CAUSALITÀ

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

CAUSALITÀ

Claudio Pizzi

Concezioni riduzionistiche della causa. −La relazione di causa-effetto è diventata uno dei temi epistemologici di maggior rilievo in seguito all'esaurirsi, verso la fine degli anni Sessanta, del paradigma concettuale costituito dall'empirismo logico. Il disinteresse dei neoempiristi per il tema della c. si spiega ricordando che essi riprendevano sostanzialmente l'analisi riduttiva proposta da Hume verso la metà del Settecento (v. anche causa, IX, p. 506).

Secondo Hume, dire che un evento E1 è causa di un evento E2 si può parafrasare dicendo che: a) eventi simili a E1 risultano regolarmente congiunti nell'esperienza a eventi simili a E2; b) eventi simili a E1 precedono eventi simili a E2 con un intervallo costante; c) per associazione di idee siamo condizionati ad attenderci E2 ogniqualvolta osserviamo E1.

In luogo del ricorso di Hume alla psicologia associazionista, i neoempiristi introducevano la richiesta per cui gli enunciati generali che garantiscono l'inferenza di E2 da E1 devono essere non semplici generalizzazioni ma vere e proprie leggi di natura. Una parafrasi ancora più astratta degli enunciati causali è stata elaborata nell'ambito della teoria neoempirista della spiegazione (v. in questa App.), dovuta essenzialmente a C.G. Hempel. In quest'explanatory view della c. le cause coincidono sostanzialmente con i fattori esplicativi e l'asimmetria della relazione causale è rispecchiata dall'asimmetria tra la proposizione che spiega e la proposizione che viene spiegata. Si noti che in questa prospettiva, cadendo la richiesta che la causa sia un elemento per la previsione dell'effetto, E1 può anche essere simultaneo o posteriore a E2. Spiegazione teleologica e spiegazione causale non risultano così strutturalmente diverse, e quindi non è in linea di principio illegittimo il parlare di causazione ''a ritroso'', come accade per le cause finali aristoteliche o sotto l'ipotesi che esistano particelle più veloci della luce.

L'atteggiamento riduzionistico proprio dell'empirismo si è rivelato fecondo. Oltre all'explanatory view, sono nate da un'analoga aspirazione riduzionistica tanto le varie teorie probabilistiche della causa quanto le varie teorie funzionalistiche di essa. Le prime costituiscono un tentativo di riformulare il punto di vista humeano in un linguaggio probabilistico. Il probabilismo è stato ritenuto non solo auspicabile, ma inevitabile, dopo che la meccanica quantistica sembrava aver scardinato il principio di c., ossia l'idea stessa che ogni evento possiede una causa (principio d'indeterminazione di Heisenberg, 1927). Il determinismo causale si ritiene refutato dal carattere essenzialmente imprevedibile del movimento delle particelle subatomiche. Tuttavia, prima ancora di questa scoperta, era già noto sin dall'antichità il caso macroscopico d'indeterminismo costituito dal libero arbitrio umano, e le scienze umane appaiono da tale punto di vista soggette alle stesse difficoltà della meccanica quantistica. Nonostante questa tendenza verso l'indeterminismo, c'è sufficiente accordo sul fatto che il principio di c. può continuare ad avere un ruolo come postulato metodologico, e che il linguaggio causale può continuare a convivere con il linguaggio probabilistico, una volta che venga precisato un insieme di regole di traduzione del primo nel secondo.

Se il merito principale delle teorie probabilistiche della causa è quello di dare un senso agli aspetti causali entro un'intelaiatura probabilistica, esse hanno anche il pregio di ovviare a un evidente difetto della teoria humeana originaria. Questa infatti non consente di distinguere in ogni caso tra cause genuine e cause spurie. L'abbassamento del barometro, per es., è regolarmente seguito dal temporale, anche se non ne è una causa genuina ma solo un indizio. Nella teoria probabilistica più influente, quella di P. Suppes, si propone di dire che E1 è causa prima facie di E2 quando a) E1 precede E2; b) il verificarsi di E1 incrementa la probabilità del verificarsi di E2 (Pr(E2/E1) > Pr(E2)). Si dirà invece che E1 è causa genuina di E2 quando E1 è prima facie ma non spuria, ossia quando non c'è nessun terzo evento E3, precedente tanto a E1 che a E2, che ''annulla'' il peso di E1 nel rendere più probabile E2 (Pr(E2/E1 ∩ E3) = Pr(E2/E3)). Le cause spurie appaiono dunque tali nella misura in cui esiste una ''biforcazione causale'', ossia esiste una causa comune da cui dipendono tanto l'effetto che la causa spuria (per restare nell'esempio del barometro, l'abbassamento di pressione è causa comune tanto dell'abbassarsi del barometro che del successivo temporale).

Nella prospettiva funzionalista, invece di parlare di correlazioni statistiche tra tipi di eventi si parla di relazioni di dipendenza funzionale tra variabili. La ricerca della causa comune prende quindi la forma della ricerca di una ''terza variabile'', in dipendenza della quale si registra la covariazione della causa spuria e dell'effetto.

Il funzionalismo, che economisti come H. Simon e sociologi come H. Blalock hanno portato a un alto grado di raffinamento in applicazione ai modelli delle rispettive discipline, risale almeno a E. Mach ed è stato condiviso dai fisici influenzati dal positivismo nella prima metà del secolo. Questa concezione è stata esemplarmente enunciata da Russell in un celebre saggio del 1913, in cui si sosteneva che in tutte le scienze avanzate, seguendo la traccia della fisica, le cosiddette leggi causali sarebbero state rimpiazzate da equazioni differenziali del primo ordine.

Concezioni non riduzionistiche della causa. − Contrariamente alle aspettative di Russell e dei neoempiristi, la profezia della scomparsa del linguaggio causale dalla scienza non si è affatto verificata, e questo è oggi particolarmente evidente nelle scienze biologiche e nelle scienze umane. Nonostante la conclamata dissoluzione del determinismo causale, è dubbio che la stessa fisica sia riuscita a eliminare dal suo linguaggio la terminologia causale, dato che questa sembra comunque implicita nel significato di termini come ''spostare'', ''spingere'', ''attrarre''', ''agire su'', ecc.

Si può aggiungere che molti fisici hanno un atteggiamento psicologico realistico verso il nesso causale, che viene spesso fatto coincidere con la trasmissione di energia, oppure viene visto (dai materialisti dialettici) come un caso degenere d'interazione, in cui uno dei due termini del rapporto è passivo rispetto all'altro. In questa prospettiva interazionista la c. è in senso primario c. sincronica, e solo in senso secondario c. diacronica.

La nozione di causa in termini di trasmissione di energia, che ultimamente è a volte parafrasata in termini di trasmissione d'informazione, è anche compatibile con la teoria secondo cui la relazione causale è irriducibilmente una relazione di produzione (M. Bunge). A conforto della tesi di Bunge vengono invocate le ricerche di J. Piaget sulla genesi del concetto di causa nei bambini, i quali sono coscienti prima di tutto della propria capacità di produrre o manipolare oggetti e attribuiscono poi la stessa capacità agli oggetti stessi. L'idea che gli oggetti possiedano poteri causali è del resto radicata nel linguaggio ordinario e ha una lunga tradizione filosofica alle spalle, che va da Aristotele a Locke. La dottrina dei poteri causali non manca di seguaci neppure oggi (R. Harré), ed è uno degli sbocchi a cui è approdata la cosiddetta filosofia del linguaggio ordinario risalente al secondo Wittgenstein. Pure risalente a Wittgenstein è la teoria che riporta la nozione di causa a quella di azione, sviluppata recentemente da G. H. von Wright.

Nell'ambito del cosiddetto postpositivismo (T. Kuhn, P. K. Feyerabend, I. Lakatos) ci sono pure diversi spunti, spesso d'ispirazione wittgensteiniana, a favore di una concezione antiempirista della causalità. In particolare s'insiste sul fatto che le spiegazioni causali che vengono fornite sono dipendenti dalle teorie di sfondo, per cui la risposta alla domanda ''qual è la causa dell'evento En?'' è diversa a seconda della teoria presupposta e degli obiettivi che si pone il ricercatore (N. R. Hanson).

Logica delle relazioni causali. − A partire da un importante saggio di D. Davidson (1967), le ricerche sulla c. sono state caratterizzate da un impiego intensivo di tecniche logiche, tecniche che hanno consentito di far progredire l'indagine al di fuori dell'alternativa riduzionismo-antiriduzionismo. La logica modale in particolare ha reso ormai di uso corrente il riferimento al possibile implicito in molti aspetti del linguaggio ordinario. È stata così riconnotata l'antica nozione di causa come conditio sine qua non che ha avuto un ampio ruolo nella filosofia del diritto.

È naturale infatti stabilire le responsabilità penali operando un Gedankexperiment consistente nel chiedersi che cosa sarebbe successo se una certa azione non fosse stata eseguita. Questo esperimento è in effetti un espediente per distinguere cause genuine da cause spurie: come osservava M. Weber in un suo ben noto saggio metodologico, è grazie a esso che riusciamo a stabilire, poniamo, se i colpi di pistola di Serajevo furono o no un fattore causale per la prima guerra mondiale. In tal modo si dà corpo alla proposta, già presente in J. Stuart Mill, di usare il metodo della differenza (accertamento delle condizioni necessarie) per integrare i risultati ottenuti con il metodo dell'accordo (accertamento delle condizioni sufficienti).

Il fatto che un evento effettivamente occorso è una conditio sine qua non per un altro viene espresso nel linguaggio ordinario usando condizionali controfattuali, cioè periodi ipotetici della irrealtà come ''se quel fiammifero non fosse stato sfregato non si sarebbe acceso''. Quella che oggi viene chiamata teoria controfattuale della causa è una versione di quest'idea parafrasata nel linguaggio della semantica modale rigorizzata dai logici. Per D. K. Lewis, il più autorevole sostenitore di questa concezione, un'affermazione come la precedente significa: ''in tutti i mondi più simili all'attuale in cui il fiammifero non è stato sfregato non si è acceso'', e in questa valutazione di somiglianze tra mondi per Lewis è addirittura inessenziale la considerazione delle leggi di natura.

L'unica seria difficoltà di questa posizione è data dai casi di sovradeterminazione o di sopravanzamento causale, cioè dai casi, ben noti nella casistica giuridica, in cui una causa sufficiente per l'effetto si somma con altre cause a loro volta sufficienti per l'effetto, o le sopravanza. L'analisi di questo fenomeno ha portato l'attenzione sul ruolo della descrizione dell'evento-effetto e sulla nozione di ''catena causale'', che sussiste, per es., tra la causa sopravanzante e l'effetto, ma non tra la causa sopravanzata e l'effetto. Queste nozioni sono trattabili rigorosamente entro i sistemi di logica condizionale oggi disponibili. In tal modo si dà origine a una nuova forma di relativismo: esistendo una varietà di sistemi, la soluzione di molti problemi di attribuzione causale viene a dipendere strettamente dal linguaggio della logica che viene presupposta e dalle proprietà assiomatiche di questa.

Bibl.: E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung, Lipsia 1883 (trad. it., Torino 1977); B. Russell, On the notion of cause, in Proceedings of the Aristotelian Society, 1913, pp. 1-26 (trad. it. in Logica e misticismo, Milano 1913); H. Simon, Models of man, New York 1954; N. R. Hanson, Patterns of discovery, Cambridge 1958 (trad. it., Milano 1978); M. Weber, Il metodo delle scienze storico sociali (trad. it., Torino 1958); R. Harré, An Introduction to the Logic of sciences, Londra 1960 (trad. it., Firenze 1977); H. Blalock, Causal inferences in nonexperimental research, Chapel Hill 1961 (trad. it., Padova 1967); M. Bunge, Causality, Harvard 1963 (trad. it., Torino 1970); P. Suppes, A probabilistic theory of causality, in Acta Philosophica Fennica, 1966; D. Davidson, Causal relations, in Journal of Philosophy, 1967, pp. 691-703; G. H. von Wright, Explanation and understanding, Ithaca 1971 (trad. it., Bologna 1977); J. Piaget e altri, Les théories de la causalité, Parigi 1971 (trad. it., Torino 1974); D. K. Lewis, Causation, in Journal of Philosophy, 1973, pp. 556-67.

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