ANSALDI, Casto Innocente

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANSALDI, Casto Innocente

Mario Rosa

Nato a Piacenza il 7 maggio 1710, professò tra i domenicani a Cremona il 6 sett. 1726. Ingegno inquieto, antiscolastico, mostrò presto fastidio della disciplina e del sistema di studi allora seguito nell'Ordine: stato d'animo, il suo di questi anni, che si riflette in un peregrinare di convento in convento, da Milano (1727) a Bosco (Alessandria), ad Alessandria (1730), a Cremona, a Bologna (1731), a Genova (1732-33), a Roma (1733), dove l'A. strinse amicizia con il p. G. A. Orsi e con G. Fontanini, e in quelle vicende diffusamente descritte nella biografia degli Scrittori d'Italia elaborata dal Mazzuchelli sulla base di notizie fornitegli dall'A. stesso (cfr. lettera del 27 luglio 1741, in Vat. Lat.10003, f. 237r), vicende che esprimono la crisi attraversata da taluni settori degli Ordini religiosi italiani a contatto con il nuovo clima culturale razionalistico e preilluministico.

Nel 1735 l'A. passò a Napoli come lettore di teologia nello studio dell'Ordine in S. Caterina "a Formiello". L'amicizia con Celestino Galiani lo fece accogliere fra gli accademici di monsignor G. M. Ruffo, il cui circolo rappresentò, fino al 1737, un vivace focolaio di discussioni aperte alla cultura moderna, specie nel settore della storia ecclesiastica e dei problemi giuridico-ecclesiastici, nell'atmosfera intellettuale che segnò il trapasso dal viceregno austriaco al regno di Carlo di Borbone, e lo portò poi alla nomina a lettore straordinario di teologia nell'università (15 dic. 1737). Il suo metodo d'insegnamento provocò la diffidenza e l'ostilità dei superiori, tanto che, appena nominato professore straordinario di teologia, l'anno successivo, l'A. si vide bruscamente richiamato a Bologna.

I motivi precisi di tale decisione ci sfuggono: allude l'A. nella biografia mazzuchelliana a tesi filosofiche antiscolastiche sostenute da suoi discepoli o a espressioni sue mal interpretate; certo, vi fu, come più tardi lo stesso A. confidò al Bottari, una denunzia da parte del generale dell'Ordine all'Inquisizione romana.

L'episodio fece esplodere la crisi da tempo in nuce nella formazione dell'Ansaldi. Nel novembre del 1738 lasciò Napoli, ma per iniziare una seconda peregrinazione durata sei anni, da Chieti a Venezia, a Padova, a Vicenza, a Verona, a Calvisano (Brescia), sempre nei conventi dell'Ordine, ma in pratica fuori della disciplina monastica, ed esposto a tutte le ansie di un'esistenza dura e confusa: ebbero fine nel 1745 per intervento del pontefice Benedetto XIV, al quale l'A. più volte si era rivolto, prima attraverso il cardinale Querini poi (quando tra il papa e il Querini sorsero motivi di attrito) attraverso il Bottari, probabilmente conosciuto a Roma anni prima.

Nel settembre 1745 l'A. veniva nominato lettore di teologia in S. Domenico di Brescia: a Benedetto XIV, riconoscente, dedicò le Herodiani infanticidii vindiciae, Brixiae 1746, e il De authenticis Sacrarum Scripturarum apud SS. Patres lectionibus libri duo, Venetiis 1747.

Da questo momento la vita dell'A. si identifica con la sua carriera universitaria e con l'opera sua: reso più prudente con gli anni e volto a un'intensa attività controversistica e apologetica quasi a cancellare un giovanile passato di dubbi e incertezze.

Divenuto nel 1748, sempre in S. Domenico di Brescia, lettore di Sacra Scrittura, ottenne nel 1750 la cattedra di teologia nell'università di Ferrara, per passare nel 1756 a Torino, dove insegnò sino al 1770. Morì a Torino il 4 maggio 1780.

Di là dagli avvenimenti esterni la vita interiore dell'A. si arricchisce dì spunti spesso preziosi per una più attenta comprensione del clima culturale ecclesiastico dell'Italia settecentesca. Buona preparazione erudita attestano le sue opere e orientamenti che vanno oltre il modulo maurino-muratoriano dominante negli interessi dell'epoca. Importanti restano, a questo proposito, i suoi rapporti eruditi col Maffei, e di un metodo "maffeleiano" rivolto allo studio diretto e all'interpretazione storico-linguistica dei testi, che "ci dà dei preziosi lumi ed aiuti" parlerà l'A. (in una lettera al Bottari del 5 dic. 1747, in Cod. Corsiniano 2031, f. 33r, accennando a suoi lavori di antichità ebraiche e di esegesi biblica, il De futuro saeculo ab Hebraeis ante captivitatem cognito adversus I. Clerici cogitata commentarius, Mediolani 1748, e il De baptismate in Spiritu Sancto et igne commentarius sacer philologico-criticus, Mediolani 1752): metodo che forse fu più colto che effettivamente compreso dall'A., se proprio in quello stesso periodo il Maffei in lettere ad A. degli Abati Olivieri (25 sett. 1749 e 24 maggio 1751, v. S. Maffei, Epistolario, pp. 1253, 1310) esprimeva sostanziali riserve su una dissertazione glittografica dell'A., De Tarsensi Hercule in viridi jaspide insculpto Epistola [Brixiae 1749]; rapporti turbati, nel fondo, da reciproche divergenze dottrinali, favorevole l'A., velatamente antimolinista, al Migliavacca, nella polemica teologica sulla dottrina agostiniana dal Migliavacca sostenuta contro il Maffei, ostilissimo il Maffei ai domenicani, in specie dopo la polemica con il Concina sull'usura, tanto che la dedica all'A. dell'Arte magica dileguata. Lettera del sig. marchese S. Maffei al p. I. A.,Verona 1749, contro il Tartarotti, lungi dall'apparire espressione di un comune sentire (anche se non è escluso che lo fosse) si delinea invece esplicitamente come una spregiudicata manovra dell'erudito veronese contro la "forza fratesca" (all'Olivieir, Verona 6 febbr. 1750, in Epistolario cit., p. 1267: "Bisogna andare con cautela per la forza fratesca. Perciò furbescamente io l'indirizzai a un domenicano, e dissi ch'è egli ancora dell'istessa opinione ...").

Se su un piano tecnico, cioè di metodo di indagine e di critica, si può pensare, con le limitazioni cui si è accennato, a un orientamento dell'A. più affine alle posizioni del Maffei e alla più matura esperienza dell'ambiente veronese (e lo stesso suo studio delle antichità ebraiche, delle religioni antiche e delle antichità cristiane, che attende ancora un preciso giudizio di merito, ve lo indirizzava) si dovrà, su un piano più generale di concezione degli studi e di programma culturale, parlare di un atteggiamento che riprende dal Muratori i motivi più caratteristici e più vivi. Muratoriana appare senz'altro l'Oratio habita in Atheneo Ferrariensi dum publici S. Theologiae professoris munus auspicaretur anno 1750, Ferrariae s. d.: prolusione accademica in cui l'A. traccia a grandi linee il suo programma, auspicando un metodo semplice, non polemico ma storico-positivo, della teologia, apologeticamente orientato, ma esemplarmente avvertito anche delle più aperte posizioni riformate, come quella del teologo e storico ecclesiastico calvinista G. A. Turrettini. Spunti chiariti e accentuati nell'Oratio dell'anno successivo, che da una frase ripercorrente nel discorso potrebbe intitolarsi "de moderatione animi theologicis in studiis", tutta un elogio della moderazione del secolo e dell'ideale muratoriano di una "giusta" critica di un "buon gusto" teologico, lontano dagli eccessi della critica razionalistica e scettica dai sociniani a Bayle.

Fermenti non profondi ma tali da informare, con muratoriano equilibrio, altri atteggiamenti spirituali dell'A., sul piano della grande battaglia del secolo tra gesuiti o molinisti e agostiniani o giansenisti: le lettere dell'A. al Bottari che hanno indotto a pensare (Encicl. Cattolica, I, coll. 1401-02) a una sua convergenza con le posizioni dei filogiansenisti romani mostrano appena quel prudente antimolinismo, di cui si è detto, e comunque una posizione teologica media (v. lettera del 30 nov. 1754, in Cod. Corsiniano 2031, ff. 82r-83r, che trova conferma in altra lettera al Mazzuchelli, Ferrara 19 sett. 1752, in Vat. Lat. 10003, ff. 248r-v), sostanzialmente estranea al dibattito etico-teologico del momento che peraltro non trova rispondenza in nessuna parte dell'opera sua. Se mai più spiccata partecipazione a tali discussioni, e interesse per le dispute sulla grazia e per la Chiesa dell'età patristica ebbe un fratello dell'A. anch'egli domenicano, Carlo Agostino, che tradusse I mille versi latini di S. Prospero d'Aquitania contro i Semipelagiani, Venezia 1753, e I due libri di Prudenzio contro Simmaco, Venezia 1754. E sempre in senso muratoriano andranno intesi i rapporti eruditi dell'A. con letterati del tempo, testimoniati dal carteggio con il Mazzuchelli, importante per la collaborazione offerta direttamente e indirettamente dall'A. agli Scrittori d'Italia (ma anche per notizie di letture compiute, Montesquieu, Locke, Voltaire, Wolf, Tournemine ecc.), e da contatti diretti od epistolari con lo Zeno, con l'Argelati, con il Calogerà, ecc.

Opere: Tendenzialmente o esplicitamente apologetiche contro gli orientamenti della critica razionalistica sei-settecentesca, possono dividersi in due gruppi. Al primo, erudito-ecclesiastico, appartengono: Josephi Aegypti Proregis religio a criminationibus Basnagii vindicata, Neapoli 1738; Venezia 1741 (col titolo De veteri Aegyptiorum idolatria ac moribus dissertatio, in Raccolta di opuscoli scient. e filol. del Calogerà, XXIII, pp. 135-226); Brixiae 1747, in polemica con le Antiquités hébraiques..., Amsterdam 1713, del Basnage; De caussis inopiae veterum monumentorum pro copia martyrum dignoscenda, adversus Doduvellum dissertatio, Mediolani 1740, e De martyribus sine sanguine adversus Doduvellum dissertatio, in qua et nonnulla Romani martyrologii loca ab criminationibus Baelii vindicatur, Mediolani 1744(secondo la Nouvelle biogr. génér., unite in duplice edizione, Mediolani 1739 e 1745 in 8º e 1741e 1744 in 4º); unite, Venetiis 1756.

Più interessanti e nuovi altri scritti dedicati, come il primo, alle antichità ebraiche e all'esegesi biblica: il De forensi Iudaeorum buccina commentarius, Brixiae 1745 (anche in B. Ugolini, Thesaurus antiquitatum, XXVI,Venetiis 1763); l'Herodiani infanticidii vindiciae, Brixiae 1746, notevole sul piano apologetico, ridimensionando l'A., contro la tradizione popolare, l'episodio della strage degli Innocenti e invalidando l'argomento ex silentio ricavato dall'opera dello storico Giuseppe; la Dissertatio de loco Iohannis aliter atque habet Vulgata a nonnullis Patribus lecto, Brixiae 1746, significativo per i giudizi sulle condizioni degli studi di erudizione scritturale e storica in Italia e per l'aspirazione ad uno svecchiamento della tradizione di tipo scolastico (alle polemiche suscitate l'A. rispose con i De authenticis Sacrarum Scripturarum apud Sanctos Patres lectionibus libri II, Veronae 1747).

Il De diis multarum gentium Romam evocatis..., Brixiae 1743; con titolo mutato e aggiunte, Venetiis 1753, 1761; Oxonici 1765; e il De theurgia deque theurgicis ethnicorum mysteriis a Divo Paulo memoratis commentarius, Mediolani 1761, meritano un posto a sé in quanto, pur movendo da problemi di esegesi biblica (il primo chiarisce la cerimonia della evocatio, cui allude talvolta la Scrittura; il secondo commenta alcuni passi oscuri dell'Epistola ai Colossesi, II, 4, 8, 16, 18) sono segno di un interesse per la storia delle religioni antiche e dei misteri pagani che è raro trovare nel settore delle scienze ecclesiastiche italiane del tempo e per il quale l'A. può a buon diritto considerarsi un precursore (per questa serie di opere cfr. Dict. de la Bible, I, coll. 655-656).

Il De sacro et publico apud ethnicos pictarum tabularum cultu adversus recentiores Graecos dissertatio, Venetiis 1753, Aug. Taurin. 1768, in edizione ampliata, è una ricerca sul culto delle immagini sacre nella Chiesa primitiva e riflette una serie di problemi messi a fuoco dalla corrente muratoriana. Le postume Praelectiones theologicae, in due tomi, Venetiis 1797, raccolgono i suoi corsi istituzionali tenuti nell'università di Torino.

Del secondo gruppo, tra le opere "filosofiche" dell'A., elaborate soprattutto dopo quelle storico-erudite, vanno ricordate: i De principiorum legis naturalis traditione... libri, III, Mediolani 1742; Della necessità e verità della religione naturale e rivelata Ragionamento, Venezia 1755; il Saggio intorno alle immagini ed alle rappresentazioni della felicità somma, Torino 1775; le Riflessioni sopra i mezzi di perfezionare la filosofia morale, Torino 1778.

Significativo il silenzio di circa un ventennio, dal 1755 al '75, sia per l'uno che per l'altro gruppo di opere, interrotto solo dal ricordato De theurgia (1761) e dalla Multitudo maxima eorum qui prioribus Ecclesiae saeculis christianam religionem professi sunt adversus Davidem Clarksonum..., Aug. Taurin. 1765, ibid. 1772, in polemica con la Primitive Episcopacy, London 1688, del Clarkson: silenzio che segna il distacco tra il momento erudito e muratoriano dell'opera dell'A., concepita tutta nel decennio 1740-50 e insieme di una apologetica volta ancora contro i classici del razionalismo secentesco o attenta alla prima fermentazione delle idee illuministiche in Italia, e un momento esclusivamente "filosofico", in cui più chiara si configura l'esigenza di contrastare positivamente, su un piano ideologico, la fase matura del movimento, al principio dell'ultimo quarto del secolo.

Da ricordare in questo orientamento dell'A. la polemica sostenuta tra il 1754-57 con F. M. Zanotti a difesa del Maupertuis (cfr. G. Capone Braga, II, 1, pp. 44 ss., e E. Garin, II, pp. 392 s.). All'Essai de philosophie morale (1749) del Maupertuis lo Zanotti aveva risposto con un Ragionamento (1754), rifiutando la premessa edonistica su cui si basava l'Essai, insistendo sulla eterogeneità dei piaceri che impediva il calcolo maupertuisiano e negando infine la troppo rigida distinzione affermata dal Maupertuis tra soluzione stoica e soluzione cristiana della vita morale. La questione, in cui tra l'altro si rifletteva il problema dell'utile, appassionò molti scrittori del tempo: l'A. replicò subito con le Vindiciae Maupertuisianae ab animadversionibus... F. M. Zanotti quibus quantum philosophiae morali Stoicorum praestet Religio in infelicitate vitae minuenda demonstratur, Venetiis 1754 (trad. in ital. da L. Dorighi e ripubblicate in Raccolta di trattati di diversi autori concernenti alla religione naturale e alla morale filosofia de' Cristiani e degli Stoici, I, Venezia 1756) e polarizzò la discussione, spostandone il centro effettivo, come notò lo Zanotti, sul tema della superiorità della morale cristiana su quella stoica. Per lo Zanotti si schierarono il Lami, lo Schiara, il Barbieri; a favore dell'A. il Baroni Cavalcabò, e la polemica (v. un'altra Lettera dell'A. in risposta ai Discorsi tre dello Zanotti, Napoli 1755, in Raccolta cit., II, Venezia 1757) almeno da parte dell'A. mirò, in coerenza con gli enunciati dei De principiorum, a contrapporre la "christiana philosophia" ad una concezione che suonava naturalistica tanto sul piano etico (autonomia delle virtù umane dal piano soprannaturale espresso dalla rivelazione) quanto su quello metafisico (speranza puramente razionale di un premio futuro: affermazione, questa, che l'A. cerca di confutare servendosi del principio di ragion sufficiente). Certo le Vindiciae e l'intera polemica restano interessante documento di una condizione spirituale, a metà secolo, in cui le preoccupazioni apologetiche e l'interesse moderato per la nuova cultura si scontrano con il rigore etico, autonomamente inteso, della prima generazione dei riformatori.

Al di fuori di schemi scolastici, quindi, l'A. tra i primi, con le prime sue opere, delinea la tesi del "tradizionalismo", ma tenterà poi nuove vie, specie con il Saggio, al di là di queste posizioni e di un'apologetica basata sui fatti biblici e della storia ecclesiastica, gravemente corrosa dalla critica illuministica. Nel Saggio, sul piano della psicologia e dell'estetica, l'A. non confuta direttamente il sensismo, ma contrappone ad esso quel particolare orientamento platonizzante espresso allora in Italia dal pensiero del Gerdil e più ecletticamente dall'"estetica dell'immaginazione" del Conti: l'A. comunque, almeno sul piano estetico, non si distacca da una concezione sensistica, pur distinguendo tra immaginazione artistica, che opera su oggetti sensibili, e un'immaginazione platonicamente intesa volta alla contemplazione di "oggetti spirituali", costretta tuttavia, per la finitezza della natura umana, ad esprimersi sensibilmente. Su un piano estetico-psicologico, però, cogliendo la forza evocativa e suggestiva delle arti figurative, dell'arte sacra in specie, della musica, del simbolismo religioso ecc., riesce in parte a superare schemi empiristici e razionalistici, per porsi già in una direzione di gusto preromantico: rivaluta contro il mito illuministico del "buon selvaggio" la potenza "immaginativa" della poesia cosmogonica dei popoli dell'Oriente antico, esalta la poesia del profetismo biblico (e si riflette qui la sua opera erudita), del Milton, del Klopstock, e persino, se pure incertamente, del Paradiso dantesco.

Fonti e Bibl.: Biblioteca Apost. Vaticana, Vat. Lat.10003, Corrispondenza Mazzuchelli A., ff.244r-286r, 57 lettere dell'A. al Mazzuchelli; Bibl. Corsiniana, Roma, Corsiniano 2031, 47 lettere dell'A. a G. G. Bottari; S. Maffei, Epistolario (1700-1755), a cura di C. Garibotto, II, Milano 1955, pp. 1074, 1173, 1195, 1235, 1253, 1310; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 812-819; H. Hurter, Nomenclator liter. theol. cath., V, Oeniponte 1912, coll. 72-76; S. Vallaro, I professori domenicani nell'Università di Torino, in Archivum Fratrum Praed., VII (1937), pp. 174-176; G. Capone Braga, La filosofia francese e italiana del Settecento, II, I,Padova 1942, pp. 44 ss.; E. Damming, Il movimento giansenista a Roma..., Città del Vaticano 1945, pp. 242, 246, 305 s.; E. Garin, La Filosofia, II, Milano 1947, pp. 391 ss.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, pp. 194, 1155 s.; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel sec. XVIII, Torino 1958, pp. 55, 56, 80; Nouvelle biogr. génér., II, coll.735-736; Dict. de la Bible, I, coll. 655-656; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll. 424-426; Encicl. Filosofica, I, coll. 263-264.

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