PIGLI, Carlo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIGLI, Carlo

Fabio Bertini

Nacque ad Arezzo il 9 marzo del 1802 da Giovanni, promotore della Società delle stanze civiche e poi del teatro Petrarca, e da Caterina Mencucci.

Preparato dallo zio Donato, nella primavera del 1818, fu primo clarino dilettante nella Cenerentola di Gioacchino Rossini. Socio dell’Accademia aretina già da studente, amava la letteratura, ma si iscrisse, nel 1819, ai corsi di chirurgia dello spedale di S. Maria Nuova di Firenze. L’anno seguente s’iscrisse a Pisa, dove, ospite del convitto di S. Ferdinando, diretto dal sacerdote Giovanni Sacchetti, si avvicinò alla Carboneria riformata. Autore di versi latini in un volume collettaneo del 1822, ebbe, nel 1823, ad Arezzo, il premio Della Fioraja, con La collina di S. Cornelio. Nel 1824, il convitto gli pubblicò una dissertazione sull’uso del vino, in cui polemizzava con la medicina astratta dalla ricerca scientifica.

Laureato nel 1826 e praticante a S. Maria Nuova, fu medico condotto a Cortona per un triennio, dal 29 marzo del 1827. Dopo che una sua ricerca fu pubblicata con grande eco nel 1830 sulla 'immediata' circolazione sanguigna tra la madre e il feto, ebbe la cattedra di fisiologia e patologia a Pisa, dove legò con il poeta aretino Antonio Guadagnoli e con lo studente di legge romano Oreste Raggi e discusse con il celebre Francesco Puccinotti sulla 'vis medicatrix naturae'. Gli accenni alle superstizioni clericali, all’italianità e al filoellenismo sortirono il favore di liberali e studenti e il sospetto delle autorità. Chi stendeva le relazioni su di lui notava elementi apparentemente contraddittori, da una parte la teoria della storia come misterioso disegno divino progressivo, di Jacques-Bénigne Bossuet, e, dall’altra, il concetto pre-illuminista del 'principio motore' di John Toland e il materialismo di Julien Offray de La Mettrie. Sospeso nel 1832, ma richiamato a furor di popolo studentesco, venne associato alla congiura dei Veri Italiani e sospettato di propaganda carbonara e di vicinanza alla Giovine Italia. Non subì conseguenze penali, ma gli fu revocata la cattedra, nel 1834, con diritto agli emolumenti, ufficialmente per motivi di salute.

Medico a Cortona, poi ad Arezzo, presso la Comunità, pubblicò articoli scientifici e pratici sul colera del 1835 e tornò all’insegnamento universitario dopo la riforma Giorgini del 1841, sulla cattedra 'minore' di storia della medicina. Introducendo il corso, affermò che «la storia è il governo di Dio reso visibile» (Prolusione letta il dì 4 marzo 1841 dal dottor Carlo Pigli, professore di storia della medicina nella I. e R. Università di Pisa, Arezzo, Borghini, 1841) riflettendo Bossuet, ma soprattutto Victor Cousin che aveva ripreso la frase in chiave di 'ragione'.  A partire da qui, Pigli formulava il concetto per cui la medicina, scienza di confine tra la teoria e la realtà, se libera dai dogmi religiosi e dalle distrazioni astrologiche e alchimistiche, era fattore di "incivilimento". Al Congresso degli scienziati italiani del 1841, discusse della comunicazione tra l’utero e la placenta, ma dedicava ancora versi a Maria Malibran e a Sofia Perticari. Accusato dagli organi accademici di scarsa presenza a lezione, che egli spiegava con gli sbocchi di emotisi e le preoccupazioni per la salute materna, aprì il corso 1844-1845, ribadendo i concetti precedenti e difendendo la frenologia e le scienze naturali, accusate di materialismo e ateismo. Dopo che, nel febbraio del 1846, con Giuseppe Montanelli, aveva promosso la petizione contro l’apertura a Pisa di una casa gesuita, perse di nuovo la cattedra e tornò ad Arezzo.

Segretario dell’Accademia Petrarca e deputato all’istruzione nel collegio Leopoldo, poi deputato della Comunità, nell’agosto-settembre 1847 fu tra i protagonisti del riformismo aretino, esaltando l’unità italiana, i martiri, la liberazione della donna, l’alleanza tra il principe riformatore e il popolo di 'schiavi' divenuti 'eroi'. Favorevole allo statuto e al volontariato per la guerra, una volta eletto all’Assemblea toscana, nel giugno del 1848, si alleò con Domenico Guerrazzi contro il 'gesuitismo ministeriale' e lo affiancò come vicepresidente del Comitato di guerra di Firenze, espressione dei circoli politici democratico-popolari.

Ai primi di novembre del 1848, ebbe dal governo Montanelli il delicato incarico di governare Livorno che, con la sua ribellione, aveva determinato la caduta del ministero precedente. Prima però, il 5 novembre, presiedette l’assemblea del Circolo del popolo di Firenze, presenti Giuseppe Garibaldi, l’esule calabrese Giovanni Andrea Romeo e Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino. Parlò di lotta tra le caste privilegiate e il popolo diseredato, di cariche attribuite non per aristocrazia ma per merito, di limiti alla proprietà, di lotta dei popoli contro i despoti, e fu accusato di 'comunismo'. Passò poi a Livorno dove, sullo sfondo di vive tensioni sociali riguardanti il porto e l’economia, agiva una complessa dialettica di guerrazziani, mazziniani e populisti. Impegnato a creare una forza militare popolare affidabile per il ministero democratico e a fronteggiare momenti tumultuosi, in una grande assemblea il 10 gennaio del 1849, offrì con successo la sintesi nella proposta politica della Costituente.

Fuggito dalla Toscana Leopoldo II, il 7 febbraio, lanciò un proclama sul destino repubblicano comune di Roma e Livorno, poi parlò ancora di 'popolo re', chiamando alla difesa armata della Repubblica, con l’inviato garibaldino-mazziniano Giacomo Medici, il repubblicano Giovanni La Cecilia e il capo-popolo Antonio Petracchi. Guerrazzi, contrario all’unione tra la Toscana e Roma, destituì il 'governatore rosso' il 20 marzo 1849, ufficialmente per motivi di salute, dopo che la rivolta popolare contro un colonnello notoriamente reazionario aveva offeso l’onore militare rivendicato dal comandante generale Domenico D’Apice.

Schierato con la fazione repubblicana, dopo la rivolta moderata del 12 aprile 1849 che rovesciò Guerrazzi, fu inserito nelle liste di proscrizione. Lasciò la Toscana dopo la resistenza di Livorno all’assedio austriaco e arrivò a Bastia la mattina del 12 maggio 1849, con circa 800 compagni, insieme alla nipote Irene Viviani. Gli fu subito imposto di raggiungere Marsiglia, dove solo temporaneamente gli fu permesso di curare i poveri per l’imperversare del colera. Debilitato nel fisico e in miseria, politicamente isolato, si trasferì a Hyères, nel Var, ai primi del 1850. Lì apprese che, per difendersi nel processo per «perduellione e lesa maestà» in corso a Firenze, Guerrazzi lo accusava di estremismo, oltre che di incapacità e inaffidabilità politica. Nella sua Risposta, Pigli definì arcaica la concezione guerrazziana di repubblica e di popolo e respinse le accuse di comunismo e materialismo. Spiegò i fatti europei del 1848 con la legge del progresso. I popoli cercavano libertà e benessere e l’umanità progrediva secondo le leggi della storia. Ostacolandola, i conservatori entravano in contraddizione, perché lo sviluppo tecnico loro gradito in quanto produttore di ricchezza, essendo creazione dello spirito, era di fatto rivoluzionario e la «commerciale circolazione» (concetto caro a Gian Domenico Romagnosi) era parte dell’«incivilimento», come spiegava con accenti affini al positivismo sociale che Auguste Comte aveva cominciato ad affermare.

Ammalato e povero, sperò invano un rimpatrio. Ai primi di marzo del 1853, l’amico Ottavio Tasca, a Parigi, interessò il dottor Henry Conneau, medico personale dell’imperatore che, nato ad Arezzo quando il padre vi era ricevitore della Corona d’Etruria e studente a Firenze, ben conosceva il collega, ma costui non poté neppure convincere il governo piemontese a concedere asilo al 'comunista' Pigli. Poté invece ottenergli, il 18 giugno del 1853, l’autorizzazione a praticare la professione e poi il trasferimento in Corsica.

Intanto, il processo di Firenze lo condannava, contumace, alla pena di quindici anni di ergastolo come Guerrazzi, cui veniva concesso l’esilio e che, nell’agosto del 1853, si insediò a Bastia. Anche Pigli vi giunse nel maggio del 1854, trovando l’ambiente degli esuli spaccato e in fermento. Debilitato al punto che, in settembre, Guerrazzi scrisse a Leonardo Romanelli d’esser disposto a perdonarlo per alleviarne gli «ultimi giorni di vita» (Ersilio Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica, Bologna, 1938, p. 338). Pigli si riprese. Curò i poveri, con piena approvazione delle autorità locali che, nel marzo del 1856, ne appoggiarono l’ennesima richiesta di rimpatrio. Questa si rivelò ancora una volta vana, così come quella di asilo in Piemonte, che incontrò ostacoli anche quando Conneau, venuto a Bastia, gli fece avere il passaporto, ai primi del 1858. Pigli poté lasciare la Corsica dopo la Rivoluzione toscana del 27 aprile 1859. Sbarcato a Livorno, raggiunse Firenze, dove Piero Cironi lo incontrò, commosso dal suo stato pietoso; poi tornò ad Arezzo.

Morì a Firenze, dove si era recato per un consulto, nella notte tra il 2 e il 3 febbraio del 1860. Arezzo gli tributò solenni esequie.

Opere: scritti scientifici e accademici: Dissertazione del dottore Carlo Pigli di Arezzo in risposta ad un programma sull’uso del vino, Siena 1824; Sull’immediata circolazione fra la madre e il feto, Arezzo 1830; Cenni sul cholera da servire per comune istruzione, Firenze 1835; Prolusione letta il dì 4 marzo 1841 dal dottor Carlo Pigli, professore di storia della medicina nella I. e R. Università di Pisa, Arezzo 1841; Prolusione al corso delle lezioni di storia della medicina, letta nell’I. e R. Università di Pisa l’anno accademico 1844-1845, Firenze 1845. Scritti letterari, encomiastici e politici: Et per vallem clanarum undis in Arnum retortis atque opere publicae commoditatis absoluto, in Descrizione della statua colossale di marmo rappresentante sua altezza imperiale e reale Ferdinando III felicemente regnante. Inalzata nella Piazza Grande d’Arezzo l’anno 1822, Firenze 1822, pp. 26-30; La collina di San Cornelio. Stanze di Carlo Pigli aretino coronate nel Concorso dell’anno 1823 a vantaggio dei Giovani suoi Concittadini dal fu signor Senatore Giovan Battista Della Fioraja, Arezzo 1823; Al chiarissimo signor capitano Pietro Uccelli in morte della di lui diletta consorte signora Giustina Comini. Stanze del dottor Carlo Pigli d’Arezzo, Firenze 1826; Ode in morte della Malibran  letta nell’Adunanza de’9 Agosto 1842, in Atti dell’I. e R. Accademia aretina di Scienze, lettere ed arti, I (1843), pp. 135-139; Povera Sofia Perticari, in La rosa di maggio o collezione di inediti componimenti di amena letteratura, Firenze 1843, p. 130; Pel matrimonio del conte Angelo Francisci colla contessa Amalia Morelli di Todi il 4 ottobre 1846, Firenze 1846; Relazione delle feste aretine, Arezzo 1847; Risposta di Carlo Pigli all’apologia di F. D. Guerrazzi, Arezzo 1852.

Fonti e Bibl.Il riferimento documentario principale è al fondo Lettere autografe dell’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano di Roma.

Documenti del processo di lesa maestà istruito nel tribunale di prima istanza di Firenze nelli anni 1849-1850, Firenze 1850, pp. 406 e ss.; Apologia della vita politica di Francesco Domenico Guerrazzi, scritta da lui medesimo, Firenze 1851, pp. 44-46, 186-187, 304-306, 359-413; Orazione detta dal Dottor Gregorio Palmi ai funerali del Dottor C. P., celebrati il dì 6 Marzo 1860, nella Chiesa di S. Pier Piccolo in Arezzo, sua nativa città, Arezzo 1860; E. Michel, F. D. Guerrazzi e le cospirazioni politiche in Toscana dall’anno 1830 all’anno 1835, Roma 1904, pp. 49, 75-77, 136; U. Viviani, Un aretino professore di storia della medicina, in Rivista di storia critica delle scienze mediche e naturali, IX (1918), 1-2, pp. 365-381; C. Fedeli, Le scuole di storia della medicina nell’università di Pisa, in Archivio. di storia della scienza, I (1919), pp. 141-150; G. Andriani, Socialismo e comunismo in Toscana tra il 1846 e il 1849, Milano 1921, pp. 46-47; P. Orsi, Dispacci, lettere e proclami di giorni assai agitati nella storia toscana (30 gennaio-20 febbraio 1849), in Nuova Antologia, s. 6, CCXXXII (1923), vol. 310-311, p. 196; E. Michel, Esuli e cospiratori italiani in Corsica, Bologna 1938, p. 251, pp. 337-339, 350, 354, 366, 372; E. Michel, Lettere di F. M. N. Santelli a Nicola Fabrizi, in Archivio Storico di Corsica, 1942, 1, pp. 49-54; N. Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell’Ottocento, Roma 1966, pp. 68-69, 128-131; L. Armandi, Storia sociale della Massoneria Aretina, Sinalunga 1992, p. 148; F. Bertini, Risorgimento e paese reale, Firenze 2003, pp. 37, 46-47, 56, 69-70, 83-84, 548, 552-561, 576-586, 594; M. Cini, L’emigrazione politica toscana in Corsica dopo il 1849, in I laboratori toscani della democrazia e del Risorgimento, a cura di L. Dinelli - L. Bernardini Pisa 2004, pp. 345-362; F. Bertini, Risorgimento e questione sociale, Firenze 2007, pp. 357, 457.

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