TROYA, Carlo

Enciclopedia Italiana (1937)

TROYA, Carlo

Nicola Nicolini

Storico, nato a Napoli il 7 giugno 1784, ivi morto il 28 luglio 1858. Sebbene appartenesse a famiglia strettamente legata ai Borboni, egli, pur non appartenendo alla carboneria, fu, durante la rivoluzione napoletana del 1820, redattore della liberale Minerva e, per 17 giorni, intendente di Basilicata (marzo 1821). Esiliato dalla reazione (1824), ebbe, per tal modo, occasione di frequentare archivî e biblioteche d'ogni parte d'Italia, di conoscere gli studiosi più insigni del tempo e di confermarsi in quel che fu poi il motivo ispiratore così della sua storiografia come della sua azione politica e che si concreterà nel neoguelfismo. Graziato (12 marzo 1826), non resisté a lungo a Napoli, donde, dopo una breve tappa a Montecassino (1827), imprese un lungo viaggio d'istruzione (1828), non terminato prima del luglio 1831. Nel 1844 fondò a Napoli la Società storica, che presiedette fino al 1847; dal 16 febbraio 1848, giurata da Ferdinando II la costituzione, collaborò attivamente al giornale liberale Il Tempo, con una rubrica "Intorno alla storia e alle questioni politiche della Sicilia"; il 3 aprile, caduto il Bozzelli, assunse la presidenza del ministero caduto a sua volta il 15 maggio. Lasciato tranquillo dalla reazione, al che concorse l'ingresso del fratello Ferdinando e del cognato Pietro d'Urso nel ministero del 7 agosto 1849 e fors'anche un motto bonario di Ferdinando II ("Troya? Lasciatelo stare nel Medioevo"), attese sino alla morte esclusivamente agli studî.

Il Tr. conquistò rapidamente celebrità mercé il Veltro allegorico di Dante (1825), seguito dal Veltro allegorico dei Ghibellini (1832; 2a ed., quasi raddoppiata, 1855): due scritti nei quali pur raggruppando intorno al poeta sovrano i fili della storia del Medioevo italiano, non seppe perdonargli né d'avere chiamato lo straniero in Italia, né l'invettiva contro le "sfacciate donne fiorentine", che avevano pur saputo opporsi allo straniero con tutta l'energia. Dallo studio del sec. XIII fu ricondotto indietro, a Carlomagno e all'Europa barbarica: donde la Storia d'Italia nel Medioevo, che sarebbe dovuta giungere sino ai tempi danteschi, ma s'arrestò, in effetti, al periodo longobardo. Dei quattro volumi pubblicati, il primo, suddiviso in cinque parti (Apparato alla storia d'Italia Napoli 1839-43), studia i Popoli barbari avanti la loro venuta in Italia e contiene altresì un Discorso delle condizioni dei Romani vinti dai Longobardi e della vera lezione di alcune parole di Paolo Diacono; il secondo (Napoli 1844-50) considera Eruli e Goti e reca tre appendici sui Fasti getici o gotici, daco-getici-normanni e visigotici; argomento del terzo (Napoli 1851) sono Greci e Longobardi; nel quarto (Napoli 1852-55) viene dato il Codice diplomatico longobardo, arricchito di Note storiche, osservazioni e dissertazioni, ordinate principalmente a chiarire la condizione dei Romani vinti dai Longobardi e la qualità della conquista. La concezione neoguelfa, a cui è ispirata questa somma immane di lavoro, che ai pregi dell'immensa erudizione congiunge l'altro d'una forma quanto mai vigorosa, si manifesta principalmente nell'antitesi posta dall'autore fra i Goti e i Longobardi: i primi, ornati delle più belle virtù e persino disgermanizzati, si sarebbero fusi sicuramente col popolo vinto, se non si fossero ostinati nell'arianesimo, che li rese odiosi ai Romani; laddove i secondi restarono sempre una casta guerriera, fornita di legislazione propria e formante essa sola lo stato; da che una profonda divisione sociale, in cui sola giovevole all'Italia e alla civiltà fu l'azione dei pontefici romani, ai quali si dovette la nuova civiltà romano-cristiana, più estesa della civiltà romano-idolatra, in quanto, per opera appunto dei papi, Roma portò sino all'estremo settentrione il Vangelo e impose a tutto l'orbe la sua lingua.

Del Tr. restano altresì uno scritto metodologico Delle collezioni istoriche più necessarie a chi scrive storia d'Italia (Progresso del 1832); abbondanti Annotazioni marginali agli Annali del Muratori, delle quali furono pubblicati postumi due volumi (Napoli 1869-71); e segnatamente il suo copiosissimo carteggio, che, tuttora in buona parte inedito e serbato nella Biblioteca Nazionale, in quella della Deputazione napoletana di storia patria e in altre biblioteche napoletane, offre contributi di particolare importanza per la storia politica e culturale del tempo.

Bibl.: D. Trevisani, Brevi notizie della vita e delle opere di C. Tr., Napoli 1858; G. Del Giudice, C. Tr., vita pubblica e privata, studi, opere, con appendice di lettere inedite e altri documenti, Napoli 1899; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, I, Bari 1921, p. 125 segg. Il carteggio col Balbo fu pubblicato da E. Mandarini, Lettere inedite di C. Tr. a C. Balbo, Napoli 1869; buona antologia degli scritti storici è il vol.: C. Troya, Del Veltro allegorico di Dante e altri saggi storici, a cura di C. Panigada, Bari 1932.

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