Angiolieri, Cecco

Enciclopedia Dantesca (1970)

Angiolieri, Cecco

Mario Marti

Poeta senese vissuto a cavallo dei secc. xril e XIV; nel 1313 era già morto. Notevoli i punti di contatto tra lui e Dante.

Di C. ci sono giunte notizie piuttosto frammentarie: si sa vagamente di un suo temporaneo esilio da Siena; si hanno attestazioni di multe da lui pagate per violazione di coprifuoco e per assenza dal servizio militare, nonché della vendita di una vigna da lui effettuata nel 1302; si sa anche che egli fu coinvolto nel processo per il ferimento di un tal Dino da Monteluco. Partecipò nel 1281 all'assedio che i Senesi posero a Turri di Maremma e poi anche alla campagna contro Arezzo (1289), ove Fiorentini e Senesi si trovarono alleati. I suoi figli, secondo un documento del 25 febbraio 1313, rifiutarono di accettare l'eredità paterna, perché risultava gravata di debiti. Emerge da queste notizie una figura d'uomo se non dissipatore e gaudente, certo cattivo amministratore delle proprie sostanze; la qual cosa, insieme col vecchio paralogismo critico di scambiare per realtà biografica gli schemi letterari, fu decisiva per un'interpretazione romantico-realistica delle sue rime. Vero è che l'A. è il più notevole rappresentante della poesia comico-giocosa al tempo di D., e che questa scelta e vocazione poetica rimane l'elemento fondamentale e più sicuro di una sua ideale e interiore biografia. I temi da lui accolti nelle sue rime (Becchina e il misoginismo, l'atteggiamento antipaterno, la taverna e il dado, la maledizione della povertà con la conseguente esaltazione della ricchezza, ecc.) costituiscono altrettanti topoi tradizionali, elaborati con vigile e chiara coscienza artistico-retorica secondo i dettami scolastici delle Poetrie e delle Artes dictandi nel quadro di una visione ‛ realistica ' della vita e di un'analoga letteratura europea. Quelle schematiche e depauperate forme l'A. rinnova e vivifica con l'esplosivo sentimento della vita comunale, così vario colorito e multiforme, ricco di nuovi problemi e fermenti sociali (povertà-ricchezza-fortuna), e con un'aperta presa di posizione nei riguardi della letteratura militante, in senso prevalentemente antistilnovistico.

Qui è dato rilevare il primo punto di contatto, o di attrito, tra la poesia di C. e il mondo di Dante. L'antistilnovismo del Senese si rivela chiaramente nella polemica concezione dell'amore e nella strumentalizzazione del linguaggio stilnovistico a fini ironici e parodistici, talora con cosciente capovolgimento di moduli lessicali e stilistici (si vedano, per es., i sonetti 17, 18, 20, 44, ecc. nell'edizione dei Poeti giocosi dovuta a M. Marti, Milano 1956; e il son. 48, ove al v. 7 compare un indiscutibile ricalco cavalcantiano); ma anche spesso quel generico antistilnovismo si precisa nei modi di una più particolare contraffazione di certe movenze dantesche. Il sonetto 17, per es. (Se tutta l'acqua balsamo tornasse), presuppone il tema Madonna è disiata in sommo cielo della famosa canzone di Vn XIX 9 29 e irriverentemente ne rovescia significato e valore; la conclusione del son. 28 (Sed i' avesse un sacco di fiorini) si richiama al motivo dantesco e par che de la sua labbia si mova (Vn XXVI 7 12), ecc.; e così via.

Ma non mancano testimonianze assai più concrete di rapporti personali e diretti tra C. e l'Alighieri: i sonetti Lassar vo' lo trovare di Becchina; Dante Alighier, Cecco 'l tu' serv' e amico, e Dante Alighier, s'i' so' bon begolardo, i primi due probabili proposte e il terzo sicura risposta di C. a Dante. Non si ha purtroppo alcuna notizia dei rispettivi pezzi danteschi, anche se può ritenersi sicuro che col suo terzo sonetto il Senese rispondesse a uno precedente del Fiorentino. Nel primo di essi, composto fra il 1289 e il 1293, si disegna a ironico bersaglio la figura di un ‛ marescalco ' vanesio tra le donne e le donzelle fiorentine, identificabile in Amerigo di Narbona, " giovane e bellissimo del corpo, ma non molto sperto in fatto d'arme " (D. Compagni, I 7). Questo ‛ marescalco ' era stato fra i combattenti di Campaldino, là dove fu anche D. e fu C.; e non è dunque inverosimile ipotesi quella che prospetta un incontro personale fra i due poeti in quell'occasione, e che considera il sonetto angiolieresco come una gustosa e divertente appendice di esso e di comuni scherzosi apprezzamenti: un ricordo di guerra nella singolare metamorfosi di un segnalato personaggio in tempo di pace, nella grazia di Firenze. Ma il sonetto Dante Alighier, Cecco 'l tu' serv'e amico, nel mentre costituisce riprova della cosciente polemica antistilnovistica di C., denuncia un indebolimento dei rapporti amichevoli, che giungeranno poi ad aperta rottura. L'A.. vi si rivolge a D. con tono untuosamente sornione e sostanzialmente beffardo, per rilevare la contraddizione nella quale egli sarebbe caduto componendo Oltre la spera che più tarda gira (Vn XLI 10 ss.), là dove nell'una muta, secondo il Senese, si afferma la non intelligibilità del sospiro (giunto in Paradiso presso Beatrice) che parla sottile, e nella successiva invece la sua piena intelligibilità (sì ch'io lo 'ntendo ben, donne mie care). L'A.. presumibilmente lesse il sonetto dantesco (composto al cadere del 1291) quand'era ancora isolato, non racchiuso nella trama e nella prosa della Vita Nuova ov'è data ampia risposta indiretta all'argomentazione angiolieresca, e perciò quei suoi versi sono da fissare al 1292 o '93 al massimo. Né meravigliano tanto l'atteggiamento dell'A. o le sue insinuanti osservazioni, quanto meraviglia invece il gran conto in cui l'uno e le altre furono tenuti da D., come risulta dall'articolatissima e ampia ‛ divisione ' di Vn XLI, e dalle parole di Cv III IV 11 (non sono da biasimare). Altro indizio che conforta la tesi di un ‛ momento ' angiolieresco nell'ambito dello sperimentalismo giovanile e della formazione di Dante.

Il terzo sonetto infine (Dante Alighier, s'i' so' bon begolardo) fu composto al tempo in cui D. era presso Bartolomeo & Ala Scala (1303-1304; v. 8 " S'eo so' fatto romano, e tu lombardo "). È evidente che con esso l'A. replica piuttosto violentemente e anche felicemente a precedenti accuse di D. (vv. 13-14 " e se di questo vòi dicere piùe, / Dante Alighier, i' t'averò a stancare ") non meno offensive e violente in un'aperta e totale rottura. Gl'ideali letterari qui non hanno più luogo; la polemica vi degenera in diatriba bassa e volgare. A favore di D. insorse allora il rimatore pistoiese Guelfo Taviani (v.), ma l'A. era ormai alla fine della sua parabola; forse l'ultima tenzone con D. fu il suo canto del cigno.

Bibl. - I testi si possono leggere in Poeti giocosi del tempo di D., a c. di M. Marti, Milano 1956, con commento. Si veda anche il commento ai sonetti angioliereschi di argomento dantesco nelle edizioni di A. F. Massèra, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Bari 1940, 381-383; di M. Vitale, Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, Torino 1956, I 418-423; e particolarmente di G. Contini, nei suoi Poeti del Duecento, Milano-Napoli 1960, I 383-386. Non tutte le monografie su C. fanno luogo allo studio delle relazioni fra C. e D.; al qual proposito sono da ricordare A. D'Ancona, C. A. da Siena, poeta umorista del sec. XIII, in Studi di critica e storia letteraria, Bologna 19122, pp. 163 ss. del I vol., ormai però invecchiato; B. Maier, La personalità e la poesia di C. A., Bologna 1947; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di D., Pisa 1953; cui si aggiungano P. Rossi, D. e Siena, in " Bull. Senese di storia patria " XXVIII (1921) 5-86, ma 26-31 in particolare per C. e D.; V. Piccoli, Il beffatore di D., in Anime e ombre, Milano 1927, 31-38; M. Marti, Gli umori del critico militante, nel vol. Con D. fra i poeti del suo tempo, Lecce 1966, 69-94 (particolarmente 87-90).

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