CIBO, Caterina

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981)

CIBO, Caterina

Franca Petrucci

Quintogenita di Francesco detto Franceschetto, figlio naturale di Innocenzo VIII, e di Maddalena, figlia di Lorenzo de' Medici, nacque a Ponzano vicino Firenze il 13 sett. 1501.

Il fatto di sapere che adulta la C. conosceva il latino, il greco e l'ebraico, era versata nelle "humane lettere", nella sacra teologia e nella filosofia (Serdonati in G. Boccaccio, Delle donne illustri, tradotto... da G. Betussi con una giunta... e un'altra nuova giunta fatta per F. Serdonati..., Fiorenza 1596, pp. 613-616) lascia supporre che ricevesse un'educazione accurata, tuttavia nulla si sa degli anni dell'infanzia e della prima giovinezza. A dodici anni fu promessa in moglie a Giovanni Maria da Varano, creato due anni dopo duca di Camerino da Leone X. zio della Cibo. In seguito l'adesione dei parenti, e in special modo della madre della C., a questo matrimonio venne meno e pare anzi che la Medici brigasse per concedere la mano della figlia al nipote dei Varanó, Sigismondo, che rivendicava i propri diritti su Camerino.

La C. sposò Giovanni Maria da Varano nel 1520, forse nel luglio, pochi mesi dopo la morte della madre, con una dote di 14.000 scudi, che. il marito garantì con alcuni castelli del suo ducato. Arrivò a Camerino il 2.8 ottobre, accompagnata dai fratelli Lorenzo e Giovanni Battista, accolta solennemente dal popolo e dai gentiluomini della città. Immediatamente si trovò coinvolta in traversie dinastiche. Alla morte di Leone X (1° dic. 1521), infatti, Sigismondo da Varano, soccorso dallo zio materno Francesco Maria Della Rovere, si accinse a invadere Camerino. La C. alla minaccia fu inviata a Civitanova da Giovanni Maria, che fuggito prima in Abruzzo, si recò subito dopo a Roma. Qui, forse raggiunto dalla moglie, ottenne due compagnie di spagnoli, con le quali riuscì a recuperare la città. Poco dopo il pretendente veniva ucciso a tradimento, forse da Lorenzo Cibo per diretto incarico di Giovanni Maria e forse con la consapevolezza della Cibo. Dopo la parentesi del pontificato di Adriano VI, poco favorevole ai duchi di Camerino, durante il quale (il 24 marzo 1523), nacque l'unica figlia della C., Giulia, sali al soglio pontificio, il 18 nov. 1523, Giulio de' Medici, con il nome di Clemente VII, prozio di Caterina.

Ella partecipò con il marito alla cerimonia dell'incoronazione del pontefice e successivamente rimase a Roma fino al luglio dell'anno seguente. Dal nuovo papa la C. avrebbe voluto conseguire la restituzione di Senigallia e di Sassoferrato, recuperate alla morte di Leone X dal duca di Urbino. Il suo desiderio non fu soddisfatto; ottenne invece una bolla pontificia, del 4 giugno 1524, con la quale era gssicurata la successione di Giulia e dei suoi discendenti nel ducato.

Nell'ottobre del medesimo anno la C. era di nuovo a Roma. Qui firmava con l'ambasciatore imperiale una condotta per il marito, che dette luogo a una brevissima campagna del Varano in Abruzzo, mentre era in atto la spedizione del duca d'Albany verso il Regno. La C. compì un altro viaggio nell'urbe dal novembre 1526 al gennaio 1527. Questa volta ottenne dal papa, il 25 novembre, un breve con il quale le era concesso di succedere nel ducato qualora marito e figlia le premorissero senza che questa lasciasse figli maschi.

Altri due brevi furono emanati in data 15 dicembre. Con il primo il pontefice assolveva il Varano dall'accusa di aver fatto uccidere il nipote Sigismondo; con l'altro la S. Sede confermava l'obbligazione fatta dal duca sul palazzo di. Lanciano, feudo della Chiesa, in caso dì restituzione della dote della Cibo.Scoppiata in Camerino subito dopo il sacco, di Roma un'epidemia, Giovanni Maria da Varano cadde ammalato e mori il 10 ag. 1527. L'8 aveva fatto testamento, lasciando erede dello Stato la figlia Giulia, che avrebbe dovuto sposare, giunta ai quattordici anni, uno dei figli di Ercole dei Varano di Ferrara, e governatrice la moglie Caterina vita natural durante. Ambedue venivano poste sotto la protezione del pontefice e dell'imperatore. Era giunto intantoi Camerino uno dei figli, naturali di Giovanni Maria, Rodolfo, ricevuto dalla C. nella fortezza, dove si era ritirata. Costui pensò di impossessarsi dello Stato e fece imprigionare la C. nel palazzo delle guardie.

Accorsero allora a Camerino partigiani dell'una e dell'altra parte. Arrivò por primo Giovanni Battista Cibo, che però non riuscì a liberare la sorella e subito dopo fu scalzato da Sciarra Colonna, cognato di Rodolfò, che mise a sacco la città. Contro il Colonna il Cibo radunò nuove forze, accresciute da quelle inviate dal duca di Urbino e dal legato della Marca. Intervennero anche i Varano di Ferrara, ufficialmente per liberare la duchessa dalla prigionia. Sciarra Colonna intanto aveva pensato di operare in proprio e non più in favore del cognato, pertanto abbozzò delle trattative con le forze pontificie e pensò di legittimare il possesso di Camerino sposando la C.; fece anche allontanare dalla città Rodolfa e la moglie. La posizione del Colonna diveniva però sempre più difficile. Si intavolarono così altre trattative. Rappresentanti della C. erano il fratello Lorenzo, il conte di Montevecchio e, quasi come rappresentante del papa, Girolamo Vecchiani. I patti cui si pervenne l'8 novembre furono quasi una capitolazione del Colonna, che si impegnava a partire per il Regno ed a consegnare la rocca e i prigionieri. A loro volta gli alleati promettevano di lasciare liberi Rodolfò e Beatrice, sorella del Colonna. Riacquistata la libertà, la C. non mancò di fare giustiziare due fuorusciti che erano rientrati in Camerino con gli invasori e probabilmente non. fu estranea alla morte di Rodolfo da Varano, che fu forse decapitato a Macerata.

I Varano di Ferrara, Ercole e i figli Alessandro e Matteo, sarebbero dovuti tornare nei loro territori ed aspettare il compimento dei quattordici anni di Giulia da Varano, ma sembrò loro opportuno in quelle circostanze impadronirsi subito dello Stato. Essi tenevano due castelli fortificati nel Camerinese, e ora si accinsero a raccogliere altri armati. A Camerino intanto la duchessa si preparò a difendersi da questo nuovo attacco, ma le sue forze erano scarse e soprattutto mancavano i viveri per un eventuale assedio. Dei protettori cui l'aveva affidata il marito, l'uno era a Orvieto appena liberato dalla prigionia e quasi impotente, l'altro avrebbe in breve dovuto fronteggiare nel Sud l'attacco del Lautrec. L'unico al quale la C. poté rivolgersi fu il duca di Urbino, al quale promise la figlia per il.primogenito Guidubaldo, secondo le trattative già in corso almeno da qualche mese.

L'atto di promessa fu rogato a Todi il 14 dic. 1527; con esso si stabiliva che Giulia avrebbe sposato Guidubaldo al compimento dei quattordici anni, con una dote di 30.000 ducati. Alla C. erano garantiti il governo di Camerino, giusta il testamento di Giovanni Maria,, e la metà delle rendite del ducato. Quest'atto però contravveniva a quanto predisposto dal duca defunto, che avrebbe voluto un Varano come marito della figlia; inoltre non poteva essere approvato dal papa, che avrebbe visto il duca di Urbino avvantaggiarsi troppo e per di più su un dominio soggetto alla S. Sede. Pertanto esso fu tenuto segreto; non a Lorenzo Cibo però e forse neanche al cardinale Innocenzo, altro fratello .di Caterina.

Il 22 febbr. 1528 i Varano di Ferrara assaltarono la città, riuscendo a impadronirsi del Borgo, che però fu liberato dai soldati della reggente, prima ancora che sopravvenissero gli aiuti del duca di Urbino. Giunti costoro, le schiere raccogliticce dei Varano furono disperse e l'ordinei anche mediante impiccagioni di cittadini ribelli e sacchi di villaggi insorti, fu ristabilito.

Nel maggio la C. otteneva dalla benevolenza di Clemente VII il governo di Visso e di Civitanova, già dati a Giovanni Maria nel 1513 e nel 1515, e altre concessioni nel giugno e nel luglio. Dal 20 giugno al 12 luglio di quell'anno la C. lasciò il suo ducato per recarsi a visitare il pontefice a Viterbo. Sullo scorcio dell'estate ebbe luogo un tentativo di Matteo da Varano di impadronirsi di Camerino, ma le sue forze furono disperse abbastanza agevolmente dalle genti di Giulio di Montevecchio. Fu in seguito a quest'ultima azione che il papa, peraltro allora gravemente ammalato, lanciò la scomunica, il 18 febbr. 1529, contro Matteo e Alessandro da Varano. Non contenta, la C. volle intentare un processo contro i suoi antagonisti, che si concluse con una condanna capitale contro Ercole da Varano e i figli. Dopo questa condanna, comminata da un commissario papale, ma di difficile esecuzione, la C. ottenne anche da Clemente VII un altro breve che rinnovava quello del 18 febbraio, includendo però nella scomunica anche Ercole da Varano.

Per un certo numero di anni le fonti tacciono sul governo della C. in Camerino ed emergono solo poche notizie, come l'affermazione dell'oratore di Francesco Maria Della Rovere a Roma del 1531 che attribuiva a quel ducato un buon numero di fuorusciti e di banditi, e qualche dato come la fondazione nel 1530 dei Monte dei pegni nella città. Inoltre c'è da segnalare la richiesta del 1532 di Carlo V della mano della figlia della C. per il figlio di Carlo di Lannoy, principe di Sulmona. Dello stesso anno e precedente a questa proposta fu l'idea di Ippolito de' Medici di lasciare il suo stato di cardinale e sposare Giulia da Varano. Probabilmente non vi fu alcun intervento della C. contro (o a favore) di questo progetto, che cadde da sé, anche se del proposito del prelato.si tornò a parlare nel 1534. La C. rimaneva dunque, in quanto al matrimonio della figlia, fedele al patto firmato con il Della Rovere, benché Clemente VII vi si opponesse, anche se non in modo attivo. A questo matrimonio cercò di opporsi anche lo stesso Guidubaldo, che nel 1530 si innamorò, rimanendo preso da questo amore per vari anni, di Clarice Orsini. Il duca di Urbino era però ben deciso al parentado e non si curò dei sentimenti del figlio, benché quest'ultimo non esitasse a dipingere la famiglia della fidanzata in modo tuttaltro che tenero e non risparmiasse insinuazioni sui costumi e la vita della Cibo.

Nel 1533 fu una delle dame che accompagnarono Caterina de' Medici a Marsiglia, dove il 28 ottobre furono celebrate le nozze con il duca d'Orléans, il futuro Enrico II. Non si sa quanto la C. si trattenne in Francia, ove ottenne gran successo; nel medesimo anno acquistò nel Lazio, vicino Maccarese, il casale della Prignana; nella primavera dell'anno dopo ella era a Camerino, quando Matteo da Varano riprese l'offensiva contro di lei.

Costui, partito dal castello di Rasiglia dove si era portato con pochi fedeli, la notte del 13 aprile arrivò a Camerino e vi penetrò con l'intento di rapire Giulia e di impedirne così le nozze con il Della Rovere. Gli invasori, che . si erano introdotti nel palazzo signorile, fecero prigioniero Pietro Mellini, governatore di Norcia, dimorante a Camerino almeno dal 1532 e presumibilmente amante della C.; quindi si impadronirono della duchessa. La bambina però era rinchiusa nella rocca e invano il Varano cercò anche con minacce e violenze di indurre la duchessa a introdurvelo. Al sorgere del giorno, non essendo riuscito a impadronirsi di Giulia, il Varano si allontanò dalla città conducendo seco i due prigionieri, che però poco dopo lasciò liberi, non sentendosi di assumersi la responsabilità di un atto odioso, che non era nei suoi piani. Subito dopo le sue scarse schiere furono disperse dai contadini che si levarono contro gli invasori. Il 15 aprile il papa inviava alla nipote un breve rallegrandosi per lo scampato pericolo; la C. provvedeva a far impiccare quanti, giudicati colpevoli di aver favorito la spedizione di Matteo da Varano, le capitarono fra le mani.

Dolla medesima primavera di quell'anno è un viaggio della C. a Roma, viaggio che aveva uno scopo ben preciso. Il 25 aprile infatti il papa aveva ingiunto ai frati cappuccini di abbandonare la città e la C. accorse in loro aiuto.

Ella era stata la protettrice del nuovo Ordine fin dal suo primo sorgere, a opera di Matteo da Bascio. Questo francescano aveva prestato la sua opera a Camerino durante la peste del 1523 e si era meritato la riconoscenza dei duchi. Quando nell'aprile del 1525, dopo aver ricevuto nel gennaio il permesso dal papa di usare un certo tipo di cappuccio e di vivere da eremita, fu imprigionato dal provinciale dei minoriti, la C. intervenne decisamente in suo fàvore, ottenendone la liberazione. L'anno seguente ella fornì lettere di presentazione e di raccomandazione al seguace di Matteo, Ludovico da Fossombrone, che il 18 maggio otteneva dal papa per il nuovo Ordine il permesso di usare il nuovo abito e di vivere da eremiti, sottostando soltanto alla sorveglianza del vescovo di Camerino.

Qui i nuovi frati abitarono alcune stanze del palazzo ducale e durante la peste del 1527 si prodigarono nel lenire le sofferenze della popolazione. Con un intervento diretto la C. otteneva l'anno dopo che gli eremiti francescani, come essi richiedevano, fossero accolti sotto la protezione del provinciale dei conventuali della Marca. I loro primi conventi furono fondati nel ducato di Camerino e quando nel 1529 Ludovico da Fossombrone, eletto generale, venne a fondare il convento di Roma, fu fornito di aiuti e di raccomandazioni dalla duchessa, la quale nel 1531 offrì ai frati un nuovo convento vicino Camerino. Il suo aiuto ai cappuccini in quella primavera fu superfluo, perché l'ordine di espulsione fu revocato, tuttavia ella intercesse ancora per i frati nell'ottobre presso il cardinale Gonzaga.Immediatamente prima della morte di Clemente VII ci fu un altro tentativo di Matteo da Varano, abortito sul nascere. Morto il papa (il 26 sett. 1534), il duca di Urbino prese a instare presso la duchessa perché il matrimonio fra i due giovani avvenisse immantinente, prima che il Sacro Collegio o il nuovo pontefice ne impedissero la celebrazione. Da Roma d'altra parte il cardinale Innocenzo Cibo esigeva che si soprassedesse al matrunomo, promettendo la nipote a quanti gli potessero procurare dei voti per l'elezione al pontificato.

Superata un'iniziale indecisione, che scatenò la diffidenza di Francesco Maria Della Rovere, l'11 ott. 1534 la C. si incontrò con i rappresentanti del duca di Urbino con i quali decise che il matrimonio sarebbe stato celebrato nel massimo segreto nella rocca di Camerino; il duca si obbligava a restituire alla duchessa la sua dote e a pagarle la metà delle rendite. Il contratto di matrimonio fu stipulato il giorno seguente nella rocca di Camerino, presente Guidubaldo Della Rovere.

In un breve volgere di giorni sopravvennero prima la proibizione del Collegio dei cardinali di celebrare lo sposalizio (che si ignorava fosse già avvenuto), l'elezione di Paolo III, che aggiunse anche il suo divieto, la pubblicazione del matrimonio da parte del duca di Urbino e l'arrivo dì Guidubaldo a Camerino. Con un breve del 21 ottobre il papa citava allora la C. e la figlia, ingiungendo loro di venire a rispondere a Roma del loro operato, entro otto giorni. A questo seguivano altri due brevi, uno diretto alla C. e alla figlia e l'altro a Guidubaldo, che iteravano l'ingiunzione di recarsi a Roma e proibivano la consumazione del matrimonio. Mentre la C. rimaneva ferma nel proposito di non portarsi a Roma, tanto più che in seguito il papa si rifiutò di munirla di un salvacondotto, Paolo III il 14 dicembre le toglieva il governo di Visso. Intanto sorgevano a Camerino le prime difficoltà per il governo dello Stato fra la C. e il genero, che accarezzò anche l'idea di scalzarla dal potere con la forza. Le parti decisero allora di addivenire a un accordo chiarificatore.

Recatosi a Camerino il duca di Urbino, fra lui e la C. furono stipulati il 15 dicembre tre atti notarili. In essi si stabilì che se la C. avesse voluto avrebbe potuto continuare a governare lo Stato e in questo caso avrebbe dovuto pagare al genero la metà delle rendite. Questa metà sarebbe stata pagata a lei dal genero se avesse invece lasciato il governo dello Stato; inoltre in questo caso ella avrebbe avuta restituita anche la dote. Garante di questi accordi, non considerati definitivi, fa il duca di Urbino.

Il giorno dopo la C. cedeva la rocca al genero e alla figlia. Il 17 febbr. 1535 contro Guidubaldo, Giulia e la C., che aveva passato le festività natalizie a Urbino, era pronunciata a Roma la sentenza che li privava del feudo; tutti e tre erano inoltre scomunicati per l'ingiusto possesso di beni della Chiesa. Il 28 marzo Camerino era colpita dall'interdetto. Fu allora che la C. decise di lasciare la città e di trasferirsi a Firenze. Qui con ogni probabilità, benché questo non risulti provato con sicurezza, ella prese alloggio nel palazzo dei Pazzi, dei fratello Lorenzo, ove abitavano già la moglie e la cognata di quest'ultimo.

Da allora cominciò un periodo della vita della C., di cui le notizie sono scarse e frammentarie. Nei primi anni ella fu in corrispondenza con il genero, dal quale esigeva le rendite dovutele, ma quando il Della Rovere con la moglie dovettero, nel gennaio 1539, cedere Camerino al papa, fu confiscata anche la sua dote. Il 16 maggio la C., con la figlia e il genero, veniva assolta dalla scomunica. Non riebbe mai la dote, ma non volle neanche rinunciare formalmente ai diritti del privilegio del 25 nov. 1526. Forse ottenne però qualche risarcimento dal genero, nel ducato dei quale - Francesco Maria era morto nel 1538 - si trovava nel giugno di quell'anno e fu poi nel 1541 e nel 1546.

Nel febbraio del 1547 fu presente a Fossombrone alla morte della figlia. Tre anni più tardi, nell'aprile la C., che aveva ereditato dal fratello Lorenzo l'usufrutto del palazzo e della loggia dei Pazzi a Firenze, assistette a Roma alla morte dell'altro fratello, cardinale Innocenzo.

Il testamento della C. è del luglio 1555 ed in esso ella istituiva sua erede universale la nipote Virginia Della Rovere. Morì il 17 febbr. 1557, a Firenze, nel palazzo dei Pazzi.

Fu seppellita in S. Proculo ed in seguito il nipote Alberico Cibo ne fece trasportare le ceneri nella chiesa della SS. Annunziata detta delle Murate, dove già era sepolta la nipote Eleonora (figlia dei fratello Lorenzo), da lei molto amata e protetta. Rimangono di lei almeno due ritratti, uno di ignoto riprodotto nella monografia del Feliciangeli; inoltre ella è effigiata nella sala di Clemente VII, a Palazzo Vecchio a Firenze, fra le gentildonne che presenziarono alla cerimonia del matrimonio di Caterina de' Medici, dipinta dal Vasari.

La C., la cui cultura, in mancanza di scritti letterari ed essendoci conservate solo poche sue lettere, si può soltanto intuire e presumere, ebbe rapporti con alcuni, letterati. È noto che F. Berni, che fu in corrispondenza con lei, la cantò in due ottave del suo Orlando innamorato (Orlando innamorato di M. M. Boiardo rifatto da F. Berni, a cura di S. Ferrari, Firenze 1971, p. 308), esaltandone l'"animo divino", le virtù, il senno, il valore. A. Firenzuola le dedicò i suoi Ragionamenti nel 1525 (A. Firenzuola, Le novelle, a cura di E. Ragni, Milano 1971, pp. 9-13). B. Varchi, che la citò nelle sue Storie fiorentine, le indirizzò un sonetto (B. Varchi, Sonetti spirituali, Fiorenza 1571, p. 34).

Resta ora da illustrare, per quanto è possibile, che parte ebbe la C. fra i riformatori italiani, ad alcuni dei quali fu in qualche modo legata. C'è subito da dire che la posizione della C. non è sufficientemente chiara ed anzi per certi aspetti è contraddittoria e ambigua. In un processo del S. Uffizio di Roma ella fu definita: "heretica, sectatrix haereticorum et doctrix monialium haereticarum". Tuttavia si sa che la C. morì nel seno della Chiesa e niente è provato o attestato di suoi atti o dichiarazioni non aderenti alla dottrina cattolica.

Compromettenti però e che inducono alla riflessione sono alcune sue amicizie. Soprattutto quella con Bernardino Ochino, riguardo al quale, nel citato compendio, fu annotato che egli scambiò il suo abito di frate con quello laico a Firenze prima di fuggire a Ginevra, in casa della Cibo. Circostanza questa però non sufficientemente provata. Come non è abbastanza provato che la C. rimase amica del frate anche post discessum, come affermò durante un suo processo Pietro Carnesecchi. Che lo fosse prima che egli avesse lasciato l'Italia è indubbio. Comè noto però il predicatore senese generava molti entusiasmi e non è quindi determinante che la C. gli fosse devota. Inoltre egli era dal 1538 generale dei cappuccini, Ordine come si è visto protetto dalla C., ed era un seguace di J. Valdés, della dottrina del quale la C. condivideva l'arficolo principale: la giustificazione per la fede. Per di più la C. fu dall'Ochino posta come interlocutrice in quattro dei Dialogi sette, da lui composti forse nel 1539 ed editi nel 1542. In essi l'autore illustrò la natura e le condizioni della perfezidne. Nel primo egli fece affermare alla C. che la perfetta sua conoscenza è il mezzo per amare Dio; l'ultimo contiene un testamento spirituale attribuito a lei, in cui è esposto il principio valdesiano della giustificazione.

Altro amico compromettente della C. fu Pietro Carnesecchi. In casa di costui nel 1536 a Firenze la C., recandovisi per incontrare Gian Matteo Uberti, incontrò oltre all'Ochino, G. Pietro Carafa e Reginald Pole. A questa una circostanza che viene frequentemente citata; in effetti peiò non si sa se vi si trattò ancora di questioni relative ai cappuccini, se si toccarono argomenti teorici relativi alla Riforma o se semplicemente la C. capitò casualmente in una simile assemblea. Il Carnesecchi la visitò più volte nel 1541, durante un suo soggiorno a Firenze, insieme con l'amico Marcantonio Flaminio, altra personaggio sospetto di eresia e seguace del Valdés, con cui la C. fu anche in rapporti epistolari. Al processo, oltre. a testimoniare della presenza presso la C. di un monaco - le cui opinioni non si sa se erano note alla C. - che "non sentiva bene di religione", :il Carnesecchi parlò dell'adesione della C. all'insegnamento del Valdés; bisogna notare però che l'articolo della giustificazione non fu condannato dalla Chiesa se non nel 1547. Altro rapporto compromettente che la C., la qualg conobbe anche un altro personaggio sospettato di eresia, Federico Fregoso, ebbe con il Camesecchi fu l'invio da parte di quest'ultimo. di due "apostati heretici" alla duchessa, che avrebbero voluto aprire una scuola di dottrina, ma che furono arrestati prima di arrivare a destinazione.

Concludendo, dai pochi elementi in nostro possesso sembra di poter affermare che la C. aderì alle opinioni del Valdés, subendo il fascino che gli insegnamenti dello spagnolo esercitarono su un vasto circolo di intellettuali, o si compromise frequentando personaggi che finirono per abbandonare la Chiesa o essere condannati da essa, senza però avere la determinazione e forse mai. lei nipote di papi e sorella di un.cardinale, l'intenzione di separarsi dalla fede cattolica, spinta soltanto dalle istanze filosofiche e religiose del tempo che avevano portato al luteranesimo e stavano per sfociare nella riforma cattolica.

Fonti e Bibl.: Estratto del processo di Pietro Carnesecchi, a cura di G. Manzoni, in Misc. di st. ital., X (1870), pp. 201 s., 5 12, 518; C. Corvisieri, Compendio dei processi del Santo Uffizio di Roma, in Arch. d. R. Soc. rom. di storia patria, III (1880), p. 272; B. Feliciangeli, Notizie e docc. sulla vita di C. C. Varano..., Camerino 1891 (con ult. bibl.); P. Savini, Storia della città di Camerino, Camerino 1895, pp. 107-120; L. Staffetti, Il libro di ricordi della fam. Cybo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1908), ad Indicem; B. Nicolini, Il pensiero di B. Ochino, Napoli 1939, pp. 23, 27, 95-97; L. v. Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma 1960, p. 355; IV, 2, ibid. 1956, pp. 448, 592, 595 s., 599; V, ibid. 1959, pp. 201 s., 204, 213; O. Ortolani, Per la storia della vita relig. ital. nel Cinquecento..., Firenze 1963, ad Indicem.

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