la filosofia e la politica messe d’accordo in ordine al principato civile del Papa (Roma 1860), dimostrando come fosse «relativa»la necessità del potere temporale del papa al libero esercizio del suo potere spirituale. Il testo, che denotava una timida apertura alla questione nazionale italiana e alle libertà politiche, venne variamente corretto dalla censura romana.

Fu quindi segnalato da Diomede Pantaleoni a Cavour come negoziatore utile nelle eventuali trattative tra il papa e il governo torinese. Con lo stesso Pantaleoni, nel febbraio 1861 Passaglia accettò di recarsi a Torino, per portare a Roma da parte di Cavour una proposta di capitolato definitivo, all’elaborazione della quale aveva partecipato lui stesso e in cui si offriva al papato libertà e protezione nell’esercizio della propria missione. La proposta non ebbe accoglienza da parte di un papa irrigidito dall’estensione del giurisdizionalismo piemontese nelle regioni appartenute allo Stato pontificio da poco annesse al Regno d’Italia.

Nell’agosto 1861 fu nuovamente a Torino per conferire con Bettino Ricasoli, ma anche le proposte del successore di Cavour, con la rinuncia al potere temporale senza convincenti contropartite, suonarono al papa come inaccettabili. Fu allora che abbracciò apertamente la causa nazionale, scrivendo, seppur anonimamente, l’indirizzo Pro causa italica ad episcopos catholicos (Roma 1861), subito tradotto in italiano e francese, che venne posto all’Indice: si sottrasse all’arresto intimato dal papa nell’ottobre 1861 fuggendo da Roma travestito da buttero.

Trasferitosi a Torino e in un clima di maggiore libertà (nel novembre 1861 il governo lo chiamò alla cattedra di filosofia morale nell’ateneo della città), continuò a dedicarsi alla causa nazionale scrivendo opuscoli, sotto lo pseudonimo di Ernesto Filatete, come Della scomunica; La questione dell’indipendenza ed unità d’Italia dinanzi al clero; Lo scisma non è una minaccia dei rivoluzionarii ma una giusta apprensione dei cattolici; Obbligo del vescovo di Roma e pontefice massimo di risiedere in Roma quantunque metropoli del regno italico, fino a promuovere una raccolta di firme nel clero italiano per chiedere al papa la spontanea rinuncia al potere temporale, e un accordo per la pacifica convivenza a Roma dei vertici della cristianità e quelli del nuovo Stato. Al suo appello, pubblicato nel 1862 sul bisettimanale Il Mediatore, da lui in seguito diretto dal 1863 al 1865, aderirono 8176 sacerdoti e 767 religiosi. La reazione repressiva della gerarchia ecclesiastica convinse molti sacerdoti a ritrattare la propria adesione e Passaglia fu sospeso a divinis (Martina, 1985, pp. 133-135). Costretto a svestire l’abito talare, visse lontano dall’ambiente clericale, ma fedele alla dottrina cattolica, come denotano gli scritti La vita di Gesù scritta da Ernesto Renan, discussa e confutata (I-II, Torino 1864), le Conferenze di diritto pubblico (Torino 1864) e lo scritto Sul divorzio (Torino 1865). Tuttavia, criticò sia il Sillabo sia la Quanta cura nello scritto Sopra l’Enciclica pubblicata il 22 dicembre 1864 e sopra le LXXX proposizioni il giorno medesimo condannate. Domande riverenti, Torino 1865. Sempre nella sua rivista e poi nello scritto La causa di S. E. il Cardinale Girolamo d’Andrea esposta e difesa in 4 lettere di Erasmo Cattolico, sullo stesso argomento (Torino 1867) difese il cardinale che il papa aveva espulso dal Sacro Collegio (e poi reintegrato) per le sue posizioni conciliatoriste.

Fu eletto al Parlamento italiano nel 1863 e nello stesso anno cercò di fondare una Società ecclesiastica italiana, a tutela dei sacerdoti antitemporalisti condannati dalla gerarchia. Tra gennaio 1863 e agosto 1864 s’impegnò a redigere il quotidiano La Pace, ma con il raggiungimento dell’unità dello Stato italiano e la fine del potere temporale, vennero presto superate dagli eventi le sue proposte sulla questione romana ed egli lasciò la politica attiva.

Da filosofo cristiano, pur difendendo la Philosophia perennis, convinto che la filosofia fosse la base fondamentale per lo studio della teologia e che i padri della Chiesa si fossero egualmente ispirati ai testi platonici come a quelli aristotelici, dialogò con il pensiero ontologico che aveva avuto Nicolas de Malebranche e Hyacinthe-Sigismond Gerdil come pensatori più noti, e, più di recente, Vincenzo Gioberti. Collaborò alla rivista Il campo dei filosofi italiani, organo dell’ontologismo moderato, ebbe parte nella fondazione del periodico Il Gerdil (1867), diretta da Giuseppe Allievo e presentò alle congregazioni romane un parere (mai considerato) perché non condannassero le tesi dell’ontologismo. A difesa della peculiarità del pensiero italiano per le sue radici cristiane, scrisse Della necessità di mantenere illeso il carattere del pensiero italiano. Discorso, Torino 1872.

Dopo l’enciclica di Leone XIII Aeterni Patris, pur essendo stato educato lui stesso al tomismo, avvertì il disagio verso una filosofia imposta «per decreto» come unica utile a far trionfare la causa cattolica e nello scritto La dottrina di San Tommaso secondo l’enciclica di Leone XIII. Studi (Torino 1880) difese la liceità per i cattolici di professare sistemi filosofici diversi da quello tomista. Significativa fu poi la posizione di Passaglia di difesa delle opere di Rosmini, quando, tra il 1881 e il 1882, si cominciò a pensare a una ritrattazione del decreto Dimittantur opera omnia, emesso dalla congregazione dell’Indice nel 1854, che le aveva prosciolte da ogni accusa e dubbio di eresia e di errore contro la fede. Contro la revisione del Dimittantur, Passaglia scrisse La Congregazione dell’indice ed il cardinale Zigliara (Torino 1882), in cui, tuttavia, non faceva riferimento diretto né a Rosmini né alle opere «dimesse» nel 1854. Preferì controbattere a Zigliara affrontando i fondamenti teologici e canonistici delle approvazioni da parte della Chiesa delle pubblicazioni degli autori cattolici. Intervenne quindi nella questione rosminiana senza difendere l’ortodossia delle dottrine rosminiane, ma difendendo il diritto dei rosminiani di continuare ad avere in Rosmini un maestro di vita e di dottrina. La sua partecipazione all’ultima fase della polemica fu tuttavia piuttosto debole, poiché egli stava cercando, sentendosi ormai mancare le forze, una riconciliazione con la Chiesa. Il primo tentativo di ottenere il «perdono» di Pio IX fallì nel 1867-1869; il secondo avvenne con Leone XIII nel 1882, con la mediazione del commissario del S. Uffizio Leone Sallua. Recatosi a Roma sottoscrisse segretamente davanti al segretario di Stato, Ludovico Jacobini, un documento di riprovazione delle proprie posizioni, accettando le condanne intervenute contro di lui. La riconciliazione avvenne compiutamente nell’imminenza della morte: l’8 marzo 1887, a Torino, davanti all’arcivescovo Gaetano Alimonda, firmò una breve ritrattazione incondizionata. Qualche giorno dopo rinnovò il suo atto di pentimento ricevendo i sacramenti. Morì il 12 marzo 1887.

Fonti e Bibl.: Archivum Romanum-Societatis Iesu, Documenta ex Assistentiae ItaliaeEpistolae Italiae 1016: 1831-1884; 1017: 1830-1880; 1018: 1830-1880; Archivio della Pontificia Università Gregoriana, Fondo Passaglia; Archivio segreto Vaticano, Archivio Pio IX.

L. Biginelli, Biografia del sac. prof. Carlo Passaglia, Torino 1887; P. D’Ercole, Carlo Passaglia. Cenno biografico e ricordo, in Annuario della Regia Università degli studi di Torino, 1887-1888, pp. 127-175; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, t. VI, Paris-Bruxelles 1895, coll. 332-336; La questione Romana negli anni 1860/1861. Carteggio del conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. Vimercati, I-II, Bologna 1929; Dictionnaire de théologie catholique, XI, II, Paris 1932, coll. 2207-2210; H. Schauf, Carlo Passaglia und Clemens Schrader. Beitrag zur Theologie Geschichte des Neunzehnten Jahrhunderts, Roma 1938; U. Valente, Bibliografia di Carlo Passaglia, in Rassegna storica del Risorgimento, XXX (1943), pp. 253-255 (non completa); E. Hocedez, Histoire de la théologie au XIXe siècle, II, Épanouissément de la theologié 1821-1870, Bruxelles 1952, pp. 355-357; F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, pp. 247-306; A. Giovagnoli, Dalla teologia alla politica. L’itinerario di Carlo Passaglia negli anni di Pio IX e di Cavour, Brescia 1984 (la monografia più completa); G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1985, pp. 132-143, 261-286; Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, a cura di K.E. O’Neill, J.M. Domínguez, III, Madrid 2001, p. 3053.

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